martedì 11 giugno 2013

Quanti ancora?


Morti sul lavoro, la giornata della memoria a Taranto

Sono passati 10 anni da quando Paolo Franco e Pasquale D'Ettorre, due giovani operai dell'Ilva morirono dentro l'acciaieria di Taranto travolti da una gigantesca gru che si spezzò in due parti cadendo su decine di lavoratori.
Per ricordare quel giorno e quei ragazzi, Cosimo Semeraro, ex operaio Ilva malato di asbestosi, da sette anni organizza il 12 giugno la Giornata in memoria delle vittime del lavoro di Taranto e provincia. E ogni volta invita tutti: operai, istituzioni locali e nazionali, sindacati, associazioni ambientaliste e di volontariato.
Cittadini, che anche nel 2013 hanno la stessa speranza: «Che finalmente lo Stato decida di salvare il lavoro e la salute dei tarantini e faccia qualcosa di concreto. Qui servono i fatti non solo i decreti», dice Semeraro a Lettera43.it.
L'ASSENZA DI NAPOLITANO. Molti però non possono essere presenti: il presidente della provincia di Taranto Gianni Florido per forze di causa maggiore - è agli arresti domiciliari accusato di concussione nell'ambito dell'inchiesta Ilva - il capo dello Stato Giorgio Napolitano «come al solito non potrà venire», il sindaco di Torino Piero Fassino - «che abbiamo invitato per unire il Nord e il Sud soprattutto dopo l'importante sentenza Eternit» - ha intenzione di mandare il solito telegramma.
IL RICORDO DEI 195 MORTI. Durante la cerimonia, che non è più celebrata nella chiesa del quartiere Tamburi come un tempo - «da quando la famiglia Riva fece una donazione per ristrutturarla nessuno volle più organizzare l'evento lì», spiega Semeraro - si prevede di leggere uno per uno i nomi dei 195 lavoratori deceduti dentro l'acciaieria e di altre 95 persone. «Morti bianche invisibili», le definisce l'ex operaio, «perché scomparse a causa di malattie legate all'amianto».

Da gennaio a giugno 230 morti bianche

Il 12 giugno sono ricordati però non solo i lavoratori dell'Ilva, ma anche quelli che hanno perso la vita in tutta Italia lavorando come magistrati, carabinieri, poliziotti, finanzieri e pompieri. Quelli della Marina militare di Taranto e anche di Genova, dove la notte del 7 maggio sono morti in nove nell'incidente della nave Jolly Nero.
Un elenco di nomi e storie che se si volesse leggere tutto potrebbe durare anni.
In Italia, solo da gennaio sino all'inizio di giugno, secondo i dati raccolti dall'Osservatorio indipendente di Bologna morti sul lavoro, sono decedute 230 persone. Il 33,7% lavorava nel settore dell'agricoltura - la maggioranza è stata schiacciata dal trattore che guidava - il 28,2% nell'edilizia, il 16,6% nei servizi, il 6% nell'industria e il 4,5% nell'autotrasporto. Se poi si aggiungono quelli che perdono la vita sulle strade mentre vanno al lavoro si superano le 470 vittime.
MENO VITTIME, MA C'È DISOCCUPAZIONE. Benché secondo gli ultimi dati Inail (2011) ci sarebbe un calo del 6,4% rispetto al 2010, non si può non considerare l'aumento della disoccupazione, che quindi in proporzione non fa certo segnare un trend positivo.
Basta leggere i giornali per rendersene conto: il 9 maggio sono state sei le vittime registrate. E il 5 giugno il conto si è fermato a quattro morti.
Una Spoon river cui nessun governo è finora riuscito a porre fine. E neanche limitare il fenomeno sembra una delle priorità dell'esecutivo.
PIÙ IMPEGNO DAL GOVERNO. Eppure basterebbe poco, a partire dal rifinanziamento dei servizi ispettivi, che dopo i tagli operati dalla spending review sono stati ridotti all'osso, alla ricostituzione della commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro. Sino alla programmazione di una serie di investimenti straordinari sul tema formazione e informazione dei lavoratori, per coinvolgere anche quelli precari o non considerati dipendenti.

Procedura di infrazione contro l'Italia dalla Commissione Ue

L'Italia soprattutto dovrebbe rispettare la legge. La Commissione europea ha infatti aperto una procedura d'infrazione contro l'Italia per violazione delle normative comunitarie, invitandola a recepire nell'ordinamento nazionale alcune norme della direttiva 89/391/Cee, pena il deferimento della vicenda alla Corte di giustizia.
La direttiva cui l'Italia deve adeguarsi riguarda «l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro».
I SEI PUNTI CONTESTATI. In particolare, la Commissione contesta alla legge italiana ben sei punti: deresponsabilizzazione del datore di lavoro in caso di delega e subdelega; violazione dell’obbligo di disporre di una valutazione dei rischi sulla sicurezza per chi occupa fino a 10 lavoratori; proroga dei termini impartiti per la redazione del documento di valutazione dei rischi per le nuove imprese o per modifiche sostanziali apportate a imprese esistenti; posticipazione dell’obbligo di valutazione del rischio di stress legato al lavoro; posticipazione dell’applicazione della legislazione in materia di protezione della salute e sicurezza sul lavoro per le persone appartenenti a cooperative sociali e a organizzazioni di volontariato della protezione civile; proroga del termine per completare l’adeguamento alle disposizioni di prevenzione incendi per le strutture ricettive turistico-alberghiere con oltre 25 posti letto esistenti in data del 9 aprile 1994.
ROMA FA FINTA DI NIENTE. Tutte infrazioni che l'Italia deve quindi correggere e per le quali la Commissione Ue già da anni esercita continue pressioni.
Insomma l'allarme è scattato da tempo, ma per ora a suonare sono solo le sirene delle navi in rada sul porto di Taranto, quelle dentro i cantieri e dentro l'acciaieria Ilva, che il 12 giugno i lavoratori fanno suonare per ricordare tutte le morti bianche. (Lettera43)

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