Welcome Taranto, l’accoglienza ai migranti passa anche dal web
La prima cosa che si fa alla fine di un viaggio, per quanto breve? Chiamare casa per confermare che va tutto bene, come raccomandano le mamme in ansia di tutto il mondo. Per gli ospiti del centro di prima accoglienza Pala Ricciardi di Taranto, spesso sopravvissuti a traversate del deserto e tempeste in mare, telefonare ai genitori o alla moglie rimasti in patria non era però affatto semplice. Finché qualche settimana fa Welcome Taranto, un gruppo di cittadini organizzati, ha deciso di regalare loro un modem wi-fi per poter finalmente contattare le famiglie.«A maggio dello scorso anno sono cominciati i primi sbarchi. Così insieme ad alcuni amici abbiamo deciso di dare una mano», racconta Elena Modio, una dei volontari del gruppo. «Il palazzetto è gestito da altre associazioni, ma c’era comunque scarsità di vestiti, giocattoli, ciucci e abbiamo iniziato a raccoglierli. Poi abbiamo cercato di capire se avessero anche altre necessità».
La situazione del centro, racconta Elena, non è rosea. «La struttura è arrivata ad accogliere anche 200 persone quando la capienza massima sarebbe di 110. Uomini, donne e bambini dormono uno accanto all’altro, su brandine, senza un minimo di privacy». Sulla carta il Pala Ricciardi è un centro di permanenza transitorio, dove i migranti dovrebbero restare solo due o tre giorni prima di essere trasferiti in strutture più attrezzate. In realtà, a causa delle lungaggini burocratiche e degli sbarchi massicci (solo a settembre dello scorso anno sono arrivate a Taranto 1722 persone tutte assieme) alcuni ospiti sono costretti a restarci anche per mesi, in un limbo che non consente loro di fare nulla, nemmeno di comprare una scheda telefonica.
«A prima vista internet sembra un bene voluttuario, invece per queste persone è fondamentale», continua Modio. «Immaginate di aver superato un pericoloso viaggio attraverso il deserto e il mare e non riuscire a comunicare in nessun modo con i vostri cari. Anche solo per dire “sto bene, sono vivo”». Così i volontari hanno organizzato una colletta: il centinaio di euro raccolto è bastato a pagare il modem e i primi mesi di connessione. «Tra gli ospiti del centro ci sono ragazzi sopravvissuti a naufragi, donne in gravidanza, famiglie con bambini che cercano disperatamente di mettersi in contatto con i parenti già in Europa. La linea internet consente loro di superare il problema delle schede e di mandare un messaggio alla famiglia tramite Skype o Facebook».
Il gruppo ha anche preparato dei volantini, per raccontare agli abitanti la situazione in cui si trovano i migranti. «Vogliamo spiegare che questa gente non è una minaccia ma un’opportunità. C’è ad esempio la leggenda dei 30 euro giornalieri che lo Stato darebbe a ciascun richiedente asilo. Non è così, ovviamente: i soldi non vanno a loro ma chi gestisce le strutture. E si tratta di un’opportunità di lavoro importante, specie in un territorio come il nostro». I ragazzi di Welcome Taranto si occupano anche del supporto psicologico alle donne, spesso vittime di violenze durante il viaggio e studiano il wolof e le lingue mandingo, per aiutare chi non riesce a farsi capire. «Quando è necessaria una raccolta di fondi straordinaria, organizziamo un “African Party”. Grazie all’ultimo siamo riusciti a procurare delle calzature su misura a un ragazzo poliomielitico: il primo paio di scarpe chiuse della sua vita».
Secondo Elena però il vero successo sarebbe la chiusura della struttura: «L’ideale sarebbe trasferire tutti in una caserma dismessa, con spazi più a misura d’uomo. E le procedure devono diventare più veloci: non si possono bloccare qui per settimane intere famiglie. Ricordo un bambino che ha passato qua ben tre mesi. Quando arrivava gattonava e nel Pala Ricciardi ha imparato a camminare». Il rapporto che si crea è tale che, anche quando finalmente se ne vanno, molti migranti decidono di rimanere in contatto con i volontari di Welcome Taranto. «Di recente mi è arrivata una lunga mail di un ragazzo che mi ringraziava per averlo fatto sentire a casa. È stato commovente». Internet serve anche a questo. (Iodonna)
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