Dopo l'ottavo decreto che consente all'Ilva di camminare anche sui morti si è persa ogni forma di pudore: la parte più beceramente industrialista del PD, di cui Mucchetti è sempre stato esponente di spicco, è scesa in campo con le armi sguainate per difendere il mostro ad ogni costo.
Nei loro discorsi (tipo: "Il commissariamento dell’Ilva deve portare al salvataggio del centro siderurgico di Taranto nel rispetto dei vincoli ambientali") resta solo qualche vaga postilla, più retorica o interpuntiva che altro, all'ambiente. I cittadini sono spariti dal loro panorama fatto di tonnellate di materia varia e soldi.
Gli esseri umani sono trasfigurati nell'immagine dei posti di lavoro che dovrebbero andare ad occupare, con le loro famiglie, con la loro facile sostituibilità, una volta ammalati o deceduti.
Anche la magistratura finisce sul banco degli imputati, giudicata da una Commissione di chissà quali esperti... di nomina politica!
La falange oplitica dell'oligarchia industriale e finanziaria ha trovato i suoi arieti da mandare sotto a testa bassa!
Eccovi questa bella disquisizione sul preridotto.
Una specie di concerto d'arpa sull'incendio che divampa.
Restituite a Taranto l’industria dell’acciaio
Caro direttore, il tuo giornale ha avuto il merito di riproporre per primo la questione meridionale come banco di prova del governo, con l’intervista al ministro Guidi e l’intervento (molto concreto) dell’ad di Invitalia, Domenico Arcuri.Senatore Pd e presidente della Commissione Industria del Senato e domenica, con il fondo di Luca Ricolfi, ha sostenuto l’appello (giustissimo) del premier, Matteo Renzi, contro la cultura del piagnisteo. A mio parere, va ora aggiunto che, proprio per non ricadere nel “genericissimo”, questo banco di prova potrà funzionare nel tempo se superiamo, adesso, la prova del fuoco costituita dall’Ilva.
L’Ilva, si sa, raggiunge il pareggio operativo con una produzione giornaliera di 21.500 tonnellate di acciaio. Naturalmente, a pieno regime, l’Ilva può produrre di più e guadagnare, anche parecchio. Ma questo è il traguardo del futuro, non il punto di partenza di oggi. L’azienda ha spento l’altoforno principale, l’AFO5, per fine campagna, tenendo in funzione due degli altri tre altoforni (AFO2, AFO4). Questa scelta riduce la produzione a 12.000 tonnellate al giorno, determinando, dati i costi fissi, perdite operative di un centinaio di milioni di euro. Non crocifiggo nessuno per questo. Sarebbe errato e ingeneroso. Ogni congiuntura ha le sue ragioni. Ma non possiamo nemmeno dimenticare che, quando a metà 2014 si decise di “cambiare passo” lasciando cadere il piano industriale dell’allora commissario Bondi, l’Ilva perdeva 35 milioni al mese. Nella seconda metà dell’anno scorso, all’apparente recupero del conto economico anche grazie a introiti non operativi, corrispose l’aumento dei debiti fino al punto di rendere inevitabile il ricorso all’amministrazione straordinaria. Ora, per fermare l’emorragia in attesa della ripartenza di AFO5, bisogna aumentare la produttività degli impianti attivi senza aggravare l’impatto ambientale. Un’operazione che può funzionare se si caricano con preridotto gli altri altiforni nella misura del 20% del potenziale. Sento dire che l’azienda avrebbe fatto o avrebbe in animo di fare un ordine d’acquisto di 800 mila tonnellate di questo semilavorato. Sarebbe assai interessante. Con l’utilizzo del 20% di preridotto in carica, il professor Mapelli, di nuovo consulente dell’Ilva, calcolò a suo tempo un incremento della produttività dell’11% e un decremento del 15% delle emissioni di CO 2, delle polveri sottili e degli idrocarburi aromatici. Quando a Taranto si potrà arrivare all’utilizzo del solo preridotto con soli forni elettrici, a parità di produttività gli idrocarburi aromatici spariranno del tutto dalle emissioni, le polveri sottili scenderanno al 5% dei livelli attuali e la CO2 sarà un terzo di quella attuale.
Tutto questo è rimasto lettera morta perché il piano industriale, centrato sull’innovazione del preridotto, è stato contrastato da Federacciai, che lo bollò ex cathedra come non sostenibile sul piano economico. Non mi interessa, in questa sede, aprire processi al passato, per quanto prossimo. Basterà ricordare che, tre-quattro mesi dopo, lo stesso presidente di Federacciai propose di produrre il preridotto a Piombino per contrastare il pretende algerino all’acciaieria toscana. Del resto, oggi guardano al preridotto alcune delle maggiori acciaierie del Nord per contrastare, con l’innovazione, la scarsità e la crescente onerosità del rottame, la loro materia prima. Il fatto è che i costi del preridotto stanno scendendo sui mercati internazionali, come era previsto da Bondi, purtroppo inascoltato.
L’Ilva dovrebbe guardare all’innovazione del preridotto non solo per obiettivi congiunturali, ma anche per avere un processo produttivo più snello e flessibile, non più basato solo sul carbone. L’Ilva del 2015 produce ancora gli acciai dell’Ilva pubblica (in venti anni è stata introdotto una sola vera novità di prodotto), mentre i concorrenti europei hanno sviluppato almeno 6 nuove categorie di acciaio (ciascuna categoria composta da 6 a 10 specialità) che hanno conquistato i mercati della meccanica, del settore automobilistico/veicoli commerciali e delle condutture.
Lo sviluppo di nuovi prodotti e l’incremento di produttività degli impianti possono realizzarsi solo se gli operatori si troveranno senza incombenze e pressioni di natura ecologica, che deconcentrano i gestori e compromettono la produttività. Siamo sicuri che, quando AFO5 tornerà a produrre, allora automaticamente Ilva supererà il break-even? Pongo la domanda perché, secondo i tecnici, esistono altri colli di bottiglia a valle degli altiforni. Come potrebbe migliorare il rapporto con la città e pure con la magistratura? La magistratura di Taranto ha commesso anche errori materiali e giuridici clamorosi come è emerso nei lavori della Commissione Industria del Senato, oltre che in Cassazione, ma resta un interlocutore stimabile e utile alla società, in ogni caso decisivo. Ora, se l’azienda si impegnasse ad affrontare la sorgente di gran parte dei pericoli ambientali che ne frenano l’attività, il clima, e non mi riferisco a quello atmosferico, potrebbe migliorare. Questa sorgente di pericolo si chiama carbone: carbone e la sua trasformazione in coke. Ricordiamoci che l’Ilva deve gestire a ridosso della città 10 grandi cokerie. È prudente immaginare che non sorgano altri conflitti senza un progetto di graduale superamento del carbone? (Sole24h)
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