sabato 31 marzo 2012

Il giorno della verità

I periti incalzano: l’Ilva uccide. Ma l’azienda contesta la versione
Sul caso deciderà la Procura: sequestro in vista? «Le esposizioni negli anni ’60-80 hanno prodotto tumori alla vescica, negli anni ’70-90 a stomaco e pleura»

Ora Emilio e Nicola Riva non possono che attendere: l’incidente probatorio incardinato nell’inchiesta aperta a loro carico per disastro colposo s’è chiuso e il gip restituirà gli atti al pubblico ministero. La Procura dovrà ora decidere il seguito processuale per i cinque indagati, oltre ai Riva figurano Luigi Capogrosso. Ivan Di Maggio e Angelo Cavallo, tutti dirigenti del centro siderurgico di Taranto, e il destino degli impianti. Ieri, mentre migliaia di lavoratori sfilavano civilmente per strada e gli ambientalisti manifestavano nelle vicinanze del tribunale, la camera di consiglio aperta poco dopo mezzogiorno dal gip Patrizia Todisco è andata avanti sino alle otto della sera. Sei ore di contradditorio, intervallate da una pausa di circa tre ore per l’inattesa comparsa in aula di nuova documentazione tecnico-scientifica depositata dai periti chimici di fronte alla quale i difensori hanno chiesto il tempo per esaminarla.
Nel pomeriggio i nuovi argomenti non sono entrati per nulla nel dibattito incentrato, com’era previsto, sull’esame della relazione epidemiologica presentata il primo marzo dai tre esperti nominati dal giudice per le indagini preliminari. Annibale Biggeri, oncologo, e gli epidemiologi Francesco Forastiere e Maria Triassi, hanno confermato punto per punto il loro lavoro ribattendo alle contestazioni dei legali dell’Ilva e chiarendo alcuni aspetti su richiesta del pubblico ministero. Il collegio difensivo della società siderurgica, pur in possesso di una relazione piena di osservazioni critiche sull’operato dei tre periti, non l’ha depositata agli atti, preferendo contestarne verbalmente molte conclusioni. Gli esperti dell’Ilva, Lorenzo Alessio, Vito Foà, Carlo La Vecchia, Angelo Moretto, Stefano Porru, Eva Negri, hanno sottolineato quelli che ai loro occhi appaiono conclusioni non corrette. I legali dell’azienda le hanno offerte al dibattimento in aula. Innanzitutto l’adozione del limite di 20 nanogrammi per il PM10 definita come valore obiettivo dell’Oms, ma non attualmente in vigore nell’Unione europea. Se fosse stato utilizzato il limite europeo in vigore di 40 nanogrammi, recepito dall’Italia con il decreto 155/2010, l’eccesso stimato di patologie e decessi sarebbe stato tendenzialmente nullo.
Gli esperti del gip hanno confermato la validità del loro parametro di valutazione aggiungendo che si sono tenuti addirittura larghi. Anche sulla provenienza del PM10 c’è stata bisogno di chiarimenti dal momento che gli esperti dell’Ilva rilevano che proviene da tutta l’area industriale e non dal solo impianto siderurgico. In ogni caso dall’udienza è emersa la ratifica della connessione tra gli agenti inquinanti emessi dal centro siderurgico con i ricoveri e i decessi tra la popolazione tarantina e i lavoratori Ilva. La relazione aveva evidenziato la particolare sensibilità alle patologie dei quartieri Tamburi e Borgo, insieme con Paolo VI e Statte, fornendo una consistenza numerica alle conseguenze dell’inquinamento. Dal 2004 al 2010 a Taranto erano stati stimati 83 decessi attribuibili ai superamenti di 20 milligrammi al metro cubo della concentrazione annuale media del PM10, 193 ricoveri (malattie cardiache) e 455 (respiratorie); nei quartieri Borgo e Tamburi la stima riguardava 91 morti e 160 ricoveri (patologie cardiache) e 219 (respiratorie).
Allargando l’analisi dell’impatto delle patologie croniche su decessi e ricoveri a 321.356 persone tra Taranto, Massafra e Statte residenti almeno dal 1998, gli esperti avevano chiarito che le esposizioni avvenute negli anni 60-80 potevano ritenersi responsabili dei casi di tumore alla vescica, stomaco e dei tessuti molli e avevano sottolineato che gli operai in servizio negli anni ’70-90 avevano avuto un eccesso di mortalità per tumori allo stomaco, alla pleura, alla vescica, alla prostata. Secondo Angelo Bonelli, presidente dei Verdi, «i dati della perizia epidemiologica potrebbero essere sottostimati, hanno prodotto dati sulla mortalità che, anche in relazione ad ulteriori studi scientifici internazionali come ad esempio il progetto Sentieri, sono molto cauti». Le ipotesi di reato su cui i magistrati devono decidere sono: disastro colposo e doloso, avvelenamento di sostanze alimentari, danneggiamento aggravato di beni pubblici, inquinamento atmosferico, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni. (CdM)

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