sabato 21 dicembre 2013

E le bonifiche fanno puf!

Prima tutti uniti contro la Procura di Taranto. 
Ora tutti a farsela sotto... 
Grandi statisti girano per i corridoi dell'Italietta!

Ilva dopo la Cassazione bonifica senza i soldi dei Riva

Passata la "sorpresa" provocata dall'annullamento senza rinvio del sequestro da 8,1 miliardi di euro sui beni del gruppo siderurgico Riva deciso venerdì dalla Corte di Cassazione, ora a Taranto, città dell'Ilva - la principale azienda dei Riva -, si cerca di capire. Ed è un problema che si pongono soprattutto l'Ilva stessa, che da giugno è commissariata su decisione del Governo e affidata al commissario Enrico Bondi, coadiuvato dal sub commissario Edo Ronchi, ma anche i sindacati. In questo senso l'attesa è rivolta alle motivazioni  della sentenza di annullamento che, nelle prossime settimane, renderanno note i giudici della Suprema Corte, i quali hanno accolto il ricorso presentato dagli avvocati Franco Coppi ed Enrico Paliero in difesa dei Riva.
E' la prima volta, nell'ambito di uno scontro durissimo con la magistratura di Taranto che va avanti da oltre un anno e mezzo, che i Riva portano a casa dalla Cassazione un risultato positivo. Sinora, infatti, la Suprema Corte si era sempre espressa sfavorevolmente. Basti considerare che nessun successo avevano avuto i diversi ricorsi presentati per ottenere la libertà degli ex presidenti dell'Ilva, Emilio e Nicola Riva, padre e figlio, arrestati ai domiciliari a luglio del 2012, i quali sono usciti dal regime detentivo solo a luglio scorso e per effetto della scadenza dei termini di custodia. Nè sorte migliore avevano ottenuto i ricorsi presentati a Taranto.
Lo stesso sequestro che la sesta sezione penale della Cassazione ha annullato, il 15 giugno scorso era stato infatti convalidato dal Tribunale del riesame di Taranto. Solo che in questo caso gli avvocati dei Riva - tra i quali da alcuni mesi è entrato a far parte il noto penalista Franco Coppi -, incassato il primo verdetto sfavorevole, hanno cambiato strategia. 
Anziché intraprendere un braccio di ferro con i giudici di Taranto, hanno deciso di puntare direttamente alla Cassazione, procedura prevista dall'ordinamento. E qui hanno ottenuto il dissequestro. Torna quindi in possesso del gruppo Riva tutto ciò che, da fne maggio e a più riprese, era stato sequestrato dalla Guardia di Finanza su ordine del gip tarantino Patrizia Todisco. E cioè beni, immobili, conti, liquidità e partecipazioni riconducibili sia alla capogruppo Riva Fire - acronimo di Finanziaria Riva Emilio -, azionista di maggioranza dell'Ilva, sia alle societÃí Riva Forni Elettrici e Riva Acciaio i cui impianti sono al Nord.
La reimmissione in possesso è immediata e decade dalle sue funzioni anche il custode e amministratore giudiziario Mario Tagarelli, ex presidente dell'Ordine dei commercialisti di Taranto,  nominato dal gip a maggio con l'ordinanza di sequestro. Che, chiesto per 8,1 miliardi - questa è la somma che i periti del gip hanno stimato come necessaria a risanare il danno ambientale dell'Ilva -, in realtà si è attestato intorno ai 2 miliardi.
Tanto, in effetti, i finanzieri sono riusciti a trovare in mesi di verifiche fatte in tutta Italia. E dei 2 miliardi, la gran parte sono immobili. Ma c'è pure la quota azionaria dei Riva in Alitalia dal valore di una settantina di milioni di euro. Allo stato, restano invece sequestrati gli impianti dell'area a caldo del siderurgico di Taranto, ma perché sottoposti ai sigilli già a luglio 2012, e i beni delle società controllate dall'Ilva. Dal provvedimento del gip, si è salvata solo l'attività dell'Ilva perché la legge 231 del 2012 l'autorizza a produrre.
In quanto agli impianti di Taranto, l'Ilva, perso il ricorso in sede di Riesame, non ha più fatto ricorso in Cassazione e nel frattempo i termini sono scaduti. Ora questi impianti sono utilizzati con la facoltà d'uso. Il magistrato l'ha concessa dopo che la Corte Costituzionale, bocciando i ricorsi di incostituzionalità dello stesso gip e del Tribunale dell'Appello di Taranto, ha dichiarato costituzionale la legge 231 con sentenza emessa il 9 aprile e motivazioni un mese dopo. E la facoltà d'uso è stata concessa anche per i cespiti delle socieà controllate dall'Ilva, per i quali è imminente il verdetto della Cassazione. Gli avvocati del commissario Bondi hanno infatti impugnato il provvedimento giudiziario ritenendolo viziato da diverse illegittimità.
Nei mesi scorsi, infine, dopo la sentenza della Consulta, il gip aveva dissequestrato un milione e 700mila di merci dell'Ilva bloccate a fine novembre 2012 in quanto prodotte da impianti che, in presenza di sequestro, non avrebbero dovuto funzionare. Tra sequestro e dissequestro dei beni del gruppo Riva e l'attività dell'Ilva di Taranto, non c'è un nesso diretto escluso gli oneri del risanamento del siderurgico pugliese.
Sul piano funzionale e organizzativo, l'Ilva, pur essendo di proprietà dei Riva, vive autonomamente dal gruppo perché commissariata. Inoltre, la gestione di Bondi, da giugno ad oggi, ha sempre più marcato le distanze tant'è che ultimamente il commissario ha fatto anche causa ai Riva, per alcune consulenze prestate dalle società del gruppo all'Ilva, e chiesto circa 400 milioni di risarcimento danni.
Non così, invece, per la bonifica della fabbrica visto che sia la legge 89/2013 - quella sul commissariamento -, sia l'ultimo decreto legge n. 136 richiamano la responsabilità dei Riva. E se la legge 89 prevede che l'autorità giudiziaria possa svincolare le somme sequestrate per finalizzarla alla bonifica (ma una richiesta fatta tempo addietro da Bondi per 233mila euro è stata bocciata dal gip con la motivazione che il piano industriale dell'azienda non c'è ancora), il decreto n. 136 è ancor più specifico. Prevede infatti che

il commissario possa chiedere a Riva di accollarsi i costi della bonifica e, in caso di rifiuto, chiedere al magistrato l'uso delle somme sequestrate penalmente anche per reati diversi da quelli ambientali.
C'è però da dire che il decreto deve ancora essere convertito in legge e gli avvocati dei Riva hanno già annunciato battaglia poiché ritengono incostituzionale l'uso di soldi sequestrati senza che il relativo procedimento giudiziario sia cominciato. (RepBa)


Taranto, risanare l’Ilva è sempre più difficile

Sorpresa. Preoccupazione anche. Espressa senza eccessi e con risposta breve: «Mi chiede se il quadro si complica? Beh certo un po’ sì». Ma il sub-commissario dell’Ilva Edo Ronchi, alla “Gazzetta” concede poco di più, all’indomani della sentenza di Cassazione che dissequestra gli 8,1 miliardi di euro bloccati ai Riva dalla magistratura tarantina. Per ora il regime commissariale dello stabilimento siderurgico sospende il giudizio. Si esprimerà solo dopo «aver letto i motivi della decisione presa dalla Corte».
Ronchi ha affidato alla cronaca due concetti messi a guardia della cautela. A mente fredda: «Non cambia la marcia di risanamento della fabbrica» e soprattutto «i decreti del governo restano il punto di riferimento» anche se in realtà il sub-commissario più che dirlo lo ha fatto capire indirettamente: «L’ultimo dispone l’uso delle somme sequestrate, ma il riferimento è alle decisioni della magistratura milanese (1,9 miliardi in due tranche sottratti dai giudici ai Riva nell’indagine per frode fiscale, ndr).
Un punto delicato rimangono i rapporti tra la gestione commissariale e la famiglia Riva che «torna in gioco», dopo il dissequestro dei beni, per ammissione stessa del sub-commissario Ilva Edo Ronchi. Eppure il gioco si fa duro perché, val la pena ricordare, proprio il commissario straordinario Enrico Bondi ha avviato, poche settimane fa, un’azione civile per danni nei confronti della famiglia Riva.
«Il quadro si complica altrochè» sostiene il segretario generale nazionale della Uilm, Rocco Palombella. «La situazione sembrava già incerta e a maggior ragione ora. Siamo preoccupati: non vi è traccia del piano industriale e la vicenda giudiziaria rende ancor più ingarbugliato tutto. Però i Riva devono stare attenti alle “vittorie di Pirro”, tali infatti si potrebbero rivelare i dissequestri se non si va avanti con le bonifiche e l’ambientalizzazione degli impianti». Battuta interessante. Cosa vuol dire Palombella? Non conviene ai Riva, finito il commissariamento, riprendersi uno stabilimento che potrebbe poi essere costretto a chiudere se non risanato completamente?
«Due milioni di tonnellate in meno prodotte nel 2013 sono un pessimo segnale: non è stato perso solo il prodotto, ma soprattutto quote di mercato che, la situazione attuale, non consentirà più di recuperare. E non parliamo - prosegue Palombella - del fatto che ora le banche saranno più restie a concedere mutui. Temo contraccolpi all’occupazione».
«Il patrimonio dei Riva deve essere investito per rendere il siderurgico eco-compatibile» incalza il segretario nazionale della Fim Cisl Marco Bentivogli. Il sindacalista ritiene i decreti del governo «una garanzia», guarda con fiducia «alla Banca europea degli investimenti per le risorse da trovare» e chiede, intempi rapidi «il piano industriale per non far perdere competivitià all’Ilva».
«Faccio fatica a capire cosa succederà» dice il coordinatore provinciale del sindacato Usb, Franco Rizzo. «Quei soldi garantivano il risanamento, dentro e fuori l’Ilva. Ora non ci sono più. Tutto torna in discussione. I decreti? Non una parola sulla salute degli operai Ilva e dei tarantini».
«Basta con i decreti. È arrivato il momento di una legge sulla siderurgia italiana. I soldi dati dalle banche all’Ilva possono servire solo per i primi interventi, non si possono fare le nozze con i fichi secchi» dice il segretario generale della Fiom Cgil Donato Stefanelli chiosando: «È il governo che deve investire nel settore e risolvere i problemi a Taranto. Il dissequestro? Le risorse che non c’erano prima tornano a non esserci ora. E Taranto da sola non ce la fa».  (GdM)

Nessun commento: