Ilva tra Bad e New Company
Sono giorni che insistentemente non solo
sulla stampa, ma tra i funzionari del ministero dello Sviluppo
Economico e dell’Ambiente si parla del futuro dell’Ilva come di un
futuro che porterà ad un intervento di chirurgica separazione dal punto
di vista societario. E’ lo schema che è stato seguito con Alitalia, per
favorire l’acquisto da parte della cordata d’imprenditori guidata da
Colaninno di cui fece parte anche la famiglia Riva. Sappiamo - ormai lo
sanno tutti - che il commissario di governo per Ilva, Piero Guidi,
insieme al ministro Federica Guidi, hanno come proposta da fare agli
acquirenti dell’Ilva quella di dividere la società in due: una bad
company e una new company. Ma si farà peggio di quanto fu fatto con
Alitalia, perché i costi che si scaricheranno sulle casse dello Stato
italiano saranno maggiori di quanto accaduto con la compagnia aerea.
Arcelor –Mittal, società molto discussa a
livello europeo, specialmente in Francia, ha già manifestato il suo
interesse all’acquisto dell’impianto siderurgico. Ma Arcelor-Mittal
perché dovrebbe acquistare l’Ilva su cui pende un processo, dove con
ogni probabilità saranno presentate circa 1.500 richieste di
costituzioni di parti civili, di risarcimento danni, con un danno
ambientale provocato alle falde, ai suoli, al mare? Sappiamo che per
fare le bonifiche serviranno tra i 4 ai 5 miliardi di euro, nell’Aia non
è stato considerato l’inquinamento alle acque. Il Governo ha deliberato
un prestito ponte di 250 milioni di euro. A ciò aggiungo che, secondo
quanto messo nero su bianco dall’ex commissario Ronchi, per dare
attuazione alle prescrizioni Aia serviranno 4,1 miliardi con una
tempistica che arriva fino al 2020. Nessuna società al mondo con un
quadro economico di questo tipo comprerebbe l’Ilva. Ma se l’Ilva viene
divisa in due le cose cambiano. Nella bad company il governo, d’accordo
con i Riva, inserirà i contenziosi , le bonifiche ( Arcelor-Mittal
sosterrà che quello che è accaduto nel passato non c’entra nulla), i
debiti, il prestito ponte dello Stato, gli inevitabili esuberi legati al
piano di ristrutturazione, la richiesta di risarcimenti connessi
all’esito del processo e l’onere delle bonifiche. Nella new company ci
saranno gli impianti, gli immobili,i suoli: in sintesi tutto ciò che
determinerà valore aggiunto e non perdita.
La conseguenza di una simile strategia
sarà quella di dire addio alla possibilità di fare le bonifiche a
Taranto, il principio chi inquina paga sarebbe seppellito con tanto di
funerale, gli investimenti per dare applicazione all’Aia non saranno
certamente quelli previsti dall’ex sub commissario Ronchi fissati in 4,1
miliardi di euro. Non è un caso, infatti, che il Piano industriale che
doveva essere approvato il 9 giugno del 2014, come stabilito dalle
modalità previste dal decreto n.207/2013, non sia ancora stato nemmeno
presentato. Chi subentrerà nell’acquisto, oltre ad ottenere i notevoli
benefici dello scorporo societario, metterà le sue condizioni sul nuovo
Piano. Non sarà approvato il Piano industriale da 4,1 miliardi di euro
che avrebbe dovuto applicare le prescrizioni AIA del 2012. Dobbiamo
avere ben presente che la relazione di Valutazione sul danno sanitario
elaborato dalla regione Puglia evidenzia due scenari. Uno scenario senza
attuazione dell’AIA, nel quale si parla di 22.500 persone a Taranto che
saranno a rischio di malattie tumorali a causa dell’inquinamento; e,
l’altro scenario, quello legato alla piena applicazione delle
prescrizioni ambientali previste dall’AIA in cui la relazione individua
in 12.500 le persone a rischio tumore. Questi dati danno il segno della
drammaticità della situazione tarantina, ma fanno comprendere anche
come con questo ritardo, ovvero la trattativa sul Piano industriale, si
sta giocando con la vita delle persone.
Con bad company e new company, lo slogan
“ socializzare le perdite e privatizzare i profitti“ è molto attuale.
Le perdite saranno quelle ambientali, sanitarie, perché all’orizzonte
non s’intravedono le bonifiche urgenti per eliminare i veleni dai
terreni, dalle falde e dal Mar Piccolo e il Mar Grande. Saranno perdite
anche economiche perché la domanda da porsi è la seguente: chi
restituirà il prestito ponte di 250 milioni di euro, al di là delle
rassicurazioni del governo? Certamente non sarà chi comprerà! Sarà lo
Stato, se lo farà, a doversi fare carico dei lavori urgenti di bonifiche
sui suoli e per la messa in sicurezza delle falde. Lo schema della bad
company significherà non fare le bonifiche e lasciare il disastro
ambientale a danneggiare economia e salute. La bad company darà il via
libero alla ristrutturazione interna dello stabilimento con esuberi e
licenziamenti. Ora, di fronte ad uno scenario di questo genere, sarebbe
il caso, per me doveroso, che il governo scommettesse sul futuro di
Taranto pensando ad un progetto di conversione e di grande
trasformazione come abbiamo provato ad indicare molte volte. Non è
assolutamente vero che senza Ilva assisteremo al disastro sociale. Se
si costruisce la conversione accadrà il contrario. A Bilbao, Pittsburgh e
nella Ruhr ci sono riusciti. Perché non a Taranto? Taranto in questi
decenni ha pagato un prezzo alto in termini d’inquinamento ambientale e
di vite umane per lo “sviluppo economico” dell’Italia. Oggi tutta
l’Italia dovrebbe occuparsi di questa città, come Taranto si è occupata
dell’Italia negli ultimi 54 anni. (Angelo Bonelli - Cosmopolismedia)
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