martedì 26 agosto 2014

Chi soffre in ospedale, chi in villa e chi spoliticheggia

Ilva, ditte dell’indotto vanno in sofferenza

Sit in dei dipendenti delle aziende E3, Martucci e Idrotecnica srl, tutte dell’indotto Ilva, davanti alla portineria imprese dello stabilimento siderurgico. Sono lavoratori, alcuni dei quali in cassa integrazione, che lamentano ritardi nel pagamento degli stipendi. I sindacati hanno chiesto un incontro ai responsabili delle ditte per avere garanzie sul pagamento delle spettanze e fare anche il punto sulle prospettive. «Le ditte dell’appalto - scrivono gli operai in una nota - dicono basta. L’Ilva si preoccupa solo dei suoi dipendenti come se noi dell’appalto non avessimo necessità primarie, anche noi abbiamo figli, anche noi non mangiamo e anche noi non paghiamo le bollette se non ci sono i soldi».
È una delle ultime frontiere di una crisi senza fine, che richiama ormai non più e non solo all’ambientalizzazione di uno tra i più grandi poli siderurgici d’Europa de del mondo, ma anche una vera e propria inversione culturale sul modello di sviluppo adottato a Taranto come in altre città prettamente caratterizzate dalla presenza di industria massiva. Sul tema della riconversione, culturale prima ancora che industriale, interviene il coordinatore regionale dell’ala ambientalista del Pd di Puglia, i cosiddetti Ecodem, Luigi Campanale.
«Spetta alla politica decidere il futuro di Taranto. Sono trascorsi due anni da quando con questo titolo veniva pubblicato sulla Gazzetta un mio intervento e la politica, quella che conta e decide, pur essendo stata costretta a interessarsi dell’Ilva, tranne qualche timida iniziativa, poco, davvero poco, ha proposto per affrontare le problematiche di Taranto connesse al siderurgico».
Campanale conviene nel dire che l’Ilva «è il fulcro di un sistema industriale. Aveva circa 160mila unità lavorative, delle quali circa 70mila sono andate perse e circa 3mila andranno perse con la cosiddetta ambientalizzazione della fabbrica. Sicche è del tutto evidente la necessità di trovare altri comparti produttivi capaci di sopperire alle problematiche economico-occupazionali, nonchè ambientali e di tutela della salute, del sistema industriale Ilva». Come riconvertire? Agricoltura, turismo, cultura: sono le vocazioni della regione. Ma per passare dall’acciaio ad ad altro occorre, secondo Campanale «una “mutazione antropologica” del territorio tarantino. L’Ilva e quindi la questione ambientale - spiega ancora il coordinatore regionale Ecodem - ci sfida ad individuare “un nuovo modo di produzione” (per dirla con Pasolini) che dia sostanza a quel 41% (l’assonanza richiamata è ai consensi ottenuti dal Pd alle ultime elezioni Europee, ndr), mettendolo in condizione di produrre quel reale, sottolineo reale, cambiamento necessario al paese per venir fuori dalla crisi di sistema in cui si sta dilaniando».
Quindi la conclusione del ragionamento: «L’Ilva per la sua valenza economica-sociale-ambientale assume una funzione “primariamente come un problema di cambiamento di paradigma e di valori sui quali si fonda l’esistenza personale e sociale.” (così in Ambiente e Ricerca di Angela Danisi). Ciò, non solo e non tanto, per il sistema industriale di Taranto e per la Puglia, ma, per l’intero sistema paese. Di ciò non vi è traccia di discussione nel Partito democratico regionale pugliese. Purtuttavia vi è la ragionevole fiducia, degli Ecodem pugliesi, componente ambientalista del Pd, che i candidati del Pd alla presidenza della Regione, per il prossimo anno, abbiano la consapevolezza che è necessario, per quanto innanzi sinteticamente detto, assumersi la responsabilità di governare la questione ambientale dell’Ilva di Taranto e ciò a prescindere da quelli che si appalesano come spot elettoralistici». (GdM)

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