L’area intorno a Taranto presenta alti livelli di inquinamento che sembrano ridurre la fertilità femminile.
È questo il risultato di uno studio condotto da Raffaela Depalo, fisiopatologa della riproduzione umana al Policlinico di Bari, intervenuta al XVII Weekend clinico della Società Italiana della Riproduzione, il 25 novembre a Lecce.“Il 26% delle donne (su un campione di 46), provenienti dall'area geografica in un raggio di 20 km da Taranto e che si sono rivolte al nostro centro di fecondazione assistita sono state cancellate dal programma perché erano i menopausa precoce. Nessuna delle donne provenienti da altre parti d'Italia era già in menopausa”, spiega la Depalo. “Le donne provenienti sempre da quella zona e che hanno proseguito le stimolazioni ovariche, sono state confrontate con 48 donne provenienti da varie aree ma soprattutto dal nord Italia e che sono state sottoposte anch'esse ad un ciclo di stimolazione”, prosegue la Depalo. “Dalle donne tarantine abbiamo recuperato un numero inferiore di ovociti a dimostrazione del fatto che hanno avuto una reazione inferiore alla stimolazione ovarica”. Notati questi due aspetti la Depalo, Luigi Selvaggi (direttore del dipartimento di Ginecologia e Ostetricia dell'Università di Bari) e Aldo Cavallini (IRCSS “De Bellis” di Castellana Grotte (Ba)) hanno deciso di avviare uno studio prospettico. “Su tutte le donne che provengono da quell'area e che si sottopongono alla fecondazione assistita noi facciamo delle ricerche biomolecolari sia sul siero che sul fluido follicolare”, spiega. Nello studio i ricercatori vanno ad individuare un recettore che è importantissimo nell'indurre la maturazione dell'ovulo, e quindi la sua capacità di essere fecondato. “Si tratta di un recettore che ha un'affinità elettiva per sostanze esogene come la diossina”, sottolinea la ricercatrice. Questo legame può “comportare un malfunzionamento della regolazione degli estrogeni”. “Oggi sappiamo che la diossina si accumula nel tessuto adiposo. Maggiore è la massa grassa, si presuppone che maggiore sia la concentrazione di diossina che inoltre tende ad accumularsi sempre più nel tempo”, spiega la ricercatrice pugliese. L'obiettivo dello studio è quello di capire bene gli effetti della diossina sull'ovaio. Per ora i dati ottenuti dalla ricerca sono incompleti: “dobbiamo raggiungere un campione statistico significativo”, conclude la Depalo che si augura di arrivare alla pubblicazione dei dati entro la fine del 2012. La ricercatrice di Bari si augura, inoltre, che venga condotto uno studio epidemiologico sulla popolazione in aree soggette a forte inquinamento per poter capire quante donne vanno in menopausa prematuramente. Il problema, secondo molti, sono i fumi che escono dall'Ilva di Taranto. “Trent'anni fa, io Filippo Boscia, Pasquale Derchia e Valerio Giordano abbiamo costituito un gruppo di ricerca sull'infertilità di coppia nell'Italsider (vecchio nome dell'Ilva). Prima ci misero tutto l'ambulatorio a disposizione. Successivamente, quando incominciarono a vedere i dati che noi stavamo estrapolando ci misero alla porta”, spiega Lamberto Coppola, fertologo, andrologo e padrone di casa del XVII Weekend clinico della SIdR a Lecce. Tuttavia, secondo la Depalo, “dire che la diossina dell'Ilva sia il problema, è estremamente riduttivo, visto che anche gli xenoestrogeni possono essere dannosi quanto la diossina. In pratica, “spesso non sappiamo con quale grano è fatta la pasta che mangiamo o cosa ci sia nella carne che finisce sui nostri piatti”.
(Manduriaoggi)
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