mercoledì 23 settembre 2015

Quando la Giustizia fa battere il cuore

Non siamo abituati alla Giustizia.
Come Italiani, come meridionali, come tarantini.
Abbiamo sempre vissuto con la parzialità, le beffe dei potenti verso i deboli, i soprusi delle oligarchie e dei corruttori fino a portare anche nel piccolo delle scaramucce di strada la sbruffoneria del più forte che se ne frega: "cce me ne futt a me!"
Talmente radicata è questa abitudine ai "due pesi e due misure" che, da qualche tempo a questa parte, leggere che un pool di magistrati, fedeli alla Legge e alla Costituzione, stia letteralmente frantumando la tradizione millenaria del più forte e degli interessi dei ricchi, ci suscita un immediato, primo sentimento di ... paura!
Forse è la stessa paura che ebbero gli abitanti delle città attraversate dalle rivoluzioni o dai cambi di regime che avvenivano facendo piazza pulita dei potenti dei vecchi sistemi.
Fa innata paura pensare che i Don Rodrigo di tutte le estrazioni possano anche loro sudare freddo davanti alla lettura di una condanna, sentirsi minare sotto le loro certezze storiche e i loro possedimenti, e con loro anche il nostro mondo.
Forse perché fa paura perdere la consuetudine dell'ignavia, la legge delle ostriche verghiane per cui ogni opposizione alla legge della giungla è un sacrilegio e tutti bisogna accettare tutto. Lamentarsi si, anche tanto, ma in fondo stare zitti e sotto, accettare perché così è sempre stato.
Qualcosa è cambiato. La Legge è arrivata anche in riva allo Jonio?
E con lei i diritti universali degli uomini a chiedere Giustizia, a sentirsi parte di uno Stato civile, a credere nei valori di tutti.
L'ignavia e l'interesse sono duri da spezzare.
Anche per tante persone stimabili e convintamente oneste è difficile, soprattutto in età più avanzata e disillusa, immaginare un mondo in cui due cittadini siano pari di fronte alla Legge: una libertà faticosa, che richiede impegno, responsabilità, partecipazione.
Per questo immaginiamo che, così come noi all'inizio abbiamo letto con un pizzico di paura il terremoto della notizia che segue, la schiera dei conservatori benpensanti griderà allo scandalo e additerà ancora una volta i magistrati giusti come biechi persecutori, come sovvertitori del sistema, come estremisti alleati con sfaccendati idealisti anacronistici, relegati ai margini della società!
Le ragioni del GIP sono corrette al limite della banalità: in attesa di giudizio, è necessario sequestrare i beni privati dei presunti responsabili perché sono venute meno le garanzie patrimoniali societarie, quindi la parte civile «non può che trovare soddisfazione del proprio credito nei patrimoni personali degli imputati, in caso di condanna».
Ma potete immaginare che per far valere il diritto all'esistenza dignitosa di un "miserabile" allevatore si metta mano ad una delle famiglie più potenti d'Italia e ai suoi prossimi?
La storia si può scrivere anche così. Ed oggi è più bella che mai,perché anche quando tutto sembra già scritto, lei non finisce mai di stupirci!
E la paura diventa presto emozione e speranza.
Auguri Vincenzo Fornaro, non volevi essere un martire e sei diventato un cittadino di questo Stato!

 
Ilva, per gli ex dirigenti sequestro degli immobili. Sigilli per gli ovini abbattuti: 87 le proprietà



Negli anni scorsi, migliaia di capi di bestiame destinati all’alimentazione furono abbattuti per la contaminazione da diossina e pcb, in seguito all’attività di pascolo in zone aggredite dall’inquinamento prodotto dall’Ilva. Per numerose aziende che si occupavano dell’allevamnento ovino-caprino fu il tracollo.

Ora, nelle more del processo “Ambiente svenduto”, i titolari dell’azienda Fornaro, fra i più colpiti dall’ordine di abbattimento, si rivalgono sull’Ilva. Ma non più sulla società per azioni, quanto sugli allora dirigenti che, nei loro rispettivi ruoli, avrebbero concorso al disastro. I sequestri, per alcuni milioni di euro, sono stati disposti dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Taranto dottoressa Vilma Gilli, gup del procedimento sull’Ilva sfociato a processo.
In funzione di gip, la dottoressa Gilli ha emesso un ordinanza di sequestro conservativo sui beni, di varia natura: in tutto ben ottantasette proprietà.
Si tratta di beni che sarebbero nella disponibilità di Nicola Riva, Fabio Arturo Riva, Giuseppe Casartelli, Cesare Corti, Girolamo Archinà, Francesco Perli, Salvatore D’Alò, Salvatore De Felice, Ivan Di Maggio, Bruno Ferrante, Angelo Cavallo, Adolfo Buffo, Alfredo Ceriani, Giovanni Rebaioli e Lorenzo Liberti.

Quelli appena riportati sono, in pratica, i nomi di dieci degli imputati coinvolti nel processo che sarà celebrato dalla Corte d’assise di Taranto a partire dal 20 ottobre prossimo, nei confronti dei quali è stata avanzata istanza da parte degli imprenditori Angelo, Vincenzo e Vittorio Fornaro, titolari dell’azienda “Masseria Carmine”, situata in agro di Taranto.

Oltre a quelle dei fratelli Riva, nella procedura sono coinvolte le proprietà dell’ex presidente di Ilva Spa Ferrante, dell’ex legale della famiglia Riva, avvocato Perli, di alcuni degli ex fiduciari della famiglia di industriali lombardi. Ma anche quelle dell’ex responsabile delle relazioni esterne dell’Ilva, dei dirigenti di impianti siderurgici e dell’ex consulente della procura della Repubblica.

A quest’ultimo, cioè al professor Liberti, è contestato nel processo proprio di aver falsificato una consulenza tecnica disposta dalla magistratura, asserendo «falsamente che la diossina rinvenuta nelle matrici alimentari analizzate (che portarono all’azzeramento del bestiame dell’azienda Fornaro) non era compatibile con l’attività dello stabilimento siderurgico Ilva».

Nell’evidenziare la sussistenza delle condizioni di legge per l’emissione del sequestro conservativo, la dottoressa Gilli ha ricordato come a propria firma, a suo tempo, sia intervenuta una ordinanza di esclusione dal processo dei responsabili civili Ilva Spa, Riva Fire e Riva Forni Elettrici.

Il riferimento, sic et simpliciter, è del tutto pertinente per spiegare come alla luce di questa circostanza siano venute meno le garanzie patrimoniali societarie. Per questo motivo, secondo quanto evidenziato dalla dottoressa Gilli, la parte civile «non può che trovare soddisfazione del proprio credito nei patrimoni personali degli imputati, in caso di condanna». (Quot)



“Ambiente Svenduto” – I Fornaro chiedono sequestro immobili per i dirigenti e spronano: “Fatelo con i politici”


E’ risaputo oramai, come  la Masseria “Carmine” sia il simbolo di questa Taranto che lotta contro l’inquinamento. Una Taranto martoriata, abbandonata, alla quale si promette il mondo, e puntualmente tutto finisce in fumo. Si in fumo, lo stesso maledetto fumo che ha inquinato il nostro mare, che ha visto morire padri, madri, figli. Lo stesso fumo che fuoriesce dai quei camini, lì al bivio, il maledetto bivio tra salute e lavoro. E il danno peggiore per il cittadino di Taranto è stato costringerlo a scegliere, e non per vivere, ma per sopravvivere in entrambi i casi. Questa è la triste storia di una delle città più belle. Questa è la triste storia dei tarantini, e la Masseria “Carmine” è il simbolo del cambiamento, l’apice, il punto di inizio, di quello che oggi è il più grande processo nella storia per disastro ambientale. I titolari della Masseria, Vincenzo, Vittorio e Angelo Fornaro, allevavano capi di bestiame. Gli stessi qualche anno fa, sono stati abbattuti in quanto contaminati da diossina e pcb. La causa? Il pascolo in zone contaminate dall’attività dello stabilimento Ilva. Dunque, capi di bestiame abbattuti, un’azienda al collasso, e un mondo crollato addosso. Ma i Fornaro non si sono dati per vinti, e i primi risultati sono stati i 47 rinvii a giudizio e le prime condanne. Taranto si è improvvisamente mobilitata, e fioccano le prime costituzioni di parte civile nei confronti degli ex dirigenti. Il 20 ottobre prossimo, il processo presso la Corte di Assise di Taranto, per gli imputati Nicola Riva, Fabio Arturo Riva, Giuseppe Casartelli, Cesare Corti, Girolamo Archinà, Francesco Perli, Salvatore D’Alò, Salvatore De Felice, Ivan Di Maggio, Bruno Ferrante, Angelo Cavallo, Adolfo Buffo, Alfredo Ceriani, Giovanni Rebaioli e Lorenzo Liberti, avverso i quali i Fornaro hanno presentato una istanza di sequestro conservativo dei beni immobili. Le proprietà sarebbero in tutto 87.
“Bisogna insistere, bisogna essere più incisivi e non bisogna demordere” ci spiega – raggiunto dal PugliaPress – in un’intervista Vincenzo Fornaro.
Fornaro commenta i primi rinvii a giudizio, riferendosi anche  alla classe politica, quella “del bello e cattivo tempo”, affinché la responsabilità del disastro ricada anche  su di loro, che questa città avrebbero dovuto proteggerla. “La nostra istanza sia anche da monito – spiega Fornaro – verso tutti coloro che si sono costituiti parte civile nei confronti della classe politica. Io dico loro di fare la stessa cosa, di chiedere il sequestro degli immobili – e continua – sequestrate i beni di queste persone”.
“Tutti i decreti del mondo, ma non ci piegheranno” dice Fornaro.
La Masseria “Carmine” ha segnato l’inizio di questo lungo percorso, spronando anche altri allevatori del territorio a ribellarsi, senza temere poteri forti. Un segnale di forza e coraggio all’intera città, e un segnale di presenza e determinazione anche  al Governo, che per quanto cerchi disperatamente di salvare con vari decreti questa fabbrica di morte, non risolve la situazione di una  città messa in ginocchio, da quella che chiamavano la sua vocazione. (Pugliapress)

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