Obbligazioni Ilva per la bonifica: anche Consiglio di Stato boccia ricorso Riva
I commissari straordinari dell’Ilva potranno emettere le obbligazioni per finanziare il risanamento ambientale del siderurgico di Taranto quando il miliardo e 200 milioni sequestrato ai Riva si sbloccherà definitivamente e dalla Svizzera tornerà in Italia. Oggi il Consiglio di Stato ha infatti rigettato il ricorso con cui Adriano Riva aveva impugnato in appello il provvedimento dei ministeri dell’Economia e dello Sviluppo economico che autorizza la gestione commissariale dell’azienda ad emettere le obbligazioni finalizzate alla bonifica dell’acciaieria. Già a metà giugno il Tar del Lazio aveva respinto analogo ricorso di Adriano Riva, fratello di Emilio, già presidente dell’Ilva e del gruppo Riva, scomparso a fine aprile del 2014. Il Tar, nel rigettare il ricorso, aveva parlato di interesse pubblico prevalente rispetto a quello del privato. Sostanzialmente lo stesso concetto evidenziato dal gip di Milano, Fabrizio D’Arcangelo, quando a maggio scorso ha detto sì al trasferimento dei soldi (sequestrati dalla Procura lombarda) agli interventi ambientali nello stabilimento di Taranto. Erano stati i commissari Piero Gnudi, Corrado Carrubba ed Enrico Laghi a rivolgersi al gip D’Arcangelo sulla base della legge dello scorso marzo, la numero 4, nata sulla base di un decreto varato dal Governo alla vigilia di Natale 2014. Registrato l’ok del gip, la Procura di Milano si è quindi mossa verso i magistrati svizzeri - le risorse sono state sequestrate ai Riva nel 2013 per reati fiscali e valutari - mentre Mef e Mise hanno autorizzato l’Ilva ad emettere le obbligazioni. Il meccanismo della legge prevede infatti che l’azienda emetta le obbligazioni e il Fondo unico Giustizia le sottoscriva.Adriano Riva ha dato battaglia ma si è visto respingere il suo ricorso prima dal Tar del Lazio e adesso dal Consiglio di Stato.
Il pronunciamento dei giudici amministrativi di appello non risolve però il problema. L’Ilva può emettere le obbligazioni ma il miliardo e
200 milioni è ancora in Svizzera. La Procura di Milano ha lavorato per farlo rientrare in Italia - dove c’è già una parte, poco più di 120 milioni - sino a poco prima della pausa estiva. Adesso l’azione verso i giudici svizzeri è ripresa. Sono loro, infatti, che devono autorizzare l’Ubs al trasferimento. E senza questi soldi, attesi ormai da oltre due anni, una fetta importante dei lavori dell’Autorizzazione integrata ambientale rischia di restare al palo giacchè l’azienda non ha i mezzi finanziari per far fronte ad un piano così impegnativo (tra i nuovi impegni c’è il rifacimento dell’altoforno 5, fermato a marzo scorso).
Su altro fronte, intanto, venedì l’Ilva incontrerà i sindacati per un punto di situazione dopo il dissequestro condizionato da parte della Procura di Taranto dell’altoforno 2. Per molti aspetti si sovrappongono il piano della Procura e quello che l’azienda ha presentato in base all’ultima legge che ha permesso l’operatività dell’altoforno anche se sequestrato. Unico punto da chiarire sono alcuni interventi, come l’installazione del «cover traverser», un dispositivo di protezione ambientale, che, in base ad una prima valutazione aziendale, richiederebbe più tempo (circa 8 mesi) per essere installato all’altoforno 2 e quindi non si potrebbe rispettare la tempistica fissata dalla Procura: fine ottobre e fine novembre prossimi. (Sole24h)
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