venerdì 14 ottobre 2011

Chi ha paura di far pensare i cittadini?

Ilva, il Consiglio di Stato riapre al referendum
I giudici di Palazzo Spada ribaltano la decisione del Tar di Lecce. I comitati fissano già la data per le urne: la prossima primavera.

Il referendum Ilva ora sembra a portata di mano. Il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso contro la sentenza del Tribunale amministrativo regionale di Lecce con la quale si “sbarrava” la strada al voto dichiarando la propria competenza a decidere e dando ragione a Confindustria, Ilva e sindacati (Cgil e Cisl) i quali ritenevano non regolare la raccolta delle firme. Secondo il Consiglio di Stato non è il giudice amministrativo, ma quello ordinario, a doversi esprimere in materia. Nel commentare la notizia, il presidente del comitato “Taranto futura” Nicola Russo ha spiegato che «il Consiglio di Stato ha dato ragione alle tesi del comitato, il nostro ricorso era sul difetto di giurisdizione ed è stata dichiarata l’incompetenza del Tar». Russo ha invitato l’Ilva al confronto: «Al Gruppo Riva - ha spiegato il presidente di Taranto futura - chiediamo di sedersi al tavolo e ascoltare la nostra proposta: si produca l’acciaio altrove e si riconverta l’area per attività economiche eco-compatibili».

Il sistema industriale e larghissima parte della politica locale, insieme alla quasi totalità dell’establishment sindacale ha più volte ritenuto del tutto impraticabile una svolta di questo tipo che mandi in soffitto la siderurgia tarantina, spina dorsale della siderurgia nazionale. Eppure contro quella che può suonare come una “eresia” ora dovrebbero pronunciarsi i cittadini. A meno che non vi sia un ricorso al giudice ordinario ritenuto, dopo la pronuncia del Consiglio di Stato, l’unico magistrato competente. E il ricorso è stato preannunciato da Pietro Quinto, avvocato amministrativista che sostiene le tesi contrarie al referendum, finite nero su bianco nel ricorso al Tar.

«La pronuncia del Consiglio di Stato - scrive l’avvocato Quinto - non intacca il merito delle questioni, ma attiene esclusivamente alla giurisdizione. Palazzo Spada ha ritenuto che a decidere in materia di referendum debba essere il giudice ordinario e non quello amministrativo. Le questioni dedotte da Confindustria, accolte dal Tar, verranno riproposte al giudice ordinario. In questa fase - spiega ancora l’avvocato Pietro Quinto - occorre attendere le motivazioni della decisione del Consiglio di Stato per comprendere se non vi sia spazio per discutere ancora della giurisdizione. In ogni caso il referendum non potrà certo celebrarsi quando ancora non vi è certezza né sul giudice chiamato a decidere sulla regolarità della raccolta di firme né sul merito della questione che ha già avuto - conclude l’avvocato Pietro Quinto - un pronunciamento da parte del Tar di segno contrario alle tesi del comitato».

Nicola Russo, leader dei referendari di “Taranto futura”, nel commentare ancora l’esito della pronuncia ha mostrato una convinzione fondata ancora sulle “carte”: «Sono convinto - ha dichiarato Russo - che il referendum si farà nella prossima primavera insieme alle elezioni amministrative (A Taranto si voterà per il sindaco e il rinnovo del Consiglio comunale, ndr). Non esiste più alcun motivo che possa mettersi di traverso e impedire l’indizione, da parte del Comune, della consultazione elettorale». Russo ha citato, agitando le carte, una serie di sentenze della Corte di Cassazione le quali, a conclusione di giudizi davanti alla magistratura ordinaria legati alla materia referendaria, hanno confermato l’estraneità di persone, enti e associazioni alla materia referendaria, a meno che non rientrino «tra i soggetti cui spetta proporre il referendum, come i comitati, e quelli istituzionali cui spetta indire le consultazioni, regolandone le modalità». Insomma, la partita resta aperta tra Comune e Taranto futura, Mentre la città aspetta di poter dire una parola sul suo futuro. Con il timore di dovere attendere ancora troppo a lungo. (Terranews)

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Referendum su Ilva. Riva ricorrerà davanti al giudice

Come un spettro, il referendum sulla chiusura dell’Ilva aleggiava, ieri a Roma, sopra le teste di chi ha partecipato all’incontro tra il Gruppo Riva e i sindacati metalmeccanici: Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm. Il fantasma si è materializzato nelle parole dei dirigenti dello stabilimento siderurgico, quando hanno confermato il ricorso alla magistratura ordinaria per bloccare la consultazione proposta dal comitato ambientalista «Taranto futura». Dopo il via libera del Consiglio di Stato, due giorni fa, è tornata a galla una certa «ansia» in chi ritene le acciaerie tarantine strategiche per i propri destini d’impresa al punto da non poter immaginare né di fare a meno dello stabilimento né di ridimensionarlo, chiudendo l’area a caldo. Si aprirà un nuovo capitolo nella lunga querelle giudiziaria, prima davanti al giudice amministrativo, ora di fronte a quello ordinario, nella storia di un voto che finora sembrava doversi negare alla Storia, che suscita reazioni contrastanti, «stati emotivi» di cui il Gruppo Riva percepisce il peso, la densità, nel subconscio collettivo di tutti gli attori: la fabbrica e i lavoratori, la classe dirigente, la città. «È stato detto apertamente - ha dichiarato il segretario organizzativo della Fiom Cgil Stefano Sgobbio - che il referendum preoccupa.

I timori aziendali sono legati soprattutto a quella che potrebbe definirsi una spada di Damocle tale da condizionare l’andamento stesso delle attività lavorative», cioè l’ansia spasmodica del referendum sulla chiusura e il dibattito rovente che ne seguirebbe. Facile immaginare, di nuovo, Confindustria e sindacati (Cgil e Cisl) al fianco della causa anti-referendaria magari con un altro ricorso al giudice ordinario. «In realtà bisogna battersi - ha spiegato ancora Stefano Sgobbio - perché l’azienda acceleri sugli investimenti per l’eco-compatibilità degli impianti siderurgici previsti dall’Autorizzazione integrata ambientale. Segnali positivi sono giunti dall’incontro. Gli interventi vanno anticipati. L’Ilva ha espresso il timore che lavorare diventi difficile di fronte a un’opinione pubblica che vuole la chiusura dello stabilimento».
Per il resto, l’incontro di ieri a Roma non ha riservato sorprese. L’azienda non farà ricorso alla cassa integrazione, almeno in questa fase, malgrado il mercato mondiale dell’acciaio sia di nuovo in flessione e gli effetti si stiano facendo sentire con una contrazione delle commesse. Due i punti critici analizzati dall’Ilva: la contingenza economica e la mancanza di liquidità finanziaria dei clienti. Il Gruppo Riva continuerà comunque a produrre superando il risultato dello scorso anno di 7 milioni circa di tonnellate di acciaio (a ottobre erano già 6 milioni e 450mila). Resta il campanello d’allarme, anzi la campana, suonata ieri e ascoltata dai sindacati. La fase di incertezza non risparmia la siderurgia tarantina, nella logica del mercato globale. Da oggi si torna a vivere alla giornata. Del doman non v’è certezza. (GdM)

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