martedì 26 agosto 2014

Taranto abbandonata

Taranto continua a essere il paradosso della politica italiana. 


La città nella quale si scontrano i poteri forti, che la tengono ostaggio di interessi economici sovrastanti. La città nella quale la Magistratura tenta di bloccare il laissez-faire imposto dal Governo, ma viene intimidita da leggi che depotenziano la portata dei provvedimenti adottati. La città dove le Istituzioni Europee portano avanti un braccio di ferro con un Governo che promette ma che mai realizza, posponendo all’infinito. La città dove, in un clima di scontro continuo, i cittadini e le loro associazioni, in una lotta senza quartiere contro lo stato di adattamento e di abbandono, sono rimasti l’unica risorsa per sollevare la cortina spessa di fumi, IPA, diossina, omertà, corruzione, indulgenza, collusione, che ha fatto di Taranto una delle città più isolate e disperate del Paese.

Il 14 agosto scorso, la Commissione Europea ha inviato a Peacelink una lettera nella quale il Commissario all’Ambiente Potočnik si dice preoccupato per le condizioni sanitarie ed ambientali nelle quali versa la città, come confermato dall’aggiornamento recente dello studio “Sentieri”: 21% di mortalità infantile in più rispetto al resto del Paese, solo per citare uno dei tanti dati allarmanti.

La Commissione, in questa lettera che fa seguito a numerosi scambi ed incontri avvenuti con Peacelink, reitera che l’annoso inquinamento è una questione molto complicata, che deve pur essere risolta con l’impegno del Governo Italiano! Perché, effettivamente, si potrebbe pensare che a Taranto i diritti garantiti dalla Costituzione non siano gli stessi che altrove.

La lettera del Commissario fa venire in mente, in maniera indiretta, che il responsabile primo dello stallo in cui versa la mia città è l’assenza totale delle istituzioni, che avrebbero dovuto fare il proprio dovere, proteggendo noi tarantini dal pericolo al quale siamo ancora esposti. Ma lo Stato non c’è. Dovrebbe fare più notizia il fatto che lo Stato abbia venduto i propri cittadini al mercato dell’acciaio, che una processione religiosa che si inchina ai mafiosi. La Commissione europea, interviene, per quanto la legislazione europea consenta, si fa carico della sofferenza della città, e nella lettera dice testualmente che «essa perseguirà la strada intrapresa fino a che piena soddisfazione non sarà stata data alla popolazione di Taranto direttamente toccata dalla questione Ilva ».

Sono parole tristi, che testimoniano della situazione di abbandono. Sono parole che avrebbe dovuto pronunciare lo Stato, garante dei diritti inderogabili dei suoi cittadini. Ma lo Stato, scomparso da tempo, si nasconde dietro una coperta divenuta ormai troppo corta e affollata già dallo stesso Governo e dalle Istituzioni locali. Non si entra a Taranto nelle questioni vere, e se si viene in visita ufficiale è per fare il giro della sposa: una bella passeggiata in un’Ilva con gli impianti chiusi per l’occasione, con gente che sorride felice sotto minaccia.
L’Arpa Puglia ha definito frutto di farneticazioni i dati, prodotti dalla stessa Arpa, ed elaborati da Peacelink che ha solo aggiornato al 2014, con il modello matematico Arpa, i dati relativi all’inquinamento da IPA (idrocarburi policiclici aromatici, sostanze potenzialmente molto cancerogene) al 2013-2014.

A maggior conferma, e per fugare ogni dubbio, Peacelink ha effettuato la mattina del 26 agosto scorso delle nuove rilevazioni presso il quartiere Tamburi a ridosso dello stabilimento. Le concentrazioni di IPA sono risultate tre-quattro volte superiori ai valori del periodo 2009-2010, pre-AIA, pre-leggi Ilva, pre-Commissariamento del Governo!

Dopo ben sei decreti, siamo oggi al punto in cui sembra che la situazione ambientale sia addirittura peggiorata. Oltre alle rilevazioni strumentali, ci sono centinaia di foto e segnalazioni continue, a Taranto siamo tutti eco-sentinelle e sappiamo, secondo i venti, se possiamo aprire le finestre o meno.

Le prescrizioni dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) non sono state realizzate, ma dal 2011 (data in cui fu elaborata la prima versione) ad oggi, esse sono state solo modificate per allungarne la messa in attuazione, che ormai sembra cosa alquanto remota.

Le due ultime leggi sull’Ilva (n.6 del 6/2/2014 e n.100 del 16/7/2014) appaiono come un attacco al bilanciamento dei poteri sancito dalla Costituzione ed una contrapposizione netta al diritto comunitario. A parte la violazione flagrante della direttiva EU sulla riduzione e la prevenzione dell’inquinamento, la legge attuale autorizza l’Ilva a non realizzare il 20% delle prescrizioni del permesso AIA (in questo 20% potrebbero esserci le misure più urgenti, importanti e quindi più costose) e di conseguenza a produrre senza rispettare le leggi approntate precedentemente.

Sembra che il Governo e lo Stato si pongano al di là della legge italiana ed europea e vadano contro i dettami della Corte Costituzionale, che in una sentenza del maggio 2013, ha sancito la persistenza del vincolo cautelare sulle aree e sugli impianti dello stabilimento posti sotto sequestro dal Gip Todisco il 26 luglio del 2012.

La Corte Costituzionale ha affermato che l’attività produttiva è ritenuta lecita solo se è garantito il pieno rispetto del permesso AIA, che prevedeva una messa a norma dello stabilimento entro il luglio del 2014. Il piano ambientale contenuto nelle nuove leggi parla del 2015 e del 2016 per la realizzazione di alcune prescrizioni. Eppure il tempo non va indietro e la situazione sanitaria peggiora di giorno in giorno.

Secondo la Corte Costituzionale, la deviazione dal percorso di messa a norma, che era l’assicurazione di un bilanciamento tra il diritto al lavoro ed il diritto alla salute, doveva ritenersi illecita e pertanto perseguibile ai sensi delle leggi vigenti.
Il bilanciamento di tali diritti viene meno nel momento in cui l’Ilva dichiara di non poter mettere in opera l’AIA a causa di mancanza di fondi.
Svuotata la legge di ogni suo valore, relegate le direttive europee in un angolo, protetta l’Ilva e la sua produzione anche attraverso incredibili opere di propaganda mediatica quale la nomina di un nuovo sub-commissario, quali ridondanti piani industriali futuri, ecco che il Governo sembra aver posto in essere ancora una volta tutte le garanzie volte a garantire la continuità di una produzione i cui effetti per la popolazione e gli operai appaiono devastanti, lo dicono perizie e studi.

Il 7 Ottobre prossimo la Corte di Cassazione si pronuncerà sulla rimessione o meno del processo “Ambiente Svenduto”. L’Ilva-Gate ha 53 imputati, tra i quali tre società appartenenti alla famiglia Riva (Ilva, Riva Fire e Riva Forni Elettrici); il Presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola; l’ex Presidente dell’Ilva (ed ex prefetto di Milano) Bruno Ferrante; altri due ex direttori dello stabilimento, Luigi Capogrosso ed Adolfo Buffo; l'ex addetto alle relazioni istituzionali dell'Ilva, Girolamo Archiná; il direttore dell'Agenzia regionale per la protezione ambientale della Puglia (Arpa), Giorgio Assennato; l’assessore all'Ambiente della Regione Puglia, Lorenzo Nicastro (IdV); l'ex consigliere regionale della Puglia, oggi deputato di Sel, Nicola Fratoianni; l'attuale consigliere regionale Donato Pentassuglia (Pd) e l’ex assessore provinciale all’Ambiente Michele Conserva (Pd).

Quasi tutti i politici per i quali è stato chiesto il rinvio a giudizio sono ancora nell’esercizio delle proprie funzioni. Mentre la città assediata dalle malattie aspetta, il Governo continua ad utilizzarla come une enorme esperimento a cielo aperto. A Taranto non ci sono ospedali attrezzati per far fronte all’emergenza cancro e per curare e diagnosticare le altre malattie che gli esperti dicono generate dall’inquinamento. I suicidi fanno parte ormai della cronaca quotidiana. Non si vive, si sopravvive.

In aggiunta al problema Ilva, come se non bastasse, ad aggravare il carico negativo, c’è il progetto Tempa Rossa. E’ di qualche giorno fa la notizia della già avvenuta approvazione di questo progetto di sfruttamento del ricchissimo giacimento petrolifero, situato in località Tempa Rossa nella valle del Sauro, in Basilicata. Esso prevede una centrale di smistamento del petrolio greggio in arrivo nel porto di Taranto, che diventerà un esteso terminal petrolifero. Il materiale arriverà per essere trasportato verso diverse raffinerie in Italia e all’estero, una parte di esso invece sarà lavorato e stoccato a Taranto presso la raffineria Eni che nel frattempo sarà stata raddoppiata.

I problemi sono più che evidenti e sono legati alla concentrazione alla raffineria e al porto di tutto il petrolio del Sud Italia, e di conseguenza alla pericolosità che attività del genere possono avere in maniera definitiva sull’ecosistema, già pesantemente provato dalla presenza dell’industria siderurgica e della grande base Nato.
C’è bisogno urgente di un cambio di passo, di una nuova visione, di una nuova classe dirigente che sappia affrontare le drammatiche condizioni in cui versa non solo Taranto ma l’intero Paese. Che nasca un movimento qui, da chi ha più sofferto e che non ha null’altro in cui sperare se non l’energia che scaturisce dalle proprie forze.

La società è profondamente cambiata. Nuovi bisogni emergono giorno dopo giorno senza trovare risposta. C’è bisogno di stabilità nello sviluppo, di coesione e di giustizia sociale diffusa, in cui le località siano artefici del loro stesso futuro: Taranto non ha mai avuto accesso alla “stanza dei bottoni”, in cui sono state prese le decisioni che così drammaticamente l’hanno riguardata e la riguardano. E’ ora di darsi una strategia per cambiare un futuro che sembra già segnato.

La crisi della città potrebbe essere risolta con un’energica azione di valorizzazione economica delle risorse locali e con un programma di diversificazione economica e produttiva. Ad esempio, la riconversione industriale affrontata con iniezioni di nuove tecnologie, l’allargamento delle attività portuali, nuovi contratti di lavoro che tengano conto della drammatica situazione occupazionale delle aree meridionali come quella di Taranto e che incentivino il radicamento di iniziative imprenditoriali.

La società si deve arricchire delle attività delle municipalità, le quali per ben contribuire hanno bisogno di mettersi all’altezza in termini di conoscenza e di una più ampia prospettiva europea, abbandonando il miope localismo. Agganciare l’Europa, le occasioni internazionali. Proprio per fare questo, si deve puntare sulla cultura, sull’innovazione, sulla valorizzazione delle competenze locali.
Lanciamo una politica che riparta dai giovani della Puglia, della Calabria, della Sicilia, dal Sud tutto che più del resto del Paese ha bisogno di un cambiamento epocale. Creiamo progetti alternativi coerenti con i cambiamenti già avvenuti in questa società e affatto interpretati dalla politica attuale. Ricerca, informatizzazione, innovazione, cultura, ambiente, per realizzare uno sviluppo economico, sociale, che pongano l'individuo al centro dell’attività umana.
Dare respiro all'azione locale in Europa, inserendola in un contesto del quale beneficiare in modo concreto ed immediato. Ripartire da Taranto e dal Mezzogiorno offeso. Riportare la periferia al centro.(Antonia Battaglia - Micromega)

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