Gli accordi internazionali prevedono che nessun paese può sfruttare le risorse minerarie dell'Antartide. Si possono soltanto condurre ricerche scientifiche. Ma ora sull'unico continente ancora vergine del pianeta si sta aprendo una nuova partitaSe l'Italia impiegasse la stessa energia con cui si è prodigata per ottenere una poltrona in più in Europa nell'occupare strategicamente le zone chiave del futuro del mondo, forse non avrebbe bisogno di vittorie formali per conservare il rango internazionale di paese leader. L'Inghilterra si sta preparando, secondo recenti indiscrezioni del 'Guardian', a rivendicare oltre un milione di chilometri quadrati di territorio dell'Antartide, il sesto e meno conosciuto continente del mondo. La Russia (che ha presentato alle Nazioni Unite una rivendicazione sull'Artico simile a quella britannica sull'Antartico) e il Canada hanno passato l'estate a litigare a colpi di prima pagina su chi avrebbe diritto a considerare il polo Nord casa propria. I cinesi hanno annunciato l'apertura di una terza, innovativa base scientifica in prossimità del Polo Sud. E, intanto, migliaia di scienzati guidati da paesi come Stati Uniti, Australia, Francia e Germania hanno messo a punto quest'anno il più ambizioso programma scientifico focalizzato su Artide e Antartide degli ultimi cinquant'anni.
Per tutta risposta, il governo italiano ha ridotto il budget 2007-2008 per la missione nell'Antartico a 10 milioni di euro (a cui sono stati aggiunti 3,8 milioni avanzati dagli anni precedenti): un terzo rispetto a due anni fa e circa il 2 per cento del budget stanziato dagli Usa e il 15 per cento di quello britannico. I soldi basteranno a evitare che la nostra base scientifica Mario Zucchelli crolli a pezzi, consumata dai meno 80 gradi dell'inverno più freddo del mondo e a inviare una decina di uomini (tra tecnici e ricercatori) a Concordia, la base italo-francese nata nel 2002 sul Dome C, a 1.200 chilometri dalla costa, ma non certo a mettere la firma su un qualsiasi progetto di ricerca italiano. Non solo. Il nostro Paese non ha avuto fino al primo ottobre una commissione scientifica sull'Antartide, l'organo che valuta e autorizza i progetti degli scienziati italiani. "Nessun nuovo progetto è stato autorizzato. Possiamo solo fare manutenzione e andare a riprendere gli scienziati che hanno passato l'inverno a Concordia", spiega Antonino Cucinotta, direttore del Consorzio per l'attuazione del programma nazionale di ricerca.
Eppure il primo marzo di quest'anno si è aperto l'Anno Polare Internazionale (www.ipy.org), un biennio in cui gli scienziati di mezzo mondo conducono ricerche coordinate ai due poli, a cui l'Italia aveva annunciato nel 2002 di aderire con entusiasmo. Non è un avvenimento da poco. Questa è solo la quarta volta negli ultimi 125 anni che le nazioni si accordano per organizzare dei programmi di esplorazione e ricerca scientifica agli estremi del mondo. La prima volta accadde nel 1882 da un'idea dell'esploratore austriaco Karl Weyprecht, che si rese conto dell'impossibilità per un singolo paese di monitorare da solo i fenomeni geofisici mondiali. Durante il secondo anno polare, promosso dall'Organizzazione metereologica internazionale nel 1932, 40 paesi collaborarono per creare 40 punti di osservazione scientifica in Antartide. Gli americani furono i primi a costruire una stazione lontana dalla costa e attiva anche in inverno. Il mondo si riunì ancora una volta per ragionare sul da farsi del nostro futuro nel 1957, in occasione dell'Anno geofisico internazionale, nato per celebrare il 75esimo e il 25esimo anniversario dell'Anno polare. Per la prima volta fu misurata la massa di giaccio del continente antartico, venne confermata l'allora controversa teoria della tettonica a zolle e si ottenne un fondamentale risultato politico: la ratifica, nel 1959, del Trattato antartico, in vigore dal 1961, con cui i 45 paesi aderenti congelano la delicata questione delle pretese territoriali, istituendo per 50 anni (fino al 2011) un sistema giuridico che rende il Continente Bianco 'patrimonio dell'umanità'. Il Trattato ha anche l'obiettivo di promuovere la ricerca scientifica attraverso la cooperazione internazionale e lo scambio di informazioni, favorire gli usi pacifici del territorio e, punto oggi fondamentale, tutelare la conservazione delle risorse naturali e il rispetto dell'ambiente.
Purtroppo congelare non vuol dire risolvere. La questione della sovranità sull'Antartico venne affrontata di nuovo nel 1989 a Wellington, quando fu stipulata una convenzione che regolava lo sfruttamento delle risorse minerarie del continente più a sud del mondo. Non è mai entrata in vigore a causa di disaccordi tra i paesi ratificanti. A mitigare l'insuccesso del 1989 ci ha però pensato l'accordo sulla Protezione ambientale in Antartide siglato nel 1991 a Madrid che, oltre a regolare il trattamento dei rifiuti e la conservazione dell'ecosistema, ha avuto il merito di bandire lo sfruttamento minerario del Polo Sud fino al 2048, mettendo a riposo, nelle intenzioni, qualsiasi ripensamento sulla bontà del trattato. Fino a oggi. La rivendicazione territoriale inglese apre un nuovo capitolo dell'avventura antartica perché contravviene per la prima volta allo spirito del trattato del 1959 che ha dato il sesto continente 'in gestione' all'umanità per fare progredire le conoscenze scientifiche senza alterare l'ecosistema del continente.
Adesso che il riscaldamento globale sta sciogliendo i ghiacci a una velocità mai registrata prima, e le risorse mondiali di energia fino a qui utilizzate sono in via di estinzione, perfino i tesori nascosti sotto quattro chilometri di ghiaccio diventano appetibili, se visti con un occhio al domani. L'Antartide potrebbe, come la regione del polo Nord, contenere giacimenti immensi di gas naturale e petrolio, in grado di garantire la ricchezza delle nazioni tra mezzo secolo, quando le falde petrolifere potrebbero essersi ormai svuotate. L'Inghilterra, rifacendosi ai suoi confini antartici del 1908, si è appellata alla convenzione dell'Onu sulla Legge del mare del 1994 (come la Russia la scorsa estate), secondo cui i paesi che si affacciano sugli oceani possono reclamare 612 chilometri di fondale continentale dalle proprie coste e hanno il diritto di cercare petrolio e gas. Ma all'inizio del secolo scorso, prima delle guerre mondiali e delle Nazioni Unite, l'Inghilterra non era l'unico Stato ad avere ambizioni espansionistiche. Il timore ora è che anche gli altri paesi con aspirazioni territoriali fondate sul loro ruolo esplorativo o sulla vicinanza geografica - Australia, Nuova Zelanda, Cile, Argentina, Francia e Norvegia - non vogliano restare a guardare. E che alla cooperazione scientifica internazionale di questi mesi sia opposta la competizione militare nazionale.
Per il momento, Inghilterra in testa (la sede del comitato esecutivo dell'Anno polare artico è a Cambridge), 50 mila scienziati di tutto il mondo sono al lavoro. Gli Stati Uniti hanno stanziato un budget di 438 milioni di dollari per il loro programma polare, di cui 68 soltanto destinati alla logistica delle operazioni in Antartide. "Studiando il passato congelato sotto la calotta di ghiaccio, dove si trovano fiumi, laghi e foreste, saremo in grado di prevedere il futuro", spiega Lucia Sala Simion, una divulgatrice scientifica appassionata di Antartide che ha redatto il libro da cui sono estratte le foto di questo reportage. Il polo Nord e il polo Sud sono le prime vittime dei cambiamenti climatici. Nella Penisola antartica, una frazione dell'intero continente, ad esempio, il riscaldamento dell'atmosfera è molto più rapido che in qualunque altra parte del mondo: 2,5 centigradi in più negli ultimi 50 anni. "Ci sono piante che prima non esistevano", sottolinea Simion, e i pinguini di Adelia, che vivono in simbiosi con la banchisa, cibandosi di crostacei e gamberetti, si stanno spostando più a sud, seguiti dai pinguini imperatore, alla ricerca di terre più fredde, mentre le loro vecchie colonie vengono lentamente popolate da altre speci di pinguini, abituati a temperature più alte.
Tra pinguini e freddo cosmico si lavora per determinare lo stato ambientale attuale ai poli e le interazioni tra i vertici e il resto del mondo, per quantificare i cambiamenti passati in modo da riuscire a predirre quelli futuri, e per testare, in un ambiente ancora praticamente vergine, le ultime teorie scientifiche. Nella speranza che il più grande laboratorio del mondo, questa lastra bianca grande una volta e mezza l'Europa, a 16 mila chilometri dall'Italia, rimanga anche per i nostri figli 'patrimonio dell'umanità'.
di Federica Bianchi
Da L'Espresso del 1 novembre 2007, n. 43 anno LIII, pp. 124-134
(l'immagine "Banchisa"è stata tratta dal sito de L'Espresso )
giovedì 8 novembre 2007
Da L'Espresso: La vita a meno 80 gradi
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