Quando il Presidente della Regione Puglia Nicola Vendola, incalzato da una Iena sulla normativa regionale per le emissioni delle acciaierie Taranto, si impegnò a chiudere l'Ilva il 1 gennaio 2011 qualora i dati sulle emissioni dei camini degli impianti (in particolare il famoso E312) non fossero rientrati in nuovi parametri stabiliti, forse avrebbe dovuto fare maggiore attenzione, ed onorare gli impegni.
Sono passati 194 giorni e Taranto resta la città più inquinata d'Italia, oggi messa completamente in ginocchio dal rinnovo dell'Aia (Autorizzazione Integrata Ambientale), incassato dalla famiglia Riva con soddisfazione, ed un sospiro di sollievo. Si scrive Aia, si legge inquinamento a norma di legge (dati ufficiali classificati “segreto industriale” dalla stessa Ilva).
Le ultime torride settimane pugliesi hanno visto protagonisti molti attori che ruotano attorno al caso Ilva: in primis il Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri di Taranto, che in una relazione del 24 giugno scorso ha chiesto esplicitamente alla procura di Taranto l'emissione di un provvedimento cautelare: il sequestro degli impianti Ilva. Il 26 giugno la Procura annuncia di non aver accolto la richiesta dei Carabinieri, documentata da fotografie, dati, video sulle emissioni, i quali tuttavia confermano le ipotesi di reato a carico dei titolari e dei dirigenti del polo tarantino: disastro colposo, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, avvelenamento di sostanze alimentari, danneggiamento aggravato di beni pubblici, riversamenti di sostanze pericolose ed inquinamento atmosferico.
Il Presidente Nicola Vendola, nell'udienza a porte chiuse del 24 giugno scorso presso il Tribunale di Taranto, durante la quale sono stati snocciolati tali reati ambientali, ha preferito non costituirsi parte civile, nonostante la Regione Puglia sia stata riconosciuta “parte lesa”, insieme al Ministero dell'Ambiente, alla Provincia di Taranto ed a nove allevatori. Sono in molti a chiedersi il perchè.
Il “premio” che le istituzioni hanno garantito ai Riva è stata l'Aia, l'Autorizzazione Integrata Ambientale, la certificazione dell'abbattimento delle emissioni inquinanti, ottenuta con firma del Ministro Prestigiacomo il 5 luglio scorso. Autorizzazione che la legge regionale potrebbe vanificare, si legge sul sito del Ministero, che lancia frecciate in pieno stile “scontro istituzionale”, ma che in verità vede tutti d'amore e d'accordo sul permettere il perpetrare dell'avvelenamento certificato da più parti e continuamente ignorato dalle istituzioni.
L'assessore regionale Lorenzo Nicastro haspiegato che la Regione, oltre alle delibere “antidiossina e antibenzoapirene” ha ottenuto “le acclarate riduzioni di concentrazioni emissive” e “una data certa per l'avvio del monitoraggio in continuo delle diossine”: in soldoni, l'Ilva può continuare a inquinare. Le delibere, come certificano i dati dei Carabinieri, di Legambiente, di AltaMarea e di miriadi di associazioni indipendenti, non vengono rispettate né dall'Ilva né dalla Regione: il monitoraggio in continuo dovrebbe essere operativo dal 1 gennaio, solo ora scopriamo che non è così.
Un compromesso, quello tra le istituzioni e la proprietà, schiavo di un ricatto occupazionale da 13mila posti di lavoro, che tuttavia garantisce a Taranto, ed all'Ilva, la nomea di polo siderurgico più inquinante in Europa.
Un ricatto che tuttavia non si esaurisce con l'eventuale chiusura degli impianti: 137mila nanogrammi di benzoapirene respirati ogni giorno dagli operai, a fronte di un valore-soglia per persona di un nanogrammo, sono solo uno dei veleni di Taranto: se il lavoro nobilita l'uomo, tutto questo nobilita la morte?
ANDREA SPINELLI BARRILE (Agenzia Radicale)
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