E questa storiella non la mettiamo nel "nuovo rapporto ambiente e sicurezza", mister Riva?
Vergogna!!!http://www.blogger.com/img/blank.gif
Ilva Taranto, risarcimento a operai
(ANSA) - La Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza di assoluzione per gli imprenditori dell'acciaio Emilio e Claudio Riva. Rispondevano di truffa all'Inps, estorsione e tentata estorsione ai danni di 300 dipendenti trasferiti nel 1999 dalla Nuova Siet all'Ilva di Taranto. I giudici hanno decretato la prescrizione e riqualificato l'accusa in truffa aggravata riconoscendo il diritto degli operai al risarcimento per le proposte di riassunzione al ribasso dopo la mobilita'.
Cassazione: su vicenda Ilva apre ai risarcimenti per 300 lavoratori
(Adnkronos) - La Cassazione apre la possibilita' a circa 300 lavoratori di potere essere risarciti in relazione alla vicenda dell'Ilva. In particolare, la II sezione penale della Cassazione ha aperto questa possibilita' annullando senza rinvio la sentenza di assoluzione della Corte d'Appello di Taranto (dicembre 2009) nei confronti di Emilio e Claudio Riva che erano accusati di truffa ai danni dell'Inps, di estorsione e tentata estorsione nei confronti dei dipendenti della ex azienda Nova Siet.
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La vicenda giudiziaria ha una storia articolata. In primo grado il gup del Tribunale di Taranto, Annamaria La Stella, aveva condannato con rito abbreviato a quhttp://www.blogger.com/img/blank.gifattro anni di reclusione il presidente del gruppo Riva, Emilio Riva, e suo figlio Claudio, a tre anni il dirigente Italo Biagiotti e a un anno e due mesi il rappresentante della Nuova Siet, Giovanni Perona (solo per truffa). La sentenza riguardava il trasferimento di circa 300 lavoratori, nel 1999, dalla Nuova Siet all’Ilva di Taranto, che acquisì anche tutti i beni aziendali. Il gruppo Riva assorbì le attività svolte dalla consociata e mise in mobilità tutto il personale. Secondo l’accusa, ai lavoratori fu poi proposto di rientrare in azienda sulla base di nuovi contratti al ribasso rispetto a quelli precedenti. (Il Fatto quotidiano)
E cosa dice l'Ilva? eeeeeeeh è un complotto, no?
L'azienda: "L'Ilva prende atto"
TARANTO - «L'Ilva prende atto dell'esito di una storia controversa». È detto in una nota dell'azienda siderurgica in cui si commenta la decisione della Cassazione di annullare la sentenza di assoluzione nei confronti di quattro imputati, tra cui Emilio e Claudio Riva. «In primo grado - osserva l'avvocato Egidio Albanese, uno dei legali dell'Ilva - vi era stato un giudizio di condanna mentre in Corte d'appello i giudici avevano assolto nel merito tutti gli imputati. Oggi la sentenza della Cassazione rimette tutto in discussione».
«C'è rammarico - aggiunge - su come un'azione di salvataggio dei dipendenti della Nuova Siet, che erano disoccupati e in mobilit…, sia diventata causa di lunghi contenziosi e azioni giudiziarie. Obiettivo dell'Ilva di Taranto - conclude il legale - E' sempre stato quello di salvaguardare il lavoro e creare, dove economicamente possibile, nuova occupazione». (GdM)
mercoledì 30 novembre 2011
Ilva condannata: truffa all'Inps ed estorsione agli operai!
Argomenti
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Ilva? altro che crisi di produzione!!!
Il metodo Riva contro la crisi mondiale? produrre, produrre, produrre!!! (però lo dice solo agli stranieri, non a noi...)
E noi a respirare!
Italy’s Ilva to maintain crude steel output levels
On the sidelines of the presentation of Taranto-Italy based steel mill Ilva's 2011 Environment and Safety Report, Fabio Riva, vice president of Riva Fire, reaffirmed the holding company's commitment towards Ilva, which is the biggest integrated steel production plant in Europe.
Commenting on the economy and on Ilva's situation in particular, Mr. Riva stated, "We are observing a deep economic crisis caused by structural issues, worsened by the tightening of credit accessibility, which is curbing steel demand," adding, "However, we are not slackening our activity, as reducing crude steel output at Ilva's blast furnaces would greatly boost production costs, to an unbearable degree. Production capacity at the company's facilities needs to be exploited as much as possible." (steelorbis)
E noi a respirare!
Italy’s Ilva to maintain crude steel output levels
On the sidelines of the presentation of Taranto-Italy based steel mill Ilva's 2011 Environment and Safety Report, Fabio Riva, vice president of Riva Fire, reaffirmed the holding company's commitment towards Ilva, which is the biggest integrated steel production plant in Europe.
Commenting on the economy and on Ilva's situation in particular, Mr. Riva stated, "We are observing a deep economic crisis caused by structural issues, worsened by the tightening of credit accessibility, which is curbing steel demand," adding, "However, we are not slackening our activity, as reducing crude steel output at Ilva's blast furnaces would greatly boost production costs, to an unbearable degree. Production capacity at the company's facilities needs to be exploited as much as possible." (steelorbis)
Economia vera a Taranto il 2 dicembre
L'economista Sergio Cesaratto (Univ. di Siena) a Taranto!
Dopo gli appuntamenti del 16 e 17 novembre chiude il ciclo di seminari "Dentro la crisi. Itinerari nel mondo che cambia" l'incontro con il prof. SERGIO CESARATTO, docente di Politica Economica all'Università di Siena. L'evento si terrà venerdì 2 dicembre presso i locali della Facoltà di Economia (via Lago Maggiore angolo via Ancona). Per maggiori info: http://www.siderlandia.it/?page_id=2750 oppure http://www.facebook.com/event.php?eid=223063701099196 Sergio Cesaratto (Roma, 1955) è uno dei più autorevoli economisti "eterodossi" italiani. Allievo di Pierangelo Garegnani, ha lavorato come ricercatore presso il CNR dove si è occupato di Economia dell’innovazione. Nel 1992 è diventato ricercatore alla Sapienza, e poi professore associato e ordinario a Siena dove insegna Politica economica ed Economia dello sviluppo. Si è principalmente occupato di teoria della crescita e analisi dei sistemi pensionistici in una prospettiva non ortodossa. Ha pubblicato numerosi articoli su riviste italiane e internazionali. Ha scritto e scrive su il Manifesto e l'Unità. E' fra gli autori della rivista on-line www.economiaepolitica.it. Recentissimamente ha esteso un documento per una nuova politica economica europea sottoscritto da oltre 300 economisti italiani e stranieri (http://documentoeconomisti.blogspot.com/). Parte della produzione pubblicisticia del professore è disponibile sul suo blog: http://politicaeconomiablog.blogspot.com/
L'intero ciclo di seminari è stato organizzato dal Sindacato Studentesco LINK Taranto e dal settimanale on-line Siderlandia.it, con la collaborazione di FISAC Puglia, FISAC Taranto e FIOM Taranto e con il patrocinio del Comune di Taranto e Radio Popolare Salento (Media Partner)
Dopo gli appuntamenti del 16 e 17 novembre chiude il ciclo di seminari "Dentro la crisi. Itinerari nel mondo che cambia" l'incontro con il prof. SERGIO CESARATTO, docente di Politica Economica all'Università di Siena. L'evento si terrà venerdì 2 dicembre presso i locali della Facoltà di Economia (via Lago Maggiore angolo via Ancona). Per maggiori info: http://www.siderlandia.it/?page_id=2750 oppure http://www.facebook.com/event.php?eid=223063701099196 Sergio Cesaratto (Roma, 1955) è uno dei più autorevoli economisti "eterodossi" italiani. Allievo di Pierangelo Garegnani, ha lavorato come ricercatore presso il CNR dove si è occupato di Economia dell’innovazione. Nel 1992 è diventato ricercatore alla Sapienza, e poi professore associato e ordinario a Siena dove insegna Politica economica ed Economia dello sviluppo. Si è principalmente occupato di teoria della crescita e analisi dei sistemi pensionistici in una prospettiva non ortodossa. Ha pubblicato numerosi articoli su riviste italiane e internazionali. Ha scritto e scrive su il Manifesto e l'Unità. E' fra gli autori della rivista on-line www.economiaepolitica.it. Recentissimamente ha esteso un documento per una nuova politica economica europea sottoscritto da oltre 300 economisti italiani e stranieri (http://documentoeconomisti.blogspot.com/). Parte della produzione pubblicisticia del professore è disponibile sul suo blog: http://politicaeconomiablog.blogspot.com/
L'intero ciclo di seminari è stato organizzato dal Sindacato Studentesco LINK Taranto e dal settimanale on-line Siderlandia.it, con la collaborazione di FISAC Puglia, FISAC Taranto e FIOM Taranto e con il patrocinio del Comune di Taranto e Radio Popolare Salento (Media Partner)
martedì 29 novembre 2011
Il 2 dicembre 2011 alle ore 17.30 nel Castello Episcopio di Grottaglie - Sala convegni - si terrà l'incontro dibattito:
“ACQUA :COSA STA ACCADENDO NEL MONDO E IN ITALIA DOPO IL REFERENDUM”
Relaziona Giovanni VIANELLO - COMITATO PUGLIESE ACQUA BENE COMUNE - Forum Italiano Movimenti per l’acqua
“ACQUA :COSA STA ACCADENDO NEL MONDO E IN ITALIA DOPO IL REFERENDUM”
Relaziona Giovanni VIANELLO - COMITATO PUGLIESE ACQUA BENE COMUNE - Forum Italiano Movimenti per l’acqua
Argomenti
acqua,
conferenza,
dibattito,
referendum,
rifiuti
lunedì 28 novembre 2011
Il balletto delle falsità
Argomenti
centrali elettriche,
comune,
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enipower,
raffineria,
stefano,
turbogas
Sindacati e Ilva: siamo alle pulci...
«Tempo tuta» Ilva offre 2 euro e 35 cent l’ora
Il 2 dicembre tornano a riunirsi il Gruppo Riva e i sindacati dei metalmeccanici per la questione del «tempo-tuta» all'Ilva. Si tratta di un incontro decisivo che dovrebbe sbloccare lo stallo creatosi circa un mese fa per la distanza tra le posizioni aziendali e quelle della Fiom Cgil, che rischiavano di creare contraccolpi anche nel rapporto tra le sigle che rappresentano i lavoratori metalmeccanici. Il «tempo-tuta» è la monetizzazione, richiesta dai sindacati all'Ilva, del lasso di tempo che l'operaio trascorre dal suo arrivo in fabbrica all'effettivo avvio delle attività lavorative nel reparto di appartenza.
L'azienda di Riva ha già fatto una prima proposta a Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm sia per quel che riguarda il riconoscimento economico sia per gli arretrati. I sindacati hanno rifiutato, ritenendo necessario alzare l'asticella del compenso orario. Il Gruppo Riva porterebbe ora all'incontro del 2 dicembre una nuova proposta economica - il riconoscimento di 2 euro e 35 centesimi l'ora ai dipendenti - che troverebbe i sindacati disponibili a concludere l'intesa. In realtà ci sarebbero i margini per un accordo complessivo su un testo che andrebbe ovviamente limato in sede di trattativa finale. L'intesa economica, anche per la parte riguardante gli arretrati, non costituirebbe più un ostacolo insormontabile. In realtà l'aspetto della trattativa più complicato non era quello economico.
Le tensioni tra azienda e sindacati o, meglio, tra azienda e Fiom Cgil e tra Fiom Cgil, da un lato e Fim Cisl e Uilm dall'altro, riguardavano la vicenda dei ricorsi presentati da lavoratori dell'Ilva pensionati alla magistratura del lavoro. Gli ex dipendenti chiedevano e chiedono il riconoscimento del «tempo-tuta». La Fiom Cgil ha difeso questa scelta, insistendo sul fatto che non potesse far rientrare l'esercizio di un diritto individuale all'interno della trattativa. L'azienda, infatti, chiedeva di chiudere questa partita e la sua posizione è rimasta ferma e intransigente. Fim Cisl e Uilm, sostanzialmente, ritenevano necessario un accordo migliorativo a vantaggio dei dipendenti, isolando l'aspetto dei contenziosi che stava a cuore alla Fiom per consentire anche ai pensionati di recuperare le somme spettanti per il passato.
L'Ilva era stata chiara su un punto: non avrebbe firmato nessun accordo separato. Ed è facile intuire perché. In un momento economico difficile come questo, con lo spettro del ricorso alla cassa integrazione in gennaio se la crisi dhttp://www.blogger.com/img/blank.gifovesse continuare a mordere così, tensioni e spaccature - soprattutto dentro i sindacati - rappresenterebbero un colpo drammaticamente forte al quadro dei rapporti fra azienda e lavoratori, con conseguenze difficilmente prevedibili. Ecco, quindi, spiegato lo stallo che ora sembra prossimo al superamento. Lo sancirà la riunione del 2 dicembre che, secondo il segretario provinciale della Uilm, Antonio Talò, appare «decisiva». «Dovremmo riuscire a sbloccare la situazione con un accordo su un testo condiviso da tutti; stiamo lavorando a un'intesa che trovi la soluzione complessiva a tutti i problemi. Visti i tempi - afferma Talò -, viste le tante incertezze che ancora segnano in modo significativo il mercato siderurgico, sarebbe una boccata d'ossigeno per i lavoratori». ()
Il 2 dicembre tornano a riunirsi il Gruppo Riva e i sindacati dei metalmeccanici per la questione del «tempo-tuta» all'Ilva. Si tratta di un incontro decisivo che dovrebbe sbloccare lo stallo creatosi circa un mese fa per la distanza tra le posizioni aziendali e quelle della Fiom Cgil, che rischiavano di creare contraccolpi anche nel rapporto tra le sigle che rappresentano i lavoratori metalmeccanici. Il «tempo-tuta» è la monetizzazione, richiesta dai sindacati all'Ilva, del lasso di tempo che l'operaio trascorre dal suo arrivo in fabbrica all'effettivo avvio delle attività lavorative nel reparto di appartenza.
L'azienda di Riva ha già fatto una prima proposta a Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm sia per quel che riguarda il riconoscimento economico sia per gli arretrati. I sindacati hanno rifiutato, ritenendo necessario alzare l'asticella del compenso orario. Il Gruppo Riva porterebbe ora all'incontro del 2 dicembre una nuova proposta economica - il riconoscimento di 2 euro e 35 centesimi l'ora ai dipendenti - che troverebbe i sindacati disponibili a concludere l'intesa. In realtà ci sarebbero i margini per un accordo complessivo su un testo che andrebbe ovviamente limato in sede di trattativa finale. L'intesa economica, anche per la parte riguardante gli arretrati, non costituirebbe più un ostacolo insormontabile. In realtà l'aspetto della trattativa più complicato non era quello economico.
Le tensioni tra azienda e sindacati o, meglio, tra azienda e Fiom Cgil e tra Fiom Cgil, da un lato e Fim Cisl e Uilm dall'altro, riguardavano la vicenda dei ricorsi presentati da lavoratori dell'Ilva pensionati alla magistratura del lavoro. Gli ex dipendenti chiedevano e chiedono il riconoscimento del «tempo-tuta». La Fiom Cgil ha difeso questa scelta, insistendo sul fatto che non potesse far rientrare l'esercizio di un diritto individuale all'interno della trattativa. L'azienda, infatti, chiedeva di chiudere questa partita e la sua posizione è rimasta ferma e intransigente. Fim Cisl e Uilm, sostanzialmente, ritenevano necessario un accordo migliorativo a vantaggio dei dipendenti, isolando l'aspetto dei contenziosi che stava a cuore alla Fiom per consentire anche ai pensionati di recuperare le somme spettanti per il passato.
L'Ilva era stata chiara su un punto: non avrebbe firmato nessun accordo separato. Ed è facile intuire perché. In un momento economico difficile come questo, con lo spettro del ricorso alla cassa integrazione in gennaio se la crisi dhttp://www.blogger.com/img/blank.gifovesse continuare a mordere così, tensioni e spaccature - soprattutto dentro i sindacati - rappresenterebbero un colpo drammaticamente forte al quadro dei rapporti fra azienda e lavoratori, con conseguenze difficilmente prevedibili. Ecco, quindi, spiegato lo stallo che ora sembra prossimo al superamento. Lo sancirà la riunione del 2 dicembre che, secondo il segretario provinciale della Uilm, Antonio Talò, appare «decisiva». «Dovremmo riuscire a sbloccare la situazione con un accordo su un testo condiviso da tutti; stiamo lavorando a un'intesa che trovi la soluzione complessiva a tutti i problemi. Visti i tempi - afferma Talò -, viste le tante incertezze che ancora segnano in modo significativo il mercato siderurgico, sarebbe una boccata d'ossigeno per i lavoratori». ()
Enipower e cementir... basta soffocarci!
Il sondaggio: su Ilva città divisa. Bocciate Enipower e Cementir
Innanzitutto 4813 grazie. Tanti sono stati i tagliandi pervenuti alla nostra redazione durante le sei settimane del sondaggio “Scegli il futuro di Taranto”. Grazie per la partecipazione, per la fiducia, per l’attenzione alle nostre iniziative. Abbiamo cominciato dopo il grandissimo successo di “Vota il tuo sindaco”, non senza qualche perplessità. Siamo passati da un argomento in cui la competizione personale ha giocato un ruolo predominante; ad uno che ha posto in maniera diretta e senza filtri questioni di importanza strategica per il presente e per il futuro della nostra collettività. Ad alcuni è sembrata un’eccessiva semplificazione, ad altri un’opportunità di confronto. Abbiamo ricevuto critiche e complimenti, come è normale che sia. In ogni caso, abbiamo tenuto fede al nostro impegno di giornale libero e indipendente, senza padroni nè padrini e che, per questo, può affrontare gli argomenti a viso aperto. Credeteci, non è poco e non è facile resistere ai condizionamenti. I mass media pullulano di editori che stampano giornali per difendere interessi nell’industria e in altri settori che con l’informazione hanno poco da spartire.
I quasi cinquemila tagliandi pervenuti confermano che la strada intrapresa è quella giusta. Il sondaggio è partito in sordina, ma settimana dopo settimana, ha preso corpo grazie anche ai qualificati interventi che abbiamo ospitato. Vogliamo ricordarli e rivolgere anche a loro il nostro ringraziamento: il sindaco Ezio Stefàno; il presidente della Provincia Gianni Florido; l’assessore regionale al Bilancio Michele Pelillo; i consiglieri regionali Arnaldo Sala (Pdl) e Patrizio Mazza (Idv); il presidente di Confindustria Luigi Sportelli; il presidente di Confcommercio Leonardo Giangrande; il segretari generali Daniela Fumarola (Cisl) e Luigi D’Isabella (Cgil); i rappresentanti delle associazioni Biagio De Marzo (Altamarea), Nicola Russo (Taranto Futura), Alessandro Marescotti (Peacelink), Daniela Spera (Legamjonici), Paola D’Andria (Ail), Fabio Matacchiera (Fondo Antidiossina).
I temi del sondaggio, Ilva, aumento della produzione Cementir, nuova centrale Enipower sono al centro del dibattito cittadino e la risposta alla nostra iniziativa dimostra quanto sia diffusa la voglia di esprimere la propria opinione e di partecipare alle decisioni. E veniamo ai risultati. Semplificando il responso delle urne i nostri lettori hanno bocciato in maniera netta la realizzazione dei nuovi impianti Enipower e Cementir. Per la centrale Enipower il dato finale è 581 voti (12,2%) per il sì, 4207 per il no (87,8%). Sono stati 533 (11,2%) i consensi per il nuovo stabilimento Cementir e 4263 (88,8%) i no. Più articolato il giudizio sull’Ilva e non solo perchè le opzioni in campo erano tre. Sul centro siderurgico il sondaggio ci consegna sostanzialmente una città dovosa: 46,4% (2224 voti) in favore della chiusura totale; 11,9% (570) per la chiusura parziale (area a caldo); 41,7% (1997) per l’ecocompatibilità. Mentre per Enipower e Cementir l’andamento dei voti nelle sei settimane è stato costante: dalla prima all’ultima hanno sempre prevalso i no in maniera schiacciante, per l’Ilva ci sono stati diversi cambiamenti nella classifica. Il 16 ottobre, prima settimana di sondaggio il responso fu il seguente: chiusura totale 20%; chiusura parziale 42%; ecocompatibilità 38%. Tre settimane dopo (30 ottobre) il risultato era: 47,8% chiusura totale; 32% chiusura parziale; 20,2% ecompatibilità. L’esito finale, come abbiamo visto, è ancora diverso. Perchè su Enipower e soprattutto su Cementir la bocciatura è così netta, mentre sull’Ilva l’opinione pubblica risulta divisa?
Sul centro siderurgico il dibattito proviene da lontano ed è sedimentato. Una parte dell’opinione pubblica ritiene che si possa archiviare l’era dei colossi industriali in favore di nuove opportunità di sviluppo meno invasive per l’ambiente e meno nocive per lavoratori e cittadini. Un’altra parte, invece, considera ancora la grande industria un importante motore dell’economia, un patrimonio tecnologico e professionale da tutelare e da salvaguardare mediante l’utilizzo delle migliori tecnologie disponibili. Dire no all’Ilva, in definitiva, non è facile come per Enipower e Cementir. Per questi due impianti dal sondaggio è emersa una certa diffidenza generata dall’equazione nuovi impianti uguale maggiore inquinamento. Per vincere questa diffidenza occorrono risposte chiare ed efficaci nel momento in cui si compiranno le scelte. Le tensioni dei giorni scorsi sotto Palazzo di città testimoniano quanta sia alta l’attenzione su questi temi e quanto sia necessario evitare lacerazioni nel tessuto sociale, tenendo insieme le ragioni del lavoro e dello sviluppo con quelle della tutela ambientale e della salute. E’ il momento della responsabilità, ma anche della chiarezza. La classe politico-amministrativa è chiamata ad assumere le sue decisioni con il supporto ed il conforto dei tecnici. Qualsiasi scelta, va adottata in maniera condivisa, nell’interesse dei lavoratori e della collettività, del suo benessere economico e sociale, puntando al miglioramento della qualità della vita.
In questo processo il “Corriere del Giorno” continuerà a svolgere il suo ruolo di organo d’informazione attento alle esigenze del territorio, di sentinella, di spazio aperto al dibattito, al confronto e all’approfondimento. Rivendichiamo con orgoglio la vocazione territoriale e ringraziamo quanti, seguendoci ogni giorno, contribuiscono a rafforzarla. (CdG)
Innanzitutto 4813 grazie. Tanti sono stati i tagliandi pervenuti alla nostra redazione durante le sei settimane del sondaggio “Scegli il futuro di Taranto”. Grazie per la partecipazione, per la fiducia, per l’attenzione alle nostre iniziative. Abbiamo cominciato dopo il grandissimo successo di “Vota il tuo sindaco”, non senza qualche perplessità. Siamo passati da un argomento in cui la competizione personale ha giocato un ruolo predominante; ad uno che ha posto in maniera diretta e senza filtri questioni di importanza strategica per il presente e per il futuro della nostra collettività. Ad alcuni è sembrata un’eccessiva semplificazione, ad altri un’opportunità di confronto. Abbiamo ricevuto critiche e complimenti, come è normale che sia. In ogni caso, abbiamo tenuto fede al nostro impegno di giornale libero e indipendente, senza padroni nè padrini e che, per questo, può affrontare gli argomenti a viso aperto. Credeteci, non è poco e non è facile resistere ai condizionamenti. I mass media pullulano di editori che stampano giornali per difendere interessi nell’industria e in altri settori che con l’informazione hanno poco da spartire.
I quasi cinquemila tagliandi pervenuti confermano che la strada intrapresa è quella giusta. Il sondaggio è partito in sordina, ma settimana dopo settimana, ha preso corpo grazie anche ai qualificati interventi che abbiamo ospitato. Vogliamo ricordarli e rivolgere anche a loro il nostro ringraziamento: il sindaco Ezio Stefàno; il presidente della Provincia Gianni Florido; l’assessore regionale al Bilancio Michele Pelillo; i consiglieri regionali Arnaldo Sala (Pdl) e Patrizio Mazza (Idv); il presidente di Confindustria Luigi Sportelli; il presidente di Confcommercio Leonardo Giangrande; il segretari generali Daniela Fumarola (Cisl) e Luigi D’Isabella (Cgil); i rappresentanti delle associazioni Biagio De Marzo (Altamarea), Nicola Russo (Taranto Futura), Alessandro Marescotti (Peacelink), Daniela Spera (Legamjonici), Paola D’Andria (Ail), Fabio Matacchiera (Fondo Antidiossina).
I temi del sondaggio, Ilva, aumento della produzione Cementir, nuova centrale Enipower sono al centro del dibattito cittadino e la risposta alla nostra iniziativa dimostra quanto sia diffusa la voglia di esprimere la propria opinione e di partecipare alle decisioni. E veniamo ai risultati. Semplificando il responso delle urne i nostri lettori hanno bocciato in maniera netta la realizzazione dei nuovi impianti Enipower e Cementir. Per la centrale Enipower il dato finale è 581 voti (12,2%) per il sì, 4207 per il no (87,8%). Sono stati 533 (11,2%) i consensi per il nuovo stabilimento Cementir e 4263 (88,8%) i no. Più articolato il giudizio sull’Ilva e non solo perchè le opzioni in campo erano tre. Sul centro siderurgico il sondaggio ci consegna sostanzialmente una città dovosa: 46,4% (2224 voti) in favore della chiusura totale; 11,9% (570) per la chiusura parziale (area a caldo); 41,7% (1997) per l’ecocompatibilità. Mentre per Enipower e Cementir l’andamento dei voti nelle sei settimane è stato costante: dalla prima all’ultima hanno sempre prevalso i no in maniera schiacciante, per l’Ilva ci sono stati diversi cambiamenti nella classifica. Il 16 ottobre, prima settimana di sondaggio il responso fu il seguente: chiusura totale 20%; chiusura parziale 42%; ecocompatibilità 38%. Tre settimane dopo (30 ottobre) il risultato era: 47,8% chiusura totale; 32% chiusura parziale; 20,2% ecompatibilità. L’esito finale, come abbiamo visto, è ancora diverso. Perchè su Enipower e soprattutto su Cementir la bocciatura è così netta, mentre sull’Ilva l’opinione pubblica risulta divisa?
Sul centro siderurgico il dibattito proviene da lontano ed è sedimentato. Una parte dell’opinione pubblica ritiene che si possa archiviare l’era dei colossi industriali in favore di nuove opportunità di sviluppo meno invasive per l’ambiente e meno nocive per lavoratori e cittadini. Un’altra parte, invece, considera ancora la grande industria un importante motore dell’economia, un patrimonio tecnologico e professionale da tutelare e da salvaguardare mediante l’utilizzo delle migliori tecnologie disponibili. Dire no all’Ilva, in definitiva, non è facile come per Enipower e Cementir. Per questi due impianti dal sondaggio è emersa una certa diffidenza generata dall’equazione nuovi impianti uguale maggiore inquinamento. Per vincere questa diffidenza occorrono risposte chiare ed efficaci nel momento in cui si compiranno le scelte. Le tensioni dei giorni scorsi sotto Palazzo di città testimoniano quanta sia alta l’attenzione su questi temi e quanto sia necessario evitare lacerazioni nel tessuto sociale, tenendo insieme le ragioni del lavoro e dello sviluppo con quelle della tutela ambientale e della salute. E’ il momento della responsabilità, ma anche della chiarezza. La classe politico-amministrativa è chiamata ad assumere le sue decisioni con il supporto ed il conforto dei tecnici. Qualsiasi scelta, va adottata in maniera condivisa, nell’interesse dei lavoratori e della collettività, del suo benessere economico e sociale, puntando al miglioramento della qualità della vita.
In questo processo il “Corriere del Giorno” continuerà a svolgere il suo ruolo di organo d’informazione attento alle esigenze del territorio, di sentinella, di spazio aperto al dibattito, al confronto e all’approfondimento. Rivendichiamo con orgoglio la vocazione territoriale e ringraziamo quanti, seguendoci ogni giorno, contribuiscono a rafforzarla. (CdG)
domenica 27 novembre 2011
Diossina e fertilità a Taranto: uno studio in corso
L’area intorno a Taranto presenta alti livelli di inquinamento che sembrano ridurre la fertilità femminile.
È questo il risultato di uno studio condotto da Raffaela Depalo, fisiopatologa della riproduzione umana al Policlinico di Bari, intervenuta al XVII Weekend clinico della Società Italiana della Riproduzione, il 25 novembre a Lecce.“Il 26% delle donne (su un campione di 46), provenienti dall'area geografica in un raggio di 20 km da Taranto e che si sono rivolte al nostro centro di fecondazione assistita sono state cancellate dal programma perché erano i menopausa precoce. Nessuna delle donne provenienti da altre parti d'Italia era già in menopausa”, spiega la Depalo. “Le donne provenienti sempre da quella zona e che hanno proseguito le stimolazioni ovariche, sono state confrontate con 48 donne provenienti da varie aree ma soprattutto dal nord Italia e che sono state sottoposte anch'esse ad un ciclo di stimolazione”, prosegue la Depalo. “Dalle donne tarantine abbiamo recuperato un numero inferiore di ovociti a dimostrazione del fatto che hanno avuto una reazione inferiore alla stimolazione ovarica”. Notati questi due aspetti la Depalo, Luigi Selvaggi (direttore del dipartimento di Ginecologia e Ostetricia dell'Università di Bari) e Aldo Cavallini (IRCSS “De Bellis” di Castellana Grotte (Ba)) hanno deciso di avviare uno studio prospettico. “Su tutte le donne che provengono da quell'area e che si sottopongono alla fecondazione assistita noi facciamo delle ricerche biomolecolari sia sul siero che sul fluido follicolare”, spiega. Nello studio i ricercatori vanno ad individuare un recettore che è importantissimo nell'indurre la maturazione dell'ovulo, e quindi la sua capacità di essere fecondato. “Si tratta di un recettore che ha un'affinità elettiva per sostanze esogene come la diossina”, sottolinea la ricercatrice. Questo legame può “comportare un malfunzionamento della regolazione degli estrogeni”. “Oggi sappiamo che la diossina si accumula nel tessuto adiposo. Maggiore è la massa grassa, si presuppone che maggiore sia la concentrazione di diossina che inoltre tende ad accumularsi sempre più nel tempo”, spiega la ricercatrice pugliese. L'obiettivo dello studio è quello di capire bene gli effetti della diossina sull'ovaio. Per ora i dati ottenuti dalla ricerca sono incompleti: “dobbiamo raggiungere un campione statistico significativo”, conclude la Depalo che si augura di arrivare alla pubblicazione dei dati entro la fine del 2012. La ricercatrice di Bari si augura, inoltre, che venga condotto uno studio epidemiologico sulla popolazione in aree soggette a forte inquinamento per poter capire quante donne vanno in menopausa prematuramente. Il problema, secondo molti, sono i fumi che escono dall'Ilva di Taranto. “Trent'anni fa, io Filippo Boscia, Pasquale Derchia e Valerio Giordano abbiamo costituito un gruppo di ricerca sull'infertilità di coppia nell'Italsider (vecchio nome dell'Ilva). Prima ci misero tutto l'ambulatorio a disposizione. Successivamente, quando incominciarono a vedere i dati che noi stavamo estrapolando ci misero alla porta”, spiega Lamberto Coppola, fertologo, andrologo e padrone di casa del XVII Weekend clinico della SIdR a Lecce. Tuttavia, secondo la Depalo, “dire che la diossina dell'Ilva sia il problema, è estremamente riduttivo, visto che anche gli xenoestrogeni possono essere dannosi quanto la diossina. In pratica, “spesso non sappiamo con quale grano è fatta la pasta che mangiamo o cosa ci sia nella carne che finisce sui nostri piatti”.
(Manduriaoggi)
(Manduriaoggi)
sabato 26 novembre 2011
Stefano abbaia... ma poi non morde!
Il Comune “striglia” l’Eni
Il tanto atteso “sì” da parte del Comune di Taranto alla realizzazione della nuova centrale Enipower, non è ancora stato pronunciato. In molti, a partire da Confindustria e dalle tre sigle sindacali Cgil, Cisl e Uil, avevano intravisto nella giornata di ieri lo spartiacque decisivo per la risoluzione di una vicenda che ebbe inizio nel lontano 19 marzo del 2007, quando l’Eni avanzò la richiesta di Autorizzazione Unica ai sensi della Legge 55/2002 (comprensiva di procedure VIA e AIA, entrambe ottenute) per l’oramai famosa “Centrale a Ciclo Combinato da 240 MWe alimentata a gas naturale”. Ed invece l’amministrazione comunale del sindaco Stefàno, ancora una volta, è stata abile nel tirar fuori dalla manica l’ennesima “carta vincente”, rinviando il tutto a quando l’Eni si deciderà a mettere nero su bianco le compensazioni promesse per rimediare all’aumento delle emissioni di CO2 (del 276%, mentre restano avvolte nel mistero quelle relative al monossido di carbonio (da 87 ton/a a 456 ton/a? o da 70 ton/a a 350 ton/a) previste con l’entrata in funzione del nuovo impianto. Impegno nero su bianco che lo stesso primo cittadino ed il suo vicesindaco hanno atteso invano sino a ieri mattina. Per questo, la riunione di giunta monotematica svoltasi ieri, al termine di una intensa mattinata ha prodotto un semplice “atto introduttivo” (deliberazione n. 144/09), attraverso il quale si ribadisce, tra le diverse cose, come “il miglioramento delle condizioni ambientali complessive e delle condizioni di salute e di sicurezza dei lavoratori rappresentino un presupposto imprescindibile per la valutazione positiva della proposta avanzata”. In parole povere, il Comune si aspetta che l’Eni faccia ciò che ha promesso: per il resto, non sono apparse altre rimostranze al progetto da parte della giunta.
Tanto per restare in tema e soprattutto per coloro i quali non fossero dotati di buona memoria, riepiloghiamo quali sono le compensazioni promesse dall’Eni: trasformazione del sistema di alimentazione del parco automezzi delle società partecipate del Comune (AMIU ed AMAT) a GPL o metano; trasformazione di 3.000 autovetture di nostri concittadini (ma il criterio in base al quale saranno scelti non è dato sapere: essendo sotto Natale magari trarremo ispirazione dal gioco della tombola) da benzina a gpl o metano; installazione sugli edifici scolastici ed uffici comunali ed al quartiere Tamburi di pannelli fotovoltaici; ristrutturazione dell'ex presidio Testa - situato proprio nelle immediate vicinanze dello stabilimento Eni - per avere a Taranto il Dipartimento Ambiente e Salute. In realtà, è altresì bene ricordare che le compensazioni previste nel progetto iniziale erano di altra natura e non sappiamo se alla fine saranno portate lo stesso a termine: modifica del layout della nuova centrale a ciclo combinato; recupero della Torre e della Masseria Montello con sistemazione a verde dell’area circostante; sistemazione a verde dell’area circostante la Chiesa di S. Maria della Giustizia (concessa “gentilmente” dall’Eni in una serata di fine settembre per una serata a base di jazz & gas); predisposizione di illuminazione scenografica estesa all’intero ambito delle due emergenze storico-architettoniche.
Ciò detto, resta fortemente radicata in noi l’impressione che il Comune di Taranto e l’Eni abbiano deciso di iniziare a giocare una finta partita a scacchi, per gettare un’ombra sulle reali problematiche della questione in essere. Ad esempio, viene abilmente sottaciuta la reale motivazione per cui l’Eni abbia deciso di costruire questa nuova centrale a turbogas. Motivazione che ne sottintende un’altra ancora meno chiara. Perché quando nello scorso luglio scese a Taranto l’amministratore delegato di Enipower, Giovanni Milani, per sgombrare il campo dai tanti dubbi che questo progetto porta con sé, l’Eni non si fece più di tanto scrupolo nello svelare i reali motivi alla base di tale investimento (230 milioni di euro di cui 40 per lavori civili e montaggi elettromeccanici). Ovvero produrre una quantità enorme di energia elettrica (la centrale avrà infatti una potenza termica massima in normale esercizio di 579 MWt (169 MWt in più dell’attuale ovvero + 41%) e 280 MWe (192 MWe in più, ovvero + 260 %, per effetto dell’aumento di efficienza) ben al di sopra del fabbisogno di Taranto città, della Provincia e della Regione Puglia, per diventare più competitivi sul mercato nazionale. Ma a domanda sul perché non sia possibile chiedere all’Eni di costruire una centrale di minor potenza, Sindaco e Vicesindaco hanno preferito glissare. Come non bastasse, lo stesso Milani precisò come l’Eni abbia intenzione di dismettere solo una parte dell’attuale centrale ad olio combustibile, mentre avrebbe provveduto a smantellare la restante soltanto nei prossimi 15-20 anni. Ieri, però, il Sindaco ci ha personalmente rassicurati sul fatto che sarà immediatamente dismessa l’intera obsoleta centrale e non solo una parte di essa. Staremo a vedere. Così come, sin troppo furbescamente, si è preferito tacere dei reali risvolti occupazionali che porterebbe con sé la nuova centrale. Sempre a luglio, infatti, Milani ripeté per l’ennesima volta che nuova centrale o meno, l’Eni non avrebbe lasciato Taranto (eppure i gufi presenti in Confindustria e nei Sindacati hanno convinto i lavoratori dell’esatto contrario). Inoltre, lo stesso a.d. di Enipower, a nostra precisa domanda su cosa avrebbe guadagnato Taranto a fronte di un investimento di 230 milioni di euro per la nuova centrale, non seppe darci risposta. Idem, per quanto riguarda l’aumento dei posti di lavoro: il cantiere dovrebbe partire entro dicembre 2011 (sempre che Eni mantenga fede alle promesse fatte al Comune) per concludere i lavori entro 24 mesi, prevedendo un picco massimo di assunzioni intorno alla 590 unità. Di queste, nessuna di loro resterà a lavorare in Eni o Enipower a lavori conclusi, come ci ha confermò lo stesso a.d. Milani. Eppure, Confindustria e Sindacati continuano a ripeterci che la nuova centrale porterà benessere e lavoro. Che poi si tratti del benessere di una sola azienda e di lavoro precario o a tempo determinato a loro poco importa. Per il resto, è bene mettersi l’anima in pace: la nuova centrale Enipower si farà.
“Niente può avere come destinazione qualcosa di diverso dalla sua origine. L'idea opposta, l'idea del progresso, é veleno”. (Simon Weil, Parigi, 3 febbraio 1909 – Ashford, 24 agosto 1943).
(Tarantoggi)
Il tanto atteso “sì” da parte del Comune di Taranto alla realizzazione della nuova centrale Enipower, non è ancora stato pronunciato. In molti, a partire da Confindustria e dalle tre sigle sindacali Cgil, Cisl e Uil, avevano intravisto nella giornata di ieri lo spartiacque decisivo per la risoluzione di una vicenda che ebbe inizio nel lontano 19 marzo del 2007, quando l’Eni avanzò la richiesta di Autorizzazione Unica ai sensi della Legge 55/2002 (comprensiva di procedure VIA e AIA, entrambe ottenute) per l’oramai famosa “Centrale a Ciclo Combinato da 240 MWe alimentata a gas naturale”. Ed invece l’amministrazione comunale del sindaco Stefàno, ancora una volta, è stata abile nel tirar fuori dalla manica l’ennesima “carta vincente”, rinviando il tutto a quando l’Eni si deciderà a mettere nero su bianco le compensazioni promesse per rimediare all’aumento delle emissioni di CO2 (del 276%, mentre restano avvolte nel mistero quelle relative al monossido di carbonio (da 87 ton/a a 456 ton/a? o da 70 ton/a a 350 ton/a) previste con l’entrata in funzione del nuovo impianto. Impegno nero su bianco che lo stesso primo cittadino ed il suo vicesindaco hanno atteso invano sino a ieri mattina. Per questo, la riunione di giunta monotematica svoltasi ieri, al termine di una intensa mattinata ha prodotto un semplice “atto introduttivo” (deliberazione n. 144/09), attraverso il quale si ribadisce, tra le diverse cose, come “il miglioramento delle condizioni ambientali complessive e delle condizioni di salute e di sicurezza dei lavoratori rappresentino un presupposto imprescindibile per la valutazione positiva della proposta avanzata”. In parole povere, il Comune si aspetta che l’Eni faccia ciò che ha promesso: per il resto, non sono apparse altre rimostranze al progetto da parte della giunta.
Tanto per restare in tema e soprattutto per coloro i quali non fossero dotati di buona memoria, riepiloghiamo quali sono le compensazioni promesse dall’Eni: trasformazione del sistema di alimentazione del parco automezzi delle società partecipate del Comune (AMIU ed AMAT) a GPL o metano; trasformazione di 3.000 autovetture di nostri concittadini (ma il criterio in base al quale saranno scelti non è dato sapere: essendo sotto Natale magari trarremo ispirazione dal gioco della tombola) da benzina a gpl o metano; installazione sugli edifici scolastici ed uffici comunali ed al quartiere Tamburi di pannelli fotovoltaici; ristrutturazione dell'ex presidio Testa - situato proprio nelle immediate vicinanze dello stabilimento Eni - per avere a Taranto il Dipartimento Ambiente e Salute. In realtà, è altresì bene ricordare che le compensazioni previste nel progetto iniziale erano di altra natura e non sappiamo se alla fine saranno portate lo stesso a termine: modifica del layout della nuova centrale a ciclo combinato; recupero della Torre e della Masseria Montello con sistemazione a verde dell’area circostante; sistemazione a verde dell’area circostante la Chiesa di S. Maria della Giustizia (concessa “gentilmente” dall’Eni in una serata di fine settembre per una serata a base di jazz & gas); predisposizione di illuminazione scenografica estesa all’intero ambito delle due emergenze storico-architettoniche.
Ciò detto, resta fortemente radicata in noi l’impressione che il Comune di Taranto e l’Eni abbiano deciso di iniziare a giocare una finta partita a scacchi, per gettare un’ombra sulle reali problematiche della questione in essere. Ad esempio, viene abilmente sottaciuta la reale motivazione per cui l’Eni abbia deciso di costruire questa nuova centrale a turbogas. Motivazione che ne sottintende un’altra ancora meno chiara. Perché quando nello scorso luglio scese a Taranto l’amministratore delegato di Enipower, Giovanni Milani, per sgombrare il campo dai tanti dubbi che questo progetto porta con sé, l’Eni non si fece più di tanto scrupolo nello svelare i reali motivi alla base di tale investimento (230 milioni di euro di cui 40 per lavori civili e montaggi elettromeccanici). Ovvero produrre una quantità enorme di energia elettrica (la centrale avrà infatti una potenza termica massima in normale esercizio di 579 MWt (169 MWt in più dell’attuale ovvero + 41%) e 280 MWe (192 MWe in più, ovvero + 260 %, per effetto dell’aumento di efficienza) ben al di sopra del fabbisogno di Taranto città, della Provincia e della Regione Puglia, per diventare più competitivi sul mercato nazionale. Ma a domanda sul perché non sia possibile chiedere all’Eni di costruire una centrale di minor potenza, Sindaco e Vicesindaco hanno preferito glissare. Come non bastasse, lo stesso Milani precisò come l’Eni abbia intenzione di dismettere solo una parte dell’attuale centrale ad olio combustibile, mentre avrebbe provveduto a smantellare la restante soltanto nei prossimi 15-20 anni. Ieri, però, il Sindaco ci ha personalmente rassicurati sul fatto che sarà immediatamente dismessa l’intera obsoleta centrale e non solo una parte di essa. Staremo a vedere. Così come, sin troppo furbescamente, si è preferito tacere dei reali risvolti occupazionali che porterebbe con sé la nuova centrale. Sempre a luglio, infatti, Milani ripeté per l’ennesima volta che nuova centrale o meno, l’Eni non avrebbe lasciato Taranto (eppure i gufi presenti in Confindustria e nei Sindacati hanno convinto i lavoratori dell’esatto contrario). Inoltre, lo stesso a.d. di Enipower, a nostra precisa domanda su cosa avrebbe guadagnato Taranto a fronte di un investimento di 230 milioni di euro per la nuova centrale, non seppe darci risposta. Idem, per quanto riguarda l’aumento dei posti di lavoro: il cantiere dovrebbe partire entro dicembre 2011 (sempre che Eni mantenga fede alle promesse fatte al Comune) per concludere i lavori entro 24 mesi, prevedendo un picco massimo di assunzioni intorno alla 590 unità. Di queste, nessuna di loro resterà a lavorare in Eni o Enipower a lavori conclusi, come ci ha confermò lo stesso a.d. Milani. Eppure, Confindustria e Sindacati continuano a ripeterci che la nuova centrale porterà benessere e lavoro. Che poi si tratti del benessere di una sola azienda e di lavoro precario o a tempo determinato a loro poco importa. Per il resto, è bene mettersi l’anima in pace: la nuova centrale Enipower si farà.
“Niente può avere come destinazione qualcosa di diverso dalla sua origine. L'idea opposta, l'idea del progresso, é veleno”. (Simon Weil, Parigi, 3 febbraio 1909 – Ashford, 24 agosto 1943).
(Tarantoggi)
Confindustriacati: questo ibrido tarantino!
Cui prodest? (A chi giova?)
Diciamocelo in tutta onestà: vedere un presidio ad opera di Confindustria e delle tre sigle sindacali Cgil, Cisl e Uil, non è una cosa che si vede tutti i giorni. Anzi: probabilmente in Italia una cosa del genere non si è mai vista. Ma, come più di qualcuno oramai ama da tempo ripetere, qui siamo a Taranto, città bella e dannata, dai mille paradossi, dove tutto ma proprio tutto può accadere. D’altronde, mesi addietro, lo stesso Luigi D’Isabella, segretario generale della Cgil di Taranto, ci spiegò cosa c’era alla base della strana alleanza Confindustria-Cgil nel ricorso al Tar di Lecce contro il “temutissimo” referendum sull’Ilva promosso dal comitato cittadino ‘Taranto Futura’: “non c’è nulla di strano in questa alleanza. Se noi e Confindustria abbiamo le stesse idee su un argomento, è giusto procedere sulla stessa strada”. Ecco: forse i sindacati dovrebbero chiedersi se sia effettivamente normale avere le stesse idee di Confindustria, che venne fondata nel 1910 per tutelare gli interessi delle aziende industriali nei confronti dei sindacati dei lavoratori, e che a partire dal 1920 sostenne economicamente il fascismo (periodo in cui nacque la tassazione (ancora in vigore) in base al numero di dipendenti). Fossimo nei sindacati qualche domanda ce la inizieremmo a porre.
A dirla tutta, la giornata di ieri, fino ad un certo momento è stata piuttosto tranquilla. Sin dalle prime ore del mattino infatti, operai, sindacalisti, Confindustria ed ambientalisti (ieri, fatto non di poco conto, erano presenti tutti i rappresentati delle varie associazioni presenti sul territorio) hanno condiviso la stessa piazza, annusandosi da lontano, guardandosi di sottecchi, ma restandosene ognuno per conto suo. Eppure, in tutti questi mesi, sia da un lato che dall’altro, il fuoco sotto la cenere è stato “saggiamente” alimentato. E così, dopo diverse ore di attesa, dopo che la delegazione di Confindustria e dei sindacati ha oltrepassato il grande portone di Palazzo di Città, a più di qualcuno iniziano a “prudere” i pensieri. E tutti gli errori e le contraddizioni di chi dovrebbe essere dalla stessa parte, vengono fragorosamente a galla. Purtroppo, ancora una volta, a dare il cattivo esempio sono un paio di elementi del movimento ambientalista, che accecati dal solito sterile protagonismo, provano ad ingaggiare un ridicolo corpo a corpo con gli omaccioni della Digos, nel tentativo di entrare a Palazzo di Città per essere presenti all’incontro tra Comune, Confindustria e sindacati, che gli stessi avevano fintamente creduto essere una conferenza stampa per pochi intimi, “ignorando” la presenza dei giornalisti e dei cameraman a due passi da loro. E così, dopo un paio di slogan all’indirizzo del Comune del tipo “vergogna” e “dovete fare entrare anche i cittadini”, esplode inevitabile la reazione di rabbia degli operai presenti in Piazza Castello. Lo scontro verbale è immediato, condito da accuse reciproche e di inviti ad “andare a lavorare”. Uno scontro triste, che fa male al cuore: perché nessuno dei due schieramenti ha voglia e di tempo per pensare che sono tutti cittadini di una stessa città. E che invece dovrebbero, il condizionale è assolutamente d’obbligo, parlarsi, confrontarsi, spingere verso un futuro diverso, migliore per questa città. Ma la chiusura del mondo ambientalista da un lato (se solo avessero tentato di aprirsi alla città e agli operai in tutti questi anni ora avrebbero un seguito sicuramente maggiore delle poche decine di unità attuali) e quello del mondo operaio dall’altro, atterrito dalla futura perdita del posto di lavoro (sadicamente alimentata dai sindacati negli ultimi anni ogni qual volta qualcuno provi a mettere solo in dubbio un futuro senza più industrie) rappresentano oggi una incomunicabilità di fondo praticamente inscalfibile.
E così, mentre per strada si arriva all’inevitabile scontro tra ambientalisti ed operai, al piano superiore di Palazzo di Città, i veri responsabili della deleteria situazione in cui da decenni si trova questa città, parlottano tra di loro, al riparo da coloro i quali, se solo volessero, potrebbero seriamente minarne la carriera a vita. Perché alla fine della giornata di ieri, al di là di tutto, è emersa chiara come l’acqua l’idea che i nostri politici, coadiuvati da Confindustria e sindacati, non abbiano la minima intenzione di pensare e di iniziare a progettare un futuro diverso per questa città. Per loro, le uniche possibili alternative economiche si chiamano “nuova centrale Enipower”, “nuova Cementir Italia” e “AIA all’Ilva”. Per il resto, è tabula rasa. Così come non vi è all’orizzonte intenzione alcuna di presentarsi dalle grandi industrie con la richiesta di qualsivoglia royalty: perché sanno fin troppo bene che finché non ci saranno reali alternative economiche, chiedere alle grandi industrie di investire milioni e milioni di euro in qualunque settore di questa città (fosse anche solo per un risarcimento danni che si allontana sempre più all’orizzonte) equivarrebbe a mettersi ancora una volta sotto lo scacco del ricatto occupazione, ritornando ancora una volta al punto di partenza, come all’interno di un reale, tragico, gioco dell’oca. “Questa è la fine magnifico amico: la fine delle risate e delle dolci bugie la fine delle notti in cui tentammo di morire” (“The End”, The Doors, 1967).
(Tarantoggi)
Diciamocelo in tutta onestà: vedere un presidio ad opera di Confindustria e delle tre sigle sindacali Cgil, Cisl e Uil, non è una cosa che si vede tutti i giorni. Anzi: probabilmente in Italia una cosa del genere non si è mai vista. Ma, come più di qualcuno oramai ama da tempo ripetere, qui siamo a Taranto, città bella e dannata, dai mille paradossi, dove tutto ma proprio tutto può accadere. D’altronde, mesi addietro, lo stesso Luigi D’Isabella, segretario generale della Cgil di Taranto, ci spiegò cosa c’era alla base della strana alleanza Confindustria-Cgil nel ricorso al Tar di Lecce contro il “temutissimo” referendum sull’Ilva promosso dal comitato cittadino ‘Taranto Futura’: “non c’è nulla di strano in questa alleanza. Se noi e Confindustria abbiamo le stesse idee su un argomento, è giusto procedere sulla stessa strada”. Ecco: forse i sindacati dovrebbero chiedersi se sia effettivamente normale avere le stesse idee di Confindustria, che venne fondata nel 1910 per tutelare gli interessi delle aziende industriali nei confronti dei sindacati dei lavoratori, e che a partire dal 1920 sostenne economicamente il fascismo (periodo in cui nacque la tassazione (ancora in vigore) in base al numero di dipendenti). Fossimo nei sindacati qualche domanda ce la inizieremmo a porre.
A dirla tutta, la giornata di ieri, fino ad un certo momento è stata piuttosto tranquilla. Sin dalle prime ore del mattino infatti, operai, sindacalisti, Confindustria ed ambientalisti (ieri, fatto non di poco conto, erano presenti tutti i rappresentati delle varie associazioni presenti sul territorio) hanno condiviso la stessa piazza, annusandosi da lontano, guardandosi di sottecchi, ma restandosene ognuno per conto suo. Eppure, in tutti questi mesi, sia da un lato che dall’altro, il fuoco sotto la cenere è stato “saggiamente” alimentato. E così, dopo diverse ore di attesa, dopo che la delegazione di Confindustria e dei sindacati ha oltrepassato il grande portone di Palazzo di Città, a più di qualcuno iniziano a “prudere” i pensieri. E tutti gli errori e le contraddizioni di chi dovrebbe essere dalla stessa parte, vengono fragorosamente a galla. Purtroppo, ancora una volta, a dare il cattivo esempio sono un paio di elementi del movimento ambientalista, che accecati dal solito sterile protagonismo, provano ad ingaggiare un ridicolo corpo a corpo con gli omaccioni della Digos, nel tentativo di entrare a Palazzo di Città per essere presenti all’incontro tra Comune, Confindustria e sindacati, che gli stessi avevano fintamente creduto essere una conferenza stampa per pochi intimi, “ignorando” la presenza dei giornalisti e dei cameraman a due passi da loro. E così, dopo un paio di slogan all’indirizzo del Comune del tipo “vergogna” e “dovete fare entrare anche i cittadini”, esplode inevitabile la reazione di rabbia degli operai presenti in Piazza Castello. Lo scontro verbale è immediato, condito da accuse reciproche e di inviti ad “andare a lavorare”. Uno scontro triste, che fa male al cuore: perché nessuno dei due schieramenti ha voglia e di tempo per pensare che sono tutti cittadini di una stessa città. E che invece dovrebbero, il condizionale è assolutamente d’obbligo, parlarsi, confrontarsi, spingere verso un futuro diverso, migliore per questa città. Ma la chiusura del mondo ambientalista da un lato (se solo avessero tentato di aprirsi alla città e agli operai in tutti questi anni ora avrebbero un seguito sicuramente maggiore delle poche decine di unità attuali) e quello del mondo operaio dall’altro, atterrito dalla futura perdita del posto di lavoro (sadicamente alimentata dai sindacati negli ultimi anni ogni qual volta qualcuno provi a mettere solo in dubbio un futuro senza più industrie) rappresentano oggi una incomunicabilità di fondo praticamente inscalfibile.
E così, mentre per strada si arriva all’inevitabile scontro tra ambientalisti ed operai, al piano superiore di Palazzo di Città, i veri responsabili della deleteria situazione in cui da decenni si trova questa città, parlottano tra di loro, al riparo da coloro i quali, se solo volessero, potrebbero seriamente minarne la carriera a vita. Perché alla fine della giornata di ieri, al di là di tutto, è emersa chiara come l’acqua l’idea che i nostri politici, coadiuvati da Confindustria e sindacati, non abbiano la minima intenzione di pensare e di iniziare a progettare un futuro diverso per questa città. Per loro, le uniche possibili alternative economiche si chiamano “nuova centrale Enipower”, “nuova Cementir Italia” e “AIA all’Ilva”. Per il resto, è tabula rasa. Così come non vi è all’orizzonte intenzione alcuna di presentarsi dalle grandi industrie con la richiesta di qualsivoglia royalty: perché sanno fin troppo bene che finché non ci saranno reali alternative economiche, chiedere alle grandi industrie di investire milioni e milioni di euro in qualunque settore di questa città (fosse anche solo per un risarcimento danni che si allontana sempre più all’orizzonte) equivarrebbe a mettersi ancora una volta sotto lo scacco del ricatto occupazione, ritornando ancora una volta al punto di partenza, come all’interno di un reale, tragico, gioco dell’oca. “Questa è la fine magnifico amico: la fine delle risate e delle dolci bugie la fine delle notti in cui tentammo di morire” (“The End”, The Doors, 1967).
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venerdì 25 novembre 2011
E ora le banche fanno le case popolari...
Ecco una delle più pubblicizzate e rinomate azioni del cosiddetto Housing Sociale (che per chi conosce cosa c'è dietro suona pulito e sociale come le Ecoballe di Napoli...).
Ricordiamo che sull'housing sociale la giunta Stefàno vuole basare tutta la nuova politica abitativa del Comune.
Qual'è la promessa? Eccola: più case a prezzi più convenienti usando soldi privati e soldi pubblici. Qual'è il problema? Più economico non vuol dire economico!!! Pare stupido ma è così! L'edilizia sociale nasce per i ceti poveri, l'housing sociale esclude le fasce indigenti perchè non può andare sotto il limite per il quale il privato mette i suoi soldi: fare altri soldi!!!
Secondo problema, di carattere più macroeconomico. Non è sano che in uno stato progredito le banche si mettano a costruire, a comprare industrie, a detenere e produrre beni, servizi, infrastrutture, ecc. In questo caso, per esempio, le banche si sostituiscono ai palazzinari!
La cosa che colpisce è il tono ultrabuonista tutto fatto di commozione e marketing con cui vengono spacciate queste iniziative!
Leggiamo questo famoso fondo:
Fondo Abitare Sociale 1
Il Fondo Immobiliare etico “Abitare Sociale 1” (“AS1”) nasce da un'iniziativa della Fondazione Cariplo che, sotto la spinta del crescente disagio abitativo, ha ricercato nuove modalità per incrementare il livello degli investimenti nel settore dell’Edilizia Privata Sociale. Il Fondo “AS1” segna il passaggio dall'attività erogativa all'attività di investimento etico (investimento dal rendimento calmierato che persegue obiettivi di interesse sociale), condotto con investitori istituzionali pubblici e privati del territorio lombardo che ne condividono gli obiettivi. Primo fondo nel suo genere in Italia è divenuto poi un riferimento per il settore, per la modalità di finanziamento e per la sinergia che si crea tra pubblico e privato. Grazie al Fondo, gestito da Polaris Investment Italia SGR, vengono realizzati gli interventi di via Cenni, Figino e di via Ferrari a Milano, e l’iniziativa di Crema.
SOCIETÀ DI GESTIONE DEL FONDO:
Polaris Investment Italia SGR
PROMOTORE DEL PROGETTO HOUSING SOCIALE:http://www.blogger.com/img/blank.gif
Fondazione Housing Sociale
INVESTITORI DEL FONDO IMMOBILIARE ETICO “ABITARE SOCIALE 1”:
Fondazione Cariplo, Regione Lombardia, Cassa Depositi e Prestiti, Intesa San Paolo, Banca Popolare di Milano, Assicurazioni Generali, Cassa Italiana Geometri, Prelios, Telecom Italia.
(Fhs)
La storia di Sergio Urbani non è quella di un Imprenditore Sociale, ma e’ quella di un Manager. Non di meno il suo interesse per il sociale ha rappresentato una svolta importante nella sua vita.
Dopo una carriera importante in Deloitte e in ABN Ambro, un mondo caratterizzato da operazioni finanziarie dai risvolti umani dolorosi, viene contattato per un progetto di Finanza Immobiliare Sociale per conto di Fondazione Cariplo. Da allora in poi è stata quella la sua scelta di vita: una remunerazione più bassa ma caratterizzata da un grande impatto sociale e un forte senso di appagamento personale.(shynote)
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E ora leggiamo un'analisi della partecipazione pubblica a questo fondo dalle parole di un blogger:
"Il centrodestra lombardo ha dato il via libera all’investimento di 10 milioni di euro nel “Fondo Abitare Sociale 1”, in occasione dell’ultima riunione della V commissione consiliare. Rifondazione Comunista e Italia dei Valori hanno espresso voto contrario, mentre Ds, Margherita e Verdi si sono astenuti.
Con questa operazione Regione Lombardia acquista il 20% del fondo controllato da Nextra Investment Management Sgr spa, una società a sua volta controllata da Banca Intesa. Una iniziativa che non ha precedenti, come riconosce lo stesso centrodestra, e che solleva numerosi dubbi, anzitutto in virtù dell’assenza di garanzie reali circa le sue finalità sociali.
Secondo la maggioranza del Pirellone, l’esborso di 10 milioni di euro di denaro pubblico a favore di un fondo privato sarebbe giustificato dal fatto che due terzi degli alloggi costruiti dal Fondo andranno a favore di famiglie bisognose. Un’affermazione azzardata, alla luce di quanto scritto effettivamente nel regolamento del fondo, laddove abbondano invece gli impegni generici e poco trasparenti. Infatti, l’unico “impegno” è quello di garantire canoni di locazione “inferiori al livello di mercato”, senza però dire di quanto inferiori, mentre per il resto ci si limita a un fumoso “cercando di massimizzare” gli alloggi locati a canone moderato, convenzionato o sociale. Un po’ poco per sbandierare le finalità sociali, ci pare.
Quanto alla garanzia rappresentata dal diritto di veto del rappresentante regionale nel comitato tecnico di controllo del fondo, denominato Advisory Committee e composto da sette membri, ci permettiamo di avanzare ulteriori dubbi. Anzitutto, il rappresentante regionale è nominato direttamente dall’assessore Borghini, escludendo pertanto ogni funzione di controllo diretto da parte del Consiglio, e, in secondo luogo, si tratta di un diritto di veto vincolato in ultima istanza all’accordo con il Presidente del comitato tecnico, il quale è di nomina della Fondazione http://www.blogger.com/img/blank.gifHousing Sociale, cioè di Banca Intesa.
Si tratta della prima volta che Regione Lombardia traduce in pratica ciò che da tempo annuncia. Ovvero, che inizia l’era della collaborazione privato-pubblico in materia di edilizia residenziale pubblica. E inizia nell’unico modo possibile, cioè rinunciando alla trasparenza, all’efficacia sociale e ad un controllo pubblico degno di questo nome. E non potrebbe essere diversamente, poiché il privato pretende che il capitale investito sia remunerato, mentre il pubblico dovrebbe preoccuparsi di garantire l’accesso alla casa a tutti, a cominciare dai settori socialmente più svantaggiati.
Banca Intesa fa il suo mestiere, ma la stessa cosa non si può dire della Giunta Formigoni che oggi sottrae 10 milioni di euro ai fondi per l’edilizia residenziale pubblica, per affidarli al buon cuore di Banca Intesa." (Luciano Muhlbauer)
...che strano che questo blogger sia dello stesso colore politico di Stefàno!
Ricordiamo che sull'housing sociale la giunta Stefàno vuole basare tutta la nuova politica abitativa del Comune.
Qual'è la promessa? Eccola: più case a prezzi più convenienti usando soldi privati e soldi pubblici. Qual'è il problema? Più economico non vuol dire economico!!! Pare stupido ma è così! L'edilizia sociale nasce per i ceti poveri, l'housing sociale esclude le fasce indigenti perchè non può andare sotto il limite per il quale il privato mette i suoi soldi: fare altri soldi!!!
Secondo problema, di carattere più macroeconomico. Non è sano che in uno stato progredito le banche si mettano a costruire, a comprare industrie, a detenere e produrre beni, servizi, infrastrutture, ecc. In questo caso, per esempio, le banche si sostituiscono ai palazzinari!
La cosa che colpisce è il tono ultrabuonista tutto fatto di commozione e marketing con cui vengono spacciate queste iniziative!
Leggiamo questo famoso fondo:
Fondo Abitare Sociale 1
Il Fondo Immobiliare etico “Abitare Sociale 1” (“AS1”) nasce da un'iniziativa della Fondazione Cariplo che, sotto la spinta del crescente disagio abitativo, ha ricercato nuove modalità per incrementare il livello degli investimenti nel settore dell’Edilizia Privata Sociale. Il Fondo “AS1” segna il passaggio dall'attività erogativa all'attività di investimento etico (investimento dal rendimento calmierato che persegue obiettivi di interesse sociale), condotto con investitori istituzionali pubblici e privati del territorio lombardo che ne condividono gli obiettivi. Primo fondo nel suo genere in Italia è divenuto poi un riferimento per il settore, per la modalità di finanziamento e per la sinergia che si crea tra pubblico e privato. Grazie al Fondo, gestito da Polaris Investment Italia SGR, vengono realizzati gli interventi di via Cenni, Figino e di via Ferrari a Milano, e l’iniziativa di Crema.
SOCIETÀ DI GESTIONE DEL FONDO:
Polaris Investment Italia SGR
PROMOTORE DEL PROGETTO HOUSING SOCIALE:http://www.blogger.com/img/blank.gif
Fondazione Housing Sociale
INVESTITORI DEL FONDO IMMOBILIARE ETICO “ABITARE SOCIALE 1”:
Fondazione Cariplo, Regione Lombardia, Cassa Depositi e Prestiti, Intesa San Paolo, Banca Popolare di Milano, Assicurazioni Generali, Cassa Italiana Geometri, Prelios, Telecom Italia.
(Fhs)
La storia di Sergio Urbani non è quella di un Imprenditore Sociale, ma e’ quella di un Manager. Non di meno il suo interesse per il sociale ha rappresentato una svolta importante nella sua vita.
Dopo una carriera importante in Deloitte e in ABN Ambro, un mondo caratterizzato da operazioni finanziarie dai risvolti umani dolorosi, viene contattato per un progetto di Finanza Immobiliare Sociale per conto di Fondazione Cariplo. Da allora in poi è stata quella la sua scelta di vita: una remunerazione più bassa ma caratterizzata da un grande impatto sociale e un forte senso di appagamento personale.(shynote)
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E ora leggiamo un'analisi della partecipazione pubblica a questo fondo dalle parole di un blogger:
"Il centrodestra lombardo ha dato il via libera all’investimento di 10 milioni di euro nel “Fondo Abitare Sociale 1”, in occasione dell’ultima riunione della V commissione consiliare. Rifondazione Comunista e Italia dei Valori hanno espresso voto contrario, mentre Ds, Margherita e Verdi si sono astenuti.
Con questa operazione Regione Lombardia acquista il 20% del fondo controllato da Nextra Investment Management Sgr spa, una società a sua volta controllata da Banca Intesa. Una iniziativa che non ha precedenti, come riconosce lo stesso centrodestra, e che solleva numerosi dubbi, anzitutto in virtù dell’assenza di garanzie reali circa le sue finalità sociali.
Secondo la maggioranza del Pirellone, l’esborso di 10 milioni di euro di denaro pubblico a favore di un fondo privato sarebbe giustificato dal fatto che due terzi degli alloggi costruiti dal Fondo andranno a favore di famiglie bisognose. Un’affermazione azzardata, alla luce di quanto scritto effettivamente nel regolamento del fondo, laddove abbondano invece gli impegni generici e poco trasparenti. Infatti, l’unico “impegno” è quello di garantire canoni di locazione “inferiori al livello di mercato”, senza però dire di quanto inferiori, mentre per il resto ci si limita a un fumoso “cercando di massimizzare” gli alloggi locati a canone moderato, convenzionato o sociale. Un po’ poco per sbandierare le finalità sociali, ci pare.
Quanto alla garanzia rappresentata dal diritto di veto del rappresentante regionale nel comitato tecnico di controllo del fondo, denominato Advisory Committee e composto da sette membri, ci permettiamo di avanzare ulteriori dubbi. Anzitutto, il rappresentante regionale è nominato direttamente dall’assessore Borghini, escludendo pertanto ogni funzione di controllo diretto da parte del Consiglio, e, in secondo luogo, si tratta di un diritto di veto vincolato in ultima istanza all’accordo con il Presidente del comitato tecnico, il quale è di nomina della Fondazione http://www.blogger.com/img/blank.gifHousing Sociale, cioè di Banca Intesa.
Si tratta della prima volta che Regione Lombardia traduce in pratica ciò che da tempo annuncia. Ovvero, che inizia l’era della collaborazione privato-pubblico in materia di edilizia residenziale pubblica. E inizia nell’unico modo possibile, cioè rinunciando alla trasparenza, all’efficacia sociale e ad un controllo pubblico degno di questo nome. E non potrebbe essere diversamente, poiché il privato pretende che il capitale investito sia remunerato, mentre il pubblico dovrebbe preoccuparsi di garantire l’accesso alla casa a tutti, a cominciare dai settori socialmente più svantaggiati.
Banca Intesa fa il suo mestiere, ma la stessa cosa non si può dire della Giunta Formigoni che oggi sottrae 10 milioni di euro ai fondi per l’edilizia residenziale pubblica, per affidarli al buon cuore di Banca Intesa." (Luciano Muhlbauer)
...che strano che questo blogger sia dello stesso colore politico di Stefàno!
giovedì 24 novembre 2011
Pennuzzi show
VENGHINO SIGNORI, VENGHINO!!!
Giovedì primo dicembre alle ore 16.00
il Circo Pennuzzi ci porterà nelle
Catacombe di Galeota
visita alle cantine senza degustazione
tutti i giovani saranno ammassati
nelle viscere dell'isola
si prega di indossare scarpe non troppo emissive
e di abbondare coi deodoranti
Durante le celebrazioni sono previste:
l'esposizione straordinaria della reliquia del baffo
di Stefàno
la benedizione in pompa magna della giunta per
le prossime elezioni.
Alla fine dell'evento Pennuzzi vestito da Babbo Natale
sorteggerà i fortunati gruppi vincitori di un loculo
Finiture di lusso
Buio garantito
Viste amare
Botola con citofono
Animali domestici inclusi (topi, blatte, millepiedi)
Elettricità a pagamento
Acqua gratis quando ci sarà
Convenzioni speciali per le attività commerciali circostanti (biliardini, pusher..)
Ai non estratti verrà data una testata di presenza
e un prestigioso premio di consolazione:
un pezzo di muro dell'inutile Cantiere Maggese
Giovedì primo dicembre alle ore 16.00
il Circo Pennuzzi ci porterà nelle
Catacombe di Galeota
visita alle cantine senza degustazione
tutti i giovani saranno ammassati
nelle viscere dell'isola
si prega di indossare scarpe non troppo emissive
e di abbondare coi deodoranti
Durante le celebrazioni sono previste:
l'esposizione straordinaria della reliquia del baffo
di Stefàno
la benedizione in pompa magna della giunta per
le prossime elezioni.
Alla fine dell'evento Pennuzzi vestito da Babbo Natale
sorteggerà i fortunati gruppi vincitori di un loculo
Finiture di lusso
Buio garantito
Viste amare
Botola con citofono
Animali domestici inclusi (topi, blatte, millepiedi)
Elettricità a pagamento
Acqua gratis quando ci sarà
Convenzioni speciali per le attività commerciali circostanti (biliardini, pusher..)
Ai non estratti verrà data una testata di presenza
e un prestigioso premio di consolazione:
un pezzo di muro dell'inutile Cantiere Maggese
La differenziata? Ce la spartiamo noi...
Ah se solo le elezioni si facessero ogni anno!!!
Solito slogan per soliti amici di amici che ci mangeranno... pardòn lavoreranno.
Vedremo!
Raccolta differenziata dei rifiuti, via al progetto con il coinvolgimento dei Comuni
Concertazione e collaborazione istituzionale: su questi due presupposti la Provincia di Taranto ha perfezionato tre progetti di formazione. Il primo per la sensibilizzazione alla raccolta differenziata dei rifiuti, il secondo per contrastare il fenomeno la dispersione scolastica, il terzo rivolto agli studenti per favorirne l'educazione sanitaria e la prevenzione della malattie sessualmente trasmissibili.
Questa mattina sono stati il presidente della Provincia di Taranto Gianni Florido e l'assessore provinciale alla Formazione e al Lavoro, Luciano De Gregorio, ad illustrare i dettagli dei diversi percorsi formativi. Braccio operativo dell'Amministrazione provinciale sarà la società Taranto Isolaverde, in particolare per quanto riguarda il progetto sulla raccolta differenziata. A questo proposito è stato infatti siglato un protocollo di intesa con gli assessorati all'Ambiente e al Lavoro. La Provincia di Taranto coinvolgerà tutti i 29 comuni di Terra Ionica per sensibilizzare i cittadini ad una gestione responsabile dei rifiuti. In termini di differenziata – è stato rilevato questa mattina da Florido e De Gregorio – registriamo ancora un livello molto basso, certamente c'è molto da fare e sarà utile coinvolgere soprattutto gli studenti e le nuove generazioni. La dotazione finanziaria per questo progetto è di 315mila euro; previsto il monitoraggio continuo delle attività con una rendicontazione trimestrale all'insegna della trasparenza e della correttezza istituzionale.
Per le altre due azioni formative le risorse complessivamente a disposizione sono 165mila euro: 100mila per la lotta alla dispersione scolastica, 65mila euro per l'educazione sanitaria degli studenti degli istituti superiori di Terra Ionica.
Ma l'occasione è servita al presidente Florido anche per comunicare agli organi di informazione un altro dato positivo riguardante l'attività amministrativa svolta in questi ultimi anni: secondo uno studio pubblicato sul quotidiano economico "Il Sole 24 Ore, la Provincia di Taranto si attesta tra le Amministrazioni provinciali meno indebitate, occupando un lusinghiero decimo posto in questa speciale classifica.
La più indebitata, Cosenza, registra un indebitamento pro capite di 591,1 euro mentre il dato di Taranto è di 51,4 euro.
All'incontro con i giornalisti hanno partecipato anche Gerardo Giusto e Francesco Cannata, rispettivamente amministratore delegato e presidente di Taranto Isolaverde. (Provincia)
Solito slogan per soliti amici di amici che ci mangeranno... pardòn lavoreranno.
Vedremo!
Raccolta differenziata dei rifiuti, via al progetto con il coinvolgimento dei Comuni
Concertazione e collaborazione istituzionale: su questi due presupposti la Provincia di Taranto ha perfezionato tre progetti di formazione. Il primo per la sensibilizzazione alla raccolta differenziata dei rifiuti, il secondo per contrastare il fenomeno la dispersione scolastica, il terzo rivolto agli studenti per favorirne l'educazione sanitaria e la prevenzione della malattie sessualmente trasmissibili.
Questa mattina sono stati il presidente della Provincia di Taranto Gianni Florido e l'assessore provinciale alla Formazione e al Lavoro, Luciano De Gregorio, ad illustrare i dettagli dei diversi percorsi formativi. Braccio operativo dell'Amministrazione provinciale sarà la società Taranto Isolaverde, in particolare per quanto riguarda il progetto sulla raccolta differenziata. A questo proposito è stato infatti siglato un protocollo di intesa con gli assessorati all'Ambiente e al Lavoro. La Provincia di Taranto coinvolgerà tutti i 29 comuni di Terra Ionica per sensibilizzare i cittadini ad una gestione responsabile dei rifiuti. In termini di differenziata – è stato rilevato questa mattina da Florido e De Gregorio – registriamo ancora un livello molto basso, certamente c'è molto da fare e sarà utile coinvolgere soprattutto gli studenti e le nuove generazioni. La dotazione finanziaria per questo progetto è di 315mila euro; previsto il monitoraggio continuo delle attività con una rendicontazione trimestrale all'insegna della trasparenza e della correttezza istituzionale.
Per le altre due azioni formative le risorse complessivamente a disposizione sono 165mila euro: 100mila per la lotta alla dispersione scolastica, 65mila euro per l'educazione sanitaria degli studenti degli istituti superiori di Terra Ionica.
Ma l'occasione è servita al presidente Florido anche per comunicare agli organi di informazione un altro dato positivo riguardante l'attività amministrativa svolta in questi ultimi anni: secondo uno studio pubblicato sul quotidiano economico "Il Sole 24 Ore, la Provincia di Taranto si attesta tra le Amministrazioni provinciali meno indebitate, occupando un lusinghiero decimo posto in questa speciale classifica.
La più indebitata, Cosenza, registra un indebitamento pro capite di 591,1 euro mentre il dato di Taranto è di 51,4 euro.
All'incontro con i giornalisti hanno partecipato anche Gerardo Giusto e Francesco Cannata, rispettivamente amministratore delegato e presidente di Taranto Isolaverde. (Provincia)
mercoledì 23 novembre 2011
Parliamo di diossina
Il giorno 25 novembre alle ore 16.15, presso l'aula magna della Facoltà di Economia a Taranto via Lago Maggiore si terrà una tavola rotonda sul tema "LA DIOSSINA A TARANTO" organizzata dell'Anfe.
martedì 22 novembre 2011
Finalmente: la scoperta della polvere!
Legambiente su parchi minerali Ilva
Comunicato stampa
La perizia presentata dall’ing. Giambattista De Tommasi, CTU nominato dal giudice che ha in carico il contenzioso tra un condominio del quartiere Tamburi e l’Ilva in merito ai presunti danni subiti dall’edificio condominiale a causa delle polverii stoccate nei parchi materie prime, sebbene sia da aspettare il giudizio che il tribunale emetterà in merito, è comunque un documento di grande interesse.
Il CTU, infatti, conferma, se ce ne fosse ancora bisogno, che la polvere di color rosso-bruno che imbratta strade, aiuole ed edifici dei Tamburi proviene inconfutabilmente dai parchi minerali del siderurgico e si accumula velocemente in quantità così ragguardevoli da superare nettamente i valori previsti della normativa tedesca in materia, non essendovi in Italia specifiche norme sulle polveri grossolane (sono invece normati i limiti per le polveri sottili PM10, PM 2,5, PM1).
La stessa perizia sostiene ciò che Legambiente ha ribadito in mille occasioni e cioè che l’irrorazione con acqua e la filmatura con prodotti che creino una crosta sulla superficie dei cumuli di minerale non sono assolutamente in grado di evitare il diffondersi delle polveri nell’ambiente e il loro trasporto per mezzo dei venti fuori dal perimetro del siderurgico.
La perizia fotografa inoltre una movimentazione dei minerali da e per l’area parchi effettuata su nastri trasportatori a cielo aperto. Il che, evidentemente, peggiora ulteriormente la situazione della dispersione delle polveri.
Le conclusioni cui giunge il CTU, al di là di quelle che saranno le risultanze del processo, sono peraltro evidenti a chiunque conosca il quartiere Tamburi e la posizione dei parchi minerali posti a pochi metri dagli stabili e coincidono con quanto Legambiente aveva empiricamente dimostrato nella sua iniziativa Mal’aria industriale del 2009: 1000 lenzuoli bianchi esposti per circa un mese e mezzo ai balconi e alle finestre dei Tamburi e poi consegnati all’allora ministro dell’ambiente Stefania Prestigiacomo tutti dello stesso color rosso-bruno menzionato più volte nella perizia.
La perizia dunque ci conferma nella nostra reiterata richiesta di una soluzione definitiva e radicale per i parchi minerali che non può che essere la loro copertura.
Comunicato stampa
La perizia presentata dall’ing. Giambattista De Tommasi, CTU nominato dal giudice che ha in carico il contenzioso tra un condominio del quartiere Tamburi e l’Ilva in merito ai presunti danni subiti dall’edificio condominiale a causa delle polverii stoccate nei parchi materie prime, sebbene sia da aspettare il giudizio che il tribunale emetterà in merito, è comunque un documento di grande interesse.
Il CTU, infatti, conferma, se ce ne fosse ancora bisogno, che la polvere di color rosso-bruno che imbratta strade, aiuole ed edifici dei Tamburi proviene inconfutabilmente dai parchi minerali del siderurgico e si accumula velocemente in quantità così ragguardevoli da superare nettamente i valori previsti della normativa tedesca in materia, non essendovi in Italia specifiche norme sulle polveri grossolane (sono invece normati i limiti per le polveri sottili PM10, PM 2,5, PM1).
La stessa perizia sostiene ciò che Legambiente ha ribadito in mille occasioni e cioè che l’irrorazione con acqua e la filmatura con prodotti che creino una crosta sulla superficie dei cumuli di minerale non sono assolutamente in grado di evitare il diffondersi delle polveri nell’ambiente e il loro trasporto per mezzo dei venti fuori dal perimetro del siderurgico.
La perizia fotografa inoltre una movimentazione dei minerali da e per l’area parchi effettuata su nastri trasportatori a cielo aperto. Il che, evidentemente, peggiora ulteriormente la situazione della dispersione delle polveri.
Le conclusioni cui giunge il CTU, al di là di quelle che saranno le risultanze del processo, sono peraltro evidenti a chiunque conosca il quartiere Tamburi e la posizione dei parchi minerali posti a pochi metri dagli stabili e coincidono con quanto Legambiente aveva empiricamente dimostrato nella sua iniziativa Mal’aria industriale del 2009: 1000 lenzuoli bianchi esposti per circa un mese e mezzo ai balconi e alle finestre dei Tamburi e poi consegnati all’allora ministro dell’ambiente Stefania Prestigiacomo tutti dello stesso color rosso-bruno menzionato più volte nella perizia.
La perizia dunque ci conferma nella nostra reiterata richiesta di una soluzione definitiva e radicale per i parchi minerali che non può che essere la loro copertura.
L'Ilva fa melina!
E se un giorno incontrassimo Riva che semina fagioli cotti nel campo di grano accanto all'Ilva?
Che altro potrebbero inventarsi ancora?
Che altro potrebbero inventarsi ancora?
Coltivare monnezza
La Puglia sembra aver scelto di investire sul ciclo dei rifiuti: non per ridurli, ma per bruciarli. La vocazione agricola invece è sempre in difficoltà
Una ciminiera incombe su Barletta. È quella del cementificio Buzzi Unicem. Domina il panorama, a 500 metri dal bel centro storico della città pugliese. L’azienda è lì da quasi cent’anni, ed è destinata a restarci a lungo. È nel suo cuore, nel suo forno, che la Regione Puglia ha scelto di chiudere il “ciclo dei rifiuti”, basato su una ricetta semplice: si tratta di passare “dalla dittatura delle discariche a quella degli impianti che producono Cdr, combustibile da rifiuti”, come riassume Agostino Di Ciaula, medico dell’Isde (l’associazione dei medici per l’ambiente, www.isde.it) e animatore della rete “Zero rifiuti” in Puglia.
Trasformare i nostri scarti in Cdr significa che i rifiuti solidi urbani (Rsu) vengono triturati e quindi aggregati in blocchi che hanno un alto potere calorifico. Questo passaggio, però, non è indolore: a differenza dei rifiuti da cui ha origine, il Cdr, con codice Cer numero 191210, è considerato un rifiuto speciale. E pertanto non dev’essere necessariamente smaltito in loco, ma può attraversare l’Italia, andando a cercare un impianto in cui essere bruciato. Ma la Puglia, per essere all’avanguardia, ha scelto di aprire al combustibile da rifiuti tante porte, impianti dove il suo ruolo possa essere “valorizzato”, producendo in cambio energia elettrica.
Agostino Di Ciaula, autore di un saggio sul “falso mito dei cementifici-inceneritori”, è il nostro “Virgilio”. Con lui torneremo a Barletta dopo aver attraversato tutta la regione, per scoprire come la classe politica pugliese ha costruito il nuovo hub energetico italiano. Processo frutto di scelte che nell’arco di un decennio hanno trasformato questa terra. Alla fine di questo viaggio, capiremo perché -in una Regione vocata all’agricoltura- oggi è più redditizio bruciare un chilo di cocomeri che venderlo al mercato. Per quale motivo la terra, quella che negli anni Settanta veniva cavata per essere portata altrove, e utilizzata per fertilizzare i campi, è stata sacrificata sull’altare del rifiuto.
La nostra prima tappa è la campagna al confine tra Conversano e Mola di Bari, due Comuni di circa 25mila abitanti, a Sud del capoluogo regionale. Qui, sui terreni che “da sempre” ospitano le discariche gestite dalla Lombardi Ecologia, ricavate in vecchie cave “di terreno”, oggi c’è un “impianto complesso”. Che significa, ci spiega Pietro Santamaria, ambientalista, ricercatore presso il Dipartimento di Scienze agro-ambientali e territoriali dell’Università di Bari e, dal 2005 fino al 2010, assessore all’Ambiente del Comune di Mola di Bari, “un impianto che tiene insieme la selezione dei rifiuti, la bio-stabilizzazione e la produzione del Cdr, con accanto una discarica di servizio-soccorso (che riceve la frazione organica biostabilizzata o tutti i rifiuti in caso di avaria dell’impianto)”. È da qui che esce il combustibile che dovrà essere bruciato da qualche parte, e questo processo frena necessariamente l’aumento della raccolta differenziata: “Saremo obbligati a produrre rifiuti, 470 tonnellate al giorno di indifferenziato, da destinare all’impianto Cdr” spiega Santamaria. Circa 1,2 chilogrammi al giorno per ogni cittadino dei 21 Comuni di BA5, il bacino cui fanno capo Conversano e Mola di Bari. Circa 430 chili all’anno a testa. Per questo, il 19 agosto di quest’anno, convocati dal comitato “Riprendiamoci il futuro” (comitatorif.blogspot.com), i cittadini hanno manifestato “contro l’obbligo a produrre rifiuti”, gridando “fateci fare la raccolta differenziata”. “A livello di bacino, la differenziata è ferma al 17% -racconta Santamaria-. Il ‘piano rifiuti’ di Nichi Vendola avrebbe previsto, per la fine del 2011, di raggiungere il 55%, e il 65% entro il 2018”. Sono obiettivi impossibili se chi gestisce il servizio di raccolta dei rifiuti, Lombardi Ecologia, è anche socio di chi gestisce l’impianto “complesso”, una società che si chiama Cogeam, partecipata al 51% dal Gruppo Marcegaglia, al 48% dalla pugliese Cisa e all’1% dalla friulana Ecomaster, attiva nell’impiantistica.
Lombardi Ecologia sa che trasformare i rifiuti in Cdr è più conveniente che differenziarli, perché in base al bando di gara riceverà dai Comuni -insieme ai soci di Cogeam- 125,76 euro per ogni tonnellata di rifiuti trattati, 59mila euro al giorno, 21,5 milioni di euro all’anno.
L’obbligo a conferire “almeno tot rifiuti” non scandalizza Roberto Garavaglia, che si presenta come il legale rappresentante del gruppo Marcegaglia per tutte le partecipate attive nell’area energie (“rinnovabili”, aggiunge): “Abbiamo fatto un investimento, e dovendo recuperarlo il Comune non può portare il rifiuto ad altri impianti. Il nostro non è un ‘invito’, è una delibera del Commissario delegato ai rifiuti”. Forse è (anche) per questo che l’impianto che dovrebbe raccogliere il materiale proveniente dalla raccolta differenziata, “realizzato nel 2001, non è mai entrato in funzione” come racconta Santamaria. Dalla discarica al Cdr, non esistono opzioni intermedie. E il bello, spiega l’ex assessore, autore del libro L’ultimo chiuda la discarica, è che “l’impianto Cdr, costato una ventina di milioni di euro, ha ricevuto un contributo pubblico di 5 milioni di euro, a fondo perduto”.
Conversano e Mola di Bari sono un esempio. Un altro “impianto complesso” è pronto nelle campagne tra Cerignola e Manfredonia, in provincia di Foggia. Lì accanto (vedi articolo a p. 39) sta sorgendo anche un inceneritore per bruciare Cdr. Tutto targato Marcegaglia: la Puglia è una sorta di eldorado per il gruppo controllato dalla famiglia della presidente di Confindustria, Emma.
Per capire perché dobbiamo tornare al 2003. Quell’anno Commissario straordinario per l’emergenza rifiuti in Puglia è Raffaele Fitto (Pdl), allora presidente della Regione e fino all’altro ieri ministro per gli Affari regionali. Il Commissario delegato bandisce 6 gare per la realizzazione di altrettanti “impianti complessi per il trattamento di rifiuti solidi urbani”, da avviare al “recupero energetico”. Cinque di queste gare sono state aggiudicate da Fitto, nel corso del 2004. Una, proprio quella di Conversano, dal nuovo presidente della Regione, Nichi Vendola, nel 2006. Tutte sono state vinte da Cogeam, in associazione temporanea d’impresa con partner che si chiamano Lombardi Ecologia, Tra.De.Co., Recuperi pugliesi, Geoambiente, società locali da sempre attive nello smaltimento dei rifiuti. Quando Nichi Vendola ha firmato il contratto con Cogeam, nonostante due ricorsi pendenti al Tar da parte di altri concorrenti, Santamaria, si dimise dal suo incarico in Comune, dove tornò nove mesi dopo: “Il Consiglio di Stato, in seguito, ha dato torto a Cogeam. In altri casi, il Commissario aveva preferito attendere l’esito delle controversie giudiziarie”. Vendola, a quel punto, fu costretto ad annullare la gara, e a bandirne una nuova. Aggiudicata, nel 2011, a Cogeam, che a quel punto era l’unico concorrente. Tra un bando e l’altro, a cambiare è stata la tariffa di conferimento: da 58 euro a tonnellata a 126. Un chilo di cocomero, pagato 10 centesimi di euro al contadino, ne costa 12,6 alla collettività se, invenduto, diventa un rifiuto.
Oltre al bacino Bari 5, Cogeam e i suoi hanno vinto a Lecce (tre bacini) a Foggia (FOPr) e ancora a Bari (BA4). “Cinque impianti sono praticamente realizzati -racconta Garavaglia-. I tre nel leccese, quello a Sud di Bari e quello per il bacino di Foggia”. Secondo Garavaglia, l’azienda sarebbe in grado di produrre circa 400mila tonnellate di Cdr, contribuendo alla “valorizzazione” di quasi 900mila tonnellate di rifiuti.
C’è un problema, però: mancano, in Puglia, impianti in grado di accogliere tutto questo Cdr.
Al momento, in Regione è attivo un unico inceneritore. Si trova a Massafra, in provincia di Taranto, ed è gestito da Appia Energy, altra società del Gruppo Marcegaglia. Per questo, ce ne può parlare ancora Roberto Garavaglia: “L’impianto è dimensionato per 90-100mila tonnellate all’anno di Cdr” racconta il manager, anche se -secondo documenti visionati da Ae- risulta autorizzato a smaltirne non più di 25mila.
Sono bloccati, invece, i lavori per l’inceneritore di Modugno. L’impianto della società Ecoenergia, ancora del gruppo Marcegaglia, “sarebbe sotto sequestro giudiziario” spiega Agostino Di Ciaula, che a Modugno (pochi chilometri a Nord-Ovest di Bari, proprio accanto all’aeroporto di Palese) ci vive. C’è un processo in corso: il 13 ottobre è cominciata l’udienza preliminare, che vede imputati progettista e direttore dei lavori, il legale rappresentante di Ecoenergia (che non è Garavaglia) e un dirigente regionale: avrebbero dato il via ai lavori pur mancando alcune autorizzazioni. “Purtroppo un po’ di ritardi dovuti alla burocrazia” chiosa Garavaglia, spiegando che l’impianto costerà 55 milioni di euro. Settanta, invece, l’investimento per l’impianto gemello di Manfredonia. È di proprietà di un’altra società, che si chiama Eta spa, ed è quello che nei cartelli esposti sul cantiere viene indicato come un “impianto per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili”, anche se il Cdr non è una fonte rinnovabile, ma un rifiuto speciale.
In attesa degli inceneritori, ecco che tornano in scena i cementieri. Ci penseranno loro a smaltire il Cdr in eccesso. A Barletta, lo abbiamo visto, c’è Buzzi. L’azienda di Casale Monferrato si è portata avanti per tempo. Il 7 aprile 2010 ha presentato la sua richiesta di valutazione d’impatto ambientale (Via) in merito alla “proposta di potenziamento [dell’]impianto di recupero rifiuti speciali non pericolosi, mediante coincenerimento”. Sul piatto, l’autorizzazione a raddoppiare la quantità di rifiuti smaltiti, passando da 40mila a 80mila tonnellate all’anno. “Il cementificio è lì dal 1912, e in città non se ne è mai potuto parlare” raccontano Alessandro Zagaria, Angelo Di Leo e Giacomo Di Trezzo di “Barletta bene comune”. La questione dei rifiuti, però, accende una protesta. La Provincia prima chiede di rimodulare l’intervento, portando il limite a 60mila tonnellate di Cdr, poi ne concede 65mila, cioè 178 tonnellate al giorno. Si riconosce una sorta di “buona volontà” dell’azienda, dato che Buzzi ha scelto di rinunciare allo smaltimento di rifiuti pericolosi (20mila tonnellate l’anno) per bruciare puro Cdr. Il parere positivo della Provincia è stato pubblicato il 15 settembre.
Scendiamo a Sud. Taranto è la città dell’inceneritore di Massafra, ma un impianto non basta (più). Perché Appia Energy (cioè Marcegaglia) non vuol più smaltire le 40mila tonnellate di Cdr prodotte nel bacino TA1. L’azienda ha fatto capire che non ne vuol più sapere di ricevere solo 20 euro (almeno 800mila euro all’anno) per ogni tonnellata di Cdr smaltito. Colpa degli incentivi che finiscono: “Fino a dicembre 2011, Massafra gode degli incentivi Cip6 -spiega Garavaglia-. Quando scadranno, dovremmo adeguarci ai prezzi di mercato, che variano da 80 a 110 euro a tonnellata”. La decisione di Appia Energy, che rifiuta di smaltire Cdr, prodotto però dai propri soci di Cisa, apre ai rifiuti le porte (o meglio, i forni) del cementificio Cementir, lungo la statale Jonica, a un passo dall’Ilva. Il gruppo Caltagirone, proprietario di Cementir, per adeguare l’impianto ha addirittura ricevuto un doppio finanziamento pubblico, da parte della Banca europea di investimenti (90 milioni di euro) e della Regione Puglia. Il 15 settembre 2010, audito dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, il direttore dell’impianto ha spiegato di voler arrivare a smaltire 35mila tonnellate di Cdr. Lo scorso primo luglio è arrivata l’Autorizzazione integrata ambientale.
Gli unici cui è andata male sono gli umbri di Colacem, della famiglia Colaiacovo, che avrebbero voluto “valorizzare” Cdr nell’impianto di Galatina, nel leccese. A Colacem è andata male perché oltre ai comitati del Forum ambiente e salute (forumambientesalute.splinder.com) ha trovato sulla propria strada Sergio Blasi, consigliere regionale, che ha promosso un ordine del giorno, votato il 20 luglio scorso, che “impegna il governo regionale a escludere il conferimento di Cdr e Css (combustibile solido secondario, ndr) presso gli impianti esistenti […], tranne che in quelli già in esercizio e autorizzati”. L’odg che stoppa i piani di Colacem è arrivato a tre settimane dall’autorizzazione per Cementir, ed è stata votata da tutti i consiglieri tranne quelli dell’Udc (Francesco Gaetano Caltagirone è suocero di Pierferdinando Casini). (Altraeconomia)
Una ciminiera incombe su Barletta. È quella del cementificio Buzzi Unicem. Domina il panorama, a 500 metri dal bel centro storico della città pugliese. L’azienda è lì da quasi cent’anni, ed è destinata a restarci a lungo. È nel suo cuore, nel suo forno, che la Regione Puglia ha scelto di chiudere il “ciclo dei rifiuti”, basato su una ricetta semplice: si tratta di passare “dalla dittatura delle discariche a quella degli impianti che producono Cdr, combustibile da rifiuti”, come riassume Agostino Di Ciaula, medico dell’Isde (l’associazione dei medici per l’ambiente, www.isde.it) e animatore della rete “Zero rifiuti” in Puglia.
Trasformare i nostri scarti in Cdr significa che i rifiuti solidi urbani (Rsu) vengono triturati e quindi aggregati in blocchi che hanno un alto potere calorifico. Questo passaggio, però, non è indolore: a differenza dei rifiuti da cui ha origine, il Cdr, con codice Cer numero 191210, è considerato un rifiuto speciale. E pertanto non dev’essere necessariamente smaltito in loco, ma può attraversare l’Italia, andando a cercare un impianto in cui essere bruciato. Ma la Puglia, per essere all’avanguardia, ha scelto di aprire al combustibile da rifiuti tante porte, impianti dove il suo ruolo possa essere “valorizzato”, producendo in cambio energia elettrica.
Agostino Di Ciaula, autore di un saggio sul “falso mito dei cementifici-inceneritori”, è il nostro “Virgilio”. Con lui torneremo a Barletta dopo aver attraversato tutta la regione, per scoprire come la classe politica pugliese ha costruito il nuovo hub energetico italiano. Processo frutto di scelte che nell’arco di un decennio hanno trasformato questa terra. Alla fine di questo viaggio, capiremo perché -in una Regione vocata all’agricoltura- oggi è più redditizio bruciare un chilo di cocomeri che venderlo al mercato. Per quale motivo la terra, quella che negli anni Settanta veniva cavata per essere portata altrove, e utilizzata per fertilizzare i campi, è stata sacrificata sull’altare del rifiuto.
La nostra prima tappa è la campagna al confine tra Conversano e Mola di Bari, due Comuni di circa 25mila abitanti, a Sud del capoluogo regionale. Qui, sui terreni che “da sempre” ospitano le discariche gestite dalla Lombardi Ecologia, ricavate in vecchie cave “di terreno”, oggi c’è un “impianto complesso”. Che significa, ci spiega Pietro Santamaria, ambientalista, ricercatore presso il Dipartimento di Scienze agro-ambientali e territoriali dell’Università di Bari e, dal 2005 fino al 2010, assessore all’Ambiente del Comune di Mola di Bari, “un impianto che tiene insieme la selezione dei rifiuti, la bio-stabilizzazione e la produzione del Cdr, con accanto una discarica di servizio-soccorso (che riceve la frazione organica biostabilizzata o tutti i rifiuti in caso di avaria dell’impianto)”. È da qui che esce il combustibile che dovrà essere bruciato da qualche parte, e questo processo frena necessariamente l’aumento della raccolta differenziata: “Saremo obbligati a produrre rifiuti, 470 tonnellate al giorno di indifferenziato, da destinare all’impianto Cdr” spiega Santamaria. Circa 1,2 chilogrammi al giorno per ogni cittadino dei 21 Comuni di BA5, il bacino cui fanno capo Conversano e Mola di Bari. Circa 430 chili all’anno a testa. Per questo, il 19 agosto di quest’anno, convocati dal comitato “Riprendiamoci il futuro” (comitatorif.blogspot.com), i cittadini hanno manifestato “contro l’obbligo a produrre rifiuti”, gridando “fateci fare la raccolta differenziata”. “A livello di bacino, la differenziata è ferma al 17% -racconta Santamaria-. Il ‘piano rifiuti’ di Nichi Vendola avrebbe previsto, per la fine del 2011, di raggiungere il 55%, e il 65% entro il 2018”. Sono obiettivi impossibili se chi gestisce il servizio di raccolta dei rifiuti, Lombardi Ecologia, è anche socio di chi gestisce l’impianto “complesso”, una società che si chiama Cogeam, partecipata al 51% dal Gruppo Marcegaglia, al 48% dalla pugliese Cisa e all’1% dalla friulana Ecomaster, attiva nell’impiantistica.
Lombardi Ecologia sa che trasformare i rifiuti in Cdr è più conveniente che differenziarli, perché in base al bando di gara riceverà dai Comuni -insieme ai soci di Cogeam- 125,76 euro per ogni tonnellata di rifiuti trattati, 59mila euro al giorno, 21,5 milioni di euro all’anno.
L’obbligo a conferire “almeno tot rifiuti” non scandalizza Roberto Garavaglia, che si presenta come il legale rappresentante del gruppo Marcegaglia per tutte le partecipate attive nell’area energie (“rinnovabili”, aggiunge): “Abbiamo fatto un investimento, e dovendo recuperarlo il Comune non può portare il rifiuto ad altri impianti. Il nostro non è un ‘invito’, è una delibera del Commissario delegato ai rifiuti”. Forse è (anche) per questo che l’impianto che dovrebbe raccogliere il materiale proveniente dalla raccolta differenziata, “realizzato nel 2001, non è mai entrato in funzione” come racconta Santamaria. Dalla discarica al Cdr, non esistono opzioni intermedie. E il bello, spiega l’ex assessore, autore del libro L’ultimo chiuda la discarica, è che “l’impianto Cdr, costato una ventina di milioni di euro, ha ricevuto un contributo pubblico di 5 milioni di euro, a fondo perduto”.
Conversano e Mola di Bari sono un esempio. Un altro “impianto complesso” è pronto nelle campagne tra Cerignola e Manfredonia, in provincia di Foggia. Lì accanto (vedi articolo a p. 39) sta sorgendo anche un inceneritore per bruciare Cdr. Tutto targato Marcegaglia: la Puglia è una sorta di eldorado per il gruppo controllato dalla famiglia della presidente di Confindustria, Emma.
Per capire perché dobbiamo tornare al 2003. Quell’anno Commissario straordinario per l’emergenza rifiuti in Puglia è Raffaele Fitto (Pdl), allora presidente della Regione e fino all’altro ieri ministro per gli Affari regionali. Il Commissario delegato bandisce 6 gare per la realizzazione di altrettanti “impianti complessi per il trattamento di rifiuti solidi urbani”, da avviare al “recupero energetico”. Cinque di queste gare sono state aggiudicate da Fitto, nel corso del 2004. Una, proprio quella di Conversano, dal nuovo presidente della Regione, Nichi Vendola, nel 2006. Tutte sono state vinte da Cogeam, in associazione temporanea d’impresa con partner che si chiamano Lombardi Ecologia, Tra.De.Co., Recuperi pugliesi, Geoambiente, società locali da sempre attive nello smaltimento dei rifiuti. Quando Nichi Vendola ha firmato il contratto con Cogeam, nonostante due ricorsi pendenti al Tar da parte di altri concorrenti, Santamaria, si dimise dal suo incarico in Comune, dove tornò nove mesi dopo: “Il Consiglio di Stato, in seguito, ha dato torto a Cogeam. In altri casi, il Commissario aveva preferito attendere l’esito delle controversie giudiziarie”. Vendola, a quel punto, fu costretto ad annullare la gara, e a bandirne una nuova. Aggiudicata, nel 2011, a Cogeam, che a quel punto era l’unico concorrente. Tra un bando e l’altro, a cambiare è stata la tariffa di conferimento: da 58 euro a tonnellata a 126. Un chilo di cocomero, pagato 10 centesimi di euro al contadino, ne costa 12,6 alla collettività se, invenduto, diventa un rifiuto.
Oltre al bacino Bari 5, Cogeam e i suoi hanno vinto a Lecce (tre bacini) a Foggia (FOPr) e ancora a Bari (BA4). “Cinque impianti sono praticamente realizzati -racconta Garavaglia-. I tre nel leccese, quello a Sud di Bari e quello per il bacino di Foggia”. Secondo Garavaglia, l’azienda sarebbe in grado di produrre circa 400mila tonnellate di Cdr, contribuendo alla “valorizzazione” di quasi 900mila tonnellate di rifiuti.
C’è un problema, però: mancano, in Puglia, impianti in grado di accogliere tutto questo Cdr.
Al momento, in Regione è attivo un unico inceneritore. Si trova a Massafra, in provincia di Taranto, ed è gestito da Appia Energy, altra società del Gruppo Marcegaglia. Per questo, ce ne può parlare ancora Roberto Garavaglia: “L’impianto è dimensionato per 90-100mila tonnellate all’anno di Cdr” racconta il manager, anche se -secondo documenti visionati da Ae- risulta autorizzato a smaltirne non più di 25mila.
Sono bloccati, invece, i lavori per l’inceneritore di Modugno. L’impianto della società Ecoenergia, ancora del gruppo Marcegaglia, “sarebbe sotto sequestro giudiziario” spiega Agostino Di Ciaula, che a Modugno (pochi chilometri a Nord-Ovest di Bari, proprio accanto all’aeroporto di Palese) ci vive. C’è un processo in corso: il 13 ottobre è cominciata l’udienza preliminare, che vede imputati progettista e direttore dei lavori, il legale rappresentante di Ecoenergia (che non è Garavaglia) e un dirigente regionale: avrebbero dato il via ai lavori pur mancando alcune autorizzazioni. “Purtroppo un po’ di ritardi dovuti alla burocrazia” chiosa Garavaglia, spiegando che l’impianto costerà 55 milioni di euro. Settanta, invece, l’investimento per l’impianto gemello di Manfredonia. È di proprietà di un’altra società, che si chiama Eta spa, ed è quello che nei cartelli esposti sul cantiere viene indicato come un “impianto per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili”, anche se il Cdr non è una fonte rinnovabile, ma un rifiuto speciale.
In attesa degli inceneritori, ecco che tornano in scena i cementieri. Ci penseranno loro a smaltire il Cdr in eccesso. A Barletta, lo abbiamo visto, c’è Buzzi. L’azienda di Casale Monferrato si è portata avanti per tempo. Il 7 aprile 2010 ha presentato la sua richiesta di valutazione d’impatto ambientale (Via) in merito alla “proposta di potenziamento [dell’]impianto di recupero rifiuti speciali non pericolosi, mediante coincenerimento”. Sul piatto, l’autorizzazione a raddoppiare la quantità di rifiuti smaltiti, passando da 40mila a 80mila tonnellate all’anno. “Il cementificio è lì dal 1912, e in città non se ne è mai potuto parlare” raccontano Alessandro Zagaria, Angelo Di Leo e Giacomo Di Trezzo di “Barletta bene comune”. La questione dei rifiuti, però, accende una protesta. La Provincia prima chiede di rimodulare l’intervento, portando il limite a 60mila tonnellate di Cdr, poi ne concede 65mila, cioè 178 tonnellate al giorno. Si riconosce una sorta di “buona volontà” dell’azienda, dato che Buzzi ha scelto di rinunciare allo smaltimento di rifiuti pericolosi (20mila tonnellate l’anno) per bruciare puro Cdr. Il parere positivo della Provincia è stato pubblicato il 15 settembre.
Scendiamo a Sud. Taranto è la città dell’inceneritore di Massafra, ma un impianto non basta (più). Perché Appia Energy (cioè Marcegaglia) non vuol più smaltire le 40mila tonnellate di Cdr prodotte nel bacino TA1. L’azienda ha fatto capire che non ne vuol più sapere di ricevere solo 20 euro (almeno 800mila euro all’anno) per ogni tonnellata di Cdr smaltito. Colpa degli incentivi che finiscono: “Fino a dicembre 2011, Massafra gode degli incentivi Cip6 -spiega Garavaglia-. Quando scadranno, dovremmo adeguarci ai prezzi di mercato, che variano da 80 a 110 euro a tonnellata”. La decisione di Appia Energy, che rifiuta di smaltire Cdr, prodotto però dai propri soci di Cisa, apre ai rifiuti le porte (o meglio, i forni) del cementificio Cementir, lungo la statale Jonica, a un passo dall’Ilva. Il gruppo Caltagirone, proprietario di Cementir, per adeguare l’impianto ha addirittura ricevuto un doppio finanziamento pubblico, da parte della Banca europea di investimenti (90 milioni di euro) e della Regione Puglia. Il 15 settembre 2010, audito dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, il direttore dell’impianto ha spiegato di voler arrivare a smaltire 35mila tonnellate di Cdr. Lo scorso primo luglio è arrivata l’Autorizzazione integrata ambientale.
Gli unici cui è andata male sono gli umbri di Colacem, della famiglia Colaiacovo, che avrebbero voluto “valorizzare” Cdr nell’impianto di Galatina, nel leccese. A Colacem è andata male perché oltre ai comitati del Forum ambiente e salute (forumambientesalute.splinder.com) ha trovato sulla propria strada Sergio Blasi, consigliere regionale, che ha promosso un ordine del giorno, votato il 20 luglio scorso, che “impegna il governo regionale a escludere il conferimento di Cdr e Css (combustibile solido secondario, ndr) presso gli impianti esistenti […], tranne che in quelli già in esercizio e autorizzati”. L’odg che stoppa i piani di Colacem è arrivato a tre settimane dall’autorizzazione per Cementir, ed è stata votata da tutti i consiglieri tranne quelli dell’Udc (Francesco Gaetano Caltagirone è suocero di Pierferdinando Casini). (Altraeconomia)
lunedì 21 novembre 2011
Dioxin free o fee?
Ddl ragazzi, “Dioxin free”: il marchio alimentare degli studenti di Taranto
Uno dei tanti cliché di cui si nutre la nostra società è che gli adolescenti contemporanei siano svogliati e privi di fiducia nel futuro. «Sbagliano le modalità con le quali rivendicano un ruolo all’interno del gruppo sociale» griderebbe il tuttologo, meglio se psicologo, di turno. Eppure vi sono casi in cui queste etichette non si adattano affatto ai giovani di oggi.
La quinta A di meccanica dell’Istituto di Istruzione Secondaria Superiore “Augusto Righi” di Taranto con il progetto di legge per l’istituzione del marchio Dioxin free presentato al Senato della Repubblica non solo smentisce il cliché, ma si fa addirittura portatrice delle buone pratiche che dovrebbero ispirare il mondo degli adulti.
E-WORKSHOP, DDL DEI RAGAZZI – L’iniziativa, promossa in occasione dei 150 anni dall’Unità d’Italia, intende offrire nuovi strumenti di partecipazione alla vita pubblica dei giovani cittadini. A tale scopo la piattaforma web http://eworkshop.senatoperiragazzi.it/ vuole essere uno spazio di discussione dei progetti di legge vincitori del bando nazionale. Gli utenti registrati non solo potranno votare fino al 25 novembre i disegni di legge che reputano più interessanti, ma anche proporre emendamenti. Ai ragazzi è offerta quindi la possibilità di prendere coscienza dei meccanismi di formazione di una legge e soprattutto delle mediazioni necessarie ad un dibattito politico.
DIOXIN FREE - L’istituzione del marchio Dioxin free è il ddl proposto dalla quinta A dell’IISS “A.Righi” di Taranto insieme al professore di lettere Alessandro Marescotti già membro dell’associazione ambientalista Altamarea e presidente di Peacelink. Si legge all’art.1 del ddl presente sulla piattaforma web http://eworkshop.senatoperiragazzi.it/ddl/marchio-dioxin-free :
«1.In considerazione del fatto che le diossine, i furani e i policlorobifenili sono inquinanti ubiquitari che si bioaccumulano nell’organismo e che hanno un effetto cancerogeno e genotossico soprattutto per ingestione, con la presente legge si istituisce il marchio “Dioxin Free” al fine di tutelare la fasce più vulnerabili della popolazione e di garantire la massima salubrità degli alimenti».
«2.Il marchio Dioxin Free può essere assegnato solo ad alimenti con limiti di concentrazione inferiori a quelli stabiliti dalla vigente normativa al fine di stabilire un nuovo standard di qualità alimentare».
TUTELA DELLA SALUTE PUBBLICA – Il marchio da apporre sugli alimenti inizialmente solo a latte, burro, uova, mozzarelle di bufale campane dop, sarà rilasciato dal Ministero della Salute alle aziende che ne facciano richiesta e che dopo 4 controlli effettuati dalle autorità sanitarie pubbliche dimostrino di rispettare i limiti imposti dal suddetto ddl all’art. 3:
«Il marchio Dioxin Free può essere attribuito solo agli alimenti che non superano un centesimo della dose tollerabile giornaliera di diossine e pcb riferita a un organismo umano di 70 chilogrammi che consumi 100 grammi dell’alimento preso in considerazione».
Un’interessante innovazione riguarda anche le verifiche alle quali le aziende con il marchio Dioxin free dovranno essere sottoposte. Gli studenti dell’A.Righi istituiranno presso la Guardia di Finanzia un apposito Ufficio Prelievi Alimenti Dioxin Free il quale si occuperà degli esami annuali. Oltre l’Ufficio Prelievi sarà previsto anche un Comitato di Verifica composto di tecnici dell’Istituto Superiore della Sanità che esaminerà i certificati di prova attestanti la presenza o meno di diossine, rilascerà autorizzazioni per l’uso del marchio e potrà revocarle nel caso di superamento dei limiti di legge.
STUDENTI DELL’ISTITUTO A. RIGHI - «È indubbio che i giovani siano sensibili alle tematiche ambientali soprattutto vivendo in una città inquinata come Taranto» – afferma il prof. Marescotti – «Ai miei studenti interessa che le loro proposte, nel caso specifico il ddl Dioxin free, siano accompagnate da risultati reali ed è quello che stiamo ottenendo». «Il disegno di legge è stato presentato a Roma presso il Senato della Repubblica» – continua Marescotti – «In quell’occasione i ragazzi si sono accorti che i parlamentari non solo ascoltavano le loro proposte, ma che potevano essere spunto per un’iniziativa legislativa concreta. In questo modo il workshop da esperienza di studio si è trasformato in qualcosa di operativo».
Ne è la prova il disegno di legge presentato dalla senatrice Adriana Poli Bortone contenente il ddl dei ragazzi per l’istituzione del marchio Dioxin free.
«Gli studenti dell’Augusto Righi sono riusciti ad attirare l’attenzione dei parlamentari su un problema complesso come l’inquinamento e la tutela della salute pubblica, al quale però i nostri politici potrebbero trovare soluzioni facili se solo superassero le divisioni». Conclude così il prof. Marescotti con la voce di chi è soddisfatto del lavoro dei propri alunni. (mediapolitika)
Uno dei tanti cliché di cui si nutre la nostra società è che gli adolescenti contemporanei siano svogliati e privi di fiducia nel futuro. «Sbagliano le modalità con le quali rivendicano un ruolo all’interno del gruppo sociale» griderebbe il tuttologo, meglio se psicologo, di turno. Eppure vi sono casi in cui queste etichette non si adattano affatto ai giovani di oggi.
La quinta A di meccanica dell’Istituto di Istruzione Secondaria Superiore “Augusto Righi” di Taranto con il progetto di legge per l’istituzione del marchio Dioxin free presentato al Senato della Repubblica non solo smentisce il cliché, ma si fa addirittura portatrice delle buone pratiche che dovrebbero ispirare il mondo degli adulti.
E-WORKSHOP, DDL DEI RAGAZZI – L’iniziativa, promossa in occasione dei 150 anni dall’Unità d’Italia, intende offrire nuovi strumenti di partecipazione alla vita pubblica dei giovani cittadini. A tale scopo la piattaforma web http://eworkshop.senatoperiragazzi.it/ vuole essere uno spazio di discussione dei progetti di legge vincitori del bando nazionale. Gli utenti registrati non solo potranno votare fino al 25 novembre i disegni di legge che reputano più interessanti, ma anche proporre emendamenti. Ai ragazzi è offerta quindi la possibilità di prendere coscienza dei meccanismi di formazione di una legge e soprattutto delle mediazioni necessarie ad un dibattito politico.
DIOXIN FREE - L’istituzione del marchio Dioxin free è il ddl proposto dalla quinta A dell’IISS “A.Righi” di Taranto insieme al professore di lettere Alessandro Marescotti già membro dell’associazione ambientalista Altamarea e presidente di Peacelink. Si legge all’art.1 del ddl presente sulla piattaforma web http://eworkshop.senatoperiragazzi.it/ddl/marchio-dioxin-free :
«1.In considerazione del fatto che le diossine, i furani e i policlorobifenili sono inquinanti ubiquitari che si bioaccumulano nell’organismo e che hanno un effetto cancerogeno e genotossico soprattutto per ingestione, con la presente legge si istituisce il marchio “Dioxin Free” al fine di tutelare la fasce più vulnerabili della popolazione e di garantire la massima salubrità degli alimenti».
«2.Il marchio Dioxin Free può essere assegnato solo ad alimenti con limiti di concentrazione inferiori a quelli stabiliti dalla vigente normativa al fine di stabilire un nuovo standard di qualità alimentare».
TUTELA DELLA SALUTE PUBBLICA – Il marchio da apporre sugli alimenti inizialmente solo a latte, burro, uova, mozzarelle di bufale campane dop, sarà rilasciato dal Ministero della Salute alle aziende che ne facciano richiesta e che dopo 4 controlli effettuati dalle autorità sanitarie pubbliche dimostrino di rispettare i limiti imposti dal suddetto ddl all’art. 3:
«Il marchio Dioxin Free può essere attribuito solo agli alimenti che non superano un centesimo della dose tollerabile giornaliera di diossine e pcb riferita a un organismo umano di 70 chilogrammi che consumi 100 grammi dell’alimento preso in considerazione».
Un’interessante innovazione riguarda anche le verifiche alle quali le aziende con il marchio Dioxin free dovranno essere sottoposte. Gli studenti dell’A.Righi istituiranno presso la Guardia di Finanzia un apposito Ufficio Prelievi Alimenti Dioxin Free il quale si occuperà degli esami annuali. Oltre l’Ufficio Prelievi sarà previsto anche un Comitato di Verifica composto di tecnici dell’Istituto Superiore della Sanità che esaminerà i certificati di prova attestanti la presenza o meno di diossine, rilascerà autorizzazioni per l’uso del marchio e potrà revocarle nel caso di superamento dei limiti di legge.
STUDENTI DELL’ISTITUTO A. RIGHI - «È indubbio che i giovani siano sensibili alle tematiche ambientali soprattutto vivendo in una città inquinata come Taranto» – afferma il prof. Marescotti – «Ai miei studenti interessa che le loro proposte, nel caso specifico il ddl Dioxin free, siano accompagnate da risultati reali ed è quello che stiamo ottenendo». «Il disegno di legge è stato presentato a Roma presso il Senato della Repubblica» – continua Marescotti – «In quell’occasione i ragazzi si sono accorti che i parlamentari non solo ascoltavano le loro proposte, ma che potevano essere spunto per un’iniziativa legislativa concreta. In questo modo il workshop da esperienza di studio si è trasformato in qualcosa di operativo».
Ne è la prova il disegno di legge presentato dalla senatrice Adriana Poli Bortone contenente il ddl dei ragazzi per l’istituzione del marchio Dioxin free.
«Gli studenti dell’Augusto Righi sono riusciti ad attirare l’attenzione dei parlamentari su un problema complesso come l’inquinamento e la tutela della salute pubblica, al quale però i nostri politici potrebbero trovare soluzioni facili se solo superassero le divisioni». Conclude così il prof. Marescotti con la voce di chi è soddisfatto del lavoro dei propri alunni. (mediapolitika)
Argomenti
ddl,
diossina,
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ILVA,
istituto righi,
marescotti,
proposta legge,
senato,
studenti
Ecco la proposta dioxin free!
Dal sito e-workshop del Senato ragazzi:
http://eworkshop.senatoperiragazzi.it/ddl/marchio-dioxin-free
Proposta di Istituzione del marchio "Dioxin free"
art. 1
(Finalità)
1.In considerazione del fatto che le diossine, i furani e i policlorobifenili sono inquinanti ubiquitari che si bioaccumulano nell'organismo e che hanno un effetto cancerogeno e genotossico soprattutto per ingestione, con la presente legge si istituisce il marchio “Dioxin Free” al fine di tutelare la fasce più vulnerabili della popolazione e di garantire la massima salubrità degli alimenti .
2.Il marchio Dioxin Free può essere assegnato solo ad alimenti con limiti di concentrazione inferiori a quelli stabiliti dalla vigente normativa al fine di stabilire un nuovo standard di qualità alimentare.
art. 2
(Definizioni tecniche)
1. Per diossine, furani e policlorobifenili si intendono le sostanze chimiche così come definite nelle normative vigenti.
2. Il loro calcolo complessivo negli alimenti si esprime in tossicità equivalente alla TCDD utilizzando i fattori di tossicità equivalente contemplati nel Regolamento CE n. 199/2006 della Commissione Europea del 3 febbraio 2006. Pertanto le analisi devono calcolare la somma di policlorodibenzo-para-diossine (PCDD) e policlorodibenzofurani (PCDF), espressi in equivalenti di tossicità dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) utilizzando gli OMS-TEF (fattori di tossicità equivalente, 1997), e la somma di diossine e PCB diossina-simili [somma di policlorodibenzo-para-diossine (PCDD), policlorodibenzofurani (PCDF) e policlorobifenili (PCB)], espressi in equivalenti di tossicità dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) utilizzando gli OMS-TEF (fattori di tossicità equivalente, 1997).
art. 3
(Limite)
1. Il marchio Dioxin Free può essere attribuito solo agli alimenti che non superano un centesimo della dose tollerabile giornaliera di diossine e pcb riferita a un organismo umano di 70 chilogrammi che consumi 100 grammi dell'alimento preso in considerazione.
art. 4
(Caratteristiche del marchio Dioxin Free)
1. Il marchio Dioxin Free:
a) è un marchio di proprietà del Ministero della Salute che definisce standard ulteriormente più restrittivi rispetto ai limiti di concentrazione fissati dalla normativa vigente;
b) viene concesso alle aziende che ne fanno richiesta;
c) è riservato ai prodotti alimentari che dopo 4 controlli preliminari effettuati dalla autorità sanitarie pubbliche, con costi a carico delle aziende, risultino in tutti i casi a norma rispetto al limite fissato nell'articolo 2 comma 1 della presente legge.
2. Il marchio è rilasciato dal Ministero della Salute all’azienda con specifico riferimento all'alimento commercializzato.
art. 5
(Verifiche)
1.Le aziende devono offrire ai consumatori la possibilità di effettuare almeno quattro verifiche annue a campione allo scopo di accertare nei prodotti commercializzati la eventuale presenza di diossine, furani e policlorobifenili. Le analisi sono effettuate presso laboratori specializzati e idonei allo scopo scelti dai consumatori.
2.Altre quattro verifiche annue sono effettuate dall'Istituto Superiore della Sanità e sono effettuate presso l'Istituto Zooprofilattico di Teramo.
3.I costi delle analisi di cui sopra sono a carico delle aziende che richiedono l’utilizzo dei marchio Dioxin Free.
4.E' garantita al pubblico la massima trasparenza dei controlli. Le verifiche sono effettuate secondo le seguenti modalità:
5.Viene istituito dalla Guardia di Finanza un apposito Ufficio Prelievi Alimenti Dioxin Free che fissa il piano delle verifiche annuali. Di tale Ufficio fanno parte:
a)tre componenti della Guardia di Finanza;
b)tre componenti dell'Istituto Superiore della Sanità;
c)due componenti delle associazioni dei consumatori ufficialmente riconosciute e che ne facciano apposita richiesta all'Ufficio;
d)due componenti di associazioni che nello statuto hanno finalità ambienti e che ne facciano apposita richiesta all'Ufficio;
6.Le decisioni dell'Ufficio vengono verbalizzate e prese a maggioranza. L'Ufficio si può coordinare anche mediante strumenti telematici.
7.I rappresentanti dei consumatori sono scelti con sorteggio e si avvicendano annualmente.
8. I luoghi di prelievo dei campioni da analizzare sono preventivamente definiti in una lista redatta annualmente dai componenti di cui sopra. Il prelievo avviene mediante sorteggio del luogo e del prodotto, con modalità che consentano la massima attendibilità dei controlli effettuati. Del luogo del prelievo non deve essere data alcuna comunicazione preventiva. L'esito del sorteggio deve considerarsi riservato fino all'avvenuto prelievo del campione.
9.Al prelievo hanno diritto di partecipare membri designati dalle associazioni dei consumatori che si impegnano mantenere gli obblighi di riservatezza dell'operazione.
art. 6
(Applicazione)
1.Il marchio Dioxin Free si applica a latte, burro e uova.
2.Dopo 12 mesi dall’entrata in vigore della presente legge si può estendere ai marchi di origine controllata e protetta.
3.Dopo 24 mesi dall’entrata in vigore della presente legge si può estendere a formaggi, carne, pesce, molluschi, olio di oliva e oli vari.
4.Il Ministero della Salute può ampliare la gamma degli alimenti a cui attribuire il marchio Dioxin Free.
5.Per la concessione del marchio Dioxin free il Ministero della Salute con apposito decreto può istituire limiti ancora più restrittivi alla luce delle più recenti conoscenze scientifiche.
6. il marchio dioxin free si applica da subito alle mozzarella di bufale campane dop, data la particolare preoccupazione dei consumatori sui livelli d'inquinamento delle zone di produzione.
art. 7
(Rilascio autorizzazioni, revoche e sanzioni)
1.E’ istituito un apposito Comitato di Verifica composto di tecnici dell’Istituto Superiore della Sanità, presso il quale vengono esaminati i certificati di prova attestanti la presenza o meno di diossine, furani e policlorobifenili negli alimenti per i quali si intende autorizzare il marchio Dioxin Free.
2. Tale Comitato ha la facoltà di autorizzare l’uso del marchio e di revocarlo nel caso in cui da successive analisi venissero riscontrate concentrazioni superiori a quelle definite nell’allegato tecnico della presente legge.
3. Nel caso fosse riscontrato anche un solo superamento, il Comitato di verifica lo notifica all’azienda e lo pubblicizza con adeguata evidenza tramite il sito Internet del Ministero della Salute e mediante un comunicato stampa alle principali testate giornalistiche nazionali.
4.Nel caso di un secondo superamento viene revocata l’autorizzazione del marchio Dioxin Free e, oltre agli obblighi di pubblicità della notizia a carico del Ministero della Salute, si aggiungono gli obblighi di pubblicità a carico dell’azienda e della revoca dell'uso del marchio con la sua pubblicazione su tre quotidiani a carattere nazionale.
5.I prodotti eventualmente pubblicizzati con marchio Dioxin Free non rispondenti alle norme della presente legge vanno ritirati dal commercio o reintrodotti in commercio con la dicitura ben visibile: “Non conforme alla normativa Dioxin Free”. Nella dicitura tutti i caratteri devono essere della medesima grandezza.
art. 8
(Archivio pubblico online degli alimenti con marchio Dioxin Free)
Ogni rilascio del marchio per ogni specifico prodotto deve essere registrato con un apposito codice e deve essere reso pubblico ufficialmente sul sito Internet del Ministero della Salute in un'apposita sezione.
art. 9
(Pubblicità analisi tramite Internet)
1.Tutte le analisi eseguite – sia quelle effettuate dalle aziende sia quelle di controllo - devono essere pubblicizzate sul sito Internet sia del Ministero della Salute sia dell’azienda che richiede il marchio.
2.Delle analisi deve essere offerta una rendicontazione che comprenda:
a)la percentuale di grasso
b)l'incidenza delle diossine e dei pcb rispetto al grammo di grasso
c)l'incidenza delle diossine e dei pcb rispetto a 100 grammi di alimento.
3.Delle analisi debbono essere disponibili sia i rapporti di prova nella loro integralità sia delle descrizioni divulgative e comprensibili al pubblico, redatte a cura del Comitato di verifica, nelle quali i valori riscontrati in 100 grammi siano raffrontati alla dose giornaliera tollerabile e al limite della presente legge.
art. 10
(Competenze del Ministero della Salute)
1.Per tutti gli aspetti attuativi non specificati nell’attuale legge e funzionali alla sua applicazione è competente il Ministero della Salute.
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I CONTRIBUTI DEI SENATORI (ad oggi)
il 12/10/2011
Sen. Pasquale Nessa
Ringrazio i ragazzi per questo bellissimo disegno di legge che hanno presentato, abbiamo deciso all' unanimità di farlo nostro ma la primogenitura è sicuramente la loro. Un in bocca al lupo a quello che sono riusciti a fare e a quello che faranno in futuro. La politica deve rappresentare una bella palestra di vita e soprattutto dare la possibilità a chiunque di poter svolgere un qualcosa con passione senza la quale facciamo poco. Auguro a questa classe di continuare a progettare con passione, di avere opinioni e idee da proporre al di là degli schieramenti politici.
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il 12/10/2011
Sen. Emanuela Baio
Mi sembra che la classe dell'istituto “Augusto Righi" di Taranto sia un'ottima classe, ha fatto un bellissimo lavoro preparatorio e devo dire che come componente della Commissione Sanità mi sono assunta l 'impegno di portare in commissione il disegno di legge, perchè è un disegno di legge ben elaborato. I ragazzi potrebbero essere degli ottimi legislatori. Dobbiamo imparare ad ascoltare un po di più i giovani e credo che questa esperienza della visita delle scuole in Senato sia molto positiva.
il 12/10/2011
Sen. Gianrico Carofiglio
Sono molto favorevole a questo tipo di iniziative, perché offrono la possibilità di mostrare quello che accade in commissione, nel bene e nel male, a un pezzo importante di società civile, ovvero i giovani. Questo strumento, inoltre, permette a noi di avere una percezione di quello che manca e di vedere gli umori di questa società civile. Oggi, nel caso specifico, abbiamo analizzato un decreto di legge ben fatto. probabilmente grazie anche alla competenza del professore che accompagnava i ragazzi. Soprattutto abbiamo visto dei ragazzi pronti a discuterlo con competenza e personalità.
il 12/10/2011
Sen. Adriana Poli Bortone
Ho presentato oggi questo disegno di legge dei ragazzi naturalmente citando la fonte, l'istituto “Augusto Righi" di Taranto. Mi complimento molto per lo studio di ricerca approfondito dalla classe e per il messaggio che vuole trasmettere, il quale, va ben al di là della certificazione di qualità dei prodotti liberi da diossina. Questo è un messaggio di chiamata alle responsabilità di tutte quante le Istituzioni che ci sono sul territorio, perchè ,una certificazione di prodotto libero dalla diossina non avrebbe senso se non ci fosse l'impegno dell'istituzioni locali, regionali e nazionali nei confronti di un territorio che è devastato dalla diossina. Complimenti davvero ai ragazzi.
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IL PARERE DELL'ESPERTO
il 14/10/2011
Nicolò De Salvo
Apprezzo il fatto che il provvedimento da voi proposto si riferisca non solo all'ambiente ma anche allo sviluppo economico, perché è vero che trattate aspetti che presentano profili ambientali, ma volete anche regolare l'utilizzo di un marchio di qualità.
Quando un parlamentare o un altro soggetto titolare dell'iniziativa legislativa ritiene che vi sia la necessità di disciplinare una determinata materia o un determinato settore, presenta un disegno di legge. Ed io con voi mi comporterò come farei con un Senatore che me ne sottoponga il testo.
Un ddl è strutturato in una parte redazionale ed una parte composta dall'articolato. Nella prima introducete il ddl con considerazioni scientifiche e poi fate un ampio excursus normativo comparativo in ambito comunitario. In conclusione della relazione, avreste potuto anche entrare nella fase descrittiva del ddl, illustrando concisamente il contenuto degli articoli. Questa è una tecnica che si utilizza perlopiù quando la parte illustrativa è ridotta. Dato che la vostra è piuttosto estesa e completa, non è strettamente necessario.
Ora passo alla parte antipatica del mio compito, che è quella di fare le pulci al vostro testo. È quanto normalmente si fa anche con quelli presentati dai Senatori. Il tecnico ha infatti, tra l'altro, il ruolo di adeguare al contesto normativo il ddl, che pertanto va scritto anche seguendo una determinata forma.
Apprezzabile è il riferimento alla direttiva comunitaria. Io sarei stato ancor più sintetico. Più che l'intero titolo, sarei stato attento a riportare esattamente non solo riferimenti quali numero ed anno, ma anche il numero della Gazzetta Ufficiale in cui è stata pubblicata.
Eviterei parentesi che riportano diciture in lingua straniera quando il termine italiano è sufficientemente chiaro. Invece è necessario essere sempre espliciti e quindi la prima volta che vengono citate sciogliere le sigle.
Devo dire che siete stati bravi ad aver utilizzato le rubriche agli articoli, che rendono il provvedimento più intelleggibile ad una prima lettura.
Come tecnica, avrei preferito riunire il principio di attribuzione del marchio tutto in un articolo - invece che suddividerlo tra art. 1, comma 2, art. 4, comma 2, art. 6, comma 1 e art. 7, comma 2 - perché chi si trova ad attuare la previsione normativa può incontrare difficoltà nel reperire le diverse norme da applicare.
All'art. 2, comma 1, fate un rimando di una definizione alle "normative vigenti". Se non meglio specificato, o diamo una definizione noi oppure, dato che le norme italiane devono essere rispondenti alla normativa comunitaria, è pleonastico.
Altra riflessione: voi avete scelto l'opzione di regolare l'utilizzo di un marchio di qualità all'interno di un disegno di legge. Ciò è possibile, benché ciò che in genere accade è che si instauri un rapporto di tipo contrattuale tra il soggetto richiedente e il Ministero competente.
Siete stati puntuali nell'individuare tipo e periodicità del controllo. Anche se la scelta di distinguere è rispettabile, avrei però cercato di uniformare indirizzo e controllo in un unico organismo.
Qui terminano i miei rilievi. Sono stato pignolo, non vi ho risparmiato nulla, ma va detto che, in complesso, il vostro è un lavoro egregio che nulla ha da invidiare a quelli che vengono presentati nella realtà.
http://eworkshop.senatoperiragazzi.it/ddl/marchio-dioxin-free
Proposta di Istituzione del marchio "Dioxin free"
art. 1
(Finalità)
1.In considerazione del fatto che le diossine, i furani e i policlorobifenili sono inquinanti ubiquitari che si bioaccumulano nell'organismo e che hanno un effetto cancerogeno e genotossico soprattutto per ingestione, con la presente legge si istituisce il marchio “Dioxin Free” al fine di tutelare la fasce più vulnerabili della popolazione e di garantire la massima salubrità degli alimenti .
2.Il marchio Dioxin Free può essere assegnato solo ad alimenti con limiti di concentrazione inferiori a quelli stabiliti dalla vigente normativa al fine di stabilire un nuovo standard di qualità alimentare.
art. 2
(Definizioni tecniche)
1. Per diossine, furani e policlorobifenili si intendono le sostanze chimiche così come definite nelle normative vigenti.
2. Il loro calcolo complessivo negli alimenti si esprime in tossicità equivalente alla TCDD utilizzando i fattori di tossicità equivalente contemplati nel Regolamento CE n. 199/2006 della Commissione Europea del 3 febbraio 2006. Pertanto le analisi devono calcolare la somma di policlorodibenzo-para-diossine (PCDD) e policlorodibenzofurani (PCDF), espressi in equivalenti di tossicità dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) utilizzando gli OMS-TEF (fattori di tossicità equivalente, 1997), e la somma di diossine e PCB diossina-simili [somma di policlorodibenzo-para-diossine (PCDD), policlorodibenzofurani (PCDF) e policlorobifenili (PCB)], espressi in equivalenti di tossicità dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) utilizzando gli OMS-TEF (fattori di tossicità equivalente, 1997).
art. 3
(Limite)
1. Il marchio Dioxin Free può essere attribuito solo agli alimenti che non superano un centesimo della dose tollerabile giornaliera di diossine e pcb riferita a un organismo umano di 70 chilogrammi che consumi 100 grammi dell'alimento preso in considerazione.
art. 4
(Caratteristiche del marchio Dioxin Free)
1. Il marchio Dioxin Free:
a) è un marchio di proprietà del Ministero della Salute che definisce standard ulteriormente più restrittivi rispetto ai limiti di concentrazione fissati dalla normativa vigente;
b) viene concesso alle aziende che ne fanno richiesta;
c) è riservato ai prodotti alimentari che dopo 4 controlli preliminari effettuati dalla autorità sanitarie pubbliche, con costi a carico delle aziende, risultino in tutti i casi a norma rispetto al limite fissato nell'articolo 2 comma 1 della presente legge.
2. Il marchio è rilasciato dal Ministero della Salute all’azienda con specifico riferimento all'alimento commercializzato.
art. 5
(Verifiche)
1.Le aziende devono offrire ai consumatori la possibilità di effettuare almeno quattro verifiche annue a campione allo scopo di accertare nei prodotti commercializzati la eventuale presenza di diossine, furani e policlorobifenili. Le analisi sono effettuate presso laboratori specializzati e idonei allo scopo scelti dai consumatori.
2.Altre quattro verifiche annue sono effettuate dall'Istituto Superiore della Sanità e sono effettuate presso l'Istituto Zooprofilattico di Teramo.
3.I costi delle analisi di cui sopra sono a carico delle aziende che richiedono l’utilizzo dei marchio Dioxin Free.
4.E' garantita al pubblico la massima trasparenza dei controlli. Le verifiche sono effettuate secondo le seguenti modalità:
5.Viene istituito dalla Guardia di Finanza un apposito Ufficio Prelievi Alimenti Dioxin Free che fissa il piano delle verifiche annuali. Di tale Ufficio fanno parte:
a)tre componenti della Guardia di Finanza;
b)tre componenti dell'Istituto Superiore della Sanità;
c)due componenti delle associazioni dei consumatori ufficialmente riconosciute e che ne facciano apposita richiesta all'Ufficio;
d)due componenti di associazioni che nello statuto hanno finalità ambienti e che ne facciano apposita richiesta all'Ufficio;
6.Le decisioni dell'Ufficio vengono verbalizzate e prese a maggioranza. L'Ufficio si può coordinare anche mediante strumenti telematici.
7.I rappresentanti dei consumatori sono scelti con sorteggio e si avvicendano annualmente.
8. I luoghi di prelievo dei campioni da analizzare sono preventivamente definiti in una lista redatta annualmente dai componenti di cui sopra. Il prelievo avviene mediante sorteggio del luogo e del prodotto, con modalità che consentano la massima attendibilità dei controlli effettuati. Del luogo del prelievo non deve essere data alcuna comunicazione preventiva. L'esito del sorteggio deve considerarsi riservato fino all'avvenuto prelievo del campione.
9.Al prelievo hanno diritto di partecipare membri designati dalle associazioni dei consumatori che si impegnano mantenere gli obblighi di riservatezza dell'operazione.
art. 6
(Applicazione)
1.Il marchio Dioxin Free si applica a latte, burro e uova.
2.Dopo 12 mesi dall’entrata in vigore della presente legge si può estendere ai marchi di origine controllata e protetta.
3.Dopo 24 mesi dall’entrata in vigore della presente legge si può estendere a formaggi, carne, pesce, molluschi, olio di oliva e oli vari.
4.Il Ministero della Salute può ampliare la gamma degli alimenti a cui attribuire il marchio Dioxin Free.
5.Per la concessione del marchio Dioxin free il Ministero della Salute con apposito decreto può istituire limiti ancora più restrittivi alla luce delle più recenti conoscenze scientifiche.
6. il marchio dioxin free si applica da subito alle mozzarella di bufale campane dop, data la particolare preoccupazione dei consumatori sui livelli d'inquinamento delle zone di produzione.
art. 7
(Rilascio autorizzazioni, revoche e sanzioni)
1.E’ istituito un apposito Comitato di Verifica composto di tecnici dell’Istituto Superiore della Sanità, presso il quale vengono esaminati i certificati di prova attestanti la presenza o meno di diossine, furani e policlorobifenili negli alimenti per i quali si intende autorizzare il marchio Dioxin Free.
2. Tale Comitato ha la facoltà di autorizzare l’uso del marchio e di revocarlo nel caso in cui da successive analisi venissero riscontrate concentrazioni superiori a quelle definite nell’allegato tecnico della presente legge.
3. Nel caso fosse riscontrato anche un solo superamento, il Comitato di verifica lo notifica all’azienda e lo pubblicizza con adeguata evidenza tramite il sito Internet del Ministero della Salute e mediante un comunicato stampa alle principali testate giornalistiche nazionali.
4.Nel caso di un secondo superamento viene revocata l’autorizzazione del marchio Dioxin Free e, oltre agli obblighi di pubblicità della notizia a carico del Ministero della Salute, si aggiungono gli obblighi di pubblicità a carico dell’azienda e della revoca dell'uso del marchio con la sua pubblicazione su tre quotidiani a carattere nazionale.
5.I prodotti eventualmente pubblicizzati con marchio Dioxin Free non rispondenti alle norme della presente legge vanno ritirati dal commercio o reintrodotti in commercio con la dicitura ben visibile: “Non conforme alla normativa Dioxin Free”. Nella dicitura tutti i caratteri devono essere della medesima grandezza.
art. 8
(Archivio pubblico online degli alimenti con marchio Dioxin Free)
Ogni rilascio del marchio per ogni specifico prodotto deve essere registrato con un apposito codice e deve essere reso pubblico ufficialmente sul sito Internet del Ministero della Salute in un'apposita sezione.
art. 9
(Pubblicità analisi tramite Internet)
1.Tutte le analisi eseguite – sia quelle effettuate dalle aziende sia quelle di controllo - devono essere pubblicizzate sul sito Internet sia del Ministero della Salute sia dell’azienda che richiede il marchio.
2.Delle analisi deve essere offerta una rendicontazione che comprenda:
a)la percentuale di grasso
b)l'incidenza delle diossine e dei pcb rispetto al grammo di grasso
c)l'incidenza delle diossine e dei pcb rispetto a 100 grammi di alimento.
3.Delle analisi debbono essere disponibili sia i rapporti di prova nella loro integralità sia delle descrizioni divulgative e comprensibili al pubblico, redatte a cura del Comitato di verifica, nelle quali i valori riscontrati in 100 grammi siano raffrontati alla dose giornaliera tollerabile e al limite della presente legge.
art. 10
(Competenze del Ministero della Salute)
1.Per tutti gli aspetti attuativi non specificati nell’attuale legge e funzionali alla sua applicazione è competente il Ministero della Salute.
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I CONTRIBUTI DEI SENATORI (ad oggi)
il 12/10/2011
Sen. Pasquale Nessa
Ringrazio i ragazzi per questo bellissimo disegno di legge che hanno presentato, abbiamo deciso all' unanimità di farlo nostro ma la primogenitura è sicuramente la loro. Un in bocca al lupo a quello che sono riusciti a fare e a quello che faranno in futuro. La politica deve rappresentare una bella palestra di vita e soprattutto dare la possibilità a chiunque di poter svolgere un qualcosa con passione senza la quale facciamo poco. Auguro a questa classe di continuare a progettare con passione, di avere opinioni e idee da proporre al di là degli schieramenti politici.
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il 12/10/2011
Sen. Emanuela Baio
Mi sembra che la classe dell'istituto “Augusto Righi" di Taranto sia un'ottima classe, ha fatto un bellissimo lavoro preparatorio e devo dire che come componente della Commissione Sanità mi sono assunta l 'impegno di portare in commissione il disegno di legge, perchè è un disegno di legge ben elaborato. I ragazzi potrebbero essere degli ottimi legislatori. Dobbiamo imparare ad ascoltare un po di più i giovani e credo che questa esperienza della visita delle scuole in Senato sia molto positiva.
il 12/10/2011
Sen. Gianrico Carofiglio
Sono molto favorevole a questo tipo di iniziative, perché offrono la possibilità di mostrare quello che accade in commissione, nel bene e nel male, a un pezzo importante di società civile, ovvero i giovani. Questo strumento, inoltre, permette a noi di avere una percezione di quello che manca e di vedere gli umori di questa società civile. Oggi, nel caso specifico, abbiamo analizzato un decreto di legge ben fatto. probabilmente grazie anche alla competenza del professore che accompagnava i ragazzi. Soprattutto abbiamo visto dei ragazzi pronti a discuterlo con competenza e personalità.
il 12/10/2011
Sen. Adriana Poli Bortone
Ho presentato oggi questo disegno di legge dei ragazzi naturalmente citando la fonte, l'istituto “Augusto Righi" di Taranto. Mi complimento molto per lo studio di ricerca approfondito dalla classe e per il messaggio che vuole trasmettere, il quale, va ben al di là della certificazione di qualità dei prodotti liberi da diossina. Questo è un messaggio di chiamata alle responsabilità di tutte quante le Istituzioni che ci sono sul territorio, perchè ,una certificazione di prodotto libero dalla diossina non avrebbe senso se non ci fosse l'impegno dell'istituzioni locali, regionali e nazionali nei confronti di un territorio che è devastato dalla diossina. Complimenti davvero ai ragazzi.
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IL PARERE DELL'ESPERTO
il 14/10/2011
Nicolò De Salvo
Apprezzo il fatto che il provvedimento da voi proposto si riferisca non solo all'ambiente ma anche allo sviluppo economico, perché è vero che trattate aspetti che presentano profili ambientali, ma volete anche regolare l'utilizzo di un marchio di qualità.
Quando un parlamentare o un altro soggetto titolare dell'iniziativa legislativa ritiene che vi sia la necessità di disciplinare una determinata materia o un determinato settore, presenta un disegno di legge. Ed io con voi mi comporterò come farei con un Senatore che me ne sottoponga il testo.
Un ddl è strutturato in una parte redazionale ed una parte composta dall'articolato. Nella prima introducete il ddl con considerazioni scientifiche e poi fate un ampio excursus normativo comparativo in ambito comunitario. In conclusione della relazione, avreste potuto anche entrare nella fase descrittiva del ddl, illustrando concisamente il contenuto degli articoli. Questa è una tecnica che si utilizza perlopiù quando la parte illustrativa è ridotta. Dato che la vostra è piuttosto estesa e completa, non è strettamente necessario.
Ora passo alla parte antipatica del mio compito, che è quella di fare le pulci al vostro testo. È quanto normalmente si fa anche con quelli presentati dai Senatori. Il tecnico ha infatti, tra l'altro, il ruolo di adeguare al contesto normativo il ddl, che pertanto va scritto anche seguendo una determinata forma.
Apprezzabile è il riferimento alla direttiva comunitaria. Io sarei stato ancor più sintetico. Più che l'intero titolo, sarei stato attento a riportare esattamente non solo riferimenti quali numero ed anno, ma anche il numero della Gazzetta Ufficiale in cui è stata pubblicata.
Eviterei parentesi che riportano diciture in lingua straniera quando il termine italiano è sufficientemente chiaro. Invece è necessario essere sempre espliciti e quindi la prima volta che vengono citate sciogliere le sigle.
Devo dire che siete stati bravi ad aver utilizzato le rubriche agli articoli, che rendono il provvedimento più intelleggibile ad una prima lettura.
Come tecnica, avrei preferito riunire il principio di attribuzione del marchio tutto in un articolo - invece che suddividerlo tra art. 1, comma 2, art. 4, comma 2, art. 6, comma 1 e art. 7, comma 2 - perché chi si trova ad attuare la previsione normativa può incontrare difficoltà nel reperire le diverse norme da applicare.
All'art. 2, comma 1, fate un rimando di una definizione alle "normative vigenti". Se non meglio specificato, o diamo una definizione noi oppure, dato che le norme italiane devono essere rispondenti alla normativa comunitaria, è pleonastico.
Altra riflessione: voi avete scelto l'opzione di regolare l'utilizzo di un marchio di qualità all'interno di un disegno di legge. Ciò è possibile, benché ciò che in genere accade è che si instauri un rapporto di tipo contrattuale tra il soggetto richiedente e il Ministero competente.
Siete stati puntuali nell'individuare tipo e periodicità del controllo. Anche se la scelta di distinguere è rispettabile, avrei però cercato di uniformare indirizzo e controllo in un unico organismo.
Qui terminano i miei rilievi. Sono stato pignolo, non vi ho risparmiato nulla, ma va detto che, in complesso, il vostro è un lavoro egregio che nulla ha da invidiare a quelli che vengono presentati nella realtà.
domenica 20 novembre 2011
Danni allo stabile e alla vita normale, l’Ilva paghi
Una palazzina di edilizia popolare. Scala centrale e due appartamenti per piano. Dalle finestre il rombo perenne del traffico sulla Taranto-Grottaglie. Subito dopo il muro di cinta dell’Ilva.
Una lingua di cemento che abbraccia il gigantesco parco minerali del più grande stabilimento siderurgico d’Europa. Cumuli di carbone e minerali di ferro con una base variabile da 24 a 150 metri e altezze comprese tra i 12 ed i 15 metri. Una superficie complessiva di 520mila mq. Nel punto più vicino il “parco” dista 265 metri. La distanza media è di 575.
Sono queste le coordinate di un condominio del rione Tamburi, uno dei tanti a ridosso del centro siderurgico. Balconi, terrazzi, finestre imbrattate dalla polvere rossastra, spazzata con pazienza dalle massaie o rimossa periodicamente da interventi di ripristino e manutenzioni delle parti comuni. Per molti una spesa da mettere in conto, come l’acqua minerale da acquistare al supermarket perchè quella del rubinetto non è buona. Un prezzo da pagare ai 12mila posti di lavoro garantiti dall’industria.
Per molti, ma non per tutti. In via De Vincentiis hanno alzato la testa ed hanno guardato dritto verso quel “parco” che incombe sulle loro esistenze. Proviene da lì la polvere che si deposita sui balconi e che corrode la facciata del palazzo? Sono poche famiglie ma decise ad andare fino in fondo, almeno per una volta. Prendono coraggio e lanciano la sfida. Davide contro Golia. Dal giudice non vogliono sapere se l’Ilva inquina, se rispetta i limiti di legge, se c’è una relazione tra emissioni e salute umana. Non si battono per l’ecompatibilità. Non protestano per le pecore alla diossina, nè per le cozze al pcb. Al Tribunale chiedono solo di capire se le loro case sono state danneggiate dalle polveri del siderurgico e in caso affermativo vogliono essere adeguatamente risarciti. Tutto qui. Nessuna battaglia ideologica. Ad assistere il condominio di via De Vincentiis sono due avvocati esperti in campo ambientale: Eligio Curci e Massimo Moretti. Entrambi hanno sostenuto dal punto di vista legale, alcune importanti battaglie condotte da Legambiente. «Il processo è iniziato nel 2008 – spiega l’avv. Moretti – ed è stato affidato al giudice Marcello Maggi. I tempi della giustizia civile sono molto più lunghi di quella penale per cui siamo ancora nella fase dibattimentale». Nei giorni scorsi, però, c’è stata una importante novità. «Nell’udienza del dieci novembre – continua Moretti – l’ingegnere Giambattista De Tommasi, nominato Ctu dal giudice, ha depositato la perizia rispondendo ai quesiti del Tribunale». Il documento non è stato discusso. L’azienda siderurgica, assistita dagli avvocati Francesco Perli e Claudio Schiavone, formulerà le sue osservazioni nell’udienza fissata per il 20 dicembre del 2012. «Benchè si tratti di una causa civile e non penale – fa notare l’avv. Moretti – l’azienda siderurgica sta adottando una strategia difensiva molto attenta tanto che ha chiesto che il Ctu non fosse un tecnico tarantino per evitare eventuali condizionamenti ambientali». L’istanza è stata accolta dal giudice Maggi che ha nominato un ingegnere di Bari.
«Nella nostra azione legale – aggiunge l’avv. Curci – abbiamo richiamato le condanne, in alcuni casi definitive, comminate all’azienda siderurgica in cui si stabilisce chiaramente che la posizione dei parchi minerali incombe sulla città». A giudizio dell’avvocato Curci «l’impianto potrebbe essere spostato o coperto per contenere lo spargimento di polveri, farlo o meno, è solo una questione di soldi. Ma questo non è oggetto della causa che, invece, punta al riconoscimento di un danno materiale. Si tratta di una strada nuova, quasi inedita che potrebbe aprire un solco nel quale anche altre persone potrebbero inserirsi».
Tra le righe degli atti processuali i due legali hanno però inserito un altro elemento. «Queste persone – aggiunge Moretti – convivono con polveri, fumi ed altre sostanze inquinanti. Sono costretti a tenere le finestre chiuse d’inverno e d’estate. Insomma affrontano un disagio. Per questo abbiamo chiesto di valutare anche un eventuale danno esistenziale per i residenti dello stabile di via De Vincentiis». (CdG)
Una lingua di cemento che abbraccia il gigantesco parco minerali del più grande stabilimento siderurgico d’Europa. Cumuli di carbone e minerali di ferro con una base variabile da 24 a 150 metri e altezze comprese tra i 12 ed i 15 metri. Una superficie complessiva di 520mila mq. Nel punto più vicino il “parco” dista 265 metri. La distanza media è di 575.
Sono queste le coordinate di un condominio del rione Tamburi, uno dei tanti a ridosso del centro siderurgico. Balconi, terrazzi, finestre imbrattate dalla polvere rossastra, spazzata con pazienza dalle massaie o rimossa periodicamente da interventi di ripristino e manutenzioni delle parti comuni. Per molti una spesa da mettere in conto, come l’acqua minerale da acquistare al supermarket perchè quella del rubinetto non è buona. Un prezzo da pagare ai 12mila posti di lavoro garantiti dall’industria.
Per molti, ma non per tutti. In via De Vincentiis hanno alzato la testa ed hanno guardato dritto verso quel “parco” che incombe sulle loro esistenze. Proviene da lì la polvere che si deposita sui balconi e che corrode la facciata del palazzo? Sono poche famiglie ma decise ad andare fino in fondo, almeno per una volta. Prendono coraggio e lanciano la sfida. Davide contro Golia. Dal giudice non vogliono sapere se l’Ilva inquina, se rispetta i limiti di legge, se c’è una relazione tra emissioni e salute umana. Non si battono per l’ecompatibilità. Non protestano per le pecore alla diossina, nè per le cozze al pcb. Al Tribunale chiedono solo di capire se le loro case sono state danneggiate dalle polveri del siderurgico e in caso affermativo vogliono essere adeguatamente risarciti. Tutto qui. Nessuna battaglia ideologica. Ad assistere il condominio di via De Vincentiis sono due avvocati esperti in campo ambientale: Eligio Curci e Massimo Moretti. Entrambi hanno sostenuto dal punto di vista legale, alcune importanti battaglie condotte da Legambiente. «Il processo è iniziato nel 2008 – spiega l’avv. Moretti – ed è stato affidato al giudice Marcello Maggi. I tempi della giustizia civile sono molto più lunghi di quella penale per cui siamo ancora nella fase dibattimentale». Nei giorni scorsi, però, c’è stata una importante novità. «Nell’udienza del dieci novembre – continua Moretti – l’ingegnere Giambattista De Tommasi, nominato Ctu dal giudice, ha depositato la perizia rispondendo ai quesiti del Tribunale». Il documento non è stato discusso. L’azienda siderurgica, assistita dagli avvocati Francesco Perli e Claudio Schiavone, formulerà le sue osservazioni nell’udienza fissata per il 20 dicembre del 2012. «Benchè si tratti di una causa civile e non penale – fa notare l’avv. Moretti – l’azienda siderurgica sta adottando una strategia difensiva molto attenta tanto che ha chiesto che il Ctu non fosse un tecnico tarantino per evitare eventuali condizionamenti ambientali». L’istanza è stata accolta dal giudice Maggi che ha nominato un ingegnere di Bari.
«Nella nostra azione legale – aggiunge l’avv. Curci – abbiamo richiamato le condanne, in alcuni casi definitive, comminate all’azienda siderurgica in cui si stabilisce chiaramente che la posizione dei parchi minerali incombe sulla città». A giudizio dell’avvocato Curci «l’impianto potrebbe essere spostato o coperto per contenere lo spargimento di polveri, farlo o meno, è solo una questione di soldi. Ma questo non è oggetto della causa che, invece, punta al riconoscimento di un danno materiale. Si tratta di una strada nuova, quasi inedita che potrebbe aprire un solco nel quale anche altre persone potrebbero inserirsi».
Tra le righe degli atti processuali i due legali hanno però inserito un altro elemento. «Queste persone – aggiunge Moretti – convivono con polveri, fumi ed altre sostanze inquinanti. Sono costretti a tenere le finestre chiuse d’inverno e d’estate. Insomma affrontano un disagio. Per questo abbiamo chiesto di valutare anche un eventuale danno esistenziale per i residenti dello stabile di via De Vincentiis». (CdG)
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