martedì 22 novembre 2011

Coltivare monnezza

La Puglia sembra aver scelto di investire sul ciclo dei rifiuti: non per ridurli, ma per bruciarli. La vocazione agricola invece è sempre in difficoltà


Una ciminiera incombe su Barletta. È quella del cementificio Buzzi Unicem. Domina il panorama, a 500 metri dal bel centro storico della città pugliese. L’azienda è lì da quasi cent’anni, ed è destinata a restarci a lungo. È nel suo cuore, nel suo forno, che la Regione Puglia ha scelto di chiudere il “ciclo dei rifiuti”, basato su una ricetta semplice: si tratta di passare “dalla dittatura delle discariche a quella degli impianti che producono Cdr, combustibile da rifiuti”, come riassume Agostino Di Ciaula, medico dell’Isde (l’associazione dei medici per l’ambiente, www.isde.it) e animatore della rete “Zero rifiuti” in Puglia.
Trasformare i nostri scarti in Cdr significa che i rifiuti solidi urbani (Rsu) vengono triturati e quindi aggregati in blocchi che hanno un alto potere calorifico. Questo passaggio, però, non è indolore: a differenza dei rifiuti da cui ha origine, il Cdr, con codice Cer numero 191210, è considerato un rifiuto speciale. E pertanto non dev’essere necessariamente smaltito in loco, ma può attraversare l’Italia, andando a cercare un impianto in cui essere bruciato. Ma la Puglia, per essere all’avanguardia, ha scelto di aprire al combustibile da rifiuti tante porte, impianti dove il suo ruolo possa essere “valorizzato”, producendo in cambio energia elettrica.
Agostino Di Ciaula, autore di un saggio sul “falso mito dei cementifici-inceneritori”, è il nostro “Virgilio”. Con lui torneremo a Barletta dopo aver attraversato tutta la regione, per scoprire come la classe politica pugliese ha costruito il nuovo hub energetico italiano. Processo frutto di scelte che nell’arco di un decennio hanno trasformato questa terra. Alla fine di questo viaggio, capiremo perché -in una Regione vocata all’agricoltura- oggi è più redditizio bruciare un chilo di cocomeri che venderlo al mercato. Per quale motivo la terra, quella che negli anni Settanta veniva cavata per essere portata altrove, e utilizzata per fertilizzare i campi, è stata sacrificata sull’altare del rifiuto.
La nostra prima tappa è la campagna al confine tra Conversano e Mola di Bari, due Comuni di circa 25mila abitanti, a Sud del capoluogo regionale. Qui, sui terreni che “da sempre” ospitano le discariche gestite dalla Lombardi Ecologia, ricavate in vecchie cave “di terreno”, oggi c’è un “impianto complesso”. Che significa, ci spiega Pietro Santamaria, ambientalista, ricercatore presso il Dipartimento di Scienze agro-ambientali e territoriali dell’Università di Bari e, dal 2005 fino al 2010, assessore all’Ambiente del Comune di Mola di Bari, “un impianto che tiene insieme la selezione dei rifiuti, la bio-stabilizzazione e la produzione del Cdr, con accanto una discarica di servizio-soccorso (che riceve la frazione organica biostabilizzata o tutti i rifiuti in caso di avaria dell’impianto)”. È da qui che esce il combustibile che dovrà essere bruciato da qualche parte, e questo processo frena necessariamente l’aumento della raccolta differenziata: “Saremo obbligati a produrre rifiuti, 470 tonnellate al giorno di indifferenziato, da destinare all’impianto Cdr” spiega Santamaria. Circa 1,2 chilogrammi al giorno per ogni cittadino dei 21 Comuni di BA5, il bacino cui fanno capo Conversano e Mola di Bari. Circa 430 chili all’anno a testa. Per questo, il 19 agosto di quest’anno, convocati dal comitato “Riprendiamoci il futuro” (comitatorif.blogspot.com), i cittadini hanno manifestato “contro l’obbligo a produrre rifiuti”, gridando “fateci fare la raccolta differenziata”. “A livello di bacino, la differenziata è ferma al 17% -racconta Santamaria-. Il ‘piano rifiuti’ di Nichi Vendola avrebbe previsto, per la fine del 2011, di raggiungere il 55%, e il 65% entro il 2018”. Sono obiettivi impossibili se chi gestisce il servizio di raccolta dei rifiuti, Lombardi Ecologia, è anche socio di chi gestisce l’impianto “complesso”, una società che si chiama Cogeam, partecipata al 51% dal Gruppo Marcegaglia, al 48% dalla pugliese Cisa e all’1% dalla friulana Ecomaster, attiva nell’impiantistica.
Lombardi Ecologia sa che trasformare i rifiuti in Cdr è più conveniente che differenziarli, perché in base al bando di gara riceverà dai Comuni -insieme ai soci di Cogeam- 125,76 euro per ogni tonnellata di rifiuti trattati, 59mila euro al giorno, 21,5 milioni di euro all’anno.
L’obbligo a conferire “almeno tot rifiuti” non scandalizza Roberto Garavaglia, che si presenta come il legale rappresentante del gruppo Marcegaglia per tutte le partecipate attive nell’area energie (“rinnovabili”, aggiunge): “Abbiamo fatto un investimento, e dovendo recuperarlo il Comune non può portare il rifiuto ad altri impianti. Il nostro non è un ‘invito’, è una delibera del Commissario delegato ai rifiuti”. Forse è (anche) per questo che l’impianto che dovrebbe raccogliere il materiale proveniente dalla raccolta differenziata, “realizzato nel 2001, non è mai entrato in funzione” come racconta Santamaria. Dalla discarica al Cdr, non esistono opzioni intermedie. E il bello, spiega l’ex assessore, autore del libro L’ultimo chiuda la discarica, è che “l’impianto Cdr, costato una ventina di milioni di euro, ha ricevuto un contributo pubblico di 5 milioni di euro, a fondo perduto”.
Conversano e Mola di Bari sono un esempio. Un altro “impianto complesso” è pronto nelle campagne tra Cerignola e Manfredonia, in provincia di Foggia. Lì accanto (vedi articolo a p. 39) sta sorgendo anche un inceneritore per bruciare Cdr. Tutto targato Marcegaglia: la Puglia è una sorta di eldorado per il gruppo controllato dalla famiglia della presidente di Confindustria, Emma.
Per capire perché dobbiamo tornare al 2003. Quell’anno Commissario straordinario per l’emergenza rifiuti in Puglia è Raffaele Fitto (Pdl), allora presidente della Regione e fino all’altro ieri ministro per gli Affari regionali. Il Commissario delegato bandisce 6 gare per la realizzazione di altrettanti “impianti complessi per il trattamento di rifiuti solidi urbani”, da avviare al “recupero energetico”. Cinque di queste gare sono state aggiudicate da Fitto, nel corso del 2004. Una, proprio quella di Conversano, dal nuovo presidente della Regione, Nichi Vendola, nel 2006. Tutte sono state vinte da Cogeam, in associazione temporanea d’impresa con partner che si chiamano Lombardi Ecologia, Tra.De.Co., Recuperi pugliesi, Geoambiente, società locali da sempre attive nello smaltimento dei rifiuti. Quando Nichi Vendola ha firmato il contratto con Cogeam, nonostante due ricorsi pendenti al Tar da parte di altri concorrenti, Santamaria, si dimise dal suo incarico in Comune, dove tornò nove mesi dopo: “Il Consiglio di Stato, in seguito, ha dato torto a Cogeam. In altri casi, il Commissario aveva preferito attendere l’esito delle controversie giudiziarie”. Vendola, a quel punto, fu costretto ad annullare la gara, e a bandirne una nuova. Aggiudicata, nel 2011, a Cogeam, che a quel punto era l’unico concorrente. Tra un bando e l’altro, a cambiare è stata la tariffa di conferimento: da 58 euro a tonnellata a 126. Un chilo di cocomero, pagato 10 centesimi di euro al contadino, ne costa 12,6 alla collettività se, invenduto, diventa un rifiuto.
Oltre al bacino Bari 5, Cogeam e i suoi hanno vinto a Lecce (tre bacini) a Foggia (FOPr) e ancora a Bari (BA4). “Cinque impianti sono praticamente realizzati -racconta Garavaglia-. I tre nel leccese, quello a Sud di Bari e quello per il bacino di Foggia”. Secondo Garavaglia, l’azienda sarebbe in grado di produrre circa 400mila tonnellate di Cdr, contribuendo alla “valorizzazione” di quasi 900mila tonnellate di rifiuti.
C’è un problema, però: mancano, in Puglia, impianti in grado di accogliere tutto questo Cdr.
Al momento, in Regione è attivo un unico inceneritore. Si trova a Massafra, in provincia di Taranto, ed è gestito da Appia Energy, altra società del Gruppo Marcegaglia. Per questo, ce ne può parlare ancora Roberto Garavaglia: “L’impianto è dimensionato per 90-100mila tonnellate all’anno di Cdr” racconta il manager, anche se -secondo documenti visionati da Ae- risulta autorizzato a smaltirne non più di 25mila.
Sono bloccati, invece, i lavori per l’inceneritore di Modugno. L’impianto della società Ecoenergia, ancora del gruppo Marcegaglia, “sarebbe sotto sequestro giudiziario” spiega Agostino Di Ciaula, che a Modugno (pochi chilometri a Nord-Ovest di Bari, proprio accanto all’aeroporto di Palese) ci vive. C’è un processo in corso: il 13 ottobre è cominciata l’udienza preliminare, che vede imputati progettista e direttore dei lavori, il legale rappresentante di Ecoenergia (che non è Garavaglia) e un dirigente regionale: avrebbero dato il via ai lavori pur mancando alcune autorizzazioni. “Purtroppo un po’ di ritardi dovuti alla burocrazia” chiosa Garavaglia, spiegando che l’impianto costerà 55 milioni di euro. Settanta, invece, l’investimento per l’impianto gemello di Manfredonia. È di proprietà di un’altra società, che si chiama Eta spa, ed è quello che nei cartelli esposti sul cantiere viene indicato come un “impianto per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili”, anche se il Cdr non è una fonte rinnovabile, ma un rifiuto speciale.
In attesa degli inceneritori, ecco che tornano in scena i cementieri. Ci penseranno loro a smaltire il Cdr in eccesso. A Barletta, lo abbiamo visto, c’è Buzzi. L’azienda di Casale Monferrato si è portata avanti per tempo. Il 7 aprile 2010 ha presentato la sua richiesta di valutazione d’impatto ambientale (Via) in merito alla “proposta di potenziamento [dell’]impianto di recupero rifiuti speciali non pericolosi, mediante coincenerimento”. Sul piatto, l’autorizzazione a raddoppiare la quantità di rifiuti smaltiti, passando da 40mila a 80mila tonnellate all’anno. “Il cementificio è lì dal 1912, e in città non se ne è mai potuto parlare” raccontano Alessandro Zagaria, Angelo Di Leo e Giacomo Di Trezzo di “Barletta bene comune”. La questione dei rifiuti, però, accende una protesta. La Provincia prima chiede di rimodulare l’intervento, portando il limite a 60mila tonnellate di Cdr, poi ne concede 65mila, cioè 178 tonnellate al giorno. Si riconosce una sorta di “buona volontà” dell’azienda, dato che Buzzi ha scelto di rinunciare allo smaltimento di rifiuti pericolosi (20mila tonnellate l’anno) per bruciare puro Cdr. Il parere positivo della Provincia è stato pubblicato il 15 settembre.
Scendiamo a Sud. Taranto è la città dell’inceneritore di Massafra, ma un impianto non basta (più). Perché Appia Energy (cioè Marcegaglia) non vuol più smaltire le 40mila tonnellate di Cdr prodotte nel bacino TA1. L’azienda ha fatto capire che non ne vuol più sapere di ricevere solo 20 euro (almeno 800mila euro all’anno) per ogni tonnellata di Cdr smaltito. Colpa degli incentivi che finiscono: “Fino a dicembre 2011, Massafra gode degli incentivi Cip6 -spiega Garavaglia-. Quando scadranno, dovremmo adeguarci ai prezzi di mercato, che variano da 80 a 110 euro a tonnellata”. La decisione di Appia Energy, che rifiuta di smaltire Cdr, prodotto però dai propri soci di Cisa, apre ai rifiuti le porte (o meglio, i forni) del cementificio Cementir, lungo la statale Jonica, a un passo dall’Ilva. Il gruppo Caltagirone, proprietario di Cementir, per adeguare l’impianto ha addirittura ricevuto un doppio finanziamento pubblico, da parte della Banca europea di investimenti (90 milioni di euro) e della Regione Puglia. Il 15 settembre 2010, audito dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, il direttore dell’impianto ha spiegato di voler arrivare a smaltire 35mila tonnellate di Cdr. Lo scorso primo luglio è arrivata l’Autorizzazione integrata ambientale.
Gli unici cui è andata male sono gli umbri di Colacem, della famiglia Colaiacovo, che avrebbero voluto “valorizzare” Cdr nell’impianto di Galatina, nel leccese. A Colacem è andata male perché oltre ai comitati del Forum ambiente e salute (forumambientesalute.splinder.com) ha trovato sulla propria strada Sergio Blasi, consigliere regionale, che ha promosso un ordine del giorno, votato il 20 luglio scorso, che “impegna il governo regionale a escludere il conferimento di Cdr e Css (combustibile solido secondario, ndr) presso gli impianti esistenti […], tranne che in quelli già in esercizio e autorizzati”. L’odg che stoppa i piani di Colacem è arrivato a tre settimane dall’autorizzazione per Cementir, ed è stata votata da tutti i consiglieri tranne quelli dell’Udc (Francesco Gaetano Caltagirone è suocero di Pierferdinando Casini). (Altraeconomia)

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