sabato 17 agosto 2013

La corsa al treno... rotto!

Ilva-Lucchini, integrazione possibile

Perché - con la cruda sbrigatività che gli amici e i nemici gli riconoscono fin dai tempi di Mediobanca e di Montedison - Enrico Bondi non ha bollato come "impraticabile" la richiesta - pressante - del Governo di provare a inserire il (logorato) tassello della Lucchini nel (complicatissimo) mosaico del risanamento industriale e ambientale dell'Ilva di Taranto? Perché non l'ha fatta cadere nel vuoto?
Le motivazioni che il ceto politico toscano ha scaricato sul Governo sono emotive fino alla demagogia, perché sembrano nascondere la voglia di diluire nell'Ilva il problema della Lucchini, ma di fronte alla disperata situazione di Piombino non possono non risuonare come quasi comprensibili.
L'ipotesi di lavoro, che va attentamente depurata da ogni rischio di una vendita camuffata, è quella di realizzare a Piombino un centro di produzione di materia prima che alimenti la stessa Piombino e che sia di supporto all'Ilva.
Quale sarebbe il vantaggio per quest'ultima? C'è un elemento, strettamente connesso al particolare profilo giuridico-industriale in cui si trova l'Ilva, di cui bisogna tenere conto: l'Aia, l'autorizzazione integrata ambientale, ha posto un vincolo sulla produzione di ghisa liquida a Taranto.
Fra il 2007 e il 2008, prima della crisi economica internazionale e del buco nero giudiziario in cui è precipitato il gruppo siderurgico, l'impresa produceva 9,5 milioni di tonnellate di ghisa all'anno. Ora l'Aia fissa un tetto di produzione a 7 milioni di tonnellate. Gli oltre due milioni di tonnellate che mancano potrebbero essere forniti da Piombino. Questo è il vantaggio per l'Ilva.
E per Piombino? Se l'Ilva dovesse attivare una integrazione con l'acciaieria toscana, per quest'ultima vi sarebbe una prima sostanziale conseguenza: molti dei dipendenti, che oggi paiono destinati a perdere il posto di lavoro anche in caso di non definitiva liquidazione della società, potrebbero rientrare in fabbrica, dove non sarebbe spento per sempre l'altoforno.
Oggi, per la Lucchini, sono in lizza due cordate: la prima è composta da Beltrame e da Klesch; la seconda da Duferco, Acciaierie Venete e Feralpi. Entrambe le cordate, che hanno manifestato un interessamento a diversi livelli, sono portatrici di una cultura basata sul forno elettrico, che si serve del rottame. Non hanno competenze di gestione e di trasformazione del minerale. Dunque, appare difficile che possano mantenere un perimetro occupazionale che, rispetto agli attuali più di 2mila dipendenti, vada oltre 600-650 addetti.
In Italia le uniche due realtà che conoscono bene la siderurgia estrattiva - quella fondata appunto sull'estrazione del ferro dal minerale - sono l'Ilva e la Lucchini di Piombino. E, se in qualche modo l'Ilva riuscisse a inserire nel suo piano industriale una integrazione con la Lucchini, il numero di dipendenti necessario sarebbe assai maggiore. Il problema è, appunto, che cosa voglia dire "in qualche modo": l'Ilva è commissariata, dunque - anche se traesse un vantaggio industriale da questa idea - non potrebbe acquistare la Lucchini. Una ipotesi potrebbe essere l'affitto di un ramo d'azienda.
C'è, poi, il nodo della delimitazione del campo di gioco. Nel senso che l'Ilva potrebbe giocare in proprio, gestendo tutto il ciclo siderurgico di Piombino. Oppure potrebbe integrarsi con la cordata che avrà la meglio sull'altra: all'Ilva quanto serve per i prodotti piani, agli altri i forni elettrici con cui produrre prodotti lunghi. Comunque sia, a Piombino ci sarebbero già le attrezzature per fare i semilavorati da indirizzare verso il laminatoio di Taranto.
I costi di trasporto e di logistica, se sostenuti all'interno dello stesso gruppo siderurgico, non sono per definizione proibitivi: ai tragitti Cornigliano-Taranto e Novi Ligure-Taranto si aggiungerebbe Piombino-Taranto. Va sottolineato come, a Piombino, ci sia un asset - spesso trascurato - come il porto. È vero che il fondale dovrebbe essere più profondo, per ospitare le navi di grandi dimensioni che oggi servono la siderurgia internazionale. Ma è altrettanto vero che gli attracchi sul Tirreno sono più pregiati rispetto a quelli sull'Adriatico, tanto che il valore di un molo a parità di capacità varia fra il 30 e il 35% in più.
Dunque, una integrazione Ilva-Lucchini - sempre che le richieste di Roma non siano giudicate impraticabili da Bondi e dal suo staff - potrebbe anche contribuire a fare tornare in attività un porto, quello di Livorno, che oltre al turismo dei traghetti verso le isole ha una vocazione siderurgica tutt'altro che irrilevante.
Un porto il cui livello di saturazione ha una correlazione diretta con quanto succede nello stabilimento, che a regime avrebbe dovuto produrre 2,5 milioni di tonnellate di acciaio, ma che in realtà negli ultimi anni non ha mai superato gli 1,4 milioni di tonnellate. (Sole24h)

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