«Metalli pesanti in polmoni e fegato bovini a Taranto»
Depositi di metalli pesanti in polmoni e fegato di bovini nati e allevati nell’area di Taranto. "Gli animali presentavano lesioni a livello polmonare ed epatico dovute all’accumulo di metalli pesanti, come carbonio, alluminio, silice, ferro e titanio".
A illustrare i risultati di una ricerca tutta italiana, condotta da studiosi del Dipartimento di veterinaria dell’Università di Bari e da colleghi dell’Università Federico II di Napoli, è Anna Morelli, specializzanda in ispezione degli alimenti di origine animale nell’ateneo pugliese e componente del gruppo di ricerca. Taranto ospita un grosso polo industriale (il più grande centro siderurgico europeo, una grossa raffineria, un grande cementificio, altre industrie metalmeccaniche) a ridosso del centro abitato.
La ricerca sui bovini (pubblicata su 'Folia Histochimica et Cytobiologica' nel 2009) è iniziata qualche anno fa, dall’osservazione casuale di lesioni sospette negli animali, nel corso di "un lavoro in alcuni mattatoi - dice Morelli all’Adnkronos Salute - Così abbiamo deciso di prendere in esame i bovini come 'specie sentinella' per rilevare segni di rischio ambientale" nell’area di Taranto. Il team ha esaminato 183 bovini, analizzando e campionando i linfonodi dell’albero respiratorio e il parenchima polmonare, ma anche il fegato degli animali.
"Scoprendo risultati, in parte ancora non pubblicati, che fanno riflettere. Sessanta bovini - dice la ricercatrice - presentavano lesioni marcate dovute a depositi di metalli pesanti a livello polmonare o linfonodale", dice Morelli.
Nella ricerca sono stati coinvolti solo animali allevati nella provincia di Taranto, divisa in quattro aree sulla base della distanza dalla città. Ebbene, "abbiamo notato la presenza dei metalli pesanti anche in una vitellino di quattro mesi e mezzo - dice la ricercatrice - Oltre a una differenza nei valori riscontrati negli animali allevati nella zona più vicina all’area industriale".
Se le alterazioni notate negli animali più piccoli non erano ancora segno di una patologia, per altri soggetti, più grandi, le cose erano differenti. E, secondo la ricercatrice, questi risultati devono far riflettere. "Lo studio dei bovini allevati in aree ad alto rischio di inquinamento ambientale può essere utile per stimare il pericolo di esposizione umana a contaminanti ambienti", nota la Morelli. Il cui studio, nel frattempo, va avanti. Sembra che ci sia l’intenzione di esaminare l’eventuale presenza di metalli pesanti anche negli organi di altri animali nati e cresciuti nella zona. (GdM)
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