Respinto l’appello, Fabio Riva resta in carcere
Fabio Riva deve restare in carcere. Lo hanno deciso i giudici del Tribunale che hanno respinto l’appello proposto dal difensore dell’industriale lombardo finito in cella a Taranto ai primi di giugno, non appena rientrato in Italia. I magistrati hanno depositato il solo dispositivo e si sono riservati di motivare il loro verdetto nei prossimi giorni. Di certo ha retto la linea della procura che aveva insistito sul mantenimento del provvedimento restrittivo, sulla base della sussistenza delle esigenze di natura cautelare.
Una posizione che aveva già convinto il giudice delle indagini preliminari che aveva respinto, nelle scorse settimane, l’istanza di revoca o attenuazione della misura avanzata dall’avvocato Nicola Marseglia, difensore di Riva. Contro quella decisione, il legale aveva proposto appello in Tribunale. Ma la sua richiesta si è fermata dinanzi al semaforo rosso acceso dal collegio giudicante. In camera di consiglio accusa e difesa si erano date un’aspra battaglia sul destino dell’ex vicepresidente della Riva Fire, travolto insieme a tutto il gruppo industriale del patron Emilio Riva dal turbine giudiziario battezzato “Ambiente Svenduto”.
Era il 26 novembre del 2012, quando per il figlio del patron scattò una ordinanza di custodia cautelare in carcere. Quel giorno in cella finì Girolamo Archinà, l’ex potentissimo responsabile delle pubbliche relazioni dell’acciaieria. Alla retata, sfuggì, invece, proprio Fabio Riva. L’industriale si trovava a Londra nel momento in cui la Guardia di Finanza eseguì gli arresti. Per Riva il provvedimento restrittivo venne trasformato ben presto in mandato di cattura europeo, con richiesta di estradizione recapitata in Inghilterra dalla procura jonica alla luce del ruolo contestato a Riva nel procedimento che ha inquadrato il disastro ambientale attribuito alla grande fabbrica. Dopo due anni e mezzo di permanenza a Londra, il nodo diplomatico è stato sciolto a giugno. Con Fabio Riva che è rientrato in patria ed è stato accolto dalle Fiamme Gialle non appena sbarcato all’aeroporto di Fiumicino. Da quel giorno, l’industriale è rinchiuso nel carcere di Largo Magli.
In camera di consiglio, nel corso della discussione tenuta la scorsa settimana, la procura ha ribadito che a carico di Riva continua a sussistere sia il pericolo di inquinamento probatorio sia quello di fuga. Valutazioni alle quali si è opposto il difensore dell’imputato. L’avvocato Nicola Marseglia ha sostenuto la totale assenza di esigenze cautelari, anche alla luce dell’evoluzione del processone che è già sbarcato a giudizio. Mentre in aula lo stesso Riva aveva preso la parola, per fornire la sua versione su una delle intercettazioni simbolo dell’inchiesta. Ovvero quella in cui proprio lui sembrava sminuire la crescita di tumori in città. Una interpretazione delle sue parole che Riva ha seccamente smentito. Il round in camera di consiglio, però, se lo è aggiudicato nuovamente la procura. Con il dispositivo che tiene in cella l’ex uomo forte del gruppo Ilva.
Intanto prenderà il via il prossimo 20 ottobre il processo in cui è sfociata la clamorosa inchiesta battezzata “Ambiente svenduto”. Alla sbarra 44 imputati e tre società. Tutti rimasti invischiati nelle indagini sul disastro ambientale e sanitario di Taranto. Il rinvio a giudizio è stato decretato lo scorso 23 luglio dal gup Vilma Gilli, al termine di una lunghissima udienza preliminare. Il magistrato ha accolto la richiesta avanzata dal pool di inquirenti guidato dal procuratore Franco Sebastio. (Quot)
Nessun commento:
Posta un commento