giovedì 6 ottobre 2011
Morti bianche all’Ilva, 29 imputati
Quindici operai uccisi dalle polveri di amianto dal 2004 al 2010. La morte non è stata solo la tragica conseguenza delle malattie tipiche dell’esposizione al minerale cancerogeno, il mesotelioma pleurico, il mesotelioma peritoneale e il carcinoma polmonare ma anche, secondo l’accusa, del lavoro svolto per decenni in ambienti insalubri privi delle necessarie misure di sicurezza. Tutte le vittime hanno lavorato all’Ilva in un periodo compreso fra il 1961 e il 2005, quindi durante la gestione statale dello stabilimento siderurgico e nei primi dieci anni del gruppo Riva. Hanno svolto il loro lavoro in diversi reparti, nelle acciaierie, nelle aree laminatoio, ghisa, servizi ferroviari, dove mancarono anche le più elementari cautele. Secondo l’accusa, di quelle morti bianche devono rispondere alcuni manager storici dell’industria di Stato dell’acciaio, come Giovanni Gambardella e Sergio Noce ma anche Emilio Riva, il figlio Fabio e il direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso. Per i 29 imputati il pm titolare dell’inchiesta Raffaele Graziano ha depositato la richiesta di rinvio a giudizio per i reati di omicidio colposo, violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie nei luoghi di lavoro e mancata adozione delle precauzioni necessarie per tutelare la salute dei lavoratori. Da quanto emerso dalle indagini, i lavoratori non sono stati muniti di adeguati strumenti di protezione come maschere respiratorie e altri dispositivi finalizzati a proteggerli dall’inalazione di polveri di amianto, gas e vapori irrespirabili e soprattutto tossici. Inoltre, malgrado fossero impiegati in ambienti insalubri, perchè inevitabilmente contaminati da sostanze cancerogene, i lavoratori non furono mai sottoposti a visite mediche periodiche mirate. Ciò in violazione delle norme che prevedono l’adozione di un protocollo di sorveglianza specifico per il rischio amianto. Dalle indagini sono emerse anche condotte omissive altrettanto gravi da parte dei vertici aziendali che avrebbero dovuto disporre l’adozione oppure adottare misure o rimedi tecnici permanenti al fine di “impedire o ridurre efficacemente, per quanto possibile, lo sviluppo e la diffusione nell’ambiente di lavoro delle polveri-fibre di amianto”. Infine, è l’altra contestazione del pubblico ministero, i lavoratori non furono informati dei rischi che comportavano le operazioni a cui erano adibiti. I quindici operai sono stati colpiti da tumori che non lasciano scampo, come il mesotelioma peritoneale e il cancro al polmone, tutti, si legge nel capo d’imputazione, “eziologicamente correlabili con l’esposizione professionale all’amianto”. A tutti gli imputati è stata contestata “l’ulteriore aggravante di aver agito nonostante la previsione dell’evento“. Una serie di pesanti accuse che adesso passano al vaglio del gup. E’ la seconda inchiesta sulle morti bianche legate a malattie professionali in Ilva che approda in aula. Sotto processo sono già finiti in 19 fra proprietari, dirigenti attuali ed ex manager, alcuni dei quali coinvolti anche nell’ultima vicenda. La prossima udienza è prevista l’undici gennaio 2012. (Corgiorno)
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