giovedì 10 maggio 2012

Promesse?

GRUPPO ILVA «INVESTIAMO ANCORA, ma il 2012 sarà nero» Milano - «Il 2011 è andato male. Il 2012 non andrà diversamente». Non è ottimista, Nicola Riva (foto) , presidente del gruppo Ilva e vicepresidente di Federacciai, anche se per il polo di Genova intravede una speranza: «Se il mercato riparte, è quello il nostro punto di forza». Presidente, iniziamo dal bilancio aziendale. Com’è andato il 2011? «Male, anche peggio del 2010, però ho una speranza». Quale? «Che sia un anno che possa servire a tornare ai livelli precedenti al 2010, e soprattutto al 2009, il vero anno di crisi». Quindi, come se la passa il suo gruppo? «Lo stato attuale non si presenta meglio del 2011. E non può essere diversamente: sono gli anni del fondo della crisi, ci aspettiamo una ripresa nel 2013». Come si supera la crisi? «Investendo. Noi stiamo proseguendo nell’opera di completamento di Genova, nell’area a freddo delle acciaierie, con linee moderne di zincatura a caldo. A Taranto, invece, puntiamo ancora di più sulla protezione ambientale. Ma c’è dell’altro: le armi contro la crisi arrivano anche dal risparmio energetico, che è fondamentale. Nelle materie prime e soprattutto nel fossile da coke incide ancora tanto. Per questo siamo alla ricerca di partner per possibili forniture di minerale». Quali aspettative su Genova? «Abbiamo fatto uno sforzo enorme per la ristrutturazione, abbiamo investito 700 milioni di euro in cinque-sei anni per smantellare il caldo, logico che avessimo aspettative importanti. Spenta l’area a caldo avevamo un piano preciso, e gli anni 2006, 2007 e 2008 sono stati eccezionali. Se non fosse arrivata una crisi così violenta, repentina, senza preavviso, Genova poteva riassorbire quasi tutta la manodopera. Malgrado tutto abbiamo proseguito negli investimenti, e ormai siamo pronti. Se il mercato riparte, quello è il punto di forza del nostro gruppo. Lo stabilimento, nella zincatura a caldo, è all’avanguardia». Genova resta nodale, quindi? «Sì, è un punto di arrivo dell’acciaio prodotto a Taranto, di trasformazione e di smistamento». La crisi è globale, qual è lo scenario nel quale vivete oggi? «Non si prevedono ribassi nelle materie minerali e fossili da coke e questo è un dato di cui tenere conto. La Cina importa molto, perché è vero che hanno miniere, ma i costi per sfruttarle sono molto alti. Nuove produzioni stanno sorgendo, ma gli investimenti in infrastrutture sono molto elevati: un conto è estrarre, poi ci vogliono mezzi, navi, porti. Magari negli anni aumenterà l’offerta, ma per ora il mercato è in mano ad altri». Il tema delle bolletta energetica sta a cuore agli industriali dell’acciaio: siete in difficoltà? «Basti pensare al prezzo del gas: l’Italia è l’unico paese in Europa ad aumentarlo. Non è spiegabile, se non che in Italia il mercato non è liberalizzato». Oggi come sopravvive Ilva? «L’export nei prodotti piani è fondamentale: quello in Germania soprattutto. Perché non è certo l’Italia a consumare l’acciaio. In Germania la produzione di automobili ed elettrodomestici funziona ancora, magari non tanto per il mercato interno quanto per quello estero, l’Asia soprattutto. Ma quello che ci chiediamo è: quanto può reggere ancora la Germania? Siamo preoccupati se non riuscirà a continuare su questi trend. E se l’euro non ci aiuta, anche l’export andrà in difficoltà». A Taranto, da anni, siete nell’occhio del ciclone: non si può far convivere industria e cittadini? «È logico che non è bello vivere vicino a un impianto siderurgico, ma neppure abitare a fianco della tangenziale di Milano lo è. Noi abbiamo investito miliardi per l’ecologia e gli impianti, ma anche sul personale, e ricordo che abbiamo 12mila dipendenti a Taranto. Ci dicono che abbiamo ucciso donne, bambini eccetera: per il Tribunale di Lecce non c’è emergenza sanitaria. Le ordinanze del sindaco sono state rigettate dal Tar. Ora il Ministero dell’Ambiente vuole rivedere l’Aia (autorizzazione integrata ambientale, ndr): va bene, la rivedremo. Però ne abbiamo parlato per cinque anni, sono state fatte 1050 pagine che credo ne facciano l’Aia più voluminosa che esista. È stata rilasciata nel 2011, doveva durare cinque anni, la vogliono rifare. Si faccia: noi vogliamo restare nel rispetto delle leggi, ma se poi ci chiedono di andare a piedi sulla luna, allora non ce la facciamo». LORENZO CRESCI per Shippingonline

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