Ilva, ecco il nono decreto del Governo
300 milioni per accelerare la vendita
«Abbiamo
varato un decreto legge che accelera la cessione a terzi dei complessi
aziendali del gruppo Ilva. Il dl fissa al 30 giugno 2016 il termine per
il completamento dell’operazione di trasferimento a una nuova compagine
societaria per un futuro stabile di Ilva». Lo ha annunciato Claudio De
Vincenti al termine del Cdm.Per Ilva arriverà «una nuova compagine
societaria che consenta di dare un futuro stabile, definitivo, di
prospettiva industriale e risanamento ambientale dell'Ilva», ha
sottolineato ancora il sottosegretario.
Il ministro Galletti
«La
parte ambientale - ha spiegato il ministro dell'Ambiente Gian Luca
Galletti al termine del Consiglio dei ministri - resta un elemento
determinante del salvataggio dell'Ilva e la posticipazione del termine
di realizzazione del piano ambientale dal 4 agosto al 31 dicembre è
dovuta dal fatto che il piano che presenterà l'aggiudicatario potrà
portare modifiche al piano ambientale». Le modifiche, sottolinea ancora
il ministro, avverranno «con le stesse procedure della formazione del
piano ambientale».
La caccia a investitori italiani
Il
percorso seguito finora per il risanamento dell'Ilva è stato
accidentato, ricco di sorprese. E altre si annunciano, a partire da un
nuovo tentativo di coinvolgere l'imprenditoria privata, italiana e
internazionale, nell'azionariato del gruppo. Per il momento è una
semplice eventualità, certamente difficile da realizzare perché si
tratta di una strada già percorsa senza successo. Ma la situazione è
d'emergenza, con perdite elevate e prospettive drammatiche perché il
tesoretto di 1,2 miliardi di euro dei Riva è rimasto al riparo in
Svizzera e non è affluito nelle casse del gruppo, la Cassa depositi e
prestiti ha fatto sapere in un vertice a Palazzo Chigi tenuto nei giorni
scorsi che non è nelle condizioni di assumersi l'intero peso del
salvataggio, la nuova società (newco) che doveva essere costituita nella
primavera scorsa con l'apporto d'investitori finanziari è rimasta sulla
carta. Per questo occorre rimescolare le carte, o almeno tentarci.
Così, per il momento con grande prudenza, sono ripartite verifiche
informali per tentare l'impossibile, cioè ridare solidità all'assetto
azionario dell'Ilva coinvolgendo soci privati. Mai dire mai, dunque,
anche se proprio nel recente passato Piero Gnudi, all'epoca commissario
straordinario unico, ci ha provato senza risparmiarsi ma senza
riuscirci. E le difficoltà che hanno impedito di raggiungere l'obiettivo
rimangono tutte, perfino aggravate. Nell'attesa di capire quale sarà
l'esito dei contatti avviati, lo scenario di nuove partnership viene
definito una semplice eventualità, che non deve interferire con il
lavoro in cui sono impegnati i vertici aziendali, interamente rinnovati
meno di un anno fa.
L’odissea dell’acciaieria
La Via Crucis dell'Ilva è cominciata con la fase uno, in cui era al
comando il commissario straordinario Enrico Bondi, che ha puntato sul
piano industriale messo a punto con i consulenti di McKinsey. Poi,
uscito di scena Bondi, è arrivato Piero Gnudi, convinto che la priorità
fosse trovare un nuovo assetto dell'azionariato, per ridare solidità al
gruppo con l'apporto di soci privati, internazionali e italiani. I
tentativi non sono riusciti, perché i potenziali azionisti hanno detto
con chiarezza che i problemi dell'Ilva erano drammatici, gli
investimenti ambientali non sopportabili da privati, le inchieste
avviate dalla magistratura (soprattutto di Taranto) determinano un
quadro di assoluta incertezza. Contemporaneamente si è fatta strada la
convinzione che i privati intendessero forzare la mano, ingigantendo i
problemi dell'Ilva, per poi conquistarla con quattro denari. Insomma, il
sospetto è stato che ArcelorMittal guidasse una cordata della serie «I
furbetti dell'acciaio», parafrasando la definizione dei «Furbetti del
quartierino», coniata dallo spregiudicato finanziere Stefano Ricucci
nell'estate del 2005. Così l'operazione Gnudi non ha avuto esito ed è
cominciata la fase tre, con la regia dell'ex amministratore delegato di
Luxottica, Andrea Guerra, passato nel ruolo di super consulente per
Palazzo Chigi. L'occasione da non perdere è stata considerata
l'inchiesta della Procura di Milano contro i Riva, gli ex azionisti di
comando dell'Ilva, finiti sulla panchina degli imputati, ritenuti
colpevoli di una lunga serie di reati. Erano giorni in cui Guerra, sia
pure dietro le quinte, spendeva parole di elogio per il lavoro svolto
dai magistrati milanesi. Da Palazzo di Giustizia filtravano due
certezze: l'Ubs, il colosso svizzero in cui sono parcheggiati i trust
dei Riva, era pronto a consegnare i quattrini (i famosi 1,2 miliardi) e
la magistratura svizzera avrebbe dato via libera.
La decisione del tribunale svizzero
Il tutto si è verificato, ma è mancato l'ultimo passaggio. Nei giorni
scorsi il Tribunale di Bellinzona, a cui hanno fatto ricorso in appello
due esponenti della famiglia Riva, ha bloccato tutto, sottolineando (con
parole dure) che il tesoretto non si tocca fino a sentenza definitiva
di un processo (quello contro i Riva) ancora agli albori. Una vera
doccia fredda, per l'Ilva e dintorni, arrivata all'improvviso. L'effetto
è di riaprire i giochi sul futuro del gruppo che, proprio negli ultimi
due mesi, ha registrato qualche notizia positiva, a partire dal
contenimento delle perdite (sotto i 20 milioni al mese contro i 50
milioni dei momenti peggiori) per arrivare all'incremento del
portafoglio ordini (più 23 per cento il risultato di ottobre su
settembre e più 20 per cento in novembre rapportato a ottobre).
Significativa, in particolare, viene considerata la vittoria nella gara
promossa dalla Snam per una fornitura di oltre 5 milioni di euro.
L'impegno di chi si batte in prima linea c'è. Il problema è la mancanza
di soldi in cassa. E non è un problema di poco conto.
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