mercoledì 27 agosto 2014

E noi paghiamo...

Ilva tra Bad e New Company

Sono giorni che insistentemente non solo sulla stampa, ma tra i funzionari del ministero dello Sviluppo Economico e dell’Ambiente si parla del futuro dell’Ilva come di un futuro che porterà ad un intervento di chirurgica separazione dal punto di vista societario. E’ lo schema che è stato seguito con Alitalia, per favorire l’acquisto da parte della cordata d’imprenditori guidata da Colaninno di cui fece parte anche la famiglia Riva. Sappiamo - ormai lo sanno tutti - che il  commissario di governo per Ilva, Piero Guidi, insieme al ministro Federica Guidi, hanno come proposta da fare agli acquirenti dell’Ilva quella di dividere la società in due: una bad company e una  new company. Ma si farà peggio di quanto fu fatto con Alitalia, perché i costi che si scaricheranno sulle casse dello Stato italiano saranno maggiori di quanto accaduto con la compagnia aerea. 
Arcelor –Mittal, società molto discussa a livello europeo, specialmente in Francia, ha già manifestato il suo interesse all’acquisto dell’impianto siderurgico. Ma Arcelor-Mittal perché dovrebbe acquistare l’Ilva su cui pende un processo, dove con ogni probabilità saranno presentate circa 1.500 richieste di costituzioni di parti civili, di risarcimento danni, con un danno ambientale provocato alle falde, ai suoli, al mare? Sappiamo che per fare le bonifiche serviranno tra i 4 ai 5 miliardi di euro, nell’Aia non è stato considerato l’inquinamento alle acque. Il Governo ha deliberato un prestito ponte di 250 milioni di euro. A ciò aggiungo che, secondo quanto messo nero su bianco dall’ex commissario Ronchi, per dare attuazione alle prescrizioni Aia serviranno 4,1 miliardi con una tempistica che arriva fino al 2020. Nessuna società al mondo con un quadro economico di questo tipo comprerebbe l’Ilva.  Ma se l’Ilva viene divisa in due le cose cambiano. Nella bad company il governo, d’accordo con i Riva, inserirà i contenziosi , le bonifiche ( Arcelor-Mittal sosterrà che quello che  è accaduto nel passato non c’entra nulla), i debiti, il prestito ponte dello Stato, gli inevitabili esuberi legati al piano di ristrutturazione, la richiesta di risarcimenti connessi  all’esito del processo e l’onere delle bonifiche. Nella new company ci saranno gli impianti, gli immobili,i suoli: in sintesi tutto ciò che determinerà valore aggiunto e non perdita.
La conseguenza di una simile strategia sarà quella di dire addio alla possibilità di fare le bonifiche a Taranto, il principio chi inquina paga sarebbe seppellito con tanto di funerale, gli investimenti per dare applicazione all’Aia non saranno certamente quelli previsti dall’ex sub commissario Ronchi fissati in 4,1 miliardi di euro. Non è un caso, infatti, che il Piano industriale che doveva essere approvato il 9 giugno del 2014, come stabilito dalle modalità previste dal decreto n.207/2013, non sia ancora stato nemmeno presentato. Chi subentrerà nell’acquisto, oltre ad ottenere i notevoli benefici dello scorporo societario, metterà le sue condizioni sul nuovo Piano. Non sarà approvato il Piano industriale da 4,1 miliardi di euro che avrebbe dovuto applicare le prescrizioni AIA del 2012. Dobbiamo avere ben presente che la relazione di Valutazione sul danno sanitario elaborato dalla regione Puglia evidenzia due scenari. Uno scenario senza attuazione dell’AIA, nel quale si parla di 22.500 persone a Taranto che saranno a rischio di malattie tumorali a causa dell’inquinamento; e, l’altro scenario, quello legato alla piena applicazione delle prescrizioni ambientali previste dall’AIA in cui la relazione individua in 12.500 le persone a rischio tumore. Questi dati danno il segno della drammaticità della situazione tarantina, ma  fanno comprendere anche  come con questo ritardo, ovvero la trattativa sul Piano industriale, si sta giocando con la vita delle persone.
Con bad company e new company, lo slogan “ socializzare le perdite e privatizzare i profitti“ è molto attuale. Le perdite saranno quelle ambientali, sanitarie, perché all’orizzonte non s’intravedono le bonifiche urgenti per eliminare i veleni dai terreni, dalle falde e dal Mar Piccolo e il Mar Grande. Saranno perdite anche economiche perché la domanda da porsi è la seguente: chi restituirà il prestito ponte di 250 milioni di euro, al di là delle rassicurazioni del governo?  Certamente non sarà chi comprerà!  Sarà lo Stato, se lo farà, a doversi fare carico dei lavori urgenti di bonifiche sui suoli e per la messa in sicurezza delle falde. Lo schema della bad company significherà non fare le bonifiche e lasciare il disastro ambientale a danneggiare economia e salute. La bad company darà il via libero alla ristrutturazione interna dello stabilimento con esuberi e licenziamenti. Ora, di fronte ad uno scenario di questo genere, sarebbe il caso, per me doveroso, che il governo scommettesse sul futuro di Taranto pensando ad un progetto di conversione e di grande trasformazione come abbiamo provato ad indicare molte volte. Non è assolutamente vero che senza Ilva assisteremo  al disastro sociale. Se si costruisce la conversione accadrà il contrario. A Bilbao, Pittsburgh e nella Ruhr ci sono riusciti. Perché non a Taranto?  Taranto in questi decenni ha pagato un prezzo alto in termini d’inquinamento ambientale e di vite umane per lo “sviluppo economico” dell’Italia. Oggi tutta l’Italia dovrebbe occuparsi di questa città, come Taranto si è occupata dell’Italia negli ultimi 54 anni. (Angelo Bonelli - Cosmopolismedia)

Nessun commento: