TARANTO – E’ di pochi giorni fa la presentazione da parte dell’Ilva di un progetto mirato al contenimento delle polveri che si sprigionano dai parchi minerali: barriere frangivento lunghe un chilometro e 700 metri e alte 21 metri, con cui l’azienda conta di trattenere le emissioni dal 50 al 70%. E’ bene precisare che tale intervento, previsto dall’Autorizzazione Integrata Ambientale, interessa le polveri pesanti e non quelle sottili. Eppure, sono proprio quest’ultime, denominate PM10, a comportare i maggiori rischi per la salute perché si insinuano più facilmente nell’organismo umano.
Da più parti (Arpa Puglia e alcune associazioni ambientaliste) si è fatto presente che tale sistema è inadeguato e che la soluzione più efficace per fronteggiare l’emergenza polveri consiste nella copertura dei parchi minerali. Una posizione che emerge anche nella perizia elaborata dagli esperti incaricati dal gip Patrizia Todisco nell’ambito dell’inchiesta sull’inquinamento Ilva, che oggi prevede lo svolgimento di un’udienza. Nella stessa perizia si afferma che dai parchi minerali di disperdono in atmosfera 668 tonnellate di polveri all’anno, che si riversano soprattutto sul quartiere Tamburi. L’azienda, però, non ha mai ritenuto la copertura di tale area applicabile anche perché considerata troppo onerosa.
Va detto, però, che esiste anche un’altra opzione che sembrerebbe più efficace del semplice barrieramento: i Fog Cannon (Cannoni di nebbia) di ultima generazione. Si tratta di un sistema di abbattimento delle polveri nato per risolvere problemi in ambienti all’aria aperta come miniere, cave di grosse dimensioni e acciaierie, già brevettato in Italia e in Europa e collaudato nel resto del mondo (Australia, Cile, Oman).
Dalle schede tecniche si apprende che i Fog Cannon emettono “un potente getto di una miscela aria/acqua finemente nebulizzata che crea una nube di nebbia non tossica e non nociva in grado di abbattere velocemente le particelle in sospensione”. Questa tecnologia è stata adottata in vari impianti come la centrale termoelettrica Enel di Brindisi e due acciaierie situate in Gran Bretagna appartenenti al colosso siderurgico indiano Tata Steel. I tempi di consegna di tali impianti si limiterebbero a pochi mesi. Pertanto l’applicazione del sistema avverrebbe in tempi abbastanza rapidi.
Sarebbe interessante sapere se l’Ilva ritiene percorribile questa strada che potrebbe comportare un abbattimento delle polveri volatili di almeno il 70%, e in taluni casi anche oltre il 90%, in base agli ambiti di applicazione. Per quanto riguarda il PM 10 tale sistema garantirebbe un abbattimenhttp://www.blogger.com/img/blank.gifto del 50-70% delle emissioni. Pare che nei mesi scorsi ci siano stati dei contatti con un’azienda che distribuisce tale tecnologia in Italia e dei sopralluoghi presso impianti Enel e Tata Steel, dove i Fog Cannon vengono utilizzati. A questo punto, sarebbe utile conoscere l’esito delle valutazioni effettuate dal gruppo Riva, se tale tecnologia è stata accantonata e in caso affermativo, con quali motivazioni.
Alessandra Congedo (Inchiostroverde)
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