Sì di Puglia e Basilicata: Addio all’Ente Irrigazione
Agli albori della Repubblica, nel 1947, era stato creato per portare l’acqua alle campagne della Puglia sitibonda. Ma nell’ultimo trentennio l’Ente Irrigazione è diventato uno dei simboli della tendenza, tutta italiana, a creare carrozzoni per poi riempirli di debiti: costruite le dighe, fatte le condotte, l’ente non aveva più ragione di esistere.
A cancellarlo ci avevano provato invano almeno sette governi (tre volte Berlusconi, D’Alema, Ciampi e Dini), e naturalmente se n’è accorto pure Mario Monti che con l’ultima finanziaria ha fissato l’ultimatum al 30 giugno. Ma stavolta Puglia e Basilicata sono arrivate prima, e nonostante certe incredibili resistenze dall’interno (il commissario Saverio Riccardi si è appellato persino al mitologico senatore Emilio Colombo, perché fermi una «soppressione troppo frettolosa») l’accordo è ormai stato trovato: tra breve l’Eipli finirà in archivio.
L’intesa di massima è stata raggiunta a dicembre, nell’ultima riunione del comitato di sorveglianza dell’accordo di programma sulle risorse idriche. E si riparte proprio da Acqua spa, la società creata dalla Basilicata per gestire i grandi schemi idrici, cui la Puglia ha già deciso di aderire fin dal 2008. Il progetto di far traslocare le competenze dell’Eipli in Acqua spa infatti non è nuovo, ma stavolta alla volontà politica delle Regioni ha fatto seguito l’incarico ai ai tecnici delle rispettive autorità di bacino che stanno compiendo l’analisi della situazione attualmente esistente.
«Aspettiamo gli esiti - dice l’assessore pugliese ai Lavori Pubblici, Fabiano Amati - ma c’è grande sintonia con la Basilicata. Con il governatore De Filippo ci siamo lasciati con un’intesa: si ricomincia da dove abbiamo lasciato, disponibili a rivedere le decisioni prese all’epoca per renderle più compatibili con lo stato dell’arte».
Lo stato dell’arte è questo. L’Eipli ha 130 dipendenti e un «buco» reale di 100 milioni di euro. Oggi si occupa di gestire tre schemi idrici (Basento-Bradano, Ofanto e Jonico-Sinni) che comprendono dighe e condotte: i suoi clienti sono i due acquedotti (Aqp e Acquedotto Lucano), l’Ilva e i consorzi di bonifica, con questi ultimi che - a loro volta in deficit nero - non pagano le bollette da decenni. Puglia e Basilicata sono pronte a farsi carico dei posti di lavoro («Saranno salvaguardati»), della gestione ordinaria e di parte dei debiti, ma chiederanno al ministero dell’Agricoltura che mantenga l’impegno a erogare i 30 milioni di euro promessi nell’ambito dell’ultimo piano di risanamento.
L’ente non ha solo debiti, ma anche proprietà (molti impianti e le tre sedi di Bari, Potenza e Avellino) che comunque non basteranno a colmare il buco. Bisognerà investire capitali freschi, anche a fronte di una revisione delle tariffe: la Puglia spinge affinché i consorzi di bonifica (cioè l’agricoltura) paghino un po’ meno (purché paghino), a fronte però di un sensibile aumento di costi per gli utenti industriali. Con l’obiettivo evidente di spingere l’Ilva a non utilizzare più acqua potabile (250 litri al secondo) ma acqua depurata.
«L’importante - conclude Amati - è fare in fretta, perché è importante assumere la gestione nello spirito della razionalizzazione e dell’efficienza. È l’ultimo tassello nel processo di semplificazione ed efficienza cominciato con l’accordo di programma e continuato con la scissione degli acquedotti. Ed è un grande investimento sulla nostra capacità di autogestirci come regioni meridionali». (GdM)
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