Operaio si ammala, maxirisarcimento dell'Ilva
Per 25 anni ha lavorato nell’acciaieria tarantina, in contatto con a sostanze tossiche e cancerogene. Quando ha scoperto di essersi ammalato s’è rivolto alla magistratura ed ha ottenuto un maxi-risarcimento per il danno biologico subito. E’ la storia di Antonio Angelini, operaio Italsider-Ilva dal 1975 al 2000, impiegato presso il tubificio con la specifica di addetto alla resinatura dei tubi.
Secondo i medici, scrive il Corriere del Mezzogiorno s’è ammalato di epatopatia cronica tossica per la prolungata esposizione a sostanze micidiali come toluene ed apirolio: il primo è un idrocarburo aromatico che viene usato come solvente mentre il secondo è il più famigerato Pcb (policlorobifenile), vietato fin dagli anni ’70, ma massicciamente utilizzato nei trasformatori elettrici per il raffreddamento e la lubrificazione. In presenza di forte calore sprigiona diossina nebulizzandosi nell’aria con effetto altamente cancerogeno. Nell’uomo causa danni al fegato, alterazioni dei sistemi endocrino e immunitario e cancro.
Il giudice del Lavoro Annamaria Lastella ha dato ragione all’operaio, riconoscendogli una invalidità del 36 per cento e ha condannato l’Ilva ad un risarcimento di 198 mila euro, «un record per questo tipo di patologie, molto frequenti, che solitamente vengono risarcite con cifre tre volte inferiori», spiega il suo avvocato Stefania Pollicoro.
Intanto un altro giudice, il gip Patrizia Todisco ha ordinato l’imputazione coatta nei confronti di cinque fra dirigenti e capi-reparto dell’Ilva per una denuncia di mobbing presentata da un operaio per presunti maltrattamenti culminati con il licenziamento. Si tratta di Francesco Forastiero, Guido Scarcella, Danilo Greco, Pietro Gatto e Marcello Cordisco. Per loro il pm Raffaele Graziano invece aveva chiesto l’archiviazione. Daniele Donvito, difeso dall’avvocato Eligio Curci, racconta di essere diventato un operaio scomodo. Era uno di quelli sempre pronti a segnalare ogni inosservanza delle norme in materia di sicurezza sul lavoro.
Per questo, nel giro degli ultimi cinque anni prima del suo licenziamento, sostiene di aver subìto atteggiamenti vessatori persecutori e ritorsivi da parte dei suoi superiori, finalizzati ad isolarlo. Tesi questa che ha trovato riscontro anche nelle indagini degli ispettori del Lavoro. Secondo la denuncia, l’operaio era stato costretto ad una inoperosità forzata, e nel contempo veniva additato davanti ai colleghi come uno scansafatiche. Nel maggio del 2008, con una serie di contestazioni disciplinari è stato messo all’angolo fino al licenziamento per insubordinazione al superiore gerarchico. (Affaritaliani)
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