sabato 26 novembre 2011

Confindustriacati: questo ibrido tarantino!

Cui prodest? (A chi giova?)

Diciamocelo in tutta onestà: vedere un presidio ad opera di Confindustria e delle tre sigle sindacali Cgil, Cisl e Uil, non è una cosa che si vede tutti i giorni. Anzi: probabilmente in Italia una cosa del genere non si è mai vista. Ma, come più di qualcuno oramai ama da tempo ripetere, qui siamo a Taranto, città bella e dannata, dai mille paradossi, dove tutto ma proprio tutto può accadere. D’altronde, mesi addietro, lo stesso Luigi D’Isabella, segretario generale della Cgil di Taranto, ci spiegò cosa c’era alla base della strana alleanza Confindustria-Cgil nel ricorso al Tar di Lecce contro il “temutissimo” referendum sull’Ilva promosso dal comitato cittadino ‘Taranto Futura’: “non c’è nulla di strano in questa alleanza. Se noi e Confindustria abbiamo le stesse idee su un argomento, è giusto procedere sulla stessa strada”. Ecco: forse i sindacati dovrebbero chiedersi se sia effettivamente normale avere le stesse idee di Confindustria, che venne fondata nel 1910 per tutelare gli interessi delle aziende industriali nei confronti dei sindacati dei lavoratori, e che a partire dal 1920 sostenne economicamente il fascismo (periodo in cui nacque la tassazione (ancora in vigore) in base al numero di dipendenti). Fossimo nei sindacati qualche domanda ce la inizieremmo a porre.
A dirla tutta, la giornata di ieri, fino ad un certo momento è stata piuttosto tranquilla. Sin dalle prime ore del mattino infatti, operai, sindacalisti, Confindustria ed ambientalisti (ieri, fatto non di poco conto, erano presenti tutti i rappresentati delle varie associazioni presenti sul territorio) hanno condiviso la stessa piazza, annusandosi da lontano, guardandosi di sottecchi, ma restandosene ognuno per conto suo. Eppure, in tutti questi mesi, sia da un lato che dall’altro, il fuoco sotto la cenere è stato “saggiamente” alimentato. E così, dopo diverse ore di attesa, dopo che la delegazione di Confindustria e dei sindacati ha oltrepassato il grande portone di Palazzo di Città, a più di qualcuno iniziano a “prudere” i pensieri. E tutti gli errori e le contraddizioni di chi dovrebbe essere dalla stessa parte, vengono fragorosamente a galla. Purtroppo, ancora una volta, a dare il cattivo esempio sono un paio di elementi del movimento ambientalista, che accecati dal solito sterile protagonismo, provano ad ingaggiare un ridicolo corpo a corpo con gli omaccioni della Digos, nel tentativo di entrare a Palazzo di Città per essere presenti all’incontro tra Comune, Confindustria e sindacati, che gli stessi avevano fintamente creduto essere una conferenza stampa per pochi intimi, “ignorando” la presenza dei giornalisti e dei cameraman a due passi da loro. E così, dopo un paio di slogan all’indirizzo del Comune del tipo “vergogna” e “dovete fare entrare anche i cittadini”, esplode inevitabile la reazione di rabbia degli operai presenti in Piazza Castello. Lo scontro verbale è immediato, condito da accuse reciproche e di inviti ad “andare a lavorare”. Uno scontro triste, che fa male al cuore: perché nessuno dei due schieramenti ha voglia e di tempo per pensare che sono tutti cittadini di una stessa città. E che invece dovrebbero, il condizionale è assolutamente d’obbligo, parlarsi, confrontarsi, spingere verso un futuro diverso, migliore per questa città. Ma la chiusura del mondo ambientalista da un lato (se solo avessero tentato di aprirsi alla città e agli operai in tutti questi anni ora avrebbero un seguito sicuramente maggiore delle poche decine di unità attuali) e quello del mondo operaio dall’altro, atterrito dalla futura perdita del posto di lavoro (sadicamente alimentata dai sindacati negli ultimi anni ogni qual volta qualcuno provi a mettere solo in dubbio un futuro senza più industrie) rappresentano oggi una incomunicabilità di fondo praticamente inscalfibile.
E così, mentre per strada si arriva all’inevitabile scontro tra ambientalisti ed operai, al piano superiore di Palazzo di Città, i veri responsabili della deleteria situazione in cui da decenni si trova questa città, parlottano tra di loro, al riparo da coloro i quali, se solo volessero, potrebbero seriamente minarne la carriera a vita. Perché alla fine della giornata di ieri, al di là di tutto, è emersa chiara come l’acqua l’idea che i nostri politici, coadiuvati da Confindustria e sindacati, non abbiano la minima intenzione di pensare e di iniziare a progettare un futuro diverso per questa città. Per loro, le uniche possibili alternative economiche si chiamano “nuova centrale Enipower”, “nuova Cementir Italia” e “AIA all’Ilva”. Per il resto, è tabula rasa. Così come non vi è all’orizzonte intenzione alcuna di presentarsi dalle grandi industrie con la richiesta di qualsivoglia royalty: perché sanno fin troppo bene che finché non ci saranno reali alternative economiche, chiedere alle grandi industrie di investire milioni e milioni di euro in qualunque settore di questa città (fosse anche solo per un risarcimento danni che si allontana sempre più all’orizzonte) equivarrebbe a mettersi ancora una volta sotto lo scacco del ricatto occupazione, ritornando ancora una volta al punto di partenza, come all’interno di un reale, tragico, gioco dell’oca. “Questa è la fine magnifico amico: la fine delle risate e delle dolci bugie la fine delle notti in cui tentammo di morire” (“The End”, The Doors, 1967).
(Tarantoggi)

Nessun commento: