venerdì 25 settembre 2015

Scempio rimandato

Total taglia gli investimenti e sacrifica Tempa Rossa


Tra le vittime del crollo del petrolio c’è anche Tempa Rossa. Lo sviluppo del giacimento in Basilicata è rimasto vittima dei tagli agli investimenti da parte di Total, che lo sta sviluppando - tra mille polemiche da parte degli ambientalisti - insieme a Royal Dutch Shell e Mitsui. Il progetto, ha detto la compagnia francese durante una presentazione agli investitori a Londra, è rinviato a dopo il 2017, insieme ad altri due, quello di Ichtthys in Australia e quello di Martin Linge in Norvegia.
La giustificazione ufficiale è la persistente debolezza del prezzo del barile, che rimane tuttora sotto 50 dollari. Non si può tuttavia escludere che la mannaia sia caduta proprio su Tempa Rossa anche per le lungaggini autorizzative che ne hanno ritardato lo sviluppo fin dalla sua scoperta, nel 1989 Gli ostacoli sono legati soprattutto alla realizzazione della “base logistica” nel porto di Taranto, che comprende l'ampliamento del pontile petroli della raffineria Eni e i serbatoi di stoccaggio, indispensabili per commercializzare la produzione del giacimento, che dovrebbe arrivare a regime a 50mila barili di petrolio e 230mila metri cubi di gas naturale al giorno.
Come le altre major, anche Total aveva già tagliato drasticamente gli investimenti per far fronte al crollo del petrolio. Ma di fronte alla persistente debolezza dei prezzi ha deciso di intervenire anche sulle attività in programma nei prossimi anni, a costo di rallentare la crescita della produzione, dall’attuale 6-7% - un tasso particolarmente robusto in confronto a quello dei concorrenti - all’1-2% l’anno a partire dal 2019.
Tempa Rossa, per cui erano stimati 1,6 miliardi di dollari di investimenti, non è certo il progetto più oneroso per Total. Ma è finita comunque nella tagliola della compagnia francese, che ridurrà il capex a non più di 20-21 miliardi di dollari, il 15% in meno rispetto a quest’anno e quasi il 30% in meno rispetto al picco di 28 miliardi del 2013, e nel 2017 scenderà ancora, a 17-19 miliardi. A quel punto l’impatto sulla produzione comincerà a manifestarsi: il target è già stato ridotto da 2,8 a 2,6 milioni di barili al giorno.
«Ci prepariamo ad affrontare un lungo periodo di prezzi bassi per il petrolio», ha spiegato il direttore finanziario Patrick de la Chévardière, assicurando che le misure adottate consentiranno a Total di difendere il dividendo, arrivando al break even anche con il barile a 60 dollari, senza bisogno di assumere nuovi debiti.
Il greggio al momento non vale neppure 50 $/barile. Ieri il Brent era riuscito a tornare brevemente sopra questa soglia, ma ha finito col chiudere in ribasso del 2,7% a 47,75 $. Ancora peggio è andata al Wti, giù del 4,1% a 44,48 $ nonostante le scorte di greggio Usa abbiano mostrato un forte calo per la seconda settimana consecutiva (-1,9 milioni di barili, ma accompagnati da un accumulo di 1,4 mb per le benzine).
Alle attuali quotazioni, secondo Wood Mackenzie, 1.500 miliardi di dollari di potenziali investimenti nel settore petrolifero rischiano di rimanere sulla carta perché non garantirebbero un ritorno economico. Finora ne sono stati cancellati “solo” per 220 miliardi, dunque non stupirebbe se l’esempio di Total fosse seguito anche da altre compagnie. Quest’anno sla paralisi sul fronte investimenti è già quasi totale: solo mezza dozzina di nuovi progetti hanno ottenuto via libera quest’anno, osserva la società di consulenza, contro una media annuale di 50-60.
A forte rischio sono in particolare i progetti nello shale oil, per cui i finanziamenti si stanno riducendo. Un sondaggio dello studio legale americano Haynes and Boone tra operatori di società petrolifere e banche ha evidenziato che in ottobre ci si attende una riduzione media del 39% per le linee di credito garantiti da riserve di idrocarburi. (Sole24h)

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