giovedì 31 ottobre 2013
Anche le cozze di parte civile
Ilva, i mitilicoltori: “Ci costituiremo parte civile nel processo”
“I pm dicono che anche le cozze del primo seno di mar Piccolo sono state contaminate dall’Ilva. Finalmente abbiamo la notizia che tanto aspettavamo. Potremo costituirci parte civile contro il siderurgico e chiedere il risarcimento danni”. Luciano Carriero, presidente della cooperativa “Cielo Azzurro”, commenta così ciò che emerge dai capi d’imputazione messi nero su bianco dal pool di magistrati che ha chiuso l’inchiesta “Ambiente svenduto”. Carriero spiega di aver già dato mandato ai suoi legali e annuncia che non sarà il solo ad intraprendere questa battaglia legale. “Con me ci saranno una trentina di allevatori titolari di concessione”.
Gli ultimi tre anni sono stati infernali per i mitilicoltori del primo seno. Dopo aver perso due annate a causa della contaminazione da diossina e pcb nei mitili, alcuni di loro – da febbraio 2013 – si sono trasferiti in mar Grande, ma il calvario non è ancora terminato. “Dopo essere stati vittime dell’inquinamento, siamo finiti nella trappola della burocrazia. Siamo ancora in attesa della classificazione delle acque di mar Grande per la mitilicoltura, passaggio fondamentale per poter vendere il prodotto. Finora dalla Asl sono stati effettuati solo 8 prelievi (risultati conformi) sui 12 previsti. L’iter doveva concludersi in sei mesi, quindi ad ottobre. Ma ancora non siamo arrivati al traguardo. Insomma, abbiamo perso anche l’annata 2013″. (inchiostroverde)
Per i Liberi e pensanti: non c'è nulla da festeggiare!
Comunicato stampa dei Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti
Si sono appena concluse le indagini preliminari dell'inchiesta Ambiente Svenduto.
La notizia dei 53 indagati ha scatenato una felicità collettiva tale da porre in secondo piano un'amara realtà: l'Ilva continua a produrre e soprattutto a inquinare.
Sempre nella stessa giornata il Senato ha approvato il ddl n. 1015-B che dispone l'autorizzazione di due discariche in località Mater Gratiae per rifiuti anche pericolosi senza aver consultato l'Arpa Puglia.
Come se non bastasse è stato approvato anche un 'emendamento che, in caso di sequestro preventivo di qualsiasi disponibilità di aziende che gestiscono stabilimenti di interesse nazionale, relega la figura del custode giudiziario a mero controllore dell'operato della gestione che resta nelle mani degli organi societari.
A conclusione del quadro è necessario ricordare che in data 30/10/2013 si è verificato un incidente presso l'acciaieria 1 che ha coinvolto 15 operai dell'Ilva, costretti a ricorrere al servizio dell'infermeria per intossicazione da fumo nocivo.
Fino a quando gli impianti inquinanti resteranno attivi fingendo inutili opere di bonifica e non saranno salvaguardate la salute ed il lavoro dei tarantini, noi non avremo nulla da festeggiare.
Il Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti pretende che alla nostra città venga restituita la dignità.
Si sono appena concluse le indagini preliminari dell'inchiesta Ambiente Svenduto.
La notizia dei 53 indagati ha scatenato una felicità collettiva tale da porre in secondo piano un'amara realtà: l'Ilva continua a produrre e soprattutto a inquinare.
Sempre nella stessa giornata il Senato ha approvato il ddl n. 1015-B che dispone l'autorizzazione di due discariche in località Mater Gratiae per rifiuti anche pericolosi senza aver consultato l'Arpa Puglia.
Come se non bastasse è stato approvato anche un 'emendamento che, in caso di sequestro preventivo di qualsiasi disponibilità di aziende che gestiscono stabilimenti di interesse nazionale, relega la figura del custode giudiziario a mero controllore dell'operato della gestione che resta nelle mani degli organi societari.
A conclusione del quadro è necessario ricordare che in data 30/10/2013 si è verificato un incidente presso l'acciaieria 1 che ha coinvolto 15 operai dell'Ilva, costretti a ricorrere al servizio dell'infermeria per intossicazione da fumo nocivo.
Fino a quando gli impianti inquinanti resteranno attivi fingendo inutili opere di bonifica e non saranno salvaguardate la salute ed il lavoro dei tarantini, noi non avremo nulla da festeggiare.
Il Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti pretende che alla nostra città venga restituita la dignità.
Sì
ai diritti, No ai ricatti.
Offendono una città e i suoi malati di cancro le parole di Serravezza
Le parole di solidarietà spese dal presidente della LILT (lega contro i tumori) di Lecce Serravezza per Vendola e per Assennato, non possono cancellare o cambiare di una virgola l'ordinanza emessa dalla Procura di Taranto.
Secondo l'oncologo riferendosi ai due indagati, la Lilt di Lecce “conosce il valore intellettuale e le competenze umane e tecniche di ciascuno. L’opera della magistratura non potrà che trarre elementi di verità dagli approfondimenti di quanto il fronte politico-amministrativo regionale e l’ente di protezione ambientale hanno espresso nei loro ruoli. Intanto è tempo che questo capitolo si chiuda e che tutti finalmente si pensi davvero a tutelare e ad attuare scelte di reale e concreta salute respingendo modelli di sviluppo anacronistici e pericolosi per le comunità”.
Afferma Serravezza: “Colpevoli siamo tutti , ben venga il rigore giuridico quando la questione riguarda la salute delle persone e la salute dell’ambiente, ma dirigere l’attenzione solo sugli aspetti giuridici e legali rischia di far perdere la lezione della storia”. Secondo Serravezza, “la questione Ilva è un’onta per l’intera società civile e le istituzioni tutte che non hanno colto, in anticipo, le conseguenze negative e i meccanismi aziendali altamente sofisticati oltrepassanti leggi e regole. I danni in termini di vite umane, di contaminazione delle matrici ambientali, di ricatto occupazionale pesano e scuotono le coscienze ma, molto spesso, ciò accade solo dopo che i crimini sono stati compiuti”.
Serravezza sminuisce con queste parole quanto contenuto nell'ordinanza e quanto è avvenuto all'interno dello stabilimento Ilva, proprio in termini vite umane e contaminazione ambientale. Molto probabilmente l'ordinanza non l'ha letta integralmente e non ne conosce i capi d'imputazione di cui sono accusati Vendola e Assennato.
Secondo l'oncologo riferendosi ai due indagati, la Lilt di Lecce “conosce il valore intellettuale e le competenze umane e tecniche di ciascuno. L’opera della magistratura non potrà che trarre elementi di verità dagli approfondimenti di quanto il fronte politico-amministrativo regionale e l’ente di protezione ambientale hanno espresso nei loro ruoli. Intanto è tempo che questo capitolo si chiuda e che tutti finalmente si pensi davvero a tutelare e ad attuare scelte di reale e concreta salute respingendo modelli di sviluppo anacronistici e pericolosi per le comunità”.
Afferma Serravezza: “Colpevoli siamo tutti , ben venga il rigore giuridico quando la questione riguarda la salute delle persone e la salute dell’ambiente, ma dirigere l’attenzione solo sugli aspetti giuridici e legali rischia di far perdere la lezione della storia”. Secondo Serravezza, “la questione Ilva è un’onta per l’intera società civile e le istituzioni tutte che non hanno colto, in anticipo, le conseguenze negative e i meccanismi aziendali altamente sofisticati oltrepassanti leggi e regole. I danni in termini di vite umane, di contaminazione delle matrici ambientali, di ricatto occupazionale pesano e scuotono le coscienze ma, molto spesso, ciò accade solo dopo che i crimini sono stati compiuti”.
Serravezza sminuisce con queste parole quanto contenuto nell'ordinanza e quanto è avvenuto all'interno dello stabilimento Ilva, proprio in termini vite umane e contaminazione ambientale. Molto probabilmente l'ordinanza non l'ha letta integralmente e non ne conosce i capi d'imputazione di cui sono accusati Vendola e Assennato.
“Un insediamento complesso come lo stabilimento Ilva di Taranto, che è
il maggior polo per la trasformazione dell’acciaio in Europa - sempre secondo il presidente provinciale della Lilt - ha alle spalle una storia lunga quanto
la sua stessa esistenza e chi oggi è entrato nelle vicende
giudiziarie atte a far luce sulle responsabilità
politico-amministrative, in quanto Governatore regionale e Direttore
Generale Arpa (Vendola e Assennato), rilevava un’eredità di difficile trattazione. Qualsiasi altro governo e dirigenza di controllo sarebbero stati chiamati a rispondere del proprio operato”
Il suo parere ci lascia ancora di più sbigottiti e ci irrita: sia Vendola che Assennato sono stati chiamati a rispondere del proprio operato come qualsiasi altro governo o dirigenza di controllo sostiene Serravezza... Non è proprio così. Sono infatti stati chiamati a rispondere di accuse reali e non legate al mondo delle fiabe.
Ilva Taranto: dove non solo l'Ambiente ma anche il lavoro è s-venduto
L'inchiesta Ambiente Svenduto conclusasi ieri ha fatto scalpore soprattutto per aver coinvolto importanti personaggi politici, aziendali, istituzionali ben noti.
Abbiamo riportato il lungo elenco dei 53 anche noi.
Del decesso di Marsella - locomotorista di Ilva spa - avvenuto il 30 ottobre dello scorso anno nel reparto Movimento Ferroviario dove lavorava abitualmente, sono stati accusati di cooperazione in omicidio colposo: l'ex direttore
dello stabilimento Adolfo Buffo, il capo area logistica operativa
Antonio Colucci e il capo reparto Movimento Ferroviario Cosimo GiovinazzI.
Nello specifico, si legge nell'ordinanza sono stati accusati di "colpa generica consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia nonchè per inosservanza di specifiche disposizioni per la prevenzione degli infortuni sul lavoro ed in particolare omettendo tutti ciascuno nell'ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, di dotare i lavoratori di attrezzature idonee alle lavorazioni da svolgersi".
" a seguito di manovra formulata dal reparto finitura Nastri il Marsella (...) si era posizionato alla guida del locomotore da 110 tonnellate, in modo da procedere all'aggancio dello stesso ad un convoglio di 7 vagoni carichi di bramme".
Marsella iniziava così l'operazione di aggancio dei due rotabili, ma a causa della negligente organizzazione del lavoro e della mancata dotazione di attrezzature efficienti ed idonee alle lavorazioni da effettuarsi (come specificate dettagliattamente all'interno dell'ordinanza), in aperto contrasto con quanto previsto nella procedura operativa del movimento ferroviario, "stante il mancato allineamento e aggancio tra locomotore e del carro, il Marsella rimaneva schiacciato nello spazio restante tra i respingimenti del locomotore e del carro,e in ragione di ciò decedeva a seguito di violento shock da grande traumatismo".
Nello stesso anno, e non era passato nemmeno un mese: il 28 novembre 2012 muore Francesco Zaccaria, gruista e dipendente Ilva spa. La sua morte è legata indissolubilmente al tornado che ha sconvolto e coinvolto parte dei territori di Taranto e Statte. Ma le cause del suo decesso sono da ricercare altrove. E lo spiega l'ordinanza che contiene le accuse e le dinamiche dell'infortunio mortale.
Come per il caso di Marsella, anche in questo troviamo i nomi di Adolfo Buffo e Antonio Colucci che insieme a Giuseppe Dinoi capo del reparto IMA - I - VI sporgente, e a Raffaelli Giovanni sono stati accusati di "colpa generica consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia nonchè per inosservanza di specifiche disposizioni per la prevenzione degli infortuni sul lavoro" (...).
L'infortunio è avvenuto nel Porto di Taranto, all'altezza del quinto sporgente del porto industriale, nell'area demaniale concessa all'Ilva: a seguito di richiesta di manovra nello svolgimento delle sue mansioni Zaccaria si era posizionato alla guida di una gru. Di questa - si legge sempre nell'ordinanza - Giuseppe Raffaelli , ispettore tecnico Arpa Puglia, incaricato della verifica della gru, aveva omesso di effettuare idonea verifica sull'integrità della stessa. Raffaelli inoltre avrebbe omesso di verificare che la gru, essendo in esercizio da oltre 30 anni fosse provvista della valutazione di vita residua.
Mentre Zaccaria svolgeva la sua attività in quota trovandosi all'interno della cabina, la gru è stata travolta da un tornado. La gru versava in "pessimo stato di conservazione".
Inoltre, "in ragione del mancato utilizzo del fermo anti-uragano previsto sulla cabina della gru DM5, stante la totale omissione dell'attività di formazione, informazione e addestramento dei lavoratori, la cabina veniva trascinata sino all'impatto contro il fine corsa lato mare, l'impatto violento provocava la torsione del fine corsa della cabina in mare così che l'operatore della gru (Zaccaria Francesco) precipitava da un'altezza di 60 mt in tal modo decedendo; con l'aggravante per tutti di aver agito nonostante la previsione dell'evento".
Il suo corpo è stato poi ritrovato dai sommozzatori pochi giorni dopo il tornado. Sul molo del porto di Taranto dove è stato portato il corpo dell'operaio, arrivarono anche Ferrante e il direttore dello stabilimento di Taranto, Adolfo Buffo. Una presenza che ancora e soprattutto oggi ci pare decisamente inopportuna.
Abbiamo riportato il lungo elenco dei 53 anche noi.
Ma c'è dell'altro in quell'inchiesta che deve emergere.
Nelle 56 pagine dell'ordinanza si parla del decesso di due lavoratori Ilva:
Claudio Marsella e Francesco Zaccaria.
Nello specifico, si legge nell'ordinanza sono stati accusati di "colpa generica consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia nonchè per inosservanza di specifiche disposizioni per la prevenzione degli infortuni sul lavoro ed in particolare omettendo tutti ciascuno nell'ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, di dotare i lavoratori di attrezzature idonee alle lavorazioni da svolgersi".
In soldoni: NON avrebbero rispettato le più elementari norme di sicurezza sul lavoro.
Sotto la voce "elementi della condotta colposa" viene descritto come è avvenuto l'infortunio mortale:" a seguito di manovra formulata dal reparto finitura Nastri il Marsella (...) si era posizionato alla guida del locomotore da 110 tonnellate, in modo da procedere all'aggancio dello stesso ad un convoglio di 7 vagoni carichi di bramme".
Marsella iniziava così l'operazione di aggancio dei due rotabili, ma a causa della negligente organizzazione del lavoro e della mancata dotazione di attrezzature efficienti ed idonee alle lavorazioni da effettuarsi (come specificate dettagliattamente all'interno dell'ordinanza), in aperto contrasto con quanto previsto nella procedura operativa del movimento ferroviario, "stante il mancato allineamento e aggancio tra locomotore e del carro, il Marsella rimaneva schiacciato nello spazio restante tra i respingimenti del locomotore e del carro,e in ragione di ciò decedeva a seguito di violento shock da grande traumatismo".
Nello stesso anno, e non era passato nemmeno un mese: il 28 novembre 2012 muore Francesco Zaccaria, gruista e dipendente Ilva spa. La sua morte è legata indissolubilmente al tornado che ha sconvolto e coinvolto parte dei territori di Taranto e Statte. Ma le cause del suo decesso sono da ricercare altrove. E lo spiega l'ordinanza che contiene le accuse e le dinamiche dell'infortunio mortale.
Come per il caso di Marsella, anche in questo troviamo i nomi di Adolfo Buffo e Antonio Colucci che insieme a Giuseppe Dinoi capo del reparto IMA - I - VI sporgente, e a Raffaelli Giovanni sono stati accusati di "colpa generica consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia nonchè per inosservanza di specifiche disposizioni per la prevenzione degli infortuni sul lavoro" (...).
L'infortunio è avvenuto nel Porto di Taranto, all'altezza del quinto sporgente del porto industriale, nell'area demaniale concessa all'Ilva: a seguito di richiesta di manovra nello svolgimento delle sue mansioni Zaccaria si era posizionato alla guida di una gru. Di questa - si legge sempre nell'ordinanza - Giuseppe Raffaelli , ispettore tecnico Arpa Puglia, incaricato della verifica della gru, aveva omesso di effettuare idonea verifica sull'integrità della stessa. Raffaelli inoltre avrebbe omesso di verificare che la gru, essendo in esercizio da oltre 30 anni fosse provvista della valutazione di vita residua.
Mentre Zaccaria svolgeva la sua attività in quota trovandosi all'interno della cabina, la gru è stata travolta da un tornado. La gru versava in "pessimo stato di conservazione".
Inoltre, "in ragione del mancato utilizzo del fermo anti-uragano previsto sulla cabina della gru DM5, stante la totale omissione dell'attività di formazione, informazione e addestramento dei lavoratori, la cabina veniva trascinata sino all'impatto contro il fine corsa lato mare, l'impatto violento provocava la torsione del fine corsa della cabina in mare così che l'operatore della gru (Zaccaria Francesco) precipitava da un'altezza di 60 mt in tal modo decedendo; con l'aggravante per tutti di aver agito nonostante la previsione dell'evento".
Il suo corpo è stato poi ritrovato dai sommozzatori pochi giorni dopo il tornado. Sul molo del porto di Taranto dove è stato portato il corpo dell'operaio, arrivarono anche Ferrante e il direttore dello stabilimento di Taranto, Adolfo Buffo. Una presenza che ancora e soprattutto oggi ci pare decisamente inopportuna.
Un testo pesante
Ecco l'avviso di conclusione delle indagini preliminari per l'Inchiesta Ambiente Svenduto sull'Ilva di Taranto e i suoi presunti "amici"
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I mostri di Halloween
"Così si vive, si lavora e si muore a Taranto"
“A Taranto il vero dramma è quello culturale. I Riva non hanno fatto tutto da soli perché a Taranto lavorare in Ilva è un privilegio, avere uno stipendio è un privilegio, andare a lavorare in quello stabilimento e morire di tumore è un privilegio”. Sorride amaro Francesco Rizzo, dell’Unione sindacale di base, quando parla della sua città, del suo lavoro e dello stabilimento di Tamburi. Quel quartiere maledetto, in quella città disperata, dove si lavora nonostante tutto, a rischio di tutto. Dove nei reparti si fanno i minuti di silenzio per chi è tre metri sotto terra. Come quello di ieri in ricordo di Claudio Marsella, morto a 29 anni il 30 ottobre 2012. Troppo presto, troppo male. “Ogni volta che penso a Taranto me la immagino come un grande buco in cui dentro ci hanno messo tutta la popolazione. La mia città oggi è depredata dei propri valori e dei propri diritti. Spaccata e frammentata nel tutti contro tutti”.
È stato Rizzo, ieri mattina, a dar notizia dei sette operai intossicati dall’esalazione di alcuni fumi nel reparto Colata continua dell’acciaieria 1. “Stanno bene, in mattinata sono rientrati”. E tuttavia “cinque di loro erano rimasti intossicati anche la scorsa settimana”. Una denuncia che non è passata sotto silenzio e che ha fatto rumore. “Tanto che so che dall’azienda vanno cercando qualcuno che testimoni che io, al momento della denuncia, non fossi nel mio posto di lavoro e quindi non lavorassi in sicurezza. È arrivata anche una telefonata al mio capo settore. Questa è l’Ilva”.
Perché? “Perché non è cambiato nulla: il sistema Riva è il sistema del commissario Bondi, continua ad utilizzare gli stessi meccanismi. Dentro ci sono le stesse persone che hanno prodotto questo risultato: indagate, rinviati a giudizio, questa è la verità”.
Il nodo, secondo Rizzo, è tutto qui: dal 26 luglio 2012, il giorno del sequestro, “non è cambiato nulla. Anzi, sarò impopolare, ma la situazione è peggiorata”. Eppure secondo l’ex ministro dell’Ambiente Edo Ronchi, sub-commissario all’Ilva, i dati del monitoraggio della qualità dell’aria “vanno decisamente meglio” e anche quelli sulle “polveri”. Il tutto certificato da Arpa Puglia.
“Conosco il gioco delle cifre – continua Rizzo – ma la verità è che dal giorno del sequestro è cominciato il vero ricatto non scritto dei Riva. Lo stabilimento invecchia ogni giorno di più e avrebbe bisogno di investimenti in forze. A noi manca la carta, mancano le taglie degli indumenti della sicurezza, ti devi adattare. Arrivi la mattina e lavori tutto il giorno con la paura che ti succeda qualcosa di brutto”. E qui Rizzo parla di un teorema: “Parte del capitale è stato sequestrato dalla magistratura – 8 miliardi di euro – gli altri sono spariti nei mille rivoli dei conti della famiglia Riva. Da qui il ricatto: gli annunci di licenziamenti in massa, e quella sensazione che i soldi arriveranno il giorno del dissequestro. Le leve del ricatto le ha ancora la famiglia Riva, che non se ne sono mai andati”.
Un ricatto possibile perché la questione Ilva e Taranto con gli anni si è fatta “sistema di connivenza tra politica, impresa e sindacati”. “Chi oggi continua a rappresentare i cittadini sono gli stessi che hanno regalato lo stabilimento alla famiglia Riva. Gli stessi che non hanno avuto il coraggio di fare una cosa semplicissima: l’esproprio, la nazionalizzazione dell’Ilva”.
Da qui, secondo Rizzo, due paradossi: “la solitudine della magistratura”, e il tutti contro tutti di Taranto. Con il muro contro muro tra i sindacati confederali e quelli di base, e con i lavoratori che subito dopo i sigilli della magistratura “sono stati usati dal sistema, messi sulla bilancia, pedine di scambio e del malcontento industriale. Ci hanno preso per il culo, mi hanno preso per il culo. Perché non è cambiato niente”.
Eppure dopo 4 anni di indagini la magistratura metterà sotto indagine 53 persone, tra cui il governatore della Puglia, Nichi Vendola. “Vendola è lo specchio della politica italiana, la connivenza c’era è c’è ancora a tutti i livelli, questo è un territorio che ha bisogno di pulizia. C’è una popolazione che sta morendo, dove tumori sono velocissimi e la diagnostica privata costa troppo cara. E tu che fai? Rinforzi il sistema sanitario, fai l’esenzione dei ticket? No, tagli. Qui si muore di tumore e non lo sai, mentre sei in lista di attesa”. (Today)
Ecco i nomi!
Sono questi i 53
indagati nell’ambito dell’inchiesta “Ambiente Svenduto”.
ILVA
Emilio Riva, Nicola Riva, Fabio ArtuRo Riva, Girolamo Archinà, Luigi Capogrosso – ex direttore stabilimento Marco Adelmi – capo reparto Angelo Cavallo – capo reparto Ivan Di Maggio – capo reparto Salvatore De Felice – capo reparto Salvatore D’Alò – capo reparto Bruno Ferrante – pres. cda ILVA SPA, Adolfo Buffo – Ex dir. stabilimento Francesco Perli – legale ILVA Sergio Palmisano – capo reparto Vincenzo Dimastromatteo – capo reparto Caterina Vittorio Romeo – dipendente Ilva Antonio Colucci – dipendente ilva Cosimo Giovinazzi – dipendente Ilva Giuseppe Dinoi – dipendente ilva Donato Perrini – dipendente ilva
COMUNE E PROVINCIA DI TARANTO
Ippazio Stefàno – Sindaco di Taranto, Giovanni Florido – già pres. prov. di Taranto, Michele Conserva – già ass - già ass prov Ambiente Provincia di Taranto, Vincenzo Specchia – già segr. Gen. Provincia di Taranto – attuale segretario generale Angelo Veste – già capo di Gabinetto Pres Prov di taranto
REGIONE PUGLIA
Nicola Vendola – Pres Regione Puglia Nicola Fratoianni – già cons. regionale – Deputato della repubblica, Lorenzo Nicastro – Ass reg Ecologia ed Ambiente, Donato Pentassuglia – Cons regionale – Pres Comm Ambiente ed assetto del territorio Antonello Antonicelli – Dirigente settore Ecologia ed Ambiente Davide Filippo Pellegrino – Capo di Gabinetto pres Regione Puglia Francesco Manna - già capo di Gabinetto Pres Regione Puglia Pierfrancesco Palmisano – Funzionario assessorato qualità Ambiente Regione Puglia – già rappr c/o Comm Aia
ARPA PUGLIA
Giorgio Assennato – Direttore Generale Arpa Puglia Massimo Blonda – Dir scientifico Arpa Puglia Roberto Primerano – Funzionario Arpa Puglia – già consulente Procura
COMMISSIONE AIA
Dario Ticali - Presidente Luigi Pelaggi – Segretario Commissione
FIDUCIARI
Lanfranco Legnani Alfredo Ceriani Giovanni Rebaioli Agostino Pastorino Enrico Bessone Giuseppe Casartelli Cesare Corti Giovanni Raffaelli
ALTRI
Lorenzo Liberti - ex Preside Politecnico di Taranto – già cons Procura Aldo De Michele Giovanni Bardari don Marco Gerardo – già segretario Vescovo Taranto
SOCIETA’:
ILVA SPA RIVE FIRE SPA RIVA FORNI ELETTRICI SPA
ILVA
Emilio Riva, Nicola Riva, Fabio ArtuRo Riva, Girolamo Archinà, Luigi Capogrosso – ex direttore stabilimento Marco Adelmi – capo reparto Angelo Cavallo – capo reparto Ivan Di Maggio – capo reparto Salvatore De Felice – capo reparto Salvatore D’Alò – capo reparto Bruno Ferrante – pres. cda ILVA SPA, Adolfo Buffo – Ex dir. stabilimento Francesco Perli – legale ILVA Sergio Palmisano – capo reparto Vincenzo Dimastromatteo – capo reparto Caterina Vittorio Romeo – dipendente Ilva Antonio Colucci – dipendente ilva Cosimo Giovinazzi – dipendente Ilva Giuseppe Dinoi – dipendente ilva Donato Perrini – dipendente ilva
COMUNE E PROVINCIA DI TARANTO
Ippazio Stefàno – Sindaco di Taranto, Giovanni Florido – già pres. prov. di Taranto, Michele Conserva – già ass - già ass prov Ambiente Provincia di Taranto, Vincenzo Specchia – già segr. Gen. Provincia di Taranto – attuale segretario generale Angelo Veste – già capo di Gabinetto Pres Prov di taranto
REGIONE PUGLIA
Nicola Vendola – Pres Regione Puglia Nicola Fratoianni – già cons. regionale – Deputato della repubblica, Lorenzo Nicastro – Ass reg Ecologia ed Ambiente, Donato Pentassuglia – Cons regionale – Pres Comm Ambiente ed assetto del territorio Antonello Antonicelli – Dirigente settore Ecologia ed Ambiente Davide Filippo Pellegrino – Capo di Gabinetto pres Regione Puglia Francesco Manna - già capo di Gabinetto Pres Regione Puglia Pierfrancesco Palmisano – Funzionario assessorato qualità Ambiente Regione Puglia – già rappr c/o Comm Aia
ARPA PUGLIA
Giorgio Assennato – Direttore Generale Arpa Puglia Massimo Blonda – Dir scientifico Arpa Puglia Roberto Primerano – Funzionario Arpa Puglia – già consulente Procura
COMMISSIONE AIA
Dario Ticali - Presidente Luigi Pelaggi – Segretario Commissione
FIDUCIARI
Lanfranco Legnani Alfredo Ceriani Giovanni Rebaioli Agostino Pastorino Enrico Bessone Giuseppe Casartelli Cesare Corti Giovanni Raffaelli
ALTRI
Lorenzo Liberti - ex Preside Politecnico di Taranto – già cons Procura Aldo De Michele Giovanni Bardari don Marco Gerardo – già segretario Vescovo Taranto
SOCIETA’:
ILVA SPA RIVE FIRE SPA RIVA FORNI ELETTRICI SPA
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Angelo Cavallo,
archinà,
Bruno Ferrante,
buffo,
capogrosso,
fabio riva,
Ivan di Maggio,
nicola riva,
perli,
Salvatore d'Alò,
Salvatore de Felice,
Sergio Palmisano,
Vincenzo Dimastromatteo
2
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angelo veste,
Antonicelli,
Antonio Colucci,
Caterina Vittorio Romeo,
conserva,
Cosimo Giovinazzi,
donato perrini,
florido,
Fratoianni,
giuseppe dinoi,
nicastro,
pentassuglia,
stefano,
Vendola,
vincenzo specchia
3
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Alfredo Ceriani,
assennato,
dario ticali,
davide filippo pellegrino,
francesco manna,
Lanfranco Legnani,
Luigi Pelaggi,
Massimo Blonda,
pierfrancesco palmisano,
primerano
4
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Agostino Pastorino,
Aldo de michele,
Cesare Corti,
Enrico Bessone,
Giovanni Bardari,
Giovanni Raffaelli,
Giovanni Rebaioli,
Giuseppe Casartelli,
Liberti,
Marco Gerardo
mercoledì 30 ottobre 2013
Avevate capito male: "Capitale degli inceneritori"... firmato Emma & co.
Taranto, Marcegaglia chiude
licenziamento per 134 operai
Chiude la Marcegaglia Buildtech, fabbrica di pannelli fotovoltaici del
Gruppo dell'ex presidente di Confindustria che a Taranto dà lavoro a 134
lavoratori diretti. Il gruppo Marcegaglia ha annunciato ai sindacati di
categoria e alle Rsu di Fim, Fiom e Uilm la cessazione delle attività,
con la conseguente chiusura e il licenziamento dei dipendenti, dal
prossimo 31 dicembre. Marcegaglia Buildtech informa in una nota di aver
preso la decisione di cessare la produzione di pannelli coibentati e di
pannelli fotovoltaici "a causa della grave crisi che ha
irreversibilmente colpito il settore del fotovoltaico in Italia e nel
mondo".
Per i sindacati, "l'ennesima mazzata per questo territorio". Un territorio - sottolineano nella nota congiunta le organizzazioni sindacali - "già martoriato da una crisi senza precedenti, che continua a mietere perdite di posti di lavoro". Fim, Fiom e Uilm parlano di "massacro" e convocano, per domani 30 ottobre, dalle ore 15,00, un'assemblea con tutti i lavoratori, proclamando "sin da ora" lo stato di agitazione del gruppo. "Anche questa volta - si legge nel comunicato - Taranto subisce la perdita di 140 posti di lavoro, a causa di una decisione aziendale disinteressata al nostro territorio: lasciano Taranto per una riorganizzazione del Gruppo Marcegaglia, scippando nuovamente a questa città posti di lavoro e opportunità di sviluppo non inquinante". "Dopo l'eolico - concludono i rappresentanti dei lavoratori - a pochi giorni di distanza, anche il fotovoltaico abbandona Taranto, una città già compromessa dai problemi ambientali".
E' durato dunque appena due anni il "sogno" di "fare della città jonica la capitale del fotovoltaico in Italia". Così infatti si espresse Antonio Marcegaglia, amministratore delegato dell'omonimo gruppo, nel settembre 2011 presentando agli amministratori locali - tra cui il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola - il rilancio industriale del sito di Taranto, dove Marcegaglia era approdato nel 2000 a seguito della vicenda Belleli di Mantova. A settembre 2011 Marcegaglia inaugurò a Taranto la produzione di lamiere e pannelli fotovoltaici per la produzione di energia solare attraverso una tecnologia innovativa: lamine di film sottile al silicio amorfo.
Queste lamine, spiegò allora Marcegaglia, "vengono poi incollate su un pannello per ottenere un manufatto perfettamente integrato nella copertura dei tetti delle nuove costruzioni e volto alla produzione di energia elettrica solare". A Taranto la nuova produzione faceva seguito a quella, dismessa, di caldaie industriali. Una copertura di pannelli fatta in questo modo su una superficie inferiore a 20 metri quadrati, fu spiegato due anni fa, è in grado di produrre più di un chilowattora di energia elettrica per 25 anni, indipendentemente dall'orientamento e dall'inclinazione del tetto. Marcegaglia annunciò anche di aver stanziato per la riconversione del sito di Taranto 15 milioni di euro e di voler raddoppiare la produzione di pannelli fotovoltaici nel giro di pochi mesi.
"In realtà il progetto, che sfruttava una tecnologia americana - spiega Cosimo Panarelli, segretario della Fim Cisl di Taranto -, non ha avuto il successo che il gruppo Marcegaglia auspicava.
In Puglia non c'è stato sviluppo alcuno. Si poteva e doveva incentivare
la diffusione di questo sistema dai complessi privati a quelli
industriali per finire alla copertura delle pensiline dei mezzi
pubblici, ma così non è stato. Alla fine, nella ristrutturazione del
gruppo, Marcegaglia ha sacrificato Taranto. Dopo Vestas nell'eolico è un
altro pezzo di attività industriale nelle fonti energetiche rinnovabili
che perdiamo nel giro di poche settimane".(Rep)
Per i sindacati, "l'ennesima mazzata per questo territorio". Un territorio - sottolineano nella nota congiunta le organizzazioni sindacali - "già martoriato da una crisi senza precedenti, che continua a mietere perdite di posti di lavoro". Fim, Fiom e Uilm parlano di "massacro" e convocano, per domani 30 ottobre, dalle ore 15,00, un'assemblea con tutti i lavoratori, proclamando "sin da ora" lo stato di agitazione del gruppo. "Anche questa volta - si legge nel comunicato - Taranto subisce la perdita di 140 posti di lavoro, a causa di una decisione aziendale disinteressata al nostro territorio: lasciano Taranto per una riorganizzazione del Gruppo Marcegaglia, scippando nuovamente a questa città posti di lavoro e opportunità di sviluppo non inquinante". "Dopo l'eolico - concludono i rappresentanti dei lavoratori - a pochi giorni di distanza, anche il fotovoltaico abbandona Taranto, una città già compromessa dai problemi ambientali".
E' durato dunque appena due anni il "sogno" di "fare della città jonica la capitale del fotovoltaico in Italia". Così infatti si espresse Antonio Marcegaglia, amministratore delegato dell'omonimo gruppo, nel settembre 2011 presentando agli amministratori locali - tra cui il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola - il rilancio industriale del sito di Taranto, dove Marcegaglia era approdato nel 2000 a seguito della vicenda Belleli di Mantova. A settembre 2011 Marcegaglia inaugurò a Taranto la produzione di lamiere e pannelli fotovoltaici per la produzione di energia solare attraverso una tecnologia innovativa: lamine di film sottile al silicio amorfo.
Queste lamine, spiegò allora Marcegaglia, "vengono poi incollate su un pannello per ottenere un manufatto perfettamente integrato nella copertura dei tetti delle nuove costruzioni e volto alla produzione di energia elettrica solare". A Taranto la nuova produzione faceva seguito a quella, dismessa, di caldaie industriali. Una copertura di pannelli fatta in questo modo su una superficie inferiore a 20 metri quadrati, fu spiegato due anni fa, è in grado di produrre più di un chilowattora di energia elettrica per 25 anni, indipendentemente dall'orientamento e dall'inclinazione del tetto. Marcegaglia annunciò anche di aver stanziato per la riconversione del sito di Taranto 15 milioni di euro e di voler raddoppiare la produzione di pannelli fotovoltaici nel giro di pochi mesi.
"In realtà il progetto, che sfruttava una tecnologia americana - spiega Cosimo Panarelli, segretario della Fim Cisl di Taranto -, non ha avuto il successo che il gruppo Marcegaglia auspicava.
L'Ilva e la pentola scoperchiata dalla Procura di Taranto
Come un vaso di pandora, il sistema Ilva che ha interessato le indagini della Procura di Taranto è stato scoperchiato: contiene in sè tutti i mali, i mali di un'intera classe politica e dirigenziale. Oggi quel contenitore è stato totalmente scoperchiato e sono da esso fuoriusciti 53 nomi e cognomi. Tra questi anche quelli del Presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola e del Sindaco di Taranto Ippazio Stefàno, che per la verità non erano inattesi.
Nichi Vendola è indagato per concussione ai danni del direttore generale dell’Agenzia regionale per l'ambiente, Giorgio Assennato. Vendola - è scritto nell'atto della magistratura - avrebbe abusato della sua qualità di Presidente della Regione Puglia mediante minaccia implicita della mancata riconferma nell'incarico ricoperto". Vendola, Archinà, Fabio Riva, Luigi Capogrosso e Francesco Perli avrebbero costretto Asennato con incarico in scadenza nel febbraio 2011 e in attesa di riconferma, ad "ammorbidire" la posizione di Arpa Puglia nei confronti delle emissioni nocive prodotte dall'impianto siderurgico e dare la pobbisilità all'impianto industriale di produrre ai massimi livelli senza perciò dover subire le auspicate riduzioni o rimodulazioni. In un incontro Vendola avrebbe detto riferendosi all'operato dell'agenzia per l'ambiente " così com'è Arpa Puglia può andare a casa perchè hanno rotto" ribadendo che in nessun caso l'attività produttiva dell'Ilva avrebbe dovuto subire ripercussioni.
Assennato, inoltre, convocato in una riunione informale indetta nel luglio 2010 alla quale presenziavano Emilio Riva , Fabio Riva, Luigi Capogrosso, Girolamo Archinà, invece di essere ricevuto è stato costretto a restare fuori dalla stanza, dove è stato ammonito dal dirigente Antonello Antonicelli, su incarico di Vendola a non utilizzare i dati tecnici come "bombe carta che poi si trasformano in bombe a mano"
Ma anche lo stesso Giorgio Assennato compare tra i nomi degli indagati, perchèeludendo le indagini, in particolare sentito dall'Autorità giudiziaria quale persona informata dei fatti avrebbe reso dichiarazioni mendaci e reticenti in merito alle indebite pressioni subite dal Presidente della Regione Puglia.
Al sindaco di Taranto invece è contestata l'omissione di atti d'ufficio, procurando in questo modo "intenzionalmente" alla famiglia Riva e alla società Ilva spa un ingiusto vantaggio patrimoniale di rilevante gravità consistito nel consentire il mantenimento dei livelli produttivi in atto presso lo stabilimento.
Un avviso è stato notificato anche all'ex presidente IPPC che si doveva occupare di rilasciare l'Aia all'Ilva di Taranto.Ricordate il nome di Dario Ticali, l'enfant prodige della Prestigiacomo?
Avrebbe tenuto contatti diretti non istituzionali con Ilva spa anche per il tramite della Romeo (Caterina Vittoria- addetta ufficio relazioni istituzionali dell'Ilva), ed in particolare tenendo costantemente aggiornato l'avvocato Perli (Ilva) e gli esponenti del Gruppo Riva sull'avanzare dei lavori in Commissione IPPC sebbene come riportato su tutti i verbali del gruppo istruttore della predetta Commissione i commissari fossero tenuti ad osservare il segreto d'ufficio sulle attività oggetto dell'incarico, avrebbe in questo modo procurato "intenzionalmente" alla famiglia Riva e alla società Ilva spa un ingiusto vantaggio patrimoniale di rilevante gravità consistito nel consentire il mantenimento dei livelli produttivi in atto presso lo stabilimento.
Il Presidente Vendola si dice oggi molto turbato: "soprattutto per una ragione: io ho l’orgoglio di aver guidato un’Amministrazione regionale che ha provato a scoperchiare la pentola, che è andata a mettere il naso laddove nessuno mai aveva messo il naso".
La pentola in effetti è stata scoperchiata, ma non da Vendola, ma da quell'ordinanza di 56 pagine emessa dalla procura di Taranto.
Assennato, inoltre, convocato in una riunione informale indetta nel luglio 2010 alla quale presenziavano Emilio Riva , Fabio Riva, Luigi Capogrosso, Girolamo Archinà, invece di essere ricevuto è stato costretto a restare fuori dalla stanza, dove è stato ammonito dal dirigente Antonello Antonicelli, su incarico di Vendola a non utilizzare i dati tecnici come "bombe carta che poi si trasformano in bombe a mano"
Ma anche lo stesso Giorgio Assennato compare tra i nomi degli indagati, perchèeludendo le indagini, in particolare sentito dall'Autorità giudiziaria quale persona informata dei fatti avrebbe reso dichiarazioni mendaci e reticenti in merito alle indebite pressioni subite dal Presidente della Regione Puglia.
Al sindaco di Taranto invece è contestata l'omissione di atti d'ufficio, procurando in questo modo "intenzionalmente" alla famiglia Riva e alla società Ilva spa un ingiusto vantaggio patrimoniale di rilevante gravità consistito nel consentire il mantenimento dei livelli produttivi in atto presso lo stabilimento.
Un avviso è stato notificato anche all'ex presidente IPPC che si doveva occupare di rilasciare l'Aia all'Ilva di Taranto.Ricordate il nome di Dario Ticali, l'enfant prodige della Prestigiacomo?
Avrebbe tenuto contatti diretti non istituzionali con Ilva spa anche per il tramite della Romeo (Caterina Vittoria- addetta ufficio relazioni istituzionali dell'Ilva), ed in particolare tenendo costantemente aggiornato l'avvocato Perli (Ilva) e gli esponenti del Gruppo Riva sull'avanzare dei lavori in Commissione IPPC sebbene come riportato su tutti i verbali del gruppo istruttore della predetta Commissione i commissari fossero tenuti ad osservare il segreto d'ufficio sulle attività oggetto dell'incarico, avrebbe in questo modo procurato "intenzionalmente" alla famiglia Riva e alla società Ilva spa un ingiusto vantaggio patrimoniale di rilevante gravità consistito nel consentire il mantenimento dei livelli produttivi in atto presso lo stabilimento.
Il Presidente Vendola si dice oggi molto turbato: "soprattutto per una ragione: io ho l’orgoglio di aver guidato un’Amministrazione regionale che ha provato a scoperchiare la pentola, che è andata a mettere il naso laddove nessuno mai aveva messo il naso".
La pentola in effetti è stata scoperchiata, ma non da Vendola, ma da quell'ordinanza di 56 pagine emessa dalla procura di Taranto.
La lingua del "santo"
Perseguitato politico o economico?
Bla bla bla...
Ilva: videomessaggio Vendola, prova dolorosa che affronto con serenita'
"Ancora una volta mi tocca una prova dolorosa che affronto, pero', con serenita'. A chi mi vuole bene e a chi mi combatte, dico che ho la cosciena pulita. Io ho provato a capovolgere una storia di omerta' nei confronti di un potere come quello della grande industria. Ho operato con orgoglio, in solitudine e senza soggezione, scoperchiando una pentola e sfidando un gigante". Così il presidente di Sel, Nichi Vendola, nel videomessaggio diffuso sul suo canale Youtube, commenta il suo coinvolgimento nell'inchiesta sull'Ilva, che lo vede tra gli indagati. "Andremo dal magistrato - continua nel messaggio il governatore pugliese - a rispondere della mia condotta e lo farò con assoluta fiducia nella giustizia. Quando si ha rispetto per la legge nel senso piu' pieno, bisogna sopportare questa amarezza che mi irrobustira' nel convincimento che la politica deve avere comportamenti lineari e la giustizia ha il diritto controllarli. Posso aver commesso errori politici ma non credo di aver mai ferito la trama delle leggi che rispetto in maniera sacrale. Questo e' il senso intero della mia vita", conclude Vendola.(Adnkronos) -
Bla bla bla...
Ilva: videomessaggio Vendola, prova dolorosa che affronto con serenita'
"Ancora una volta mi tocca una prova dolorosa che affronto, pero', con serenita'. A chi mi vuole bene e a chi mi combatte, dico che ho la cosciena pulita. Io ho provato a capovolgere una storia di omerta' nei confronti di un potere come quello della grande industria. Ho operato con orgoglio, in solitudine e senza soggezione, scoperchiando una pentola e sfidando un gigante". Così il presidente di Sel, Nichi Vendola, nel videomessaggio diffuso sul suo canale Youtube, commenta il suo coinvolgimento nell'inchiesta sull'Ilva, che lo vede tra gli indagati. "Andremo dal magistrato - continua nel messaggio il governatore pugliese - a rispondere della mia condotta e lo farò con assoluta fiducia nella giustizia. Quando si ha rispetto per la legge nel senso piu' pieno, bisogna sopportare questa amarezza che mi irrobustira' nel convincimento che la politica deve avere comportamenti lineari e la giustizia ha il diritto controllarli. Posso aver commesso errori politici ma non credo di aver mai ferito la trama delle leggi che rispetto in maniera sacrale. Questo e' il senso intero della mia vita", conclude Vendola.(Adnkronos) -
E intanto dentro si "fuma" di tutto!
Ilva, intossicati 15 operai
„
Ilva, intossicati 15 operai
„Ilva, 15 operai intossicati nell'acciaieria“
Quindici operai dell'Ilva sono rimasti intossicati stamattina, intorno alle 7, dall'esalazione di alcuni fumi nel reparto Colata continua dell'acciaieria 1. E' quanto denuncia Francesco Rizzo dell'Unione sindacale di base."Cinque di loro - spiega Rizzo - erano rimasti intossicati anche la scorsa settimana".
L'incidente è avvenuto nel reparto Colata continua 1 dell'Acciaieria 1 dell'Ilva ed è il secondo in pochi giorni. "La sera del 19 ottobre scorso - come ricorda l'Usb - altri sei dipendenti del Siderurgico mentre erano al lavoro nell'area del CCO1 hanno avuto grosse difficoltà di respirazione in seguito all'inalazione di monossido di carbonio e chissà quali altre sostanze, sprigionate nel capannone senza che nessun tipo di allarme abbia avvertito le maestranze".
Gli operai, soccorsi nella infermeria, non avevano riportato gravi conseguenze. Il coordinatore provinciale dell'Usb Francesco Rizzo osserva che "l'Acciaieria e le Colate continue 1 e 5 necessitano di grandi e immediati interventi, partendo dalla salvaguardia della salute e sicurezza di chi ci lavora, che allo stato delle cose non viene garantita". (Today)
“
Potrebbe interessarti: http://www.today.it/cronaca/ilva-operai-intossicati.html
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Ilva, intossicati 15 operai
„Ilva, 15 operai intossicati nell'acciaieria“
Quindici operai dell'Ilva sono rimasti intossicati stamattina, intorno alle 7, dall'esalazione di alcuni fumi nel reparto Colata continua dell'acciaieria 1. E' quanto denuncia Francesco Rizzo dell'Unione sindacale di base."Cinque di loro - spiega Rizzo - erano rimasti intossicati anche la scorsa settimana".
L'incidente è avvenuto nel reparto Colata continua 1 dell'Acciaieria 1 dell'Ilva ed è il secondo in pochi giorni. "La sera del 19 ottobre scorso - come ricorda l'Usb - altri sei dipendenti del Siderurgico mentre erano al lavoro nell'area del CCO1 hanno avuto grosse difficoltà di respirazione in seguito all'inalazione di monossido di carbonio e chissà quali altre sostanze, sprigionate nel capannone senza che nessun tipo di allarme abbia avvertito le maestranze".
Gli operai, soccorsi nella infermeria, non avevano riportato gravi conseguenze. Il coordinatore provinciale dell'Usb Francesco Rizzo osserva che "l'Acciaieria e le Colate continue 1 e 5 necessitano di grandi e immediati interventi, partendo dalla salvaguardia della salute e sicurezza di chi ci lavora, che allo stato delle cose non viene garantita". (Today)
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Comunicato stampa congiunto Peacelink - Fondo Antidiossina Taranto
Il Tribunale di Taranto ha notificato l’avviso di chiusura delle indagini preliminari e E STAMANI sono stati RESI NOTI I NOMI DEI 53 indagati nell’ambito dell’inchiesta “Ambiente Svenduto”.
TRA QUESTI FIGURANO PERSONAGGI ECCELLENTI, COME IL GOVERNATORE DELLA REGIONE PUGLIA NICHI VENDOLA, IL SINDACO DI TARANTO IPPAZIO STEFANO E L'EX PRESIDENTE DELLA PROVINCIA GIANNI FLORIDO.
PeaceLink e Fondo Antidiossina esprimono la propria soddisfazione per l’eccellente lavoro svolto dal GIP Patrizia Todisco che con coraggio e professionalità ha garantito lo svolgimento delle indagini, le quali dovrebbero confluire nel processo a carico di coloro che, secondo il GIP, avrebbero messo in atto un "disegno criminoso" per inquinare l'ambiente, causando danni alla salute. Tutto ciò al fine di perseguire la logica del profitto.
Il lavoro del Giudice Todisco e della Procura di Taranto rappresentano il baluardo in difesa dei diritti primari dei cittadini, diritti che non dovrebbero mai essere negoziabili. La difesa strenua e coraggiosa dell'ambiente e della salute dei tarantini, in contrasto con le logiche di profitto, è stata il caposaldo del lavoro dei magistrati tarantini e del Capo Procuratore Franco Sebastio, ai quali va il nostro più profondo ringraziamento e plauso, affinché si perseveri nella ricerca della verità, durante tutte le fasi del preannunciato processo. PeaceLink e Fondo Antidiossina, in costante collegamento con le istituzioni europee ed in particolare con la Commissione, nel solco dell’attività svolta dai magistrati a Taranto, continuano a portare avanti il lavoro di denuncia e di informazione presso gli organi europei, affinché la parallela procedura di infrazione europea continui ad andare di pari passo con l'iter giudiziario a Taranto.
Vengano processati i politici che non hanno difeso la salute.
ILVA. Vengano processati i politici che non hanno difeso la salute
Il Tribunale di Taranto ha notificato l’avviso di chiusura delle indagini preliminari e E STAMANI sono stati RESI NOTI I NOMI DEI 53 indagati nell’ambito dell’inchiesta “Ambiente Svenduto”.
TRA QUESTI FIGURANO PERSONAGGI ECCELLENTI, COME IL GOVERNATORE DELLA REGIONE PUGLIA NICHI VENDOLA, IL SINDACO DI TARANTO IPPAZIO STEFANO E L'EX PRESIDENTE DELLA PROVINCIA GIANNI FLORIDO.
PeaceLink e Fondo Antidiossina esprimono la propria soddisfazione per l’eccellente lavoro svolto dal GIP Patrizia Todisco che con coraggio e professionalità ha garantito lo svolgimento delle indagini, le quali dovrebbero confluire nel processo a carico di coloro che, secondo il GIP, avrebbero messo in atto un "disegno criminoso" per inquinare l'ambiente, causando danni alla salute. Tutto ciò al fine di perseguire la logica del profitto.
Il lavoro del Giudice Todisco e della Procura di Taranto rappresentano il baluardo in difesa dei diritti primari dei cittadini, diritti che non dovrebbero mai essere negoziabili. La difesa strenua e coraggiosa dell'ambiente e della salute dei tarantini, in contrasto con le logiche di profitto, è stata il caposaldo del lavoro dei magistrati tarantini e del Capo Procuratore Franco Sebastio, ai quali va il nostro più profondo ringraziamento e plauso, affinché si perseveri nella ricerca della verità, durante tutte le fasi del preannunciato processo. PeaceLink e Fondo Antidiossina, in costante collegamento con le istituzioni europee ed in particolare con la Commissione, nel solco dell’attività svolta dai magistrati a Taranto, continuano a portare avanti il lavoro di denuncia e di informazione presso gli organi europei, affinché la parallela procedura di infrazione europea continui ad andare di pari passo con l'iter giudiziario a Taranto.
Vengano processati i politici che non hanno difeso la salute.
martedì 29 ottobre 2013
Discarica Italcave di Taranto: a che punto siamo?
Il "paradiso" è lontano da qui: è lontano da Statte che ospita nel suo territorio la discarica di rifiuti speciali Italcave, oltre ad essere interessata da un inquinamento industriale proveniente dal vicino stabilimento industriale.
Mille e una rotte
Due uomini per controllare mille camini. Questa è l’Arpa Puglia
Taranto, Ilva: la magistratura ipotizza a carico dei proprietari delle acciaierie le accuse di disastro colposo e doloso, avvelenamento di sostanze alimentari, danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di sostanze pericolose e inquinamento atmosferico. Cerano, centrale Enel Federico II: alimentata a carbone è il sito più inquinante d’Italia. Secondo l’agenzia Eea (European Environment Agency) è la diciottesima industria più inquinante d’Europa. Uno dei capi d’accusa nel processo in corso contro 15 dirigenti è “disastro colposo”. Muro Leccese (Le), fonderia Ruggeri Service: il 31 maggio 2012 rilevamenti dell’Arpa hanno constatato uno sforamento di diossina tre volte superiore al consentito. Il 16 aprile scorso è partito il processo per violazione dei valori limite di emissioni in atmosfera e getto pericoloso di cose. Galatina (Le), cementificio Colacem: l’8 giugno 2013 è stato presentato un esposto alla Procura di Lecce di cittadini preoccupati dall’emissione dei fumi dell’azienda.
Sono solo quattro casi di stabilimenti industriali i cui fumi potrebbero essere tra le cause dell’altissimo numero di tumori alle vie respiratorie in provincia di Lecce. A svelarci la verità sarà la magistratura. E anche questo è un problema: in materia di inquinamento atmosferico, in Puglia, è sempre più difficile prevenire che curare. Intervenire con multe e sequestri o cominciare lunghi processi quando il danno è già fatto non migliora comunque la qualità dell’ambiente nel quale queste industrie lavorano. Se questo accade c’è un motivo ben preciso. E sono le condizioni a dir poco disagiate nelle quali si trova l’ente che dovrebbe controllare – in tempo utile – il livello di emissioni degli impianti industriali.
E cioè l’Arpa, a cui è affidato il compito di monitorare quelle che, secondo l’Airc (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro), sono le principali sostanze cancerogene contenute nei fumi industriali. Gli Ipa (idrocarburi policiclici aromatici) come il benzo(a)pirene, i metalli pesanti come il cromo, nichel, arsenico. O la diossina, particolarmente pericolosa, non solo perché nociva quando viene inalata ma perché si concentra nei terreni, di fatto avvelenando prodotti agricoli, bestiame e acqua.
Questa è una tabella che riporta i dati strutturali delle Arpa italiane. I numeri si riferiscono al 2011 ma allo stato attuale sono pressoché identici. La carenza di personale dell’Arpa Puglia è il primo dato che fa riflettere:
La Puglia pur essendo la settima regione più popolosa d’Italia, con più di 4 milioni di abitanti, ha un’ Arpa in cui lavorano solo 335 dipendenti. Ben dodici regioni, cinque delle quali con popolazioni inferiori alla Puglia, hanno un personale superiore a quello pugliese.
Nel Salento uno dei primi a porre l’accento sulla correlazione tra fumi industriali e cancro è stato l’oncologo Giuseppe Serravezza, presidente della sezione di Lecce della Lilt ( Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori). Lui di questa emergenza ne parla dagli anni novanta. Negli anni è stato spesso minacciato da politici e dirigenti d’azienda di querela per “procurato allarme”. Ma i suoi allarmi, invece, si stanno rivelando fondati. Per averne conferma si è dovuto aspettare l’ex ministro dell’Ambiente Corrado Clini a Taranto, nel bel mezzo dello scandalo Ilva. Per “tranquillizzare” i tarantini, Clini citò il rapporto “Sentieri” in cui è scritto ciò che alla Lilt dicono da una vita: di tumore alle vie respiratorie si muore più in provincia di Lecce che in provincia di Taranto. Quando lo intervistiamo Serravezza conferma:
“Venti anni fa il Salento aveva una mortalità per tumore tra le più basse d’Italia, adesso la situazione si è capovolta. In provincia di Lecce si muore per tumore in proporzioni maggiori rispetto a gran parte d’Italia. Riguardo al tumore al polmone abbiamo una mortalità tra le più alte, forse la maggiore d’Italia. Tra le probabili cause di questa situazione ci sono i fumi industriali uniti alla particolare posizione geografica della provincia leccese.”
Infatti sul territorio leccese convergono i fumi degli stabilimenti di Taranto e di quello di Cerano, spinti dai venti settentrionali. Ma il territorio salentino è anche costellato da piccoli e grandi insediamenti industriali potenzialmente pericolosi e, per la maggior parte del tempo di produzione, fuori controllo:
“Abbiamo tanti stabilimenti che non ricevono nessun controllo. – dice Serravezza – Non esiste un censimento su questi piccoli impianti, vige l’anarchia totale. Poi bisogna tenere presente un’altra cosa. Attualmente la Puglia ha una legge che impone di non superare la soglia di diossina di 0,4 ng TE/Nmc. Ma dal punto di vista sanitario e scientifico non c’è soglia al di sotto della quale questa sostanza non faccia male. Io penso che in provincia di Lecce non possiamo più accendere nemmeno un cerino”.
All’interno della struttura dell’Arpa c’è un ufficio che si occupa esclusivamente del monitoraggio delle emissioni in atmosfera: il Cra (Centro Regionale Aria). Qui la carenza di personale si fa drammatica: il Cra è composto da 12 membri, di cui sei con contratto a tempo determinato in scadenza a dicembre. Inoltre questo ufficio si occupa sia di monitoraggi ordinari sia delle emergenze (incidenti industriali, rogo di capannoni, grandi combustioni di pneumatici ). Dei dodici addetti solo due sono incaricati del controllo sui camini delle fabbriche.
In sostanza in Puglia solo due persone sono impegnate a rilevare le emissioni degli stabilimenti industriali dell’intero territorio regionale. Si tratta di una situazione che potremmo definire di inefficienza strutturale: solo l’Ilva possiede 252 camini. E in tutta la Puglia sono circa un migliaio gli stabilimenti, grandi o piccoli, che emettono fumi in atmosfera. Ma come fanno due persone a monitorare ogni anno un migliaio di camini? Semplicemente, non ce la fanno.
Lo dice chiaramente lo stesso Roberto Giua, direttore del Cra: “dei 252 camini dell’Ilva noi riusciamo a controllarne tre o quattro, quelli più rilevanti. Sarebbe interessante monitorare anche gli altri, ma materialmente come facciamo? Con questo organico non riusciamo a soddisfare neanche lontanamente quelle che sono le esigenze. Possiamo solo andare dietro alle emergenze”.
E se uno di questi due tecnici prende un’influenza, che succede? “Non si fanno più i campionamenti. Il prelievo su camino è svolto da personale specializzato, non possono farlo tutti. Si tratta di salire su camini alti una cinquantina di metri, rimanere per otto ore in cima agli stessi con una sonda che pesa una decina di chili. Questo è un lavoro che viene fatto in due. Nel nostro caso se si ammala un tecnico non possiamo rimpiazzarlo e quindi prelievi non se ne fanno”.
Ma non si pensi che questo genere di carenza sia solo pugliese. Anche altre regioni meridionali se la passano male, anzi addirittura peggio. Pensate che Basilicata, Molise e Calabria sono sprovviste di tecnici per svolgere i monitoraggi a camino. Di conseguenza accade anche che i due tecnici pugliesi vengano “prestati” ad altre regioni per specifici monitoraggi, ci dice Giua.
Perché accade questo? Quali sono i motivi alla base dell’ inefficienza strutturale dell’Arpa sul fronte del controllo delle emissioni? Giorgio Assennato, direttore di Arpa Puglia e presidente di AssoArpa è chiaro:
“Il nostro è un problema comune a tutte le Arpa meridionali. Si tratta di agenzie nate tardi, dal 2002 al 2006, quando erano ormai in vigore una serie di vincoli del patto di stabilità che rappresentano un impedimento formidabile all’incremento di addetti. Addirittura un vincolo del patto ci obbliga a ridurre i costi del personale dell’1,5% rispetto alla spesa del 2004, anno in cui l’agenzia è nata. Questo significa costringerci a restare ad uno stadio neonatale. Non possiamo assumere, anzi il nostro personale sta diminuendo. C’è bisogno di un intervento del governo, come è accaduto ad esempio con il decreto “salva-ilva” per le Asl di Taranto. Quest’ultime hanno avuto una deroga al patto di stabilità, proprio per la criticità del territorio tarantino. La cosa paradossale è che ad Arpa, ovvero a chi deve fare i controlli, questa deroga non è mai stata concessa. Inoltre la maggior parte del nostro budget deriva dagli assessorati ad ambiente e sanità della Regione Puglia. Quindi i tagli governativi a questi settori si ripercuotono su Arpa. Questa situazione di penuria è destinata a perdurare finché non verrà approvato il disegno legge Realacci – Bratti, che si trascina ormai da due legislature e che punta a riformare il controllo ambientale”.
La Realacci – Bratti, se approvata, istituirebbe il sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (per approfondire). In sostanza lo Stato si incaricherebbe di tutelare la salute pubblica anche a partire da un attenta prevenzione delle cause di molte malattie mortali proprio con un più efficiente sistema di Arpa. Il disegno di Legge è stato presentato nel 2012 e tutt’ora non è stato ancora discusso dalle Camere.
Dunque da un lato la politica si affanna a fare proclami e leggi sulla tutela ambientale (come è giusto che sia), ma dall’altro decide di lasciare le Arpa in uno stato di inefficienza strutturale. Il risultato è un buco nell’acqua. Nessuna legge antidiossina potrà mai essere efficace se non è al contempo efficiente l’ente di controllo delle emissioni, che individua e segnala prontamente quali sono le attività industriali che sforano i limiti.
In Germania, tanto per chiudere con un paragone, il problema dei fumi industriali è stato affrontato e risolto decenni fa per grandissime aziende come la TyssenKrup. In Italia questo non è accaduto. E questa è una drammatica realtà che può essere riscontrata più che dalle carenze di personale dell’Arpa dal numero troppo alto di malati nei reparti di oncologia degli ospedali pugliesi. Stefano Martella - 20centesimi
Santa Ilva nella casa del Sole (24 ore)
Taranto agli ultimi posti in Ecosistema Urbano.
Legambiente: la causa è l’assenza di una seria politica ambientale da
parte dell’Amministrazione Comunale, l’Ilva -in questo caso- non
c’entra…
Nella classifica finale del XX Rapporto Ecosistema Urbano, prodotto da Legambiente e dal Sole 24 Ore, Taranto si piazza al 34° posto nella sezione dedicata alle Città Medie su un totale di 44 città monitorate. L'anno scorso era al 40° posto.
Per Legambiente i dati complessivi forniti da Ecosistema Urbano parlano, purtroppo, da soli: a Taranto non ci sono politiche innovative in campo ambientale, né attenzione all'uso di energie alternative, il verde a disposizione dei cittadini è irrisorio (e la sua manutenzione, scorretta e spesso caratterizzata da potature "selvagge" è stata da noi più volte denunciata), la raccolta differenziata ferma a dati inaccettabili (solo a Lama, secondo le ultime rilevazioni, finalmente si è invertita la tendenza), le politiche relative alla mobilità alternativa all'uso del mezzo privato inesistenti (la stessa pista ciclabile in Viale Magna Grecia, così come la realizzazione del parcheggio a Cimino, in mancanza di assi di penetrazione diretti verso il centro riservati alle biciclette ed agli autobus, risultano di scarsa utilità), le aree pedonali estremamente circoscritte (e la pedonalizzazione di Piazza Carmine, pur positiva, poco ha aggiunto in termini di estensione).
Manca insomma un'idea di futuro diverso, un progetto di una "altra Taranto" e gli atti concreti che ne dovrebbero e potrebbero conseguire.
Non si può continuare così: è già tardi.
Un discorso a parte meritano gli indici per la qualità dell'aria. Al netto dei dati non disponibili per l'ozono, Taranto è al 7° posto (su 44) per il PM10 ed al 19° posto per il Biossido di Azoto NO2 (media dei valori registrati dalle centraline urbane presenti sul territorio comunale).
I dati confortanti sulla qualità dell'aria di Taranto per il 2012 vanno però letti con particolare cautela. Va infatti considerato che, relativamente alla qualità dell'aria nelle città italiane, Ecosistema Urbano prende in considerazione soltanto i principali macroinquinanti - PM10, NO2, ozono - legati a un complesso di fattori quali traffico, processi industriali, riscaldamento e tralascia i microinquinanti (tra essi diossine, IPA, ecc) prevalentemente emessi nell'ambito dei processi industriali.
In particolare il dato positivo del PM10 va considerato con attenzione.
Innanzitutto se la città di Taranto, invece che affacciata sul mare, fosse situata in Pianura Padana, dove le condizioni climatiche e geografiche non permettono la circolazione dell'aria, avrebbe risultati ben diversi. Inoltre vanno considerati la presumibile modifica delle pratiche operative dell'Ilva, conseguenti alla presenza per molti mesi dei custodi giudiziari in azienda, e per i parchi minerali, l'arretramento – sia pure contenuto – e la diminuzione dell'altezza dei cumuli. Nel 2013 i dati saranno ulteriormente condizionati, in positivo, dalla riduzione della produzione seguita alle vicende giudiziarie ed alla nuova AIA, dal fermo di alcuni impianti (altiforni e batterie) e dall'applicazione delle misure previste per i wind days, sempre in conseguenza della nuova AIA entrata in vigore nell' ottobre 2012.
Se da una parte questi dati sono un concreto segnale di speranza in merito alla possibilità che lo stabilimento Ilva tarantino, dopo i lavori previsti dall'AIA, diventi compatibile con la città, va comunque ricordato che altri inquinanti di produzione industriale rendono più patogene le polveri tarantine. Infatti per ogni incremento di 10 microgrammi di PM a Taranto c'è un aumento dello 0.69 % di mortalità contro lo 0.31 % di altre città italiane (secondo lo studio MISA) e lo 0.33% di altre città europee (studio SENTIERI). Va ricordato infine che recentemente la IARC (agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) ha classificato il particolato come sicuramente cancerogeno (classe 1) per l'uomo.
Soprattutto, questi dati devono costituire un punto di non ritorno, un traguardo che può e deve essere migliorato e dal quale non è pensabile alcun arretramento a valori anche lontanamente vicini a quelli registrati fino a non troppo tempo fa.
A mantenere Taranto nei bassifondi della classifica sono quindi specialmente alcuni indici; la nostra città:
• è ultima per la mobilità alternativa, che valuta i seguenti indicatori: presenza di autobus a chiamata, controlli varchi ZTL, presenza di mobility manager, car sharing, piano spostamenti casa-lavoro, pedibus/bicibus – con un dato pari a Zero, fermo al 2010;
• è penultima (a pari "merito" con altre tre città) per verde urbano pubblico con soli 1,70 metri quadri per abitante;
• è penultima (a pari "merito" con altre 2 città) per kilowatt da Solare Fotovoltaico installati su edifici comunali in rapporto ad ogni mille abitanti (con lo Zero %)
• è penultima (a pari "merito" con altre 12 città) per metri quadrati da Solare Termico installati su edifici comunali in rapporto ad ogni mille abitanti (con lo Zero %)
• è terzultima (a pari "merito" con altre 21 città) con un volume pari a Zero per Teleriscaldamento per abitante
• è quartultima per la raccolta differenziata di rifiuti con un misero 8,1% di rifiuti differenziati sul totale dei rifiuti prodotti;
• è quintultima nella capacità di risposta dell'Amministrazione Comunale con il 38% di schede non inviate e risposte non fornite rispetto ai parametri considerati.
Quest'ultimo punto, oltre a dimostrare una evidente scarsa attenzione del Comune di Taranto, genera una serie di ultimi posti nella classifica, causati dalla mancanza di dati comunicati, per:
• Zone a traffico limitato, misurate in estensione per abitante delle aree destinate a ZTL
• Isole pedonali, misurate in estensione per abitante della superficie stradale pedonalizzata
• Piste ciclabili, misurate in metri equivalenti di piste ciclabili ogni 100 abitanti (ultima in compagnia di Brindisi)
• Indice di ciclabilità, calcolato in base alla presenza di biciplan, ufficio biciclette, cicloparcheggi di interscambio, bici stazione, sensi unici eccetto biciclette, bike sharing (ultima in compagnia di altre 4 città)
D'altro canto, anche in presenza di comunicazione di dati, per questi indici la posizione di Taranto non sarebbe comunque cambiata in modo rilevante vista l'esiguità di aree pedonali, ZTL e piste ciclabili.
Vanno un po' meglio, per la nostra città, altri indici.
Il dato più interessante, in positivo, risulta il 5° posto raggiunto per l'offerta di Trasporto pubblico, cioè la percorrenza annua per abitante del trasporto pubblico.: :
Ecco gli altri dati. Taranto si piazza (sempre su 44 città considerate):
• al 28° posto per capacità di depurazione delle acque
• al 27° posto per Politiche energetiche
• al 27° posto per Consumi elettrici domestici
• al 26° posto per Pianificazione e partecipazione ambientale
• al 22° posto per dispersione dell'acqua nella rete
• al 22° posto per i passeggeri del trasporto pubblico
• al 21° posto per Aree Verdi totali
• al 21° posto per Incidentalità stradale
• al 19° posto per Produzione di rifiuti urbani
• al 18° posto per Eco Management
• al 18° posto per Certificazioni Ambientali
• al 16° posto per consumi idrici domestici
• al 5° posto, ma insieme ad altre 8 città, per tasso di motorizzazione relativo alle auto
• al 4° posto, ma insieme a altre 6 città, per tasso di motorizzazione relativo alle moto
Non solo Ilva: Taranto è anche la bella realtà di Ammazza che Piazza
fonte:ammazzachepiazza fb |
Questa immagine rappresenta l'altro volto di Taranto: quello dell'impegno costante, della creatività e dell'ingegno. E' il volto della passione per una città distrutta e soffocata da un inquinamento industriale, prodotto di una deriva culturale.
All'immagine di una Taranto malata e ferita, si affianca e si sovrappone quella colorata, viva e attiva del lavoro del gruppo Ammazza che Piazza che opera da diversi anni a Taranto per la sua riqualificazione urbana e "culturale".
Se nel recente passato questo gruppo di giovani ha regalato alla città un luogo migliore e vivo di quello abbandonato come era dalle istituzioni, e ci riferiamo alla pineta "toto De Curtis" ( tra via calamandrei, via ancona e via fratelli Rosselli), oggi Ammazza che Piazza continua la sua opera di riqualificazione, nel quartiere più danneggiato dall'inquinamento industriale, il quartiere Tamburi. Il gruppo si pone l'obiettivo " di avviare un processo culturale e di sensibilizzazione dell’intero quartiere" si legge nella loro pagina facebook- " attraverso lo scambio di opinioni, pensieri, idee, progetti, affinché ogni cittadino possa sentirsi scosso, ponendo maggiore attenzione alle problematiche dalle quali quotidianamente è colpito, spronandolo attraverso il nostro impegno diretto, ad una partecipazione alla lotta in difesa dei suoi diritti alla salute e all'’igiene e pulizia degli spazi comuni".
"Spazi comuni" che qui sono inacessibili soprattutto ai bambini: le aree verdi, le piazze, i parchi, non pavimentati sono infatti soggetti al divieto di accesso che impedisce "ai bambini di giocare in modo tranquillo senza nessuna preoccupazione, e agli abitanti del quartiere di vivere la piazza come luogo di incontro".
L'appuntamento al quartiere Tamburi continua da ieri fino ad oggi in Piazza Prof. Egidio Cassone. L'invito a collaborare nella pulizia delle zone verdi, nella sensibilizzazione della cittadinanza e nelle lotte per migliorare la nostra Taranto è rivolto a tutti.
blog Ammazza che piazza
pagina facebook
Chiusa l'indagine su Ilva di Taranto: 50 gli indagati
(fonte ansa)
TARANTO - Quattro anni di indagini, un centinaio di faldoni per almeno 50mila pagine di documenti, il tutto sfociato in una cinquantina di indagati - dirigenti, politici e funzionari - tra i quali almeno tre società: l'inchiesta per disastro ambientale a carico della dirigenza Ilva di Taranto e del Gruppo Riva è alla sua prima tappa fondamentale, dopo l'incidente probatorio conclusosi il 30 marzo 2012.
Il pool di magistrati che ha condotto l'inchiesta-madre (il procuratore Franco Sebastio, l'aggiunto Pietro Argentino, i sostituti procuratori Mariano Buccoliero, Giovanna Cannarile e Remo Epifani) sta per firmare l'avviso di conclusione delle indagini preliminari. Dal momento della notifica i legali degli indagati avranno 20 giorni di tempo per depositare memorie o per chiedere che i loro assistiti vengano interrogati. Poi la Procura deciderà sulle richieste di rinvio a giudizio da inviare al gup, prologo della fissazione dell'udienza preliminare.
L'avviso di conclusione delle indagini preliminari consisterà in una quarantina di pagine con una fitta rete di capi d'imputazione. Per un gruppo di indagati - si conferma in ambienti giudiziari - sarà confermata l'accusa di aver costituito un'associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, all'avvelenamento di sostanze alimentari e ad altri reati minori. Dall'inchiesta-madre resterà fuori l'indagine riguardante le discariche di rifiuti dell'Ilva e relative autorizzazioni, peraltro ora in fase di revisione sul piano amministrativo.
Prosegue intanto, sull'asse Taranto-Londra, la battaglia giudiziaria da parte dei legali di Fabio Riva, vice presidente di Riva Fire, in libertà vigilata nella capitale inglese dal gennaio scorso dopo che era stata dichiarata la sua latitanza perché non rintracciato sulla base di un mandato di arresto europeo. I difensori del dirigente di Riva Fire hanno chiesto alla Procura copia delle perizie chimica e medico-epidemiologica, disposte dal gip Patrizia Todisco ed elaborate da due gruppi di esperti, depositate nell'incidente probatorio conclusosi il 30 marzo 2012. La Procura avrebbe già dato disposizioni per far pervenire la documentazione, pur manifestando qualche perplessità. La prossima udienza finalizzata alla richiesta di estradizione di Fabio Riva si terrà nel gennaio 2014. Nel frattempo la Procura ionica potrebbe già aver depositato al gup la richiesta di rinvio a giudizio e della fissazione dell'udienza preliminare.
lunedì 28 ottobre 2013
Paul Connet a Massafra il 7 novembre
IL COMITATO NO RADDOPPIO INCENERITORE/Per la corretta gestione dei rifiuti a Massafra
organizza la conferenza-dibattito
10 PASSI VERSO RIFIUTI ZERO - Un nuovo inizio
RELATORE IL PROF. PAUL CONNETT
professore
di chimica e tossicologia presso la St. Lawrence University, villaggio
di Canton, New York, ideatore della Strategia Rifiuti Zero.
UN
GRANDE EVENTO A MASSAFRA, città che, CON DELIBERA del CONSIGLIO
COMUNALE DEL 09 OTTOBRE 2013, ha aderito alla STRATEGIA RIFIUTI ZERO! In
un momento, ci auguriamo, di grandi cambiamenti nella gestione dei
rifiuti a Massafra, la presenza del Prof. Connett, diventa un occasione
unica per acquisire competenza e consapevolezza degli enormi benefici
per la salute, per l'ambiente, per l'economia di una corretta gestione
dei rifiuti.
La forza coinvolgente del prof. Connett, con una relazione di 10 semplici passi, ci aiuterà a comprendere la grande stupidità del gesto di incenerire il rifiuto, un bene prezioso che può arricchire un intero territorio, piuttosto che un solo individuo!
La forza coinvolgente del prof. Connett, con una relazione di 10 semplici passi, ci aiuterà a comprendere la grande stupidità del gesto di incenerire il rifiuto, un bene prezioso che può arricchire un intero territorio, piuttosto che un solo individuo!
ORE 18.00 C/O CINEMA SPADARO,
PIAZZA DEI MARTIRI, 10
- MASSAFRA (TA)
Dal 4 novembre riaprirà l'altoforno 2: non se ne sentiva la mancanza!
Riferiscono fonti sindacali (è scritto sul sito reuters) che dal 4 novembre riaprirà l'altoforno 4 nello stabilimento Ilva di Taranto, che permetterà a 110 operai, di
cui una parte era in cassa integrazione o coperta dal contratto di
solidarietà, di ritornare al lavoro (come indica sempre la fonte).
Secondo "sempre" la fonte sindacale (di cui non si rivela il nome) attualmente sono 296 i lavoratori fermi, in parte in cassa integrazione.
Ci domandiamo NOI:
Era proprio necessario riaprire un altro altoforno? Non solo non ne sentivamo proprio la mancanza, ma potevamo anche farne a meno! Riaprire un altoformo significa che l'inquinamento industriale che ogni giorno fuoriesce dai camini dell'Ilva andrà ad aggiungersi a quello che dal 4 novembre verrà emesso anche dal "nuovo" altoforno. A diossine si aggiungeranno altre diossine.... senza annoverare tutte le altre sostanze nocive che un altoforno può produrre.
Sono 296 i lavoratori dell'Ilva "fermi" sostiene la fonte sindacale: perchè non pensare di impegnare questo personale nel risanamento del quartiere Tamburi, nella pulizia dei muri del quartiere che ogni giorno viene danneggiato dalle polveri di minerali che arrivano dallo stabilimento? Meglio tenerli a casa a "fare la polvere": sia mai che i tarantini possano pensare che il padrone Riva sia diventato magnanimo e sensibile.
Secondo "sempre" la fonte sindacale (di cui non si rivela il nome) attualmente sono 296 i lavoratori fermi, in parte in cassa integrazione.
Ci domandiamo NOI:
Era proprio necessario riaprire un altro altoforno? Non solo non ne sentivamo proprio la mancanza, ma potevamo anche farne a meno! Riaprire un altoformo significa che l'inquinamento industriale che ogni giorno fuoriesce dai camini dell'Ilva andrà ad aggiungersi a quello che dal 4 novembre verrà emesso anche dal "nuovo" altoforno. A diossine si aggiungeranno altre diossine.... senza annoverare tutte le altre sostanze nocive che un altoforno può produrre.
Sono 296 i lavoratori dell'Ilva "fermi" sostiene la fonte sindacale: perchè non pensare di impegnare questo personale nel risanamento del quartiere Tamburi, nella pulizia dei muri del quartiere che ogni giorno viene danneggiato dalle polveri di minerali che arrivano dallo stabilimento? Meglio tenerli a casa a "fare la polvere": sia mai che i tarantini possano pensare che il padrone Riva sia diventato magnanimo e sensibile.
domenica 27 ottobre 2013
Per l' Ilva di Taranto: una settimana di "fuoco"
Sarà questa che viene una settimana di fuoco per l'Ilva di Taranto, cadenzata da "caldi appuntamenti" che "scottano". Non solo scadenze giudiziarie ma anche ambientali.
Questa la nota stampa dell'AGI
(AGI) - Taranto, 27 ott. - Si apre una settimana importante per l'Ilva di Taranto con scadenze giudiziarie e ambientali che si intrecciano. Nei prossimi giorni saranno infatti notificati gli avvisi di conclusione dell'indagine relativa al reato di disastro ambientale dello stabilimento siderurgico, inchiesta deflagrata a luglio del 2012 e che in un anno ha visto sequestri e arresti, gli ultimi dei quali avvenuti lo scorso settembre (cinque cosiddetti "fiduciari" di Riva, la struttura di "governo parallelo" della fabbrica attraverso la quale la famiglia Riva si assicurava il controllo delle attivita'). Una cinquantina gli avvisi di conclusione delle indagini che fara' notificare la Procura di Taranto e riguarderanno oltre alle persone gia' arrestate nei mesi scorsi - tra cui gli ex presidenti dell'Ilva, Emilio e Nicola Riva, padre e figlio, l'ex direttore dello stabilimento di Taranto, Luigi Capogrosso, l'ex consulente dello stabilimento di Taranto, Girolamo Archina', l'ex presidente della Provincia di Taranto, Gianni Florido, l'ex assessore all'Ambiente della Provincia di Taranto, Michele Conserva -, anche Fabio Riva, vice presidente del gruppo Riva, figlio di Emilio, colpito a novembre da ordinanza di custodia cautelare in carcere ma che deve essere ancora estradato dall'Inghilterra, nonche' esponenti della pubblica amministrazione.
Non solo scadenze giudiziarie, con l'impatto che inevitabilmente determineranno, per l'Ilva di Taranto. Nella prossima settimana, infatti, ci sono anche due scadenze che riguardano il risanamento della fabbrica siderurgica e l'attuazione delle prescrizioni dell'Autorizzazione integrata ambientale rilasciata dal ministero ad ottobre 2012.
Il 30 ottobre, al Comune di Taranto, si riunira' la conferenza dei servizi prevista dal Suap (Sportello unico delle attivita' produttive) chiamata ad esaminare i progetti per la copertura di tre parchi minerali piccoli e di un'area di gestione dei rottami ferrosi. I parchi intereressati sono omo-coke (miscela di minerali di ferro destinati alla sinterizzazione e carbon coke) e agglomerato nord e sud (sinterizzato di minerali di ferro per gli altiforni). La superficie complessivamente coperta sara' pari a 74.120 metri quadrati. Le coperture dei parchi omo-coke e agglomerato nord e sud saranno formate da strutture in legno lamellare, con fondazioni in calcestruzzo armato, di forma e dimensioni differenti in funzione delle macchine operatrici che lavorano all'interno dei capannoni.
Questa la nota stampa dell'AGI
(AGI) - Taranto, 27 ott. - Si apre una settimana importante per l'Ilva di Taranto con scadenze giudiziarie e ambientali che si intrecciano. Nei prossimi giorni saranno infatti notificati gli avvisi di conclusione dell'indagine relativa al reato di disastro ambientale dello stabilimento siderurgico, inchiesta deflagrata a luglio del 2012 e che in un anno ha visto sequestri e arresti, gli ultimi dei quali avvenuti lo scorso settembre (cinque cosiddetti "fiduciari" di Riva, la struttura di "governo parallelo" della fabbrica attraverso la quale la famiglia Riva si assicurava il controllo delle attivita'). Una cinquantina gli avvisi di conclusione delle indagini che fara' notificare la Procura di Taranto e riguarderanno oltre alle persone gia' arrestate nei mesi scorsi - tra cui gli ex presidenti dell'Ilva, Emilio e Nicola Riva, padre e figlio, l'ex direttore dello stabilimento di Taranto, Luigi Capogrosso, l'ex consulente dello stabilimento di Taranto, Girolamo Archina', l'ex presidente della Provincia di Taranto, Gianni Florido, l'ex assessore all'Ambiente della Provincia di Taranto, Michele Conserva -, anche Fabio Riva, vice presidente del gruppo Riva, figlio di Emilio, colpito a novembre da ordinanza di custodia cautelare in carcere ma che deve essere ancora estradato dall'Inghilterra, nonche' esponenti della pubblica amministrazione.
Non solo scadenze giudiziarie, con l'impatto che inevitabilmente determineranno, per l'Ilva di Taranto. Nella prossima settimana, infatti, ci sono anche due scadenze che riguardano il risanamento della fabbrica siderurgica e l'attuazione delle prescrizioni dell'Autorizzazione integrata ambientale rilasciata dal ministero ad ottobre 2012.
Il 30 ottobre, al Comune di Taranto, si riunira' la conferenza dei servizi prevista dal Suap (Sportello unico delle attivita' produttive) chiamata ad esaminare i progetti per la copertura di tre parchi minerali piccoli e di un'area di gestione dei rottami ferrosi. I parchi intereressati sono omo-coke (miscela di minerali di ferro destinati alla sinterizzazione e carbon coke) e agglomerato nord e sud (sinterizzato di minerali di ferro per gli altiforni). La superficie complessivamente coperta sara' pari a 74.120 metri quadrati. Le coperture dei parchi omo-coke e agglomerato nord e sud saranno formate da strutture in legno lamellare, con fondazioni in calcestruzzo armato, di forma e dimensioni differenti in funzione delle macchine operatrici che lavorano all'interno dei capannoni.
venerdì 25 ottobre 2013
L'Ilva diffidata dal Ministero per l'Aia
E' il direttore generale per le valutazioni ambientali del Ministero dell'Ambiente. Si occupa, tra le tante funzioni, anche di coordinare le attività a supporto della commissione Ippc
finalizzata al rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale (Aia). E' Mariano Grillo e porta la sua firma la diffida inviata all'Ilva per «inosservanza delle prescrizioni autorizzative in relazione al terzo
trimestre di attuazione del decreto di riesame Aia del 26 ottobre 2012».
La diffida riguarda l'ultima ispezione realizzata nel siderurgico il 10 e 11 settembre dall'Ispra. Il sopralluogo è stato eseguito per verificare lo stato di attuazione degli interventi in relazione alle due precedenti diffide (di giugno e luglio 2013). Il documento indirizzato alla direzione Ilva è stato da questa ricevuto in data 25 settembre 2013 (è passato esattamente un mese ma è di oggi la notizia...!). Nel testo (scaricabile sul sito del ministero in pdf) si legge che l’Ilva ha tempo 30 giorni dalla ricezione della diffida per inviare all’autorità competente il «progetto esecutivo, corredato dal cronoprogramma, degli interventi di pavimentazione impermeabile e di regimazione delle acque dell’area Irf (impianti di recupero del materiale ferroso, ndr), inclusa l’area prospiciente la zona di carico dell’impianto Irf e l’area di stoccaggio del rifiuto prodotto». Questo significa che IL TEMPO è SCADUTO!
11 SONO LE VIOLAZIONI COMMESSE DALL'ILVA ACCERTATE DA ISPRA E ARPA:
1. il perdurare del mancato adeguamento entro il 27.01.2013 dei sistemi di movimentazione dei materiali trasportati via nave tramite l'utilizzo di sistemi di scarico automatico (...)
2. il perdurare del mancato rispetto dei tempi (...) per la chiusura nastri trasportatori e la mancata trasmissione del progetto esecutivo.. (..) - prescrizione 6
3. il perdurare del mancato rispetto dei tempidi attuazione prescrizione 16 (chiusura degli edifici delle aree di gestione dei materiali polverulenti)
4. il superamento del valore di 25 grammi per tonnellata di coke nell’emissione di particolato con il flusso di vapore acqueo in uscita” da quattro torri di spegnimento asservite ad altrettante batterie delle cokerie attualmente in funzione, nonché il persistere del fenomeno di ‘slopping’ (le fumate rosse)
5. omesse comunicazioni (...)
6 mancata implementazione del sistema software teso ad eliminare dalle acciaierie il fenomeno dello «slopping»
7. assenza di pavimentazione con asfalto o con cemaento dell'area Irf di gestione scorie (...)
8. mancata adozione di idonee procedure (...) per minimizzare l'impatto sull'ambiente (emissioni in aria)
9. mancata adozione di idonee pratiche di regimazione e di gestione delle acque (regimare:
regolare la portata di un corso d'acqua), per rafreddare e inumidire i cumuli di scorie depositate nelle aree IRF
10. non conformità nella gestione del rifiuto CER 100202 (scorie non trattate) all norme tecniche per la gestione depositi rifiuti (...)
11 . gestione dell'operazione di raffreddamento e trattamento delle paiole ( (grandi contenitori in cui viene versato lo scarto delle acciaierie) in area non specificatamente destinataa tale attività e attrezzata tecnicamente per tali operazioni (...)
A seguito delle sopra elencate violazioni attestate, l'Ispra, d'intesa con Arpa Puglia, ha proceduto ad emettere una diffida nei confronti di Ilva spa affinchè l'azienda si adoperi a garantire in particolare:
l'adozione di «idonee procedure, relative a pratiche operative e gestionali finalizzate a minimizzare le emissioni polvirulente dalla zona di caricamento Irf, come indicato nelle `prescrizioni di carattere generale´ per le emissioni in aria», nonché di trasmettere «un progetto per l’adozione di interventi strutturali di contenimento della polverosita’ nell’area Irf».
la «gestione delle paiole bloccate solo nelle aree di impianto specificatamente destinate a tale finalità», e la «gestione del Cer 100202 esclusivamente in aree attrezzate per deposito rifiuti e rispondenti alle norme tecniche per la gestione medesima».
La risposta alla questione sollevata dall'Associazione Peacelink sulla scarsa trasparenza da parte del Ministero dell'ambiente, realtivamente proprio a questo atto ci lascia perplessi! L’ufficio stampa del dicastero replica all’associazione Peacelink che i documenti relativi all’ispezione di Ispra e Arpa all’Ilva del 10 e 11 settembre scorsi «sono visionabili da giorni sul sito del Ministero dell’Ambiente».
Ci domandiamo: come mai è visionabile il documento solo da "giorni" e non da settimane, considerato il fatto che l'Ilva ha ricevuto il documento (la diffida) in data 25 settembre?
Esattamente - e lo ribadiamo - un mese fa! E loro la chiamano: trasparenza!
La diffida riguarda l'ultima ispezione realizzata nel siderurgico il 10 e 11 settembre dall'Ispra. Il sopralluogo è stato eseguito per verificare lo stato di attuazione degli interventi in relazione alle due precedenti diffide (di giugno e luglio 2013). Il documento indirizzato alla direzione Ilva è stato da questa ricevuto in data 25 settembre 2013 (è passato esattamente un mese ma è di oggi la notizia...!). Nel testo (scaricabile sul sito del ministero in pdf) si legge che l’Ilva ha tempo 30 giorni dalla ricezione della diffida per inviare all’autorità competente il «progetto esecutivo, corredato dal cronoprogramma, degli interventi di pavimentazione impermeabile e di regimazione delle acque dell’area Irf (impianti di recupero del materiale ferroso, ndr), inclusa l’area prospiciente la zona di carico dell’impianto Irf e l’area di stoccaggio del rifiuto prodotto». Questo significa che IL TEMPO è SCADUTO!
11 SONO LE VIOLAZIONI COMMESSE DALL'ILVA ACCERTATE DA ISPRA E ARPA:
1. il perdurare del mancato adeguamento entro il 27.01.2013 dei sistemi di movimentazione dei materiali trasportati via nave tramite l'utilizzo di sistemi di scarico automatico (...)
2. il perdurare del mancato rispetto dei tempi (...) per la chiusura nastri trasportatori e la mancata trasmissione del progetto esecutivo.. (..) - prescrizione 6
3. il perdurare del mancato rispetto dei tempidi attuazione prescrizione 16 (chiusura degli edifici delle aree di gestione dei materiali polverulenti)
4. il superamento del valore di 25 grammi per tonnellata di coke nell’emissione di particolato con il flusso di vapore acqueo in uscita” da quattro torri di spegnimento asservite ad altrettante batterie delle cokerie attualmente in funzione, nonché il persistere del fenomeno di ‘slopping’ (le fumate rosse)
5. omesse comunicazioni (...)
6 mancata implementazione del sistema software teso ad eliminare dalle acciaierie il fenomeno dello «slopping»
7. assenza di pavimentazione con asfalto o con cemaento dell'area Irf di gestione scorie (...)
8. mancata adozione di idonee procedure (...) per minimizzare l'impatto sull'ambiente (emissioni in aria)
9. mancata adozione di idonee pratiche di regimazione e di gestione delle acque (regimare:
regolare la portata di un corso d'acqua), per rafreddare e inumidire i cumuli di scorie depositate nelle aree IRF
10. non conformità nella gestione del rifiuto CER 100202 (scorie non trattate) all norme tecniche per la gestione depositi rifiuti (...)
11 . gestione dell'operazione di raffreddamento e trattamento delle paiole ( (grandi contenitori in cui viene versato lo scarto delle acciaierie) in area non specificatamente destinataa tale attività e attrezzata tecnicamente per tali operazioni (...)
A seguito delle sopra elencate violazioni attestate, l'Ispra, d'intesa con Arpa Puglia, ha proceduto ad emettere una diffida nei confronti di Ilva spa affinchè l'azienda si adoperi a garantire in particolare:
l'adozione di «idonee procedure, relative a pratiche operative e gestionali finalizzate a minimizzare le emissioni polvirulente dalla zona di caricamento Irf, come indicato nelle `prescrizioni di carattere generale´ per le emissioni in aria», nonché di trasmettere «un progetto per l’adozione di interventi strutturali di contenimento della polverosita’ nell’area Irf».
la «gestione delle paiole bloccate solo nelle aree di impianto specificatamente destinate a tale finalità», e la «gestione del Cer 100202 esclusivamente in aree attrezzate per deposito rifiuti e rispondenti alle norme tecniche per la gestione medesima».
La risposta alla questione sollevata dall'Associazione Peacelink sulla scarsa trasparenza da parte del Ministero dell'ambiente, realtivamente proprio a questo atto ci lascia perplessi! L’ufficio stampa del dicastero replica all’associazione Peacelink che i documenti relativi all’ispezione di Ispra e Arpa all’Ilva del 10 e 11 settembre scorsi «sono visionabili da giorni sul sito del Ministero dell’Ambiente».
Ci domandiamo: come mai è visionabile il documento solo da "giorni" e non da settimane, considerato il fatto che l'Ilva ha ricevuto il documento (la diffida) in data 25 settembre?
Esattamente - e lo ribadiamo - un mese fa! E loro la chiamano: trasparenza!
per le valutazioni ambientali
per le valutazioni ambientali
per le valutazioni ambientali
giovedì 24 ottobre 2013
Lettera per documentario Ilva: all'orfano dell'acciaio, cambi destinarario!
All'"orfano dell'acciaio" che si è rivolto prima al Gruppo Riva e
poi, in ultima istanza, dopo il no ricevuto, ad Enrico Bondi con la
speranza che quest'ultimo possa soddisfare la richiesta di veder
realizzato un documentario sull'Ilva, all'interno dell'Ilva, Noi ci
permettiamo di consigliargli di rivolgere il suo appello inascoltato a
qualche sindacato in Ilva rilevante....
Ricordiamo (e se mai ne fosse venuto a conoscenza lo informiamo) che tempo fa, un altro regista, aveva avuto la "brillante" idea di realizzare un film negli stabilimenti del gruppo Riva come il Blog del Comitato per Taranto documentò ampiamente (leggasi qui)
In quel caso il regista in questione, Ferrara per l'esattezza, ricevette non solo il placet della famiglia Riva di poter entrare e fare riprese nello stabilimento Ilva, ma anche un dono di 750 mila euro come raccontò lui stesso in un'intervista ad Holliwood party: " Emilio Riva in persona gli ha "staccato un assegno di 750 mila euro" durante un incontro in cui il regista gli aveva presentato il progetto cinematografico per il film "Guido che sfidò le Brigate Rosse". L'incontro era stato organizzato da un dirigente del sindacato CGIL pugliese che lo aveva rassicurato della "grande volontà di collaborazione e generosità del signor Riva"!
Allora ribadiamo il consiglio: signor "figlio dell'acciaio" non perda tempo con le letterine... si rivolga ai sindacalisti giusti... e vedrà che il suo "documentario" verrà realizzato!
...........................
Sul rifiuto dato dal gruppo Riva al progetto documentaristico all'interno dell'Ilva, non ci stupiamo più di tanto: grazie ai nostri occhi che ogni giorno hanno modo di vedere quello che fuoriesce dall'Ilva... fumi di ogni colore...insani e maleodoranti, e grazie agli studi e ricerche, denunce e condanne, che dimostrano la nocività di quello stabilimento mal gestito, possiamo ben comprendere il perchè non si voglia documentare ciò che succede là dentro. Evidentemente il peggio di quello che possiamo immaginare! Altrimenti la risposta degli amministratori di quell'azienda sarebba stata la stessa di quella dei gestori della miniera di Nuraxi Figus in Sardegna. Alla regista Valentina Pedicini è stato permesso non solo di entrare ma di condividere con i minatori il loro spazio, sopra e sotto la miniera, a 500 m sotto il livello del mare. Perchè non fare altrettanto? perchè sicuramente c'è più di qualcosa da nascondere!
Questa la lettera inviata ad Enrico Bondi:
Egregio dottor Enrico Bondi, chi le scrive è un figlio dell'acciaio. Mio padre, tarantino matricola numero 16, e mia madre, genovese figlia di un genovese che aveva costruito Cornigliano, si sono conosciuti più di quarant'anni fa nello Stabilimento di Taranto. Mio padre l'ho perso a 13 anni, per una malattia non estranea a cause di lavoro.
Vede, avrei avuto buone ragioni per iscrivermi ai movimenti del «chiudiamo tutto». Ma non l'ho fatto. Non l'ho fatto per rispetto della storia della città dove sono nato e, non l'ho fatto perché, quando scrivevo un lavoro teatrale dedicato all'epopea dell'acciaio tarantino, mia madre mi ha detto «tuo padre credeva in quello che faceva». Forza, orgoglio, rispetto per la storia, mi hanno dunque spinto a difendere il diritto di Taranto ad avere nel 2013 un'industria che produce acciaio pulito. L'ho fatto da cittadino e da meridionale innamorato della propria terra, disinteressatamente, da orfano dell'acciaio che ancora conserva il casco bianco di suo padre come ricordo di un grande lavoratore, e questo mi è costato molto in termini personali, per la virulenza e la cattiveria degli attacchi ricevuti da chi mi ha detto di tutto per aver contestato il populismo della paura mascherato dietro le bandiere dell'ambientalismo.
Il motivo di questa lettera aperta, però, è un altro.
Un anno fa ho contattato l'Ilva perché, con il supporto di Rai Cinema, si era avanzata l'idea di realizzare un documentario dentro lo stabilimento di Taranto.
Gli italiani e talvolta anche i tarantini dimenticano che l'Ilva di Taranto è l'ultimo grande insediamento industriale italiano e che Taranto è l'ultima città operaia italiana, avamposto anch'esso in crisi di quel deserto imprenditoriale che il nostro Sud rischia di diventare. Basta questo per rendere l'acciaieria tarantina un luogo strategico e simbolicamente enorme anche dal punto di vista della memoria nazionale, incubatore e testimonianza di un mondo che sta scomparendo appresso alla tradizione industriale italiana.
Per questa ragione, assieme a due tarantini - una scrittrice, Flavia Piccini, un fotografo operaio, Peppe Carucci - e una brava regista, Elisa Fuksas, abbiamo preparato un progetto di documentario in cui intendevamo raccontare una giornata di vita operaia nello Stabilimento «che non chiude mai», ridonando centralità narrativa alla fabbrica, a ciò che accade al suo interno, capovolgendo la narrazione egemone con cui la storia dell'acciaieria è stata proposta nell'ultimo anno e mezzo.
Abbiamo dunque presentato il progetto all'azienda, chiedendo semplicemente l'autorizzazione a effettuare qualche giorno di riprese dentro lo stabilimento. Abbiamo spiegato chiaramente che, a differenza della moda giornalistica dominante, il nostro obiettivo era ed è di tipo documentaristico: osservare, raccontare e, appunto, documentare la vita dentro un gigantesco e strategico insediamento produttivo, vecchio ormai più di cinquant'anni, attraverso volti, voci e storie degli operai, quelli che già Paolo VI definì «invisibili» e che oggi appaiono per lo più insicuri nella propria identità e spaventati rispetto a ciò che il futuro gli riserva. E noi con loro.
Nessuna volontà di andare a caccia di scoop, insomma. Tra l'altro, magari con sensibilità diverse, siamo tutti convinti che la chiusura dell'Ilva a Taranto costituirebbe un disastro non più recuperabile.
La storia del documentario, però, ha avuto vita breve. Dopo un mese intenso di telefonate, trattative, tentativi di persuasione, dopo aver illustrato con chiarezza gli scopi del lavoro che volevano realizzare, ci è stato detto «no», e senza troppi complimenti. Le ragioni di questo diniego, a parte la questione - peraltro risolvibile - del sequestro degli impianti, non ci sono mai state del tutto chiare, a parte la diffidenza ormai strutturale dei consulenti Ilva verso l'ingresso di telecamere in Stabilimento.
Spero che quella fase, e la meccanica di rapporti che l'ha contraddistinta, sia archeologia della storia dell'Ilva. Tutto quello che è successo nell'ultimo anno, a partire dal Suo arrivo e poi da quello di Edo Ronchi, credo abbiano convinto l'Azienda che proseguire in una volontà di nascondimento di ciò che accade all'Ilva rappresenti una strategia sbagliata e non pagante in termini di comunicazione, di efficienza, di responsabilità sociale, di rapporti con il territorio. Penso che l'apertura all'esterno, a un nuovo rapporto con il tessuto sociale tarantino e, in senso lato, con l'opinione pubblica, da Lei perorata, rappresentino una fase nuova e sfidante per il mondo dell'acciaio.
Le trafile burocratiche le abbiamo già attraversate e così scelgo di chiederglielo pubblicamente: dottor Bondi, consenta a un figlio dell'acciaio di raccontare la fabbrica dove, in un certo senso, sono nato anch'io accanto a coils, bramme e tubi. Ma se questo conta poco, permetta finalmente a un gruppo di giovani, animati esclusivamente da un intento documentaristico, di realizzare un lavoro che, a distanza di decenni dai film industriali degli anni Sessanta, può dare il suo buon contributo alla memoria e all'immaginario nazionali. L'Ilva di Taranto, l'acciaio, i suoi lavoratori, i suoi martiri, lo stesso ricordo dei cinquecento lavoratori morti nel Siderurgico dal 1961 a oggi per fare l'acciaio italiano, i tanti dialetti meridionali che si sono incontrati e confusi su quegli impianti, meritano qualcosa di più delle cronache giornalistiche. Sono storia profonda di una terra e di una nazione.
Uno stabilimento si può sequestrare o commissariare; la memoria poderosa e gloriosa che contiene, no.
Attendo una sua risposta, fiducioso (fonte: Il giornale.it)
Ricordiamo (e se mai ne fosse venuto a conoscenza lo informiamo) che tempo fa, un altro regista, aveva avuto la "brillante" idea di realizzare un film negli stabilimenti del gruppo Riva come il Blog del Comitato per Taranto documentò ampiamente (leggasi qui)
In quel caso il regista in questione, Ferrara per l'esattezza, ricevette non solo il placet della famiglia Riva di poter entrare e fare riprese nello stabilimento Ilva, ma anche un dono di 750 mila euro come raccontò lui stesso in un'intervista ad Holliwood party: " Emilio Riva in persona gli ha "staccato un assegno di 750 mila euro" durante un incontro in cui il regista gli aveva presentato il progetto cinematografico per il film "Guido che sfidò le Brigate Rosse". L'incontro era stato organizzato da un dirigente del sindacato CGIL pugliese che lo aveva rassicurato della "grande volontà di collaborazione e generosità del signor Riva"!
Allora ribadiamo il consiglio: signor "figlio dell'acciaio" non perda tempo con le letterine... si rivolga ai sindacalisti giusti... e vedrà che il suo "documentario" verrà realizzato!
...........................
Sul rifiuto dato dal gruppo Riva al progetto documentaristico all'interno dell'Ilva, non ci stupiamo più di tanto: grazie ai nostri occhi che ogni giorno hanno modo di vedere quello che fuoriesce dall'Ilva... fumi di ogni colore...insani e maleodoranti, e grazie agli studi e ricerche, denunce e condanne, che dimostrano la nocività di quello stabilimento mal gestito, possiamo ben comprendere il perchè non si voglia documentare ciò che succede là dentro. Evidentemente il peggio di quello che possiamo immaginare! Altrimenti la risposta degli amministratori di quell'azienda sarebba stata la stessa di quella dei gestori della miniera di Nuraxi Figus in Sardegna. Alla regista Valentina Pedicini è stato permesso non solo di entrare ma di condividere con i minatori il loro spazio, sopra e sotto la miniera, a 500 m sotto il livello del mare. Perchè non fare altrettanto? perchè sicuramente c'è più di qualcosa da nascondere!
Questa la lettera inviata ad Enrico Bondi:
Egregio dottor Enrico Bondi, chi le scrive è un figlio dell'acciaio. Mio padre, tarantino matricola numero 16, e mia madre, genovese figlia di un genovese che aveva costruito Cornigliano, si sono conosciuti più di quarant'anni fa nello Stabilimento di Taranto. Mio padre l'ho perso a 13 anni, per una malattia non estranea a cause di lavoro.
Vede, avrei avuto buone ragioni per iscrivermi ai movimenti del «chiudiamo tutto». Ma non l'ho fatto. Non l'ho fatto per rispetto della storia della città dove sono nato e, non l'ho fatto perché, quando scrivevo un lavoro teatrale dedicato all'epopea dell'acciaio tarantino, mia madre mi ha detto «tuo padre credeva in quello che faceva». Forza, orgoglio, rispetto per la storia, mi hanno dunque spinto a difendere il diritto di Taranto ad avere nel 2013 un'industria che produce acciaio pulito. L'ho fatto da cittadino e da meridionale innamorato della propria terra, disinteressatamente, da orfano dell'acciaio che ancora conserva il casco bianco di suo padre come ricordo di un grande lavoratore, e questo mi è costato molto in termini personali, per la virulenza e la cattiveria degli attacchi ricevuti da chi mi ha detto di tutto per aver contestato il populismo della paura mascherato dietro le bandiere dell'ambientalismo.
Il motivo di questa lettera aperta, però, è un altro.
Un anno fa ho contattato l'Ilva perché, con il supporto di Rai Cinema, si era avanzata l'idea di realizzare un documentario dentro lo stabilimento di Taranto.
Gli italiani e talvolta anche i tarantini dimenticano che l'Ilva di Taranto è l'ultimo grande insediamento industriale italiano e che Taranto è l'ultima città operaia italiana, avamposto anch'esso in crisi di quel deserto imprenditoriale che il nostro Sud rischia di diventare. Basta questo per rendere l'acciaieria tarantina un luogo strategico e simbolicamente enorme anche dal punto di vista della memoria nazionale, incubatore e testimonianza di un mondo che sta scomparendo appresso alla tradizione industriale italiana.
Per questa ragione, assieme a due tarantini - una scrittrice, Flavia Piccini, un fotografo operaio, Peppe Carucci - e una brava regista, Elisa Fuksas, abbiamo preparato un progetto di documentario in cui intendevamo raccontare una giornata di vita operaia nello Stabilimento «che non chiude mai», ridonando centralità narrativa alla fabbrica, a ciò che accade al suo interno, capovolgendo la narrazione egemone con cui la storia dell'acciaieria è stata proposta nell'ultimo anno e mezzo.
Abbiamo dunque presentato il progetto all'azienda, chiedendo semplicemente l'autorizzazione a effettuare qualche giorno di riprese dentro lo stabilimento. Abbiamo spiegato chiaramente che, a differenza della moda giornalistica dominante, il nostro obiettivo era ed è di tipo documentaristico: osservare, raccontare e, appunto, documentare la vita dentro un gigantesco e strategico insediamento produttivo, vecchio ormai più di cinquant'anni, attraverso volti, voci e storie degli operai, quelli che già Paolo VI definì «invisibili» e che oggi appaiono per lo più insicuri nella propria identità e spaventati rispetto a ciò che il futuro gli riserva. E noi con loro.
Nessuna volontà di andare a caccia di scoop, insomma. Tra l'altro, magari con sensibilità diverse, siamo tutti convinti che la chiusura dell'Ilva a Taranto costituirebbe un disastro non più recuperabile.
La storia del documentario, però, ha avuto vita breve. Dopo un mese intenso di telefonate, trattative, tentativi di persuasione, dopo aver illustrato con chiarezza gli scopi del lavoro che volevano realizzare, ci è stato detto «no», e senza troppi complimenti. Le ragioni di questo diniego, a parte la questione - peraltro risolvibile - del sequestro degli impianti, non ci sono mai state del tutto chiare, a parte la diffidenza ormai strutturale dei consulenti Ilva verso l'ingresso di telecamere in Stabilimento.
Spero che quella fase, e la meccanica di rapporti che l'ha contraddistinta, sia archeologia della storia dell'Ilva. Tutto quello che è successo nell'ultimo anno, a partire dal Suo arrivo e poi da quello di Edo Ronchi, credo abbiano convinto l'Azienda che proseguire in una volontà di nascondimento di ciò che accade all'Ilva rappresenti una strategia sbagliata e non pagante in termini di comunicazione, di efficienza, di responsabilità sociale, di rapporti con il territorio. Penso che l'apertura all'esterno, a un nuovo rapporto con il tessuto sociale tarantino e, in senso lato, con l'opinione pubblica, da Lei perorata, rappresentino una fase nuova e sfidante per il mondo dell'acciaio.
Le trafile burocratiche le abbiamo già attraversate e così scelgo di chiederglielo pubblicamente: dottor Bondi, consenta a un figlio dell'acciaio di raccontare la fabbrica dove, in un certo senso, sono nato anch'io accanto a coils, bramme e tubi. Ma se questo conta poco, permetta finalmente a un gruppo di giovani, animati esclusivamente da un intento documentaristico, di realizzare un lavoro che, a distanza di decenni dai film industriali degli anni Sessanta, può dare il suo buon contributo alla memoria e all'immaginario nazionali. L'Ilva di Taranto, l'acciaio, i suoi lavoratori, i suoi martiri, lo stesso ricordo dei cinquecento lavoratori morti nel Siderurgico dal 1961 a oggi per fare l'acciaio italiano, i tanti dialetti meridionali che si sono incontrati e confusi su quegli impianti, meritano qualcosa di più delle cronache giornalistiche. Sono storia profonda di una terra e di una nazione.
Uno stabilimento si può sequestrare o commissariare; la memoria poderosa e gloriosa che contiene, no.
Attendo una sua risposta, fiducioso (fonte: Il giornale.it)
mercoledì 23 ottobre 2013
Mettiamo le ali!
I GIOVANI, GLI STUDENTI: IL FUTURO DI TARANTO
la protesta degli studenti di Taranto |
Manifestazione del 26 ottobre
In questa era digitale dove i
megabyte, i minuti, i secondi fanno la differenza, dove bisogna prendere al
volo le occasioni, dove l’orizzonte lavorativo e professionale per i giovani,
non è più la città o la provincia, o l’Italia stessa, ma è diventato il mondo
intero, non possiamo, qui a Taranto essere ancora ai tempi delle diligenze e
delle carrozze. Qui a Taranto abbiamo una carenza di mobilità che è
paragonabile ad alcuni paesi del 3° mondo. Taranto,
importantissima città del Sud, 1ª
nel P.I.L., non può avere questo deficit.
I nostri giovani devono potersi
muovere in piena libertà, devono poter afferrare le opportunità che capitano,
alle quali bisogna rispondere con tempestività, spostandosi agevolmente e
celermente in Italia, in Europa, nel mondo. L’accessibilità di un territorio,
da soprattutto ai giovani, la possibilità d’interfacciarsi con altre culture di
conoscere gente, luoghi, di toccare con mano ciò che si studia sui libri.
L’aeroporto di Taranto è una
enorme infrastruttura (pienamente funzionante) 1ª pista in Puglia, 5ª
in Italia che ogni settimana vede atterrare i giganti della Boeing 787 per
caricare le fusoliere prodotte nell’Alenia, e riportarle negli USA. Questo
aeroporto per volontà della Regione Puglia, viene tenuto inattivo per ciò che
riguarda i voli passeggeri, per non
danneggiare le manie di grandezza di Bari e Brindisi.
Tutto ciò provoca un grosso danno
all’economia tarantina e allo sviluppo alternativo del futuro di Taranto troppo
legato alla monocultura dell’acciaio, e ai nostri giovani che subiscono questo
blocco imposto per ragioni di becero
profitto ai danni di Taranto.
Pagina manifestazione facebook: https://www.facebook.com/events/451356588313993/?fref=ts
LeAli per Taranto, Mimmo De Padova 328-6546473 mimmodepadova@libero.it
martedì 22 ottobre 2013
Ilva: la corte dei diritti umani indagherà sul caso Taranto
STRASBURGO - Dopo Bruxelles anche Strasburgo decide di investigare sugli
effetti che le emissioni dell'Ilva avrebbero sulla salute degli
abitanti di Taranto. La Corte europea dei diritti umani ha infatti reso
noto di aver giudicato, in via preliminare, ricevibile il ricorso
presentato dai familiari di Giuseppina Smaltini, morta di leucemia il 21
dicembre scorso.
Nel ricorso i familiari sostengono che la malattia della donna e' stata causata dalle emissioni prodotte dall'Ilva. Nel comunicare al governo italiano la ricezione del ricorso, la Corte di Strasburgo chiede a Roma di dimostrare di aver fatto quanto doveva e poteva per accertare che non ci fosse alcun nesso tra le emissioni della fabbrica siderurgica e la leucemia che ha ucciso Giuseppina Smaltini. La donna, ammalatasi nel 2006, aveva presentato una denuncia alla procura di Taranto contro l'Ilva che riteneva responsabile della sua leucemia. Ma per ben due volte la procura ha deciso di rigettare il suo ricorso ritenendo le prove di un nesso tra emissioni e malattia insufficienti. Secondo il marito e i due figli della Smaltini le indagini della procura non sono state condotte adeguatamente.
Inoltre nel ricorso viene sostenuto che essendoci invece un nesso tra le emissioni dell'Ilva e il tasso di malati di cancro a Taranto, lo Stato ha violato il diritto alla vita di Giuseppina Smaltini.
I giudici di Strasburgo vogliono quindi ora sapere quali dati avesse a disposizione la magistratura di Taranto quando esaminò la denuncia e se le indagini sono state condotte con la dovuta attenzione. Inoltre la Corte chiede se lo Stato abbia fatto tutto quanto in suo potere per proteggere la salute e quindi la vita della donna. (ansa)
gli altri articoli:La repubblica.it
STRASBURGO - Dopo Bruxelles - con la procedura d'infrazione avviata sul caso Ilva e la Commissione Ue che si aspetta una replica delle autorità italiane ''entro fine novembre'' - anche Strasburgo decide di investigare sugli effetti che le emissioni dell'Ilva avrebbero sulla salute degli abitanti di Taranto, mentre gli ambientalisti continuano la battaglia contro i ritardi dell'adempimento dei dettati dell'Aia, l'autorizzazione ambiantale integrata. Lo fanno con un nuovo video diffuso da Peacelink sui fumi e le polveri del siderurgico.
GUARDA IL VIDEO DELLE EMISSIONI
(...)
Nel ricorso i familiari sostengono che la malattia della donna e' stata causata dalle emissioni prodotte dall'Ilva. Nel comunicare al governo italiano la ricezione del ricorso, la Corte di Strasburgo chiede a Roma di dimostrare di aver fatto quanto doveva e poteva per accertare che non ci fosse alcun nesso tra le emissioni della fabbrica siderurgica e la leucemia che ha ucciso Giuseppina Smaltini. La donna, ammalatasi nel 2006, aveva presentato una denuncia alla procura di Taranto contro l'Ilva che riteneva responsabile della sua leucemia. Ma per ben due volte la procura ha deciso di rigettare il suo ricorso ritenendo le prove di un nesso tra emissioni e malattia insufficienti. Secondo il marito e i due figli della Smaltini le indagini della procura non sono state condotte adeguatamente.
Inoltre nel ricorso viene sostenuto che essendoci invece un nesso tra le emissioni dell'Ilva e il tasso di malati di cancro a Taranto, lo Stato ha violato il diritto alla vita di Giuseppina Smaltini.
I giudici di Strasburgo vogliono quindi ora sapere quali dati avesse a disposizione la magistratura di Taranto quando esaminò la denuncia e se le indagini sono state condotte con la dovuta attenzione. Inoltre la Corte chiede se lo Stato abbia fatto tutto quanto in suo potere per proteggere la salute e quindi la vita della donna. (ansa)
gli altri articoli:La repubblica.it
STRASBURGO - Dopo Bruxelles - con la procedura d'infrazione avviata sul caso Ilva e la Commissione Ue che si aspetta una replica delle autorità italiane ''entro fine novembre'' - anche Strasburgo decide di investigare sugli effetti che le emissioni dell'Ilva avrebbero sulla salute degli abitanti di Taranto, mentre gli ambientalisti continuano la battaglia contro i ritardi dell'adempimento dei dettati dell'Aia, l'autorizzazione ambiantale integrata. Lo fanno con un nuovo video diffuso da Peacelink sui fumi e le polveri del siderurgico.
GUARDA IL VIDEO DELLE EMISSIONI
(...)
Lo spettacolo continua!
Clini: non sono uomo dell'Ilva
La Gazzetta del Mezzogiorno, nell’agosto 2012 in un
articolo a firma Mimmo Mazza aveva scritto che, secondo
un’intercettazione telefonica agli atti della Procura di Taranto, io
sarei stato un «uomo dell’Ilva».
Notizia smentita qualche ora dopo con un comunicato
della Procura della Repubblica di Taranto, ma che continua a girare,
incurante della smentita, sul web e sulla stampa.
Sabato, in un articolo ancora a firma di Mazza sulla più
volte preannunciata chiusura dell’inchiesta Ilva, si afferma che io
sarei corresponsabile, in quanto direttore generale del ministero,
dell’AIA rilasciata il 4 agosto 2011, oggetto dell’indagine appena
conclusa con, apprendo da voi, 50 indagati.
Come ho avuto ripetutamente modo di chiarire, e come
risulta dagli atti che sono pubblici e consultabili, io non ho avuto
alcun ruolo nella procedura dell’Aia del 4 agosto 2011 in quanto la mia
direzione, una delle 5 in cui si articola il Ministero dell’Ambiente,
non si occupa di Aia. Al contrario ne ho criticato i contenuti, in
contrasto con la direttiva europea Ippc che ha stabilito gli obiettivi
delle Autorizzazioni Integrate Ambientali; il metodo «consociativo» con
il quale è stata predisposta; i tempi per il rilascio, superiori di 10
volte a quelli stabiliti dalla legge.
In particolare, nella mia audizione del 16 luglio 2013
alla X Commissione del Senato, ho messo in rilievo che l’Aia del 4
agosto 2011 rappresenta «l’esito di una procedura scarsamente motivata
sul piano tecnico, e caratterizzata da un compromesso “politico” tra la
resistenza dell’impresa ad assumere impegni in linea con le migliori
tecnologie disponibili e le istanze degli enti locali e delle
associazioni ambientaliste in gran parte non sostenibili sul piano della
fattibilità tecnica e giuridica. Questo è il contesto nel quale si
collocano, e si comprendono, le positive dichiarazioni con le quali le
autorità competenti hanno accolto l’Aia del 4 agosto 2011 (di cui è
disponibile un’ampia rassegna stampa)».
E a questo proposito la Gazzetta del Mezzogiorno
potrebbe ricordare ai suoi lettori in particolare le soddisfatte
dichiarazioni di allora dell’assessore all’ambiente, Nicastro, e del
direttore generale dell’Arpa Puglia, Giorgio Assennato.
Io mi sono assunto la responsabilità di modificare l’Aia
del 4 agosto 2011, applicando rigorosamente la direttiva europea. Dopo
un’istruttoria di 6 mesi, il 26 ottobre 2012, ho rilasciato la nuova Aia
con prescrizioni finalizzate alla rimozione di tutti i fattori di
rischio individuati nell’area a caldo dello stabilimento. Gli interventi
previsti dovevano essere attuati in un arco temporale massimo di 36
mesi.
Il 15 novembre 2012 Ilva ha accettato le prescrizioni e
presentato il piano degli interventi per dare attuazione alla nuova Aia.
In questo modo la procedura si è completamente allineata alla direttiva
europea, perché Aia è diventata il documento di riferimento assunto
dall’impresa per la riqualificazione ambientale degli impianti.
Il sequestro dei prodotti finiti il 26 novembre 2012 ha
aperto un conflitto della Procura e del Gip contro l’amministrazione. La
Corte Costituzionale il 9 aprile 2013 ha pienamente riconosciuto la
legittimità della azione dell’amministrazione, ma intanto erano
trascorsi mesi preziosi per un’impresa che deve competere nei mercati
internazionali, e tutto è diventato più difficile.
Se si fosse seguita la via maestra indicata dall’Aia del
26 ottobre 2012, oggi Ilva sarebbe un cantiere aperto per la
realizzazione di interventi tecnologici e gestionali basati sui nuovi
standard europei per la siderurgia.
Vorrei ancora ricordare al vostro giornalista che
l’avvio dei lavori per il risanamento ambientale di Taranto, di cui ha
scritto sul giornale nell’edizione odierna (ieri, ndr), avviene oggi
grazie all’iniziativa che ho assunto il 26 luglio del 2012 con il
Protocollo per la riqualificazione ambientale di Taranto. Ho assunto
l’iniziativa per superare gli scandalosi ritardi e le inadempienze
rispetto agli impegni della Regione Puglia per Taranto. In particolare
vale la pena di ricordare che le risorse stanziate per il risanamento
del quartiere Tamburi (49,4 milioni ?) il 3 luglio 2007, sulla base di
un progetto di Regione e Comune, erano state successivamente destinate
ad altri progetti con una deliberazione della giunta regionale del 2
ottobre 2007. Questo per la verità storica. (GdM)
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