Vendola e l’Ilva
Nichi Vendola ha preso di petto la questione Ilva. Con la consegna della seconda perizia sulla più grande acciaieria d’Europa, accusata - ora anche dalle relazioni dei periti - di avvelenare Taranto e un bel pezzo di Puglia e in misura decisamente inquietante, il governatore è partito in quarta. Quando gli esperti hanno consegnato il primo dossier, ha detto che era ora di porsi il problema della bonifica.
Poi è venuto a Roma, per portare i veleni di Taranto sul tavolo di Monti. “Stiamo assediando il Palazzo del Governo per la questione Taranto, ministro dopo ministro perché lo Stato nella sua interezza si possa assumere la responsabilità di Taranto, che è una questione nazionale, e di una storia di inquinamento che è anche la storia di un’industria pubblica che ha segnato la vita e la carne di una città”.
In particolare, il fiero e combattivo Nichi ha incontrato il ministro della Salute, Renato Balduzzi, a cui ha chiesto più soldi per affrontare l’emergenza: “Un’addendum per Taranto perché quello che dicono le perizie epidemiologiche sono cose che meritano di essere approfondite anche sul piano dell’impegno per la prevenzione e la ricerca”. 10 milioni per il 2011 e il doppio per il 2012, queste sarebbero le risorse che Vendola chiede a Roma di sbloccare per migliorare “la storica inadeguatezza degli organici del sistema sanitario di Taranto”.
Sacrosante parole e lodevole missione, quella del governatore che ha approffittato anche della giornata Fiom per moltiplicare la forza delle proprie richieste all’esecutivo. Vendola è un politico a cui non manca il coraggio, a volte però anche la memoria andrebbe corroborata in modo adeguato. Leggendo le sue dichiarazioni vengono spontanee alcune considerazioni.
La prima: è vero, i presidi sanitari di Taranto sono clamorosamente inadeguati sotto molto profili, si è scoperto perfino che mancava un registro cittadino dei tumori, quindi non si potrà mai avere statistiche e numeri precisi per il passato. Non sapremo mai esattamente, in una parola, quante persone sono state uccise dai veleni. Ma dopo l’elezione di Vendola il registro ha continuato a mancare.
La seconda riguarda le perizie epidemiologiche che Vendola ha sfoderato davanti a Balduzzi per fargli capire la gravità della situazione. Bene, benissimo. Ma a noi risulta che nell’autunno del 2010, ossia un anno e mezzo fa, precisamente il 19 ottobre e il 10 novembre, la Federazione dei Verdi abbia chiesto a Vendola di “avviare un’indagine epidemiologica nell’area industriale di Taranto, Ilva compresa. Ad oggi, non ho avuto nessuna risposta e non ne comprendo la ragione”, scriveva nella seconda occasione il presidente Angelo Bonelli. Le due lettere, indirizzate personalmente al governatore, non hanno mai avuto nemmeno risposta dalla giunta di Nichi.
La terza riguarda l’Aia, l’autorizzazione integrata ambientale che nel luglio scorso il governo Berlusconi, tramite il ministro Prestigiacomo, ha emanato. Si tratta di una specie di decalogo di regole a cui deve attenersi l’Ilva, come tutti gli altri stabilimenti industriali, per volere della Comunità Europea. Quell’autorizzazione, applaudita da Regione, Provincia e Comune di Taranto, fu criticata da tutto il fronte ambientalista, che ne misero in luce tutte le contraddizioni e le criticità. Non furono ascoltati da nessuno, fino a che i periti del gup Todisco hanno letteralmente fatto a pezzi quel documento ufficiale, rivelando che si tratta di una “patente” industriale di manica non larga: larghissima. Tant’è che lo stesso Vendola, insieme al presidente della Provincia e al sindaco di Taranto, ha chiesto al governo di rivederla, facendo un’inversione a U. E rispetto a luglio scorso, mica 20 anni fa.
Richiesta accolta, ma mentre il governo ha comunicato ufficialmente che sarà rivista, il Tar di Lecce ne ha sospeso l’efficacia in alcune parti su ricorso della stessa Ilva. Ricapitolando: la commissione l’ha fatta, il governo l’ha timbrata, le istituzioni locali l’hanno applaudita, la società civile l’ha bocciata. E adesso, dopo che un giudice ha chiesto di vederci chiaro e sono saltate fuori le magagne, la tanto osannata Aia non ha più nè padri nè madri. Anzi, le istituzioni non la vogliono più e il governo la rivede. L’unica a cui va comunque riconosciuta coerenza è la fabbrica, alla quale non va bene la prima versione dell’autorizzazione e – a lume di ragione e di logica – tantomeno le andrà bene la versione beta, che dovrà per forza essere più severa dell’altra.
La quarta osservazione, per stare in tema di governa, riguarda il decreto sul benzoapirene che l’esecutivo Berlusconi ha approvato nello spazio di un amen, nell’agosto del 2010, cancellando una norma che era molto più severa e applaudita da tutta l’Europa. Rimuovendo il limite di 1 nanogrammo per metro cubo (1ng/m3), si è data praticamente la possibilità all’Ilva di alzare notevolmente la soglia di tolleranza per questo Ipa, idrocarburo policiclico aromatico, che è una delle sostanze più cancerogene e pericolose che respiriamo. Il decreto fu approvato in fretta e furia, con un’aula mezza vuota per il clima già vacanziero, e non risulta agli atti nessuna protesta o reazione della giunta Vendola.
La quinta riguarda i controlli sull’Ilva e la legge regionale entrata in vigore l’1 gennaio 2011. Un testo preparato per garantire che la terribile diossina resti nel limite di 0,4 nanogrammi per metro cubo. Vendola l’aveva presentata come la panacea di tutti i mali, perché avrebbe costretto lo stabilimento a osservare un limite di emissioni compatibile con la salute. Il problema, però, non è la legge, ma come farla rispettare. La novità della norma, enfatizzata da Vendola anche davanti ai microfoni di “Striscia la notizia”, era il “controllo a campionamento continuo” che avrebbe permesso di tenere sott’occhio le ciminiere e i fumi in modo permamente. In pratica, invece di presentarsi ogni tanto con gli strumenti per le misurazioni (e pare che all’interno dello stabilimento sia tutt’altro che semplice entrare anche per le autorità sanitarie) quindi invece di fare controlli a sorpresa, si trattava di impiantare stabilmente un sistema di vigilanza. Ma, entrata in vigore la legge, del controllo di cui sopra nessuna traccia. “Regione ed Ilva hanno inoltre condiviso e stabilito di avviare quanto prima un tavolo tecnico che verifichi, in tempi ragionevoli, la fattibilità del campionamento in continuo” ha fatto sapere poi la giunta. La parola “fattibilità”, quindi il concetto che in realtà tutto quello che c’era scritto era praticamente poco più che teoria, è spuntata solo dopo che la legge era stata pubblicizzata, annunciata e applaudita. Con l’aggravante, peraltro, che in altre parti del mondo – in Germania per esempio – lo fanno senza problemi e lo stesso producono acciaio, quindi non è un questione di tecnologia: è un problema di volerle fare, le cose. O di coscienza, per chi ce l’ha. (SM Righi - L'unità)
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