La vicenda delle cozze alla diossina allevate nel Mar Piccolo di Taranto oscilla tra il kafkiano e il surreale. Nel gennaio del 2011, analisi effettuate dal fondo antidiossina rilevarono una presenza di PCB e Diossine superiore ai limiti previsti dalla legge. Il ministro Fazio, onorando l’italico tuttappostismo, si affrettò a dichiarare: “Escludiamo rischi per la salute dei consumatori”. Nemmeno il tempo di commentare la vicenda, rivolgendo qualche opportuna domanda, che sulla testa degli interroganti si scatena un fuoco di fila nutrito dalle consuete accuse di allarmismo, irresponsabilità, minacce di querela e tutto il noto armamentario di chi è attrezzato da tempo a negare anche l’evidenza. “Le cozze di Taranto sono sane e non c’è rischio contaminazione”, tuona la Confcommercio. L’associazione di categoria si affretta a spiegare che i mitili sono “al riparo dal rischio di contaminazione”, in quanto allevati in sospensione e che le cozze cattive sono solo quelle proibite prelevate sui fondali. Intanto, le analisi di Matacchiera e Marescotti parlano chiaro: 13,5 picogrammi di PCB e Diossine nelle cozze pescate sui fondali, a fronte di un limite di 8 picogrammi. Negare, negare, sempre negare. Ma a parlare non è solo la Confcommercio. Il 13 gennaio, a margine del consueto tavolo tecnico con Asl e Arpa, convocato dal governatore Vendola, l’assessore all’Ambiente della Regione Puglia, Lorenzo Nicastro, tranquillizza gli avvelenati, vessati, asfissiati abitanti di Taranto attraverso un’intervista rilasciata ad Antenna Sud nella quale dichiara: “Non ci sono motivi di allarme e di allarmismo men che meno”. A ruota interviene l’assessore alla Sanità Tommaso Fiore, che tranquillizza affermando che le cozze sono soggette a controlli periodici e che chi di cozza ferisce di cozza perisce.
Nemmeno sei mesi ed eccoci di nuovo in piena “emergenza” cozze. Colpo di scena e contrordine compagni. In pochi mesi si è verificato un repentino accumulo di veleni che ha reso inappetibili anche le cozze allevate in sospensione negli allevamenti del primo seno del Mar Piccolo. Dalle cronache emergono notizie frammentarie, dalle quali, però, ricaviamo alcune certezze. Da analisi condotte dall’Istituto Zooprofilattico di Teramo emerge una contaminazione da PCB-Diossine pari a 10,5 picogrammi. Il 22 luglio, l’Asl di Taranto con l’ordinanza 1989 dispone il blocco del prelievo e della movimentazione di tutti i mitili allevati nel primo seno del Mar Piccolo, gettando nella disperazione 24 mitilicoltori. Il 25 luglio, si riunisce il consueto tavolo tecnico, che non può far altro che prendere atto della situazione. Questa volta nessuna accusa di allarmismo o sabotaggio può essere rivolta ai biechi ambientalisti.
Chissà cosa penserebbero Nicastro, Fiore e Fazio della dottoressa Catherine Leclercq, ricercatrice di primo livello e responsabile del programma di “Sorveglianza del rischio alimentare” presso l’Inram(Istituto Nazionale per la ricerca sugli alimenti e la nutrizione), se sapessero che la Leclercq, a costo di apparire “allarmista”, ha risposto ad una domanda sulla pericolosità dei PCB affermando che trattasi di sostanze cancerogene per l’essere umano anche se assunte in piccolissime quantità.
Alla luce di quanto avvenuto in questi mesi, verrebbe voglia di cambiare il titolo di un noto successo di Elio e le storie tese in “La terra delle cozze”, e verrebbe anche da interrogarsi sulla resistenza manifestata dalla Giunta Vendola alle grida di dolore provenienti da una città letteralmente martoriata da ogni sorta di sostanze tossico-nocive.
La verità è che mentre le perfide cozze del Mar Piccolo si ingozzavano di veleni per far dispetto a Nicastro e Fiore, il compagno Nicky cantava la sua Puglia in un’intervista pubblicata sulla rivista “Il Ponte”, edita da Ilva Spa. E mentre associazioni e comitati si dannavano l’anima a denunciare il quotidiano avvelenamento di tutte le matrici ambientali, lo stesso Nicky era impegnato a stanziare soldi – tanti – per il San Raffaele di Taranto. Forse il buon Vendola, già in odore di santità, mossosi a compassione e dopo aver fatto una telefonata al pio Riva per chiedergli se fosse sempre credente, avrà pensato di tradurre il diritto alla salute nel diritto all’ennesimo ospedale, puntando sul fatto che di questo passo, ahinoi, a Taranto la materia prima sarà sempre più abbondante.
La verità è che mentre le perfide cozze del Mar Piccolo si ingozzavano di veleni per far dispetto a Nicastro e Fiore, il compagno Nicky cantava la sua Puglia in un’intervista pubblicata sulla rivista “Il Ponte”, edita da Ilva Spa. E mentre associazioni e comitati si dannavano l’anima a denunciare il quotidiano avvelenamento di tutte le matrici ambientali, lo stesso Nicky era impegnato a stanziare soldi – tanti – per il San Raffaele di Taranto. Forse il buon Vendola, già in odore di santità, mossosi a compassione e dopo aver fatto una telefonata al pio Riva per chiedergli se fosse sempre credente, avrà pensato di tradurre il diritto alla salute nel diritto all’ennesimo ospedale, puntando sul fatto che di questo passo, ahinoi, a Taranto la materia prima sarà sempre più abbondante.
Dopo l’ennesima beffa consumata sulla pelle dei tarantini, materializzatasi con il parere positivo in fase istruttoria all’AIA(Autorizzazione Integrata Ambientale) richiesta dall’Ilva, ecco che il dramma si trasforma ancora una volta in farsa: il 26 luglio, a ridosso del divieto emanato dalla Asl di Taranto, la Regione Puglia annuncia di voler istituire un marchio di qualità per i gustosi mitili tarantini, ovviamente solo per quelli ubicati “in zone ritenute idonee”. Tutte le altre cozze, ha annunciato il governatore di tutte le puglie, saranno deportate all’interno degli stabilimenti dell’Ilva e delle raffinerie Eni; le più fortunate finiranno alla Cementir.
Domanda: ma se continuiamo così, quando si potrà mettere un marchio di qualità sull’aria respirata a Taranto? E soprattutto, se gli infelici mitili potranno magari emigrare in specchi di mare meno inquinati, dove mai potranno andare i disgraziati abitanti del quartiere Tamburi?
Domanda: ma se continuiamo così, quando si potrà mettere un marchio di qualità sull’aria respirata a Taranto? E soprattutto, se gli infelici mitili potranno magari emigrare in specchi di mare meno inquinati, dove mai potranno andare i disgraziati abitanti del quartiere Tamburi?
Di Maurizio Bolognetti, Direzione Nazionale Radicali Italiani
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