Petrolio di «Tempa Rossa» a Taranto: già deciso a Roma
Porta la data del 16 aprile del 2010 l’avvio delle procedure per la
valutazione di impatto ambientale del progetto di adeguamento delle
strutture della raffineria Eni di Taranto per lo stoccaggio e la
movimentazione del greggio proveniente dal giacimento lucano denominato
«Tempa Rossa». Più, insomma, di quattro anni, trascorsi tra riunioni,
conferenze, verifiche, azioni di lobby, concluse il 17 luglio scorso -
come rivelato dalla Gazzetta - con il sostanziale via libera ai lavori,
così come deciso da due ministeri (Ambiente e Sviluppo Economico) e
dalla Regione Puglia (il Comune di Taranto non è stato invitato).
Due i provvedimenti governativi che fanno da supporto a tutta
l’operazione che vede coinvolta la Total (proprietaria dello
stabilimento lucano assieme a Shell e Mitsui) e l’Eni (proprietaria
delle aree nelle quali saranno realizzati i due maxi serbatoi destinati
ad accogliere il greggio poi destinato a prendere la via del mare
tramite un pontile appositamente attrezzato). Il primo porta la firma
degli allori ministri Stefania Prestigiacomo (Ambiente) e Giancarlo
Galan (Beni culturali) che il 27 ottobre 2011 decretarono la
compatibilità ambientale del progetto presentato dall’Eni, progetto che
prevede opere a valle di quello - è bene tenerlo a mente - che è
considerata una infrastruttura strategica (delibera del Cipe del 23
marzo 2012), ovvero il giacimento di idrocarburi denominato «Tempa
Rossa», nell’ambito della concessione di coltivazione di idrocarburi
denominata «Gorgoglione». Secondo il Cipe, lo sviluppo del giacimento in
questione, unitamente allo sviluppo del giacimento denominato «Val
d’Agri», consentirà di coprire circa il 10 per cento del fabbisogno
energetico nazionale per una durata di circa 20 anni e di fornire quindi
«un notevole contributo alla riduzione della dipendenza del Paese
dall’estero per l’approvvigionamento energetico». E siccome la
raffineria di Taranto è collegata al giacimento «Val d’Agri», di
proprietà dell’Eni, da un oleodotto, era naturale far giungere, tramite
lo stesso oleodotto, il greggio (due milioni e 700mila tonnellate
all’anno) di Tempa Rossa a Taranto. Solo che, in questo caso, la
proprietà (Total) è diversa e dunque invece di farlo raffinare a
Taranto, pagando l’Eni per il servizio, si è scelta la via dei
maxi-serbatoi di stoccaggio e della realizzazione di una nuova
piattaforma offshore, collegata alla piattaforma già esistente, dotata
di due accosti che permettano l’attracco di navi da un minimo di 30.000
tonnellate ad un massimo di 45.000 tonnellate per l’esportazione del
greggio Val D’Agri e di navi da un minimo di 30.000 tonnellate ad un
massimo di 80.000 tonnellate per l’esportazione del greggio Tempa Rossa;
il prolungamento del pontile esistente per una lunghezza totale di 324
metri.
Leggendo il documento presentato dall’Eni in sede ministeriale, si
apprende, poi, che «la durata della fase di cantiere di costruzione dei
nuovi impianti è stata stimata su base statistica in circa 24 mesi,
comprensiva della fase di realizzazione delle opere civili e della fase
dei montaggi elettromeccanici delle varie componenti del progetto.
Il
cantiere impiegherà circa 53 operatori, tra lavori civili, meccanici ed
elettrici».
Numeri non roboanti, distanti dai 300 posti di lavoro annunciati ad
esempio da Confindustria nella manifestazione dello scorso 1 agosto e da
quelli che Total, indugiando non poco nella propaganda, invece
contempla sul suo sito web.
Pesante, invece, il bilancio ambientale (sempre fonte Eni). «Le uniche
emissioni in atmosfera di tipo convogliato generate dalle nuove
installazioni saranno quelle dall’impianto recupero vapori. Il nuovo
impianto integrerà l’impianto recupero vapori - si legge nel documento -
attualmente esistente e propedeutico alle attività di carico delle due
piattaforme. L’efficienza di recupero del nuovo sistema sarà pari al
98%, in linea con le migliori tecniche disponibili. Le portate saranno
discontinue nel tempo, strettamente collegate alle operazioni di carico
batch previste nella movimentazione. La raffineria ha stimato un
quantitativo di vapori dalla caricazione del greggio Tempa Rossa pari a
circa 1.300.000 chili all’anno. I nuovi impianti di recupero vapori
permetteranno di convogliare e trattare tali streams gassosi in modo da
recuperare parte degli idrocarburi, limitando il rilascio di sostanze in
atmosfera. Gli scarichi gassosi finali dagli impianti di recupero
vapori saranno tali da rispettare i limiti di legge, in linea con valori
di performance delle migliori tecnologie disponibili secondo le Bat di
settore e sono stimati pari a circa 26.000 chili all’anno di composti
organici volatili (Voc). Il contributo delle nuove installazioni alle
emissioni convogliate di raffineria può essere considerato trascurabile.
Le nuove installazioni genereranno emissioni diffuse e fuggitive in
corrispondenza delle nuove aree di stoccaggio e in corrispondenza degli
accordi flangiati (stazioni di pompaggio, stazione di raffreddamento),
aumentando le emissioni diffuse/fuggitive complessive di raffineria di
circa il 11-12%. Tale incremento è determinato principalmente dalla
superficie dei nuovi serbatoi, di dimensione atta a contenere il
quantitativo di greggio movimentato. Le perdite di frazione volatile
lungo le linee saranno rese poco significative dalla messa in posa di
tubazioni saldate. L’incremento delle emissioni diffuse/fuggitive
dall’impianto di trattamento acque può essere considerato trascurabile».
Dunque, Tempa Rossa sarà un affare per lo Stato (che infatti ha definito
strategica l’opera, e dunque in quanto strategica calabile dall’alto
senza «se» e senza «ma»), sarà un buon business per Total e soci (che
estrarranno il petrolio dalla Basilicata, lo faranno arrivare a Taranto e
poi lo raffineranno dove avrà più convenienza, facendo giungere per
tale traffici ben
90 petroliere all’anno tra le Cheradi e il molo di
punta Rondinella), per l’Eni (che quand’anche dovesse decidere di
chiudere, come minacciato, la raffineria tarantina, potrà sempre contare
su quanto Total pagherà per l’uso di serbatoi e pontili), per la
Basilicata (che già gode delle royalties e degli altri benefit garantiti
da compagnie petrolifere e Stato), per l’azienda, o le aziende, a cui
saranno affidati i lavori (che impiegheranno, lo ribadiamo,
53 persone
per 24 mesi, che probabilmente un lavoro già ce l’hanno).
Per la città di Taranto, invece, l’aumento dell’11-12% delle emissioni
diffuse-fuggitive di composti organici volatili (probabilmente causa
dell’insopportabile tanfo che aggredisce spesso Borgo, Tamburi e città
vecchia) e la consapevolezza di non contare nulla a livello governativo,
quanto scelte strategiche per il destino dell’Italia (ai polmoni dei
tarantini, poco strategici, chissà chi ci pensa) vengono prese senza
nemmeno consultarci.
(Mazza - GdM)
Taranto, l’Eni potenzia la raffineria con l’ok della Regione. E ammette: “Più emissioni”
Col
parere favorevole di governo e Regione e quello negativo (ma non
vincolante) del Comune ionico, la società petrolifera realizzerà il
progetto Tempra Rossa, che comporterà un forte aumento dello
stabilimento tarantino. Non ci saranno ricadute occupazionali durature e
salirà l'inquinamento. Angelo Bonelli: "Decisione che trasforma
definitivamente la città nella discarica dei veleni d’Italia"
Il progetto
Tempa Rossa dell’Eni s’ha da fare. A
Taranto, la città avvelenata dall’
Ilva
che, evidentemente, non ha dato abbastanza sul piano industriale al
Paese. L’ufficialità è giunta il 17 luglio scorso, quando la conferenza
dei Servizi a cui hanno preso parte i ministeri dell’Ambiente e dello
Sviluppo Economico e la
Regione Puglia,
ha di fatto dato il via libera al progetto in barba al “no” espresso
dal consiglio comunale il 14 luglio, solo tre giorni prima. Il
divieto dell’assise cittadina,
evidentemente, non è piaciuto a Roma: il Comune di Taranto, infatti,
non è stato nemmeno convocato. Era stato convocato invece il
ministero della Salute che, però, non ha inviato al tavolo nessun rappresentante. Ma che cosa è e cosa comporta il progetto Tempa Rossa?
IL PROGETTO - Nel documento presentato dall’
Eni a gennaio 2011 si legge che il progetto prevede il “potenziamento” della
Raffineria di Taranto “per lo stoccaggio e la spedizione del greggio” estratto dal campo di Tempa Rossa, in
Basilicata.
Il potenziamento prevede interventi sia in ambiente marino, come il
prolungamento del pontile già in uso all’Eni di Taranto e l’adeguamento
dei servizi ausiliari asserviti al
pontile, sia su terra come la costruzione di due nuovi mega serbatoi, costruzione nuova linea di
trasferimento
del greggio dai nuovi serbatoi al nuovo pontile, costruzione di un
nuovo impianto pre-raffreddamento e la fabbricazione di due nuovi
impianti di recupero vapori. Un progetto che, inoltre, servirà a
garantire il miglioramento della gestione dello stoccaggio del greggio
estratto in
Val D’agri che già da tempo viene movimentato a Taranto.
RISVOLTI OCCUPAZIONALI - Nel documento si legge chiaramente che “l’adeguamento della Raffineria non prevede un incremento della
capacità di lavorazione attuale, ma solo un aumento della capacità di movimentazione greggio Tempa Rossa, destinato esclusivamente all’
export via mare”. Insomma non ci sono prospettive occupazionali per i tarantini. Le uniche unità lavorative da impiegare servirebbero per la
realizzazione
dei nuovi impianti. “La durata della fase di cantiere di costruzione
dei nuovi impianti è stata stimata su base statistica in circa 24 mesi,
comprensiva della fase di realizzazione delle opere civili e della fase
dei montaggi elettromeccanici delle varie componenti del progetto. Il
cantiere impiegherà circa 53 operatori, tra lavori civili, meccanici ed elettrici”. Insomma 53 lavoratori per 24 mesi e l’aumento del
traffico navale mercantile in cambio di un impianto industriale che si aggiungerebbe a quelli già esistenti: su tutti
Ilva e Cementir del
Gruppo Caltagirone.
OBIETTIVI - Gli obiettivi del progetto, del resto, sono messi nero su bianco nei documenti presentati dall’
Eni.
“L’intervento di adeguamento delle strutture della Raffineria di
Taranto – si legge nelle carte – si inserisce nei più ampi progetti
petroliferi Val d’Agri e Tempa Rossa” che comportano la produzione di
600 milioni di barili di petrolio delle riserve della Val d’Agri (
Potenza) e 420 milioni di barili di greggio dal giacimento Tempa Rossa che contribuirà ad aumentare in maniera significativa la
produzione nazionale
di petrolio, contribuendo così alla sicurezza degli approvvigionamenti
energetici del Paese”. Il contributo offerto dal progetto Tempa Rossa,
ovviamente, contribuirà a ridurre, seppure sensibilmente, “la bolletta
petrolifera italiana”. Non solo. “Il buon esito di questo piano di
sviluppo,
di cui gli interventi presso la Raffineria di Taranto rappresentano una
parte essenziale, è dal punto di vista economico assai rilevante sia a
livello nazionale che locale e costituisce un tassello importante
nell’ambito delle opere strategiche previste dal piano degli interventi
nel
comparto energetico”.
I RISVOLTI AMBIENTALI - Il potenziamento degli impianti dell’Eni, che oggi contano già ben 133
serbatoi, contribuiranno anche all’incremento delle
emissioni industriali
nell’aria di Taranto. Le emissioni diffuse (cioè quelle che vengono
emesse in modo incontrollato dallo stabilimento), secondo il colosso
italiano del petrolio, aumenteranno del 11-12%. “Tale incremento è
determinato – si legge ancora tra i documenti – principalmente dalla
superficie dei nuovi serbatoi, di dimensione atta a contenere il
quantitativo di greggio movimentato”. Cresce il numero dei serbatoi e
quindi anche il livello nell’aria dei
composti organici che periodicamente costringono i tarantini a chiudersi in casa per non respirare “la
puzza di gas”
che avvolge la città. Un fenomeno sul quale anche la procura di Taranto
sta indagando da mesi. Ma per l’Eni, ed evidentemente anche per i
ministeri e per la Regione guidata da
Nichi Vendola, quell’aumento è da considerarsi “trascurabile”.
IL “NO” DEL COMUNE E LA PROCEDURA “SOSPETTA” - “Siamo assolutamente meravigliati di quello che è avvenuto – commenta a
ilfattoquotidiano.it l’assessore comunale all’Ambiente
Vincenzo Baio – perché il 10 luglio io stesso ho chiarito al tavolo con sottosegretario
Dal Basso Decaro,
i rappresentati dei ministeri e i vertici di Eni e Total il netto
dissenso del Comune di Taranto. Quel giorno ho letto un documento che è
stato formalmente acquisito. Quello stesso documento, solo quattro
giorni dopo è stato letto in consiglio comunale che ha coerentamente
ribadito il “no” al progetto Tempa Rossa. Scoprire che il 17 luglio,
cioè una settimana dopo quell’incontro a Roma, ci sia stato il via
libera appare più che sospetto. Il nostro “stop” – conclude Baio –
evidentemente avrebbe messo i
bastoni tra le ruote e così hanno pensato di fare a meno di noi. Del resto il parere del
comune in questi casi è obbligatorio, ma purtroppo non vincolante”.
LE REAZIONI - “Questa è una sentenza che trasforma definitivamente Taranto nella
discarica dei veleni d’Italia – dice invece
Angelo Bonelli, coportavoce nazionale dei
Verdi
e consigliere comunale di Taranto -. Anche il comportamente della
Regione è scandaloso perché il progetto Tempa Rossa, dal punto di vista
ambientale, contribuirà ad accrescere le emissioni in atmosfera in modo
insostenibnile e irreversibile. E’ la dimostrazione che nessuno vuole un
futuro alternativo per questa città. E’ vergognoso”. E proprio poche
ora fa Angelo Bonelli è stato destinatario di nuovi
atti intimidatori.
Dopo la busta con all’interno un coltello consegnata al municipio di
Taranto con il messaggio “Te lo mettiamo in gola. Via da Taranto
bastardo”, questa mattina il coportavocenazionale dei Verdi ha ricevuto
una
telefonata anonima nella quale un uomo gli avrebbe
riferito “Lei ha preso soldi a Taranto e la sua vita ha ore contate”.
Bonelli ha denunciato tutto agli organi di
polizia e poi ha raccontato la vicenda sui social network.
(Casula - FQ)