giovedì 15 novembre 2007

Ambiente e territorio : La battaglia per il bello

LA REPUBBLICA - Ambiente e territorio : La battaglia per il bello
15.11.2007
FRANCESCO RUTELLI
CARO Direttore, proprio sicuro, mi chiedono, che la colpa dei guasti al paesaggio italiano debba cadere sui geometri? Certo che no. Le colpe sono larghissime. Il mio intervento all’Assemblea del Fondo per l’Ambiente Italiano – se il problema fosse solo di offrire spunto per titoli ai giornali – si sarebbe potuto riferire polemicamente verso gli architetti. O verso i sindaci e le commissioni edilizie dei Comuni, le Regioni e i loro mancati piani paesistici, i legislatori degli ultimi 50 anni, una committenza pubblica e privata quasi sempre assente nelle strategie. Ma è evidente che ci troviamo di fronte a un fallimento generale; e poiché la soluzione da trovare è ambiziosa e molto difficile, cerchiamo di uscire dai luoghi comuni. Da oltre un anno sto conducendo una battaglia per la tutela del paesaggio, di cui ho indicato i tre maggiori nemici nella crescita formidabile dei valori immobiliari (che rende remunerativo qualsiasi intervento edificatorio in ogni angolo del paese), nella confusione dei poteri e mancanza di programmazione delle trasformazioni del territorio, nella cattiva qualità delle progettazioni. E’ evidente che i geometri italiani sono una categoria piena di sobrie e serie qualificazioni tecniche (io per primo le ho apprezzate, in molti campi, nella esperienza da Sindaco); ma nessuno potrà negare che moltissime costruzioni mono-bi-trifamiliari realizzate in ogni parte d’Italia dagli anni ’60 – spesso con poca attenzione a tipologie storicizzate e alla scelta dei materiali – e centinaia di migliaia di pratiche di condono edilizio portino anche quelle firme. Gli architetti hanno perso la madre di tutte le battaglie: quella di imporre la qualità del progetto come condizione culturale e civile – non solo intellettuale o professionale – del dibattito pubblico sul volto dell’Italia contemporanea. La gran parte delle amministrazioni comunali si è regolata perché a dominare le trasformazioni urbane – nell’Italia profonda soffriamo il male di Villettopoli, ma nelle città viviamo il disastro dell’edilizia di periferia – fosse la quantità (i metri cubi, i metri quadri) piuttosto che rendere “conveniente” la qualità delle realizzazioni e realizzare attrezzature capaci di migliorare la vita nelle città. Le Regioni hanno combattuto solo in alcuni casi l’abusivismo; e solo raramente hanno programmato e governato le trasformazioni del paesaggio. Governi e Parlamento non hanno varato adeguate leggi per l’urbanistica, né per l’architettura; le pubbliche amministrazioni non hanno inserito il design nella programmazione di funzioni, servizi, infrastrutture. La categoria più attiva nel campo delle opere pubbliche è divenuta quella degli avvocati, le opere pubbliche più diffuse essendo i contenziosi amministrativi e le liti giudiziarie. Costruttori e developer hanno raccolto negli ultimi anni l’oro delle città (le rendite), ma raramente lo hanno reinvestito per migliorare le città stesse. Nonostante abbia sviluppato capacità di tutelare e valorizzare il patrimonio antico molto meglio che nel passato, la Bella Italia è diventata generalmente più brutta? Dunque, siamo al punto. E’ un punto di non ritorno: i programmi di edificazione previsti e prevedibili possono fare irreversibilmente male al Paese. Io ho proposto una strategia precisa: riformare il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, per rendere obbligatoria la copianificazione tra lo Stato (che ha il potere esclusivo della tutela del paesaggio) e le Regioni (che debbono elaborare i piani); i risultati della Commissione presieduta da Salvatore Settis attendono in queste ore una risposta di collaborazione da parte delle Regioni. Inasprire le sanzioni per le ferite illegali al paesaggio (da 6 mesi c’è un ddl in Parlamento). Un impegno di tutti non solo del centrosinistra, perché non vi siano mai più condoni edilizi; un monitoraggio accorto per impedire scempi e realizzazioni orribili (le Soprintendenze, senza alcun fondamentalismo, hanno fermato decine di programmi insensati; abbiamo disposto alcune demolizioni esemplari di “eco-mostri” già costruiti). E’ in rete il Sitap, il sistema informativo dei Beni Culturali che descrive i vincoli sull’intero territorio nazionale. Intendiamo promuovere nuova qualità della progettazione, della formazione, dell’organizzazione pubblica. Stiamo incentivando, pur con pochi mezzi, concorsi di architettura e riqualificazioni del paesaggio stressato. In termini generali, le grandi trasformazioni debbono riguardare innanzitutto le aree grigie come ha scritto Richard Rogers, ovvero il territorio compromesso e da riqualificare, piuttosto che il sempre più scarso territorio integro. Soprattutto, è tempo di aprire un dibattito costruttivo e propositivo perché l’Italia del XXI secolo – la società italiana, non solo gli intellettuali, i tecnici, i politici – condivida la sfida della tutela e della trasformazione di qualità del paesaggio italiano come la prima e più importante causa culturale per cui valga la pena di impegnarci, se vogliamo che il destino delle “belle contrade” non sia memoria passata, ma messaggio al mondo e banco di prova dell’Italia contemporanea.

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