lunedì 10 gennaio 2011

L'Italia riscopre Taranto (per poi dimenticarla presto...)


Salute-lavoro, baratto assurdo l'amara lezione di Taranto
A lungo tra le città più inquinate d'Europa per colpa della più estesa acciaieria del continente. L'emergenza diossina è finalmente sotto controllo. La conta dei danni però è ancora tutta da fare e resta l'allarme per il benzopirene. "Per anni hanno cercato di eludere il problema" dal nostro inviato ANTONIO CIANCIULLO

TARANTO - Le chiamano "colline ecologiche" ma di ecologico hanno ben poco. Ingannano l'occhio, non il naso, non la pelle di chi vive a Tamburi, il quartiere assediato dalle ciminiere dell'Ilva, la più estesa acciaieria d'Europa. Per decenni nuvole di polvere carica di diossina hanno scavalcato questo esile diaframma di terra che separa la fabbrica dalle case seminando un tappeto rosso e nero sulle strade, sui giardini, sui balconi. Per decenni a Tamburi si sono stesi i panni solo quando non soffiava la tramontana, altrimenti bisognava rilavarli appena asciutti. Per decenni si è accettato di convivere con un vulcano artificiale che aveva preso in ostaggio Taranto dando 13 mila posti di lavoro in cambio della salute di tutti.

IL SONDAGGIO 1



Sembrava una battaglia persa quella contro la "testa del drago", la ciminiera da 220 metri che sputa gli inquinanti prodotti da una città d'acciaio più grande della città di pietra: 1.500 ettari di fabbrica che nel 1961 si sono fatti largo spazzando via antiche masserie e greggi, stravolgendo il profilo di questo angolo di Puglia e continuando a divorare terra, fino a fermarsi
proprio sul limite dell'acquedotto romano. Ma il Capodanno del 2011, quando arriviamo in città "inviati" dalle migliaia di lettori di Repubblica.it che attraverso il primo sondaggio mensile del sito ci hanno chiesto di occuparci di questa realtà poco conosciuta, scopriamo una sorpresa: l'attacco feroce della diossina si sta placando, le emissioni rientrano nei limiti e ora l'attenzione si sposta sulla necessità di saldare i conti con il passato. Bisogna misurare i danni prodotti in decenni di inquinamento selvaggio e bonificare le aree più contaminate.

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"Oggi la situazione non è più da emergenza, ma quanta diossina abbiamo respirato in mezzo secolo di emissioni non lo sa nessuno perché mancavano i rilevamenti con i numeri esatti", spiega Gino D'Isabella, segretario della Cgil di Taranto. "Però era tanta. E per molti anni la nostra città è rimasta in cima alle classifiche sull'inquinamento perché per molti anni la direzione dell'azienda, nata come Italsider e acquisita nel 1995 dal gruppo Riva, ha cercato di eludere il problema. Un problema che sarebbe stato ben diverso se nel 1961 fosse stato accolto il parere della commissione tecnica che suggerì di costruire la fabbrica dieci chilometri più in là. Purtroppo le classi dirigenti dell'epoca scelsero in base alla proprietà dei terreni, non alla logica".
Quando finalmente si è cominciato a misurare la diossina si è scoperto che le quantità in gioco erano decine di volte superiori ai valori di riferimento indicati dall'Unione Europea ed è cominciata una battaglia durissima che ha visto come protagonisti da una parte la Regione Puglia e i comitati dei cittadini, che chiedevano il limite più cautelativo (0,4 nanogrammi per metro cubo), dall'altra l'Ilva e il ministero dell'Ambiente che avanzavano dubbi sugli obiettivi proposti da Nichi Vendola.
"E' stato un confronto molto acceso", ricorda Giorgio Assennato, direttore dell'Arpa Puglia. "E per arrivare a produrre i dati che hanno messo fine alla questione abbiamo dovuto far ricorso alle casse pubbliche perché a differenza di altre grandi aziende siderurgiche, l'Ilva non ha voluto pagare i rilevamenti al di fuori della fabbrica: sono state analisi lunghe e costose condotte a spese dei contribuenti. Ma il risultato è stato raggiunto e oggi i limiti fissati dalla Regione Puglia sulla diossina vengono rispettati. Il problema riguarda piuttosto il benzopirene, un composto cancerogeno su cui c'è ancora molto lavoro da fare: da alcuni rilievi risulta che la concentrazione a Tamburi è 5 volte più alta che nel centro di Taranto, cioè nel punto in cui nelle altre città si registra il picco".
Dati ufficiali sull'aumento delle malattie collegabili a queste emissioni non esistono. L'assessore all'ambiente della città, Sebastiano Romeo, osserva però che nel suo studio di medico l'aumento dei tumori e delle malattie respiratorie è "drammatico e consistente". E la responsabile del circolo Legambiente di Taranto, Lunetta Franco, aggiunge: "I dati non saranno stati ancora accorpati ufficialmente, ma a Tamburi si calcola che un bambino fumi più di due sigarette al giorno dal momento in cui nasce. Una situazione del genere può essere considerata accettabile?".
"Negli ultimi due anni le emissioni di diossina sono state abbattute del 90 per cento e anche quelle delle polveri sono crollate", replica Adolfo Buffo, della direzione Ilva. "Abbiamo investito un miliardo di euro solo per l'innovazione in campo ambientale e un impegno del genere ha dato i suoi frutti".
Ma il decreto ferragostano con cui il governo ha rimandato al 31 dicembre 2012 la scadenza per il tetto più cautelativo per il benzopirene (1 nanogrammo per metro cubo) ha riacceso le polemiche nella città che si trova in prima linea sul fronte della lotta contro questo cancerogeno. E i Verdi hanno lanciato una class action chiedendo danni per 3 miliardi di euro per le vittime dell'inquinamento a Taranto: "Ormai la diossina è nel terreno, è entrata nella catena alimentare e continua a mietere vittime".

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