giovedì 30 maggio 2013

Ora pro nobis..

Mater Gratiae e dintorni. Un complesso di discariche sorto dentro e intorno alla omonima cava

Riflettori sulla "Mater Gratiae". Toponimo derivante da una omonima chiesetta, un tempo meta di pellegrinaggio per i devoti dei "Tamburi". Dopo la devastazione operata nella zona negli anni '60 per far posto al paesaggio industriale è stata dimenticata. Diroccata e coperta di rovi la chiesetta oggi è quasi inaccessibile, come lo è stata l'informazione sulle attività dell'Italsider/Ilva sino a circa 15 anni fa.
Per "Mater Gratiae", occorre riferirsi ad un complesso di discariche sorto dentro ed intorno alla omonima cava da cui si estrae calcare per produrre acciaio. Un enorme e composito comprensorio per lo smaltimento di materiali tossici e nocivi che comprende la discarica di categoria "ex 2B" per rifiuti speciali non pericolosi, le "nuove vasche" localizzata a sud - est della cava e la nuova discarica di ctg "ex 2C" per i pericolosi. Ma l'utilizzo di quest'area rimanda anche ai primordi dell'attività dello stabilimento. Sin dagli inizi è stata sfruttata per lo stoccaggio di residui di lavorazione di vario genere. Agli anni '70 risale l'esercizio di vasche sul lato Nord – Ovest della cava per lo stoccaggio provvisorio di fanghi industriali ed altre per quelle di residui oleosi. La cava è di dimensioni enormi (330 ha) e priva di un acquifero superficiale. Nonostante la ragguardevole profondità (circa 50 mt.), non di rado sono spuntate oltre il piano di campagna enormi piramidi di loppa e scorie di varia provenienza impiantistica. Magari, con la base priva di impermeabilizzazione e di sistemi di raccolta delle acque piovane. Nell'82 la magistratura indagò su una strana moria di uccelli nei pressi delle vasche.
Piuttosto anomalo è che quest'area non sia stata inserita nel SIN di Taranto per le bonifiche con obblighi relativi. La conferenza nazionale ha comunque riscontrato come i piezometri di monitoraggio della falda profonda sottostante le discariche non siano ubicati nei punti giusti. I dubbi sull'attendibilità dei dati forniti dall'Ilva negli anni passati appaiono quindi del tutto legittimi. Rimane da stabilire quanto abbiano pesato nel rilascio di autorizzazioni quanto sostenuto dall'azienda in una sua nota del sett. 2007 :"Sembrerebbe che la presenza delle discariche non influenzi la qualità delle falde". Affermazioni messe in discussione dalle analisi dell'Arpa negli anni successivi, pur sussistendo il problema del valore di fondo della falda non rilevato nel passato.
Problemi giudiziari inerenti lo smaltimento di residui industriali in quest'area si riscontrano anche nel passato. Con sentenza definitiva di Cassazione nel 2000 sono stati condannati dirigenti della "Nuova Italsider" di stato per gestione di discarica abusiva protrattasi sino al 31.11.96. Più di recente si segnalano sequestri compiuti nel 2009 per stoccaggio di grandi quantità di pneumatici, legnami contaminati, fanghi, etc. ll fronte delle discariche comprende anche quelle lungo il fronte sinistro della gravina di Leucaspide utilizzate in epoche remote, tra gli anni '60 e '70, fuori da ogni controllo e con effetti devastanti prima dell'adozione di una organica legislazione nazionale di settore. Nonché la "Due mari", con una volumetria di circa 4 mln di mc, adiacente alla "Mater Gratiae" ed esaurita di recente. Nelle vicinanze, ancora, l'ex cava Briotti e la ex cava Frascolla in vario modo colmate con materiale dell'Ilva negli anni '80. Più in là la cava "Lamastuola" e la cava "ex Cementir".
L'ondata di arresti dei giorni scorsi scaturisce da un'inchiesta della Procura su una discarica realizzata (la menzionata di categoria "ex 2C") ma in realtà mai entrata in esercizio. Il rilascio dell'autorizzazione alla costruzione risale al 2008. L'impianto si compone di due moduli da 150 mila mc/cad. La richiesta di esercizio ha avuto un percorso molto tortuoso non ancora conclusosi. In prima istanza è stata rigettata con determina (n. 206 del 15.12.2008) del dirigente Romandini. Su ricorso dell'Ilva il TAR ha successivamente annullato questa determina con sentenza del 18.06.2009. Allo stato attuale la pratica è stata assorbita dalle procedure in corso di rilascio dell'AIA a livello nazionale.
Di "Mater Gratiae"si parlò tanto nella prima metà degli anni '90. In via di esaurimento le discariche "S. Giovanni" e "Vergine", per prevenire l'emergenza rifiuti nel 1992 Provincia ed Ilva pubblica siglarono un accordo per la disponibilità di un'area ubicata nella parte Nord - Est della cava da destinare a discarica di rsu a titolarità pubblica. Il sito fu inserito nel piano provinciale. Ne seguì uno scontro con l'allora sindaco Cito favorevole invece al sito Italcave (vicenda per cui fu condannato e poi assolto in appello). Scelta, quest'ultima, che suscitò molte proteste. Nel quartiere "Tamburi" era ancora vivo il lezzo che ne ammorbava gli abitanti quando tra gli anni '60 e '70 il Comune utilizzava "S. Teresa" per smaltire i propri rifiuti. Tra le varie iniziative, si ricorda una manifestazione promossa da Legambiente e dal "Comitato Tamburi per l'ambiente" svoltasi il 1° marzo 1997. Il sito "Mater Gratiae" fu superato dal piano provinciale dei rifiuti del '95 ma il progetto di discarica per rsu presso l'Italcave si arenò.
La discarica di categoria "ex 2B" è stata realizzata con autorizzazione rilasciata dalla Provincia nel 1998 ed ha una volumetria complessiva di 1.200 mc.. Attualmente ne è in esercizio il 4° lotto con autorizzazione del 2008. Tra i vari rifiuti smaltiti rientrano anche le polveri derivanti dagli elettrofiltri dell'agglomerato. Nonostante i rilievi sulla dislocazione dei pozzi spia, dalle analisi effettuate dall'Arpa, tra nov.2009 e dic. 2011 sulla falda profonda, sono emersi valori superiori alla Soglia di Concentrazione (CSC) per Solfati e soprattutto Piombo e Nichel.
A sud - est della cava, sul piano di campagna, è sita la discarica denominata "nuove vasche" (ex ctg. 2 C) costituita da tre vasche (vol. compl. di 51.600 mc) utilizzate per lo smaltimento dei rifiuti speciali pericolosi. In via di esaurimento (ultima autorizzazione nel 2008), furono progettate negli anni '80 dal prof. Cotecchia e tra i collaudatori annovera il dr. Virtù, all'epoca responsabile del settore chimico del PMP dell'ASL. Ossia dell'ente preposto al controllo ambientale del territorio. Lo stesso Virtù conduceva attività imprenditoriale che lo portava a contatto con aziende di cui doveva occuparsi per compiti di ufficio. Nonostante le denunce anche penali di Legambiente e "Caretta Caretta" nei sui confronti, il dr. Virtù intraprese una brillante carriera prima come responsabile di tutto il PMP e poi dell'Arpa. Questa discarica per anni, come denunciato dalla Polizia Provinciale, è stata priva di un adeguato sistema di recupero delle acque meteoriche. Alcune irregolarità nella gestione furono riscontrate nell'ispezione predisposta nel 2000 dall'allora ministro per l'ambiente W. Bordon. L'ultima vasca è stata autorizzata dal Commissario Delegato nel 2001, a cui sono seguite varie proroghe in rapporto alle novità normative nel frattempo intervenute. Del 2008 è la determina (n.39) di approvazione del suo piano di adeguamento. Tra l'altro ne subordinava l'efficacia agli esiti di una VIA ancora da effettuarsi.
Con l'imminente esaurimento della discarica "Due Mari", nel 2004 l'Ilva aveva presentato un nuovo progetto da realizzarsi nei nuovi spazi ricavati con la coltivazione della cava. La volumetria prevista era di circa 2.900.000 mc per smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi ctg "ex 2B". Il progetto ha anche ottenuto il parere favorevole condizionato di compatibilità ambientale nel maggio 2010 da parte della Regione. Ma sembra essere stato stoppato.
La vicenda discariche dell'Ilva è attualmente in capo al Ministero dell'Ambiente. L'AIA avrebbe dovuto essere rilasciata per tutte le attività dello stabilimento entro aprile 2008. Il provvedimento è stato invece varato nell'agosto 2011, prevedendo prescrizioni al limite dello scandaloso e stralciando il settore discariche. Neanche il nuovo termine del 31 gennaio 2013 previsto dal riesame dell'AIA è stato rispettato. Il fronte delle discariche rimane così in un limbo amministrativo a tutto vantaggio dell'Ilva. Del resto anche la conferenza nazionale sul SIN non ha ancora concluso il procedimento sulle bonifiche dopo circa 12 anni dal suo insediamento. Gli stessi provvedimenti da essa adottati per la messa in sicurezza della falda contaminata (relativa all'intero stabilimento) sono stati a loro volta sistematicamente annullati dal TAR di Lecce su ricorso dell'azienda. Chissà se arriverà il tempo del giudizio anche per politici e burocrati con responsabilità di livello nazionale.
Legambiente - Leo Corvace.

Taranto: "dalla California d'Europa a periferia bulgara"

E' uno dei più noti, se non il più noto critico d'arte italiano: ci ha insegnato ad amare l'arte, ed in generale "la bellezza" non solo nell'arte, ma anche nel paesaggio. E oggi ci ha insegnato ad amare Taranto.
Philippe Daverio è intervenuto questa mattina nella trasmissione Storie Vere su Rai UNO, dove ospiti erano Cristina Zagaria autrice del libro "Veleno", e Daniela Spera attivista ambientalista tarantina, protagonista del libro.

"Mai come a Taranto" ha detto il critico d'arte "il sonno della ragione ha generato mostri": i mostri non sono solo quelli generati dall'industria pesante, ma anche i frutti avvelenati prodotti da una classe politica corrotta e da  un sindacato colluso con i vertici aziendali, dati in pasto ad una città ammalata, che ha dato più volte segno di voler cambiare. Questa la nostra lettura della dura e forte presa di posizione  di Philippe Daverio che ha paragonato Taranto ad una "periferia bulgara". Potenzialmente avrebbe dovuto essere invece la "California d'Europa"!, ma "abbiamo creduto tutti nella balla" ha continuato Daverio. La balla, era l'illusione che un'industria inquinante come l'Ilva portasse benessere in città. Ed invece l'ha distrutta. Ha distrutto le sue opere d'arte più preziose, i suoi paesaggi:  il suo ambiente naturale. Ha distrutto tante vite umane: ed è questo il prezzo più alto che ha dovuto pagare Taranto, così come tutto il  meridione, potenziale Giardino d'Europa.

Ed è per questo che il critico Daverio chiederà all'Europa di intervenire a favore del Meridione; come la Germania ha saputo tutelare i suo beni paesaggistici, così l'Italia deve riuscire in questa impresa perchè non si verifichino più i crolli  alla Reggia di Caserta, patrimonio dell'umanità:  cedimenti che sono l'esempio di un sistema marcio che si chiama Paese Italia.

Dobbiamo essere allora più "meridionalisti ed europesti" dice Daverio: credere maggiormente nelle nostre "bellezze" con interventi pubblici mirati,  e non farci più incantare dalla balle... che si rivelano delle vere bolle di sapone. Perchè la ragione non venga mai più travolta dal sonno generatore di mostri.
Grazie Philippe Daverio!


Il gioco dei ruoli...

Prima hanno provato a mettere lo stesso presidente Ferrante come custode giudiziaro degli impianti sequestrati. Ora ci riprovano con l'Amministratore Delegato Enrico Bondi come Commissario Statale ad acta.
Difficile la vita dei dirigenti Ilva, controllori di se' stessi!
 
Emergenza Ilva, verso il commissario
 
Che la vicenda Ilva abbia assunto toni drammatici per il governo, lo dimostrano le due sospensioni del vertice di ieri a Palazzo Chigi. In un primo momento la riunione ha visto protagonisti il premier Enrico Letta, i ministri Zanonato e Orlando, e i vertici dell'Ilva, l'ad Bondi e il presidente Ferrante. Dopo la pausa pomeridiana il vertice è ripreso in serata, per poi essere nuovamente sospeso poco prima delle nove. A quanto si apprende al momento di andare in stampa, il governo avrebbe deciso di nominare un commissario ad acta per l'Ilva, figura che potrebbe essere ricoperta dallo stesso Enrico Bondi. Prende dunque corpo l'idea del commissariamento anticipato, eventualità prevista nella legge «salva-Ilva»: ora la priorità del governo sarà quella di trovare le risorse per portare avanti i lavori previsti dall'Aia (l'autorizzazione integrata ambientale).
Quasi certamente sarà utilizzata la legge Marzano, che riguarda le aziende insolventi: al momento si ragiona sulla possibilità di reperire i fondi attraverso il coinvolgimento delle banche (Intesa San Paolo, Ubi e Leonardo su tutte) e della Cassa Depositi e Prestiti. Aiuti arriveranno dall'Ue, che entro l'11 giugno varerà il piano sulla siderurgia. Bisogna «fare tutto il possibile per scongiurarne la chiusura»: questo quanto dichiarato dal vicepresidente della Commissione Ue responsabile per l'industria, Antonio Tajani. Il piano prevede che sarà più facile utilizzare fondi europei regionali, così come ricevere prestiti della Bei per finanziarie interventi destinati alla salvaguardia dell'ambiente. Inoltre, eventuali aiuti pubblici destinati all'innovazione degli impianti e alla riqualificazione della produzione non saranno soggetti alle norme che vietano aiuti di Stato e potranno quindi essere erogati senza particolari difficoltà.
Come detto più volte, il nodo centrale della vicenda Ilva è l'attuazione dell'Aia e il rispetto delle prescrizioni in essa indicate. L'Ilva Spa, scorporata a gennaio dal ramo principale del gruppo Riva, non possiede le risorse finanziarie per attuare gli impegni economici previsti: per questo l'azienda non ha mai presentato il piano finanziario a copertura degli investimenti promessi all'ex ministro dell'Ambiente Corrado Clini, all'indomani del rilascio dell'autorizzazione lo scorso 26 ottobre. Inoltre l'Ilva, attraverso due relazione trimestrali inviate al ministero dell'Ambiente a gennaio e a fine aprile, ha ammesso l'impossibilità di rispettare i tempi del crono programma. Stessa cosa aveva evidenziato l'Arpa Puglia in una nota del 13 febbraio. E non furono da meno i tecnici Ispra che dopo la prima ispezione effettuata a marzo, nella loro relazione evidenziarono il mancato rispetto di dieci prescrizioni. Non è un caso se il ministero dell'Ambiente ieri ha chiesto ai tecnici Ispra, presenti dalla mattina nell'Ilva per la seconda ispezione, di anticipare dal 7 giugno alla fine di questa settimana la relazione con i risultati, «in modo da poter acquisire tutti gli elementi necessari alla stesura del resoconto, naturalmente nel rispetto della corretta e precisione delle procedure e di tutti gli aspetti tecnici». Inoltre il ministero ha smentito la notizia in merito ad «una presunta proroga concessa all'Ilva» sul rispetto dell'Aia. Nel testo varato nell'ottobre scorso, è infatti già previsto che l'impresa possa richiedere «modifiche non sostanziali alla tempistica degli interventi prescritti sulla base di motivazioni tecniche ed economiche». Dilazione che prevede comunque il termine dei lavori entro e non oltre il 31 dicembre 2015.
E con un ritardo clamoroso rispetto all'inizio della vicenda giudiziaria, che entro metà giugno potrebbe vedere la chiusura delle indagini preliminari dell'inchiesta penale con i vari rinvii a giudizio, la commissione Industria del Senato si è finalmente decisa a promuovere un'indagine conoscitiva sulla vicenda dell'Ilva e sull'industria siderurgica nazionale da svolgere dai prossimi giorni. Obiettivo dell'indagine «verificare lo stato di attuazione dei contenuti previsti dai decreti legge approvati nei mesi scorsi». Evidentemente, dopo aver concesso un'Aia e una legge ad aziendam in tutta fretta, i conti non tornano nemmeno al Parlamento.
Intanto, Emilio Riva ha presentato ricorso al Tribunale del Riesame di Milano contro il sequestro di 1,2 miliardi di euro che, secondo l'accusa, sarebbero stati sottratti dalle casse dell'azienda, portati all'estero e fatti rientrare in Italia con lo scudo fiscale del 2009. Sempre ieri si è sciolto il consiglio provinciale di Taranto, dopo la bufera giudiziaria che il 15 maggio ha colpito l'ente con l'arresto, per concussione per una vicenda legata all'autorizzazione di una discarica di rifiuti speciali all'interno dell'Ilva, del presidente Gianni Florido e dell'ex assessore provinciale all'Ambiente, Michele Conserva. Dopo due tentativi andati a vuoto, sono state depositate le 16 firme necessarie per lo scioglimento anticipato dell'assemblea eletta nel 2009. Intanto, in fabbrica prosegue il clima di calma apparente in attesa che Roma decida il futuro dell'Ilva. Con i soldi dei cittadini. (G. Leone - Manifesto)

mercoledì 29 maggio 2013

La memoria dei Prodi per l'Ilva

Ilva: caro Prodi, a Taranto ha sbagliato lo Stato non i cittadini
 
La memoria di Romano Prodi vacilla. In un colloquio con Il Fatto Quotidiano (28/5/2013), l’ex premier Romano Prodi sottolinea che l’Ilva di Taranto era un bello stabilimento, tra l’altro isolato dalla città. E’ stata la città ad andare addosso all’Ilva, non l’Ilva addosso alla città. Quando andavamo allo stabilimento, percorrevamo chilometri e non c’era una casa. Se la gente non fosse andata ad abitare lì, così addosso all’acciaieria – conclude – forse non sarebbe stata così aggredita dall’inquinamento”.
Prodi ricorda male distanze, luoghi e circostanze. Le case più vicine allo stabilimento sono infatti quelle di via Lisippo. Sono andato a verificare l’anno di costruzione di quelle case: 1956. La posa della prima pietra dello stabilimento Italsider risale invece al 9 luglio 1960. Quindi quelle case esistevano prima della fabbrica.
Come l’ex ministro Clini, anche Prodi crede che siano le case ad essere state costruite dopo le ciminiere e terribilmente vicine ad esse. E’ tutto il contrario!
E’ lo stabilimento ad essere stato costruito dopo le case, a 135 metri dalle più vicine. Quelle case vicino a cui sono sorte le ciminiere esistevano pertanto già prima e sono, per di più, frutto di edilizia pubblica e non certo di abusivismo edilizio.
Oltre ad inventare gli inesistenti 40 mila posti di lavoro all’Ilva questi politici inventano anche la storia di Taranto, capovolgendola.
Ripeto: nessuna casa nel quartiere Tamburi è stata costruita abusivamente a ridosso del muro di cinta dello stabilimento. 
Prodi vada a Taranto e verifichi di persona. Vedrà che le ciminiere sorgono purtroppo anche accanto al cimitero del quartiere Tamburi e non è stato certo il vecchio cimitero a sorgere abusivamente “dopo”. Tutto esisteva prima: basta vedere le lapidi.
E’ assurdo dare la colpa alla gente per errori compiuti invece da politici e da ingegneri privi di conoscenze ambientali. A sbagliare furono i dirigenti delle Partecipazioni Statali che autorizzarono la costruzione dello stabilimento siderurgico di Taranto “al contrario”: l’area a caldo (la più inquinante) venne infatti realizzata vicino alla città e l’area a freddo (la meno inquinante) fu posizionata a maggiore distanza dalle case. Assurdo!
Basta guardare la cartina della disposizione degli impianti per vedere che parchi minerali, cokeria e agglomerato sono la linea più avanzata  verso il fronte urbano, e da lì fuoriescono rispettivamente le polveri (parco minerali), il benzo(a)pirene (cokeria) e la diossina (agglomerato).
L’errore clamoroso di costruire al contrario il centro siderurgico di Taranto è un’altra cosa che Prodi ci potrebbe spiegare, se ne è capace, dato che definisce quella fabbrica “un gioiello”.
A sbagliare a Taranto non è stata la gente, ma chi ha governato. (A. Marescotti - FattoQuotidiano)

martedì 28 maggio 2013

Al lupo?

Il gruppo Riva in attesa dei finanziamenti economici Ue cerca l'aiuto dello Stato. A Roma l'ad Enrico Bondi incontrerà il ministro dell'Economia Zanonato e il governatore Vendola. Ipotesi nazionalizzazione
 
Quando si conclude il Cda straordinario dell'Ilva Spa convocato ieri mattina a Milano dopo l'ultima iniziativa della magistratura, Taranto è semi deserta. Ma l'ultimo ricatto del gruppo Riva alla città e l'ennesimo atto di sfida nei confronti della procura, in un attimo fa il giro della città. L'intero Cda ha rassegnato le dimissioni: l'amministratore delegato Enrico Bondi, insediatosi ad aprile, il presidente Ilva Bruno Ferrante, tra gli indagati dell'ultimo provvedimento della procura ed il consigliere Giuseppe De Iure (tutti uomini fidati della famiglia Riva). I tre resteranno ai loro posti sino al prossimo Cda convocato il 5 giugno: in quell'occasione l'assemblea dei soci deciderà se accettare le dimissioni in toto o in parte, oppure, eventualità da non escludersi, rimettere tutto nelle mani dell'amministratore del sequestro preventivo dei beni della Riva Fire nominato venerdì dal gip di Taranto, Mario Tagarelli. Inoltre, il Cda ha annunciato di aver dato mandato ai legali dell'Ilva, di ricorrere nelle sedi competenti contro l'ultimo provvedimento della procura ionica. Come si può facilmente evincere, dunque, siamo nel campo delle ipotesi. Ma l'obiettivo, ancora una volta, è stato centrato in pieno. Perché immediatamente dopo l'annuncio delle dimissioni del Cda, sindacati, istituzioni locali e nazionali hanno iniziato il solito teatrino di dichiarazioni allarmistiche sul futuro sempre più incerto che attende il più grande siderurgico d'Europa, da cui dipende gran parte dell'industria meccanica del paese. Del resto, il Cda dell'Ilva ha scientificamente affondato il dito nella piaga: se chiude Taranto, sono a rischio 24mila posti di lavoro diretti che insieme a quelli dell'indotto raggiungerebbero le 40mila unità. Nessuno, però, si è soffermato sulle motivazioni che hanno portato il Cda alle dimissioni. Nella nota diffusa dall'ufficio stampa dell'Ilva, si legge infatti che «l'ordinanza dell'Autorità giudiziaria colpisce i beni di pertinenza di Riva Fire e in via residuale gli immobili di Ilva che non siano strettamente indispensabili all'esercizio dell'attività produttiva nello stabilimento di Taranto. Per tali motivi il provvedimento ha effetti oggettivamente negativi per Ilva, i cui beni sono tutti strettamente indispensabili all'attività industriale e per questo tutelati dalla legge 231/2012, dichiarata legittima dalla Corte Costituzionale». In pratica, pur riguardando il sequestro soltanto la Riva Fire Spa, il gruppo Riva ritiene «oggettivamente» danneggiato nelle sue funzioni l'attività del siderurgico che risponde all'Ilva Spa, separata lo scorso gennaio dal ramo principale del gruppo (la Riva Forni Elettrici, ndr ), garantita e protetta dalla legge 231/2012 entrata in vigore a dicembre e giudicata costituzionale dalla Consulta lo scorso 9 aprile. Perché allora se l'Ilva può continuare a produrre, commercializzare il materiale, incassare la liquidità necessaria per acquistare le materie prime dall'estero e pagare regolarmente gli stipendi degli operai così come avvenuto sino ad oggi, si decide di tornare a mettere in discussione tutta la filiera dell'acciaio? Il problema, ancora una volta, risiede nell'applicazione dell'Aia e della reale situazione economica dell'Ilva Spa, la cui gestione non a caso era stata affidata al liquidatore per eccellenza Enrico Bondi. La «nuova» Ilva Spa, nata appena lo scorso gennaio, non ha le risorse economiche per affrontare i lavori di risanamento imposti all'azienda e da effettuare entro il 2015. Non a caso non è stato ancora presentato il piano finanziario a garanzia della copertura economica dei lavori previsti, così come non è stato redatto il piano industriale. Né è praticabile alcun aumento di capitale, visto che non si sa chi dovrebbe immettere liquidi immediatamente esigibili per garantire un futuro all'azienda. Ed ecco che, stante così le cose, il vero piano dei Riva inizia a palesarsi per ciò che in realtà è sempre stato. Ovvero da un lato attendere gli aiuti economici previsti dal piano Ue per il settore siderurgico che sarà presentato ai primi di giugno dal vice commissario Antonio Tajani, dall'altro obbligare lo Stato a farsi carico della gestione di uno stabilimento abbandonato al suo destino dal gruppo Riva da diversi mesi. Ed in serata arriva guarda caso la notizia che in molti attendevano: domani a Roma il ministro dello Sviluppo economico Zanonato, incontrerà Enrico Bondi ed il governatore pugliese Vendola, e forse i sindacati. Il tempo stringe: ma sarà vero? (Manifesto)

Ilva ormai allo sbando “Impossibile la produzione”

NSA
Bloccati tutti i conti: si dimettono anche i capireparto

Siamo ormai al conto alla rovescia. Riva Fire, la capogruppo della famiglia Riva, annuncia che «sono a rischio 20.000 posti di lavoro» dei dipendenti diretti e altrettanti di indiretti, «ed è fortemente compromesso l’iter per l’approvazione del piano industriale 2013-2018». Il presidente dell’Ilva spa, Bruno Ferrante, e l’ad Enrico Bondi, dimissionari, incontrano al ministero per lo Sviluppo economico ministri e sottosegretari e denunciano che il sequestro degli 8,1 miliardi equivalenti rende impossibile la produzione e il risanamento degli impianti.

In fabbrica a Taranto, siamo alla vigilia di forti tensioni provocate dalla protesta del quadro dirigente intermedio che non si sente più garantito economicamente - essendo dipendenti della Riva Fire - e con le spalle coperte, temendo di finire sotto inchiesta della procura di Taranto. Carte di credito bloccate, impossibilità di pagare trasferte, pranzi. E si dimettono pure una trentina tra capi reparto e capi squadra. Insomma, siamo allo sbando. La riunione di ieri convocata dal ministro allo Sviluppo economico, Flavio Zanonato, doveva servire per istruire la «pratica» Ilva che si discuterà oggi a Palazzo Chigi. Il premier Enrico Letta e il governo incontreranno le parti sociali. A un certo punto l’incontro è proseguito senza la delegazione dell’Ilva. Mentre Zanonato, il ministro per l’Ambiente, Andrea Orlando, il governatore Nichi Vendola, il sindaco di Taranto Ippazio Stefano, viceministri e sottosegretari continuavano la discussione, da Taranto, dal Garante per l’attuazione dell’Autorizzazione integrata ambientale (Aia), Vitaliano Esposito (ex procuratore generale della Cassazione), è arrivato un segnale di cambiamento di rotta. «Sono molto preoccupato per la tensione che si respira - dice il Garante - Invito tutti alla calma. Ai sindacati ho detto che siamo di fronte a gravi inadempienze da parte dell’azienda nell’attuazione dell’Aia».

Le prescrizioni non attuate sono una decina, la più grave è la mancata copertura del treno nastri; e adesso, annuncia Esposito, «si passerà alla fase sanzionatoria di competenza del prefetto». E’ nei fatti l’anticamera del commissariamento. Esposito mette in risalto «la convergenza del provvedimento giudiziario con la filosofia della legge che stabilisce che l’Ilva deve applicare gli adempimenti dell’Aia».

Il garante, l’ex procuratore generale della Cassazione Esposito invita ad aspettare la nuova relazione trimestrale dell’Ispra, che dovrebbe essere consegnata il 7 giugno, sullo stato dell’arte della messa in sicurezza degli impianti. Una relazione che si annuncia fortemente negativa per l’Ilva. Già un dossier del ministero dell’Ambiente, ieri sul tavolo del ministro Andrea Orlando, evidenzia «le inadempienze dell’Ilva e le sue criticità molto forti». Esplicito ieri il governatore della Puglia, Nichi Vendola: «Di fronte alle inadempienze dell’Ilva si deve procedere alla sua messa in amministrazione straordinaria».

E dire che la legge 231 del 24 dicembre del 2012 andava incontro alle esigenze della grande fabbrica, stabilendo una moratoria di 36 mesi entro i quali continuare a produrre e vendere acciaio, mentre procedevano i lavori per mettere a norma gli impianti. Uno schema per nulla apprezzato dalla magistratura tarantina che ha sollevato prima il conflitto di attribuzione e poi l’incostituzionalità della legge davanti alla Consulta che, invece, ha legittimato la legge.

La situazione sta precipitando. Sul tavolo del governo ci sono due opzioni: contestare le inadempienze nella applicazione dell’Aia, e quindi arrivare al commissariamento dell’Ilva spa, o sfruttare la legge sullo stato di crisi delle aziende in fase di pre fallimento e nominare il commissario. Sarà decisiva la scadenza del 12 giugno quando la Commissione Europea varerà il Piano dell’acciaio, che dovrebbe prevedere un prestito di 3 miliardi di euro: risorse decisive per l’attuazione dell’Aia.

domenica 26 maggio 2013

Tutto e tutti al sicuro


 Ilva, il Cda impugna il sequestro. Cassazione: "No a revoca domiciliari Riva"

La Corte di Cassazione ha confermato gli arresti domiciliari per Emilio e Nicola Riva, patron dell’Ilva, e per l’ex direttore dello stabilimento di Taranto, Luigi Capogrosso. La prima sezione penale ha infatti respinto il ricorso presentato dalla difesa contro la decisione del riesame del 23 ottobre scorso, che aveva detto no alla liberazione.
E’ la seconda volta dall’inizio dell’anno che la Suprema Corte respinge le richieste dei proprietari dell’Ilva, agli arresti domiciliari nell’ambito dell’inchiesta della procura di Taranto per disastro ambientale.
Già lo scorso 17 gennaio la prima sezione penale aveva confermato la custodia cautelare ai domiciliari per i due Riva e per Capogrosso. Nelle motivazioni pubblicate il 4 aprile la Corte aveva espresso la certezza che i Riva fossero ‘’consapevoli’’ del disastro ambientale. Nell’udienza a porte chiuse di stamani anche il sostituto procuratore generale della Cassazione Mario Fraticelli si era pronunciato contro la rimessione in libertà degli arrestati.
Intanto è ancora braccio di ferro tra la famiglia Riva e la magistratura sulla vicenda dello stabilimento Ilva di Taranto alla luce del sequestro di otto miliardi di euro disposto dalla procura lo scorso venerdì nei confronti della società controllante per una serie di reati ambientali. Il consiglio d’amministrazione di Riva Fire ha deciso di impugnare il provvedimento, sottolineando che “rischia di compromettere l’iter per l’approvazione del piano industriale 2013-2018 avviato da mesi” e che può portare a “possibili ripercussioni occupazioni per circa 20mila dipendenti”. A rischio, secondo la famiglia Riva, è “la continuità aziendale”.
Una decisione che arriva proprio mentre era in corso un vertice tra Governo, azienda ed enti locali al ministero dello Sviluppo economico. Riunione preliminare a quella che si terrà domani mattina a palazzo Chigi, alla presenza del presidente del Consiglio, Enrico Letta. Di sicuro, al momento, c’è l’impegno dell’esecutivo e degli enti locali “affinché l’attività dell’Ilva, nel quadro di una rigorosa attuazione dell’Aia, si svolga nel massimo rispetto dell’ambiente e della tutela della salute”, come riporta un comunicato diramato dal Mise al termine della riunione. La situazione a Taranto resta ancora problematica e anche oggi ha alimentato il dibattito politico ed economico sul futuro dello stabilimento alla luce delle dimissioni dell’intero consiglio d’amministrazione dell’azienda. Il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, ha sottolineato che quella dell’Ilva è “una partita decisiva per il futuro del Paese, che se non si risolve ci vedrà uscire dal novero dei grandi Paesi industrializzati”.
“In ballo - ha aggiunto - ci sono 40mila posti, è un caso emblematico”. Critico il segretario generale della Fiom-Cgil, Maurizio Landini, che addita “gravissime colpe” ai Riva: “Ritengo - ha detto - che la famiglia Riva abbia gravissime responsabilità rispetto a quanto è avvenuto all’Ilva di Taranto: se le leggi fossero state rispettate, se non si fosse prodotto l’inquinamento ambientale e se, poi, fossero stati effettuati gli investimenti per il necessario risanamento, non si sarebbe arrivati alla situazione drammatica in cui oggi ci troviamo”. Il governatore della Regione Puglia, Nichi Vendola, ipotizza la soluzione del commissariamento: “Il segno del cambiamento reale - ha chiosato - é l’estromissione dei Riva”. (QUOT.NET)


Conti correnti, titoli, cassette di sicurezza, azioni, partecipazioni e immobili della societá Riva Fire ma non strettamente funzionali all'attivitá dello stabilimento dell'Ilva di Taranto, aveva scritto il gip Patrizia Todisco nel disporre, venerdí scorso, un maxi sequestro per 8 miliardi e 100 milioni di euro nei confronti della capogruppo che controlla tutta le attivitá dei Riva. E cosí, nelle maglie della Guardia di Finanza, finisce anche un impianto sportivo che é nel perimetro dell'Ilva di Taranto, lungo la strada che dalla cittá conduce nel vicino comune di Statte.
L'impianto sportivo in questione é il poligono di tiro utilizzato dall'olandese Anders Golding, medaglia d'argento alle Olimpiadi di Londra dell'anno scorso, tiratore di skeet. Era fine luglio, Taranto era nel pieno della bufera Ilva perché il gip da pochi giorni aveva sequestrato senza facoltá d'uso gli impianti dell'area a caldo (cokerie, altiforni e acciaierie), si profilava quindi la chiusura della fabbrica e per questo migliaia di lavoratori erano scesi in strada bloccando la cittá. Disastro ambientale, la pesante accusa del gip; dobbiamo difendere il lavoro senza rinunciare alla salute, la risposta degli operai. Ma a migliaia di chilometri di distanza, Golding, 28enne, carpentiere nella vita e sportivo per hobby, appena sceso dal podio olimpionico fece una rivelazione ed ebbe un pensiero. La rivelazione: io trascorro a Taranto 50-60 giorni l'anno, mi alleno in un poligono di tiro che é all'interno della fabbrica siderurgica, e il mio allenatore é il tarantino Pietro Genga. Il pensiero: dedico la mia vittoria, la mia medaglia d'argento, ai lavoratori dell'Ilva di Taranto. Conosco quella gente a cui auguro di non perdere il lavoro. Nessuno, disse ancora Golding, deve perdere il lavoro.
Ovviamente fece un certo effetto sentire che nel clima festoso delle Olimpiadi qualcuno, e per giunta un olandese, si era ricordato del dramma di Taranto. Tant'é che il sindaco Ezio Stefáno cosí commentó: é una bella notizia, una piccola luce che ci fa sperare in una positiva evoluzione della vicenda Ilva. La positiva evoluzione, peró, arriverá solo molti mesi dopo con una legge che permette all'acciaieria piú grande d'Europa di continuare a produrre. Ma sará, come i fatti ultimi indicano, una tregua fragile perché adesso il sequestro dei beni della Riva Fire rischia di mettere di nuovo a repentaglio l'Ilva e non solo il complesso di Taranto ma anche i siti industriali di Genova, Novi Ligure, Racconigi e Marghera, specie dopo le dimissioni in blocco avvenute sabato scorso del cda della societá.
Al sequestro dell'impianto sportivo finito sotto i riflettori olimpici si arriva sia perché é un bene non strettamente funzionale alla produzione dell'Ilva di Taranto, messa al riparo dalla legge 231 dello scorso dicembre, sia perché il "setacciamento" compiuto dalla Finanza subito dopo il provvedimento del gip sinora ha fruttato circa un miliardo. Tutto il resto non si trova. Almeno per ora. E d'altra parte Emilio Riva e il fratello Adriano sono indagati per reati fiscali e valutari dalla Procura di Milano. Quest'ultima, che ha sequestrato loro un miliardo e 200 milioni sempre pochi giorni fa, li accusa infatti di aver svuotato le casse societarie e dirottato i soldi nel paradiso fiscale dell'isola di Jersey. I finanzieri, quindi, hanno trovato molto meno degli 8 miliardi e 100 milioni che il magistrato di Taranto ha indicato nel suo provvedimento e che ritiene, per equivalente, l'ammontare della somma che serve per la bonifica dall'inquinamento che i Riva e l'Ilva avrebbero dovuto effettuare e che invece non hanno fatto. Il sequestro, preventivo, é stato disposto in base alla legge 231 del 2001 (responsabilitá delle imprese) che dal 2011 é anche estesa ai reati ambientali. Proprio quelli per i Riva (Emilio e il figlio Nicola ai domiciliari, Fabio soggetto a procedura di estradizione dall'Inghilterra in quanto colpito da ordinanza di arresto in carcere) sono accusati a Taranto.
E da oggi, intanto, il dossier Ilva riapproda sui tavoli del Governo. Il ministro dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato, incontrerá l'ad dimissionario dell'Ilva, Enrico Bondi, arrivato in azienda appena un mese fa. Domani, invece, sará il premier Enrico Letta a incontrare sia Bondi che il presidente dell'Ilva, Bruno Ferrante, anch'egli dimessosi sabato.(Sole24h)

sabato 25 maggio 2013

Dimissioni CDA Ilva: come sollevare un polverone per confondere le idee...

Perchè è ciò che le riesce meglio: alzare polveroni!


"Vista la gravità della situazione e incidendo il provvedimento di sequestro anche sulla partecipazione di controllo di ILVA detenuta da RIVA FIRE, i Consiglieri, Bruno Ferrante, Enrico Bondi e Giuseppe De Iure hanno presentato le dimissioni dalle rispettive cariche": queste le parole della nota stampa dell'Ilva con cui si comunicano le dimissioni dell'intero cda.
  "Il sequestro di 8 miliardi di euro" disposto dal gip di Taranto  sui beni della Riva Fire Spa è dunque questa la causa scatenante che ha portato alla drastica decisione.
Decisione che ha messo da subito i politici (non solo i sindacalisti) sull'attenti....
i senatori del PD in primis, gli  eletti in Puglia, Anna Finocchiaro, Nicola Latorre e Salvatore Tomaselli chiedono al governo un incontro urgente, per un'industria come l'Ilva, e "ancora di piu' oggi dopo le dimissioni del Cda conseguenti alla pesante sentenza della magistratura"... e dei pesanti effetti di una criminale e consapevole e continuata emissione di inquinanti da parte dell'Ilva sull'ambiente e sulla salute degli abitanti di Taranto, di questo non parlano i senatori del Pd: questa per loro non è una priorità?
ed ancora il governatore pugliese...anche  Vendola chiede un incontro già lunedì a Palazzo Chigi,  per mettere in sicurezza " la vita della fabbrica e migliaia di posti di lavoro" . E così in un comunicato su press puglia  fa il melodrammatico: "Le notizie di queste ore creano un clima di paura e di tensione sociale."
Come pure melodrammatici sono tanti giornalisti  che striscianti e supini, senza fare un minimo di analisi di ciò che realmente sta accadendo in città e soprattutto in fabbrica scrivono sulla base di "fonti dell'Ilva"...."Con i sequestri disposti dal gip di Taranto «sono a rischio 24 mila posti di lavoro diretti, 40 mila con l'indotto» Sono ben capaci di far parlare ancora e sempre i vertici dell'Azienda senza ascoltare e poi scrivere della voce della città.

Ed è questa la notizia "a rischio i posti di lavoro" che sta girando su tweet, sul web e sulle home dei principali giornali nazionali on line.
Ma pochi sono a chiedersi ad esempio:
 Col persistere di inquinanti nell'ambiente, quante sono le vite a rischio?
A tutti, sembra capire, interessi il destino di tanti operai, ma a chi interessa veramente il destino di tante persone, tra cui tantissimi bambini costretti a convivere con una fabbrica che non rispetta la vita umana.
Bruno Tinti sul Fatto quotidiano è uno dei pochi che scrive la verità, ciò che è veramente successo e del danno che si sta ancora perpetrando su un'intera comunità: "La politica, preoccupata per la perdita di posti di lavoro che ne deriva, inizia una brutta guerra contro la magistratura".
E' questa la grande preoccupazione della politica: la perdita dei posti di lavoro. Come se la "vita" quella reale e non quella potenziale, invece non fosse importante.

 L'Ilva ha avuto fin d'ora la licenza di inquinare. La parola BASTA oltre ai movimenti - comitati - associazioni ambientaliste l'ha messa anche la magistratura, quell'ostile ed antipatica al mondo della politica che la sta facendo pagare a  politici ed amministratori aziendali ....Archinà, Florido e Conserva (chi sarà il prossimo) ... e attraverso il sequestro a Riva Fire di 8 miliardi : "il profitto del reato di inquinamento" come scrive Tinti.
E' ora che quei soldi ritornino ai reali proprietari: i tarantini, quelli che sono stati danneggiati, che sono stati sfruttati in fabbrica, quelli che si sono ammalati.
 


venerdì 24 maggio 2013

Ora si che il Tessssoooro è al sicuro!

Ilva, sequestro record da 8,1 miliardi ai Riva
Il procuratore: "La fabbrica non si tocca"


Il provvedimento disposto dal tribunale di Taranto: sigilli al tesoro della società Riva Fire, ai guadagni dovuti ai mancati investimenti per ridurre l'inquinamento. L'accusa: associazione a delinquere finalizzata al disatro ambientale, indagato anche il presidente Ferrante. L'azienda convoca il cda per "decidere le iniziative conseguenti"

Approfondimenti
Sequestro da oltre otto miliardi di euro all'Ilva. I militari della guardia di Finanza di Taranto hanno avviato questa mattina il provvedimento di sequestro per equivalente disposto dal gip Patrizia Todisco su richiesta del pool guidato dal procuratore capo Franco Sebastio, titolare dell'inchiesta per disastro ambientale in cui è indagato anche il presidente dell'Ilva Bruno Ferrante. La procura ha ottenuto il sequestro di beni riconducibili alla famiglia Riva e in particolare alla società Riva Fire spa. Domani si riunirà il consiglio di amministrazione - informa una nota - per "decidere le iniziative conseguenti".

VIDEO
La procura: sigilli ai soldi per l'ambiente

FOTO SEBASTIO: LA FABBRICA NON SI TOCCA

Il provvedimento si inquadra nell'indagine che ha messo sulla graticola la grande fabbrica per l'inquinamento killer sprigionato dagli impianti delle acciaierie sulla città. Il sequestro record è scaturito proprio dal mancato risanamento dei reparti dell'area a caldo, indicati come la fonte dei veleni industriali ritenuti causa di malattia e morte. In pratica i consulenti dei pubblici ministeri
hanno quantificato la somma che Ilva avrebbe dovuto investire negli anni per abbattere l'impatto ambientale della fabbrica. Nell'ordinanza si fa anche riferimento alle gravissime disfunzioni ed inadempienze che hanno causato l'inquinamento del Mar grande nel golfo di Taranto, rilevato dall'Arpa Puglia, e gli incidenti mortali verificati all'interno dello stabilimento siderurgico negli ultimi mesi.

LEGGI / "Così hanno nascosto i soldi"

Gli investimenti non eseguiti si sono tradotti in un guadagno per la proprietà ritenuto però fonte di reato. Di qui i sigilli per un valore di otto miliardi e centomila euro. L'inchiesta per disastro ambientale è scattata nel luglio dello scorso anno con l'arresto di Emilio Riva, l'anziano patron dell'Ilva, finito ai domiciliari, e il contestuale sequestro degli impianti inquinanti. Da allora l'inchiesta ha fatto registrare numerose e violente sterzate. A novembre scorso un altro blitz della Finanza ha portato in carcere alcuni dirigenti, ma alla retata sfuggì Fabio Riva, figlio di Emilio, attualmente latitante a Londra. Solo due giorni fa la procura di Milano aveva disposto il sequestro preventivo di circa 1,2 miliardi a carico di Emilio e Adriano Riva per truffa allo Stato.Oggi il nuovo colpo di scena con il sequestro record.
"Il sequestro - ha spiegato il procuratore Sebastio - riguarda solo in merito ai beni della società Riva Fire. Abbiamo tenuto conto della legge 231 (legge salva Ilva, ndr), e dunque il sequestro non colpisce i beni dell'Ilva. E questo provvedimento non intacca la produzione dello stabilimento. La ratio del sequestro è quella di bloccare le somme sottratte agli investimenti per abbattere l'impatto ambientale della fabbrica". "La produzione non si tocca - ha sottolineato Sebastio, che ha aggiunto: "Si tratta  di un sequestro preventivo per equivalente sulla base della legge 231 del 2001 sulla responsabilità giuridica delle imprese"  che dal 2011 contempla anche i reati ambientali.
Lo stesso procuratore ha spiegato che il sequestro attiene ai beni delle persone giuridiche, in particolare della società Riva Fire. Gli effetti del sequestro però potranno allargarsi ai beni Ilva Spa soltanto nel momento in cui quelli di Riva Fire non dovessero soddisfare la portata del provvedimento. Ma in ogni caso - ha voluto specificare il procuratore - non potranno essere sequestrati beni funzionali all'attività e alla produzione della fabbrica. Nel comunicato con cui annuncia il cda di domani, l'azienda si legge: "Questa mattina è stato notificato
il provvedimento dell'autorità giudiziaria di Taranto che riguarda anche il sequestro delle azioni della Società Ilva spa. Il consiglio di amministrazione della società si riunirà domani per decidere sulle iniziative conseguenti". (

mercoledì 22 maggio 2013

I Riva riciclano di tutto, ma non i rifiuti!

I pm di Milano hanno iscritto nel registro degli indagati per truffa ai danni dello Stato e trasferimento fittizio di beni i proprietari dell'Ilva, Emilio e Adriano Riva. Altri due professionisti risultano indagati per riciclaggio. L'inchiesta ha portato al sequestro di un miliardo e 200 mln dei Riva bloccati nel paradiso fiscale di Jersey.
Provvedimento di sequestro preventivo a carico della famiglia Riva. Secondo quanto si apprende il provvedimento sarebbe relativo a reati fiscali e riciclaggio. Sono in corso una serie di perquisizioni. Il provvedimento è stato firmato dal Gip del tribunale di Milano ed è stato eseguito dagli uomini del nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza del capoluogo lombardo e di Varese. Le accuse nei confronti della famiglia Riva sono di frode fiscale, riciclaggio, intestazione fittizia e truffa ai danni dello Stato. Gli immobili, i titoli e le disponibilità finanziarie per un valore totale di oltre un miliardo sequestrati alla famiglia Riva, sarebbero stati ottenuti sottraendo soldi all'Ilva. E' quanto avrebbero accertato le indagini della Gdf che hanno portato all'emissione del decreto di perquisizione e sequestro

GIP CONCEDE DOMICILIARI A PRESIDENTE PROVINCIA - Il gip del Tribunale di Taranto Patrizia Todisco ha concesso gli arresti domiciliari al presidente della Provincia di Taranto Gianni Florido, arrestato il 15 maggio scorso per concussione nell'ambito dell'inchiesta sull'Ilva 'Ambiente svenduto'. Resta in carcere invece l'ex assessore provinciale all'Ambiente Michele Conserva. Florido si era dimesso da presidente della Provincia subito dopo l'arresto. Conserva, che risponde degli stessi reati contestati a Florido (tentata concussione per costrizione e concussione per induzione ai danni di due funzionari della Provincia), si era invece dimesso nel settembre dello scorso anno, due mesi prima di essere arrestato ai domiciliari per altri presunti episodi di concussione con l'aggravante di aver fatto parte di un'associazione per delinquere. L'indagine che ha portato agli arresti del 15 maggio scorso riguarda l'autorizzazione per l'utilizzo della discarica di rifiuti speciali pericolosi Mater Gratiae, all'interno dello stabilimento siderurgico e gestita dall'Ilva. Gli altri due arrestati una settimana fa nella stessa operazione sono l'ex dirigente dell'Ilva Girolamo Archinà, finito prima in carcere e ora ai domiciliari per motivi di salute, e l'ex direttore generale della Provincia di Taranto Vincenzo Specchia, che prima dell'arresto ai domiciliari era segretario generale del Comune di Lecce. Domani il Tribunale del Riesame esaminerà il ricorso presentato dai legali di Conserva (gli avvocati Michele Rossetti e Laura Palomba) contro l'ordinanza di custodia cautelare del 15 maggio. Analogo ricorso è stato presentato dai difensori di Archinà (i legali Gianluca Pierotti e Giandomenico Caiazza), ma probabilmente domani vi rinunceranno (ANSA).

domenica 19 maggio 2013

Pro-Paganda!

Pubblichiamo gli stralci degli interventi di Clini e Mellone al famoso incontro sull'Ilva, tratti da un bell'articolo di Luciano Manna per Peacelink, in cui tra gli altri c'era anche un Alessandro Langiu decisamente "innocuo e sterilizzato".
Si conferma un'intervento di pura propaganda, a tratti razzista e cinico dove i burattini tarantini sono dipinti come la vergogna di se' stessi.
Così si gestisce l'opinione ai tempi dei tavoli culturali...

  
Clini e Mellone sull'ILVA, tra palco e realtà
 L'ex ministro e lo scrittore intervengono all'università di Tor Vergata, facoltà di economia, in un incontro dibattito sull'Ilva di Taranto

Corrado Clini
"Questa emergenza dei tumori della pleura dipende da un rischio che è presente oggi? No! Dipende dalla storia dell’inquinamento industriale e dell’inquinamento del territorio di Taranto.
Queste malattie che sono state contratte allora non sono delle influenze, sono delle malattie croniche, degenerative che hanno un tempo di incubazione di 20, 30 anni e immaginare che invece siano il risultato di una situazione attuale è proprio sbagliato da un punto di vista tecnico ma è sbagliato da un punto di vista di valutazione dei rischi perché oggi non c’è più quel problema, l’amianto è stato messo fuori legge ala fine degli anni ‘80.
La stessa cosa vale per le problematiche legate alla contaminazione del suolo soprattutto da pcb e da diossine, che sono state emesse in una quantità spaventosa da quegli impianti industriali, sino a qualche anno fa.
 L’ilva è un centro siderurgico di interesse pubblico
Ha consolidato nel corso dei decenni una rete di relazioni con tutta la struttura sociale del territorio, oggi leggo sui giornali, finalmente fatta luce sulle connivenze, posso dirvi, è una cretinata, il problema non è questo, il problema è che era fisiologico che il comune, la provincia, regione, le organizzazioni sindacali, la chiesa, tutti avessero avuto un collegamento in qualche modo con questa grande struttura industriale, vuoi perché bisognava far assumere delle persone, vuoi perché bisognava far lavorare le imprese del territorio, quelle dei trasporti e quelli delle pulizie, vuoi perché c’era bisogno di investimenti per attività esterne di interesse comune è esattamente quello che è avvenuto in tutte le realtà industriali italiane delle partecipazioni statali."
L'ex ministro continua a parlare di AIA, prodotti finiti sequestrati e controlli arpa, per tanto è bene seguire con attenzione il file audio


Angelo Mellone
"Anche chi si immagina un futuro non pervenibile per Taranto si inventa anche un passato mai esistito, Taranto era una città, un’isola fortificata di 18mila abitanti di cui 800 vivevano nei conventi e nei palazzi nobiliari e gli altri 17mila abitavano in case malsane, in quello che adesso è lo splendido centro storico, prima era un posto dove più della metà della popolazione era affetta da tifo, tubercolosi, colera, tisi, sifilide, dove c’era una densità di abitanti anche anche di 9 persone per stanza calcolando stanze di 3x4 perché c’era gente che viveva ammassata peggio delle galline nei pollai.
Taranto era questa, era una città povera, malsana, di gente mal nutrita dove non c’era , dove non c’era una biblioteca, dove non c’era una sega di niente, questa è Taranto
Mi fa sorridere ed essere piuttosto perplesso quando, anche in buona fede, mi si viene a prospettare l’ipotesi di Taranto città d’arte, Alessandro che come me ha viaggiato sa che basta arrivare a Martina franca o a lecce per capire la differenza tra Taranto e una città d’arte.
Taranto è una città carina, che, puoi fare delle cose, insomma è una città che è diventata tale, è diventata più provincia di lecce e terra d’otranto perché prima è diventata una citta di proprietà della marina militare e dell’industria di guerra"

sabato 18 maggio 2013

Compagni di merende

Il gip presso il Tribunale di Taranto Patrizia Todisco potrebbe decidere nella prossima settimana se scarcerare e disporre i domiciliari per il dimissionario presidente della Provincia di Taranto, Gianni Florido, del Pd, che mercoledi' scorso e' stato arrestato dalla Finanza insieme ad altre quattro persone per concussione. Ieri Florido, presenti i suoi avvocati, e' stato interrogato in carcere ed ha respinto l'accusa che avrebbe fatto ripetute e insistenti pressioni sui dirigenti dell'assessorato all'Ambiente della Provincia, e in particolare su Luigi Romandini, affinche' all'Ilva venisse rilasciata l'autorizzazione all'uso della discarica "Mater Gratiae" all'interno del siderurgico.
  Nella sua deposizione al gip, Florido ha invece spiegato che non c'e' stata alcuna pressione ad operare illegalmente ma che ha solo chiesto agli uffici dell'ente di decidere o favorevolmente o negativamente sulle istanze dell'azienda per evitare che il contenzioso approdasse poi al Tar con un costo per la stessa Provincia. E infatti, ha rammentato Florido, piu' volte l'Ilva e' ricorsa al Tar contro gli atti della Provincia spesso avendo ragione.
  Oggi, intanto, ha lasciato il carcere per essere sottoposto ai domiciliari Girolamo Archina', ex consulente Ilva addetto ai rapporti istituzionali, che era stato arrestato il 26 novembre scorso. Mercoledi' scorso Archina' era stato colpito da una seconda ordinanza di custodia cautelare in carcere per la vicenda della discarica per la quale sono in carcere Florido e l'ex assessore all'Ambiente della Provincia di Taranto, Michele Conserva, mentre e' ai domiciliari l'ex direttore generale dell'ente, Vincenzo Specchia.
  L'ultima ordinanza era stata notificata ad Archina' proprio il giorno in cui il Tribunale del Riesame, accogliendo l'istanza dei suoi avvocati, gli aveva concesso per ragioni di salute i domiciliari. Ed e' proprio a questa decisione del Riesame che gli avvocati si sono rifatti a fronte del secondo provvedimento restrittivo, chiedendo al gip la scarcerazione di Archina', disposta oggi.
  Negli atti dell'autoritá giudiziaria il ruolo di Archina' e' ampiamente descritto come colui che molto attivamente, e attraverso ripetute pressioni, interviene sul mondo politico, istituzionale e amministrativo tarantino e pugliese per fare gli interessi dell'Ilva ed evitare che l'azienda venisse "penalizzata". Un ruolo che per i magistrati si esplica contro regole e leggi. Nell'ultima ordinanza il gip Todisco afferma che Archina' era perfettamente a conoscenza delle decisioni della Provincia prima ancora che venissero formalizzate, e che sapeva benissimo anche degli avvicendamenti dei dirigenti. "Un maestro degli insabbiamenti" era stato invece definito Archina' da Emilio Riva, patron del gruppo siderurgico, stando ad un'altra intercettazione. Emilio Riva che, al pari del figlio Nicola, entrambi ex presidenti Ilva, e' ai domiciliari dallo scorso 26 luglio sempre nell'ambito dell'inchiesta sul siderurgico, mentre un altro figlio, Fabio, destinatario di un pe'rovvedimento restrittivo dallo scorso 26 novembre, e' ancora in Inghilterra dove e' stata richiesta l'estradizione in Italia.
  Archina', infine, era stato allontanato dall'Ilva gia' prima del suo arresto. Ai primi di agosto, infatti, appena vennero fuori le intercettazioni che lo riguardavano, il presidente dell'Ilva, Bruno Ferrante, decise di inbterrompere il rapporto di lavoro. (AGI).

Parole sante!

Tartarugaio: forte l'impatto dell'edificio, la Sovrintendenza spieghi i suoi pareri

Tartarugaio: forte l'impatto dell'edificio, la Sovrintendenza spieghi i suoi pareri Legambiente ha scritto al Soprintendente per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Lecce, Brindisi e Taranto ribadendo la sua contrarietà alla realizzazione del cosiddetto "tartarugaio" e chiedendo spiegazioni per gli stringatissimi pareri favorevoli espressi in merito dalla Sovrintendenza.
Nella lettera, viene ripercorso l'iter che ha condotto alla realizzazione di un manufatto edilizio che per Legambiente rappresenta un vero e proprio "schiaffo" per un paesaggio urbano, quello della città vecchia di Taranto, il cui skyline e la cui morfologia è stata definitivamente trasformata da un progetto che poco o nulla ha in termini di rispetto e salvaguardia del patrimonio storico e ambientale.
Per la realizzazione del progetto in questione infatti, oltre ad aver demolito un edificio esistente (e che magari avrebbe potuto ospitare esso stesso le attività del "Centro", dopo opportuna riqualificazione), si è proceduto a realizzare una serie di opere cosiddette "marittime", consistenti in una nuova colmata a mare al di sotto dei bastioni su mar Grande. La nuova colmata a mare ha permesso che il nuovo edificio non fosse realizzato sull'area del vecchio edificio demolito, ma più aggettante verso il mare. La nuova posizione e la volumetria maggiore del nuovo edificio rappresentano ora una vera e propria barriera visiva verso il mare per chi transita sul corso Vittorio Emanuele II in direzione del ponte girevole.
Il Comune di Taranto ha richiesto  due volte un parere di compatibilità alla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Lecce, Brindisi e Taranto, una prima volta nel 2003 per il progetto originario ed una seconda volta nel 2012 per il progetto di variante. In entrambi i casi gli stringatissimi pareri favorevoli espressi dalla Sovrintendenza hanno posto quali uniche e identiche condizioni che "i materiali e le finiture esterne, nonché gli elementi di arredo fisso posti all'esterno, siano concordati con la scrivente nel corso di specifico sopralluogo".
Non una parola sull'impatto che una struttura del genere potesse avere in un contesto delicato come quello di un centro storico e della città vecchia di Taranto in particolare. Non una parola sulle opere marittime e sulla alterazione della morfologia e della conformazione fisica dell'isola. L'unica attenzione che la Sovrintendenza pone quali caratteri di compatibilità con la presenza di un centro storico alle spalle, riguardano i materiali di finitura esterna (che da ciò che si sta realizzando vediamo essere in blocchetti di tufo o carparo di colore giallo ocra), la tipologia degli infissi esterni e, immaginiamo, anche le panchine che verranno poste all'esterno (come efficacemente evidenziato dalle immagini render che campeggiano all'esterno del cantiere).
Davvero molto poco, quasi nulla, rispetto alla modificazione del paesaggio urbano di un unicum come la città vecchia di Taranto. Un parere, insomma, per Legambiente incomprensibile. Da qui la richiesta di motivarne le ragioni, dopo aver preso visione dell'opera, avanzata al Soprintendente. 

Cosa ci aspettiamo dall'Europa?

Procedura di infrazione. Questo è il massimo che può fare l'Europa.
Ovvero tassare l'Italia per le inadempienze, aggiungendo una nuova tassa a quelle che già l'Italia ha versato per Ilva e co.
Il bilancio dell'operazione non può che essere a carico dei cittadini, costretti a pagare due volte: per l'inquinamento (in ambiente e salute) e per le tasse (i fondi per l'infrazione distolti da voci di spesa nazionali più utili).
Serve davvero questo teatrino?

I conti ancora sbagliati dell'Ilva
Denunciate le inadempienze ambientali a Taranto. Il governo ammette a denti stretti. Rischio proceduta di infrazione europea. La solita vecchia storia degli impegni presi e non rispettati.

I conti della salute, in casa Ilva, non tornano. Rivela una delegazione Ong di Taranto, volata a Bruxelles per informare i servizi della Direzione generale Ambiente della Commissione Ue sulla situazione degli impianti, che il gruppo siderurgico non ha rispettato 35 delle 94 prescrizioni impartite dalle autorità comunitarie per la piena messa in sicurezza degli impianti pugliesi. Il 9 maggio l’azienda ha dichiarato che le inottemperanze sarebbero solo nove. L’Ong ha cifre diverse. Oltretutto, fa notare, le prescrizioni contenute nell'Autorizzazione integrata ambientale (Aia) erano legate a un calendario ormai ampiamente scaduto. Se non saranno applicate, l’Italia sarà colpita da una procedura di infrazione Ue.
 Le violazioni, secondo quanto riferito a TmNews dalla delegazione guidata da Alessandro Marescotti di Peacelink e da Fabio Matacchiera del Fondo antidiossina, contengono alcune circostanze particolarmente importanti, ad esempio quelle (nn. 40, 51, 58, 65 e 67) riguardanti il confinamento, mai effettuato, delle polveri tossiche che fuoriescono non filtrare dalla base (e non dalle ciminiere) di certe installazioni. Numerose altre prescrizioni non attuate riguardano le centraline e i sistemi di monitoraggio delle emissioni di vario tipo dagli impianti e dai camini, e il 'biomonitoraggio' su organismi e terreni e sul latte materno nell'area circostante.
 Un dramma? Il sottosegretario allo Sviluppo economico, Claudio De Vincenti, ritiene si possa aggirare: basta rimodulare le scadenze non rispettate dall'azienda, dandole più tempo. "Come aveva chiesto l'Ilva - ha detto l’esponente del governo -, stiamo valutando la riconsiderazione della tempistica di alcuni di questi interventi, mentre altri sono stati realizzati o sono in corso di realizzazione", pur essendo scaduti i termini: "Ci sono interventi di grande rilievo nell'organizzazione della produzione e di consistenza tecnologica tale che dobbiamo trovare i tempi giusti per ottenere questi risultati".

Si immagina, insomma, che sia sufficiente “una messa a punto della tempistica" di quanto era già previsto dall'Aia. "Stiamo vedendo come applicare (le prescrizioni, ndr), stiamo sollecitando interventi e stiamo seguendo il piano di investimenti che l'Ilva si è impegnata ad approvare" ha proseguito il sottosegretario, aggiungendo testualmente che le prescrizioni non ancora attuate "sono in corso di rispetto".
 E nel caso che l 'Azienda non ottemperi alle prescrizioni, neanche se sono riscadenzate? "La legge è molto chiara nel prevedere eventuali sanzioni", ha risposto De Vincenti.
 L’Europa ha cercato di mettere a posto ciò che l’Italia aveva trascurato per anni, a un costo micidiale per gli uomini e l’ambiente. Ancora una volta, a quanto pare, non è bastato. Abbiamo preso impegni che non abbiamo potuto (o non potevamo)  rispettare. Adesso chiediamo di rinegoziarli pagando ancora con la nostra credibilità. Scommettiamo che fra mesi e mesi saremo ancora qui a parlarne? (Lastampa)

venerdì 17 maggio 2013

Auto blu? No, grigio discarica!

Ansa
Gazzetta del Mezzogiorno


Ilva, bufera su Taranto dopo gli arresti oggi gli interrogatori

Scatteranno oggi pomeriggio alle 15.30 nella casa circondariale di Taranto gli interrogatori di garanzia delle tre persone destinatarie dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere nell’ambito dell’inchiesta denominata «Ambiente svenduto».
A comparire dinanzi al giudice per le indagini preliminari Patrizia Todisco, firmataria dei provvedimenti chiesti dalla Procura ed eseguiti dalla Guardia di Finanza, saranno il presidente della Provincia Gianni Florido (difeso dagli avvocati Carlo e Claudio Petrone), l’ex assessore provinciale Michele Conserva (assistito dall’avvocato Michele Rossetti) e l’ex responsabile delle pubbliche relazioni dell’Ilva Girolamo Archinà (difeso dagli avvocati Giandomenico Caiazza e Gianluca Pierotti). Sarà invece interrogato per rogatoria l’ex direttore generale della Provincia di Taranto Vincenzo Specchia, attualmente segretario generale al Comune di Lecce, finito agli arresti domiciliari e assistito dall’avvocato Andrea Sambati. Intanto è già stata fissata per il 23 maggio l’udienza dinanzi al tribunale del riesame contro i provvedimenti restrittivi, udienza che per ora riguarda il solo Archinà.

Il presidente Florido ieri mattina ha rassegnato le dimissioni con un fax inviato al segretario generale della Provincia dalla matricola del carcere, dimissioni irrevocabili che rappresentano la cesura con la vita politica ed un primo segnale nei confronti della magistratura. Il gip Patrizia Todisco ritiene sussistenti nei suoi confronti i gravi indizi di colpevolezza riguardo un episodio di tentata concussione ed uno di concussione consumata nei confronti di dirigenti della Provincia riguardo a permessi e autorizzazioni chieste dall’Ilva. Sotto il profilo delle esigenze cautelari, posti alla base del suo arresto e del trasferimento in carcere, invece vengono rilevate il rischio di inquinamento delle prove e quello di reiterazione del reato, esigenze cautelari che le dimissioni dalla carica potrebbero contribuire ad affievolire, almeno fino alla concessione degli arresti domiciliari pur se va ricordato che l’ex assessore provinciale Michele Conserva, dimessosi nel settembre scorso, pur avendo lasciato tutte le cariche politiche e nonostante quasi cinque mesi di custodia cautelare ai domiciliari nel primo round di «Ambiente svenduto», è comunque anch’egli finito in carcere l’altra mattina.
Secondo l’accusa, Florido e Conserva avrebbero agito in piena comunione di intenti per favorire l’Ilva, non lesinando pressioni sui dirigenti del settore ambiente della Provincia. L’ex dirigente Luigi Romandini ha dichiarato ai finanzieri del Gruppo di Taranto di essere stato invitato nell’ufficio di Florido e di essere stato invitato a evadere le richieste provenienti dall’Ilva quasi ad horas. «Di fronte alla mia legittima e doverosa richiesta di esaminarle nei tempi dovuti - ha detto Romandini nell’interrogatorio a cui è stato sottoposto dagli inquirenti - egli mi rispondeva “se non se la sente faccia due righe e si dimetta”... in concidenza con il conferimento di incarico al direttore generale Vincenzo Specchia le pressioni e le attività intimidatorie nei miei confronti divennero più accentuate e furono portate avanti da Specchia che mi dichiarava di agire su espressa volontà del presidente che asseriva essere scontento della mia attività perché non in linea con i suoi voleri e adirato con me tanto da avere deciso di allontanarmi con ogni mezzo dalla direzione del settore».
Per il gip Patrizia Todisco «dalle indagini è emerso che che le condotte di Florido, Conserva e Specchia fossero ispirate e pilotate da Archinà, il quale era talmente introdotto nei meccanismi di nomina dell’ente da essere al corrente anche delle nomine in cantiere. Archinà è informato di tutto, caldeggia nomine e spostamenti dei dirigenti, ispira ed orienta le condotte di Florido e Conserva (ed indirettamente di Specchia) e, senza la sua invasiva presenza, non si spiegano le ragioni per le quali negli uffici della Provincia si insistesse tanto per una solerte e positiva risposta alle istanze dell’Ilva. Del tutto evidente - scrive ancora il magistrato - è il vantaggio economico (e dunque l’utilità) che l’Ilva avrebbe conseguito con il rilascio della agognata autorizzazione all’esercizio della discarica in località Mater Gratiae, poiché essa evitava il ricorso a forme alternative di smaltimento di quelli che sono, si badi, rifiuti pericolosi, sicuramente molto onerose». (Mazza - GdM)

È stata spedita via fax dal carcere di Taranto alla segreteria generale della Provincia la lettera di dimissioni di Gianni Florido, il presidente dell'amministrazione provinciale arrestato ieri. Le dimissioni sono state protocollate nel pomeriggio. Florido da questo momento ha venti giorni di tempo per fare eventualmente dietrofront. Scaduto questo termine, il prefetto, d'intesa col ministero dell'Interno, è tenuto a nominare il commissario prefettizio che, dopo due mesi, in virtù di un decreto presidenziale assume la denominazione di commissario straordinario. Ma il consiglio provinciale potrebbe essere sciolto molto prima in seguito alle probabili dimissioni della maggioranza dei consiglieri (un minimo di 16).
La sospensione del prefetto. Il Prefetto di Taranto Claudio Sammartino ha dichiarato, nei riguardi del presidente della provincia Gianni Florido, arrestato ieri nell'ambito dell'inchiesta sull'Ilva denominata 'Ambiente svenduto', la sussistenza della causa di sospensione di diritto dalla carica. Una nota della Prefettura comunica che la decisione è ''conseguente all'applicazione delle misure coercitive disposte dall'Autorità giudiziaria''.
''Il provvedimento prefettizio si legge ancora - viene notificato al presidente e ai componenti del Consiglio provinciale che hanno convalidato l'elezione''. Florido avrebbe peraltro annunciato le dimissioni attraverso un telegramma dal carcere.
Le dimissioni Pd. I consiglieri provinciali e gli assessori del Pd hanno deciso di rassegnare le dimissioni dalle loro funzioni a seguito dell'arresto di Florido. Le dimissioni, sottolinea in una nota il gruppo consiliare del Pd, ''saranno depositate presso la segreteria generale della Provincia di Taranto non appena saranno pervenute quelle del presidente Gianni Florido'', che - a quanto si è saputo - ha già manifestato l'intenzione di dimettersi.
La solidarietà. «Siamo convinti che il presidente della Provincia di Taranto saprà fornire ai giudici i necessari chiarimenti in merito ai pesanti addebiti che gli vengono contestati». Lo dichiarano in una nota i gruppi consiliari di maggioranza alla Provincia di Taranto riferendosi all'inchiesta sull'Ilva denominata 'Ambiente svenduto' che ieri ha portato all'arresto del presidente Gianni Florido (Pd), accusato di concussione.
Insieme con Florido, 61 anni, esponente Pd, presidente della Provincia di Taranto e a capo dal 2004 di una giunta di centrosinistra, sono state arrestate ieri altre tre persone: l'ex assessore provinciale all'Ambiente Michele Conserva, 53 anni, che gia' il 26 novembre scorso era andato ai domiciliari per la stessa inchiesta, e, ai domiciliari, l'ex direttore generale della Provincia, e attuale segretario generale del Comune di Lecce, Vincenzo Specchia, 60 anni, che è stato sospeso dall'incarico; nel carcere di Taranto, dov'è detenuto sempre dal 26 novembre ma per l'inchiesta-madre sull'inquinamento, i finanzieri del comando provinciale di Taranto hanno notificato il provvedimento inoltre all'ex dirigente dell'Ilva Girolamo Archina', 67 anni.
«Crediamo che la giustizia - sottolineano Luciano Santoro (capogruppo Pd), Giorgio Grimaldi (capogruppo Sel), Mino Sampietro (Gruppo indipendente), Cosimo Lariccia (capogruppo Udc) e Domenico Pavone (capogruppo Lista Florido) - debba fare rapidamente il suo corso e confidiamo nell'azione della magistratura impegnata a fare chiarezza sulla vicenda». Al presidente Florido i componenti della maggioranza manifestano «vicinanza e solidarietà come amici oltre che come donne e uomini che hanno condiviso con lui una importante esperienza politica e amministrativa». Ieri intanto il coordinamento provinciale di Sel ha annunciato, con un comunicato, le dimissioni degli assessori Franco Gentile e Giovanni Longo e dei due consiglieri provinciali. (Quot)


Mater Gratiae ora pro nobis

MATER GRATIE: UNA STORIA CHE PARTE DAL 1995
 

La storia delle discariche dell’Ilva affonda le sue radici in un arco di tempo che parte dai primi anni ’90 ed arriva sino ai giorni nostri. E’ un caso di cui ci siamo occupati in tempi non sospetti, a differenza di tutti quelli che oggi si divertono a fare i fenomeni su internet e sui giornali locali e nazionali. Ma in fondo abbiamo sempre saputo che sarebbe andata a finire così. Quanto meno, almeno la Storia ci sta dando ragione. Proviamo dunque ad avvolgere ancora una volta il nastro degli eventi, facendo un doppio salto nel passato. Ad esempio tornando indietro al 15 marzo del 2011. Roma, via Cristoforo Colombo 44, ore 14: sede del ministero dell’Ambiente. Quel giorno di oltre due anni fa, è in programma un’importantissima Conferenza dei Servizi Decisoria “per acquisire le intese ed i concerti previsti dalla normativa vigente in materia d’approvazione dei progetti di bonifica concernenti l’intervento sul “Sito di Interesse Nazionale di Taranto”. Il verbale di quella conferenza vide per la prima volta la luce durante l’audizione della V Commissione Ambiente della Regione Puglia del 1 giugno del 2011, che poi licenziò il testo della legge sul “Piano Bonifiche delle falde acquifere” una settimana dopo, l’8 giugno. Da quella data però, della legge in questione non si è più avuta notizia. In quel famoso verbale, la Conferenza dei Servizi Decisoria sosteneva come il Piano di Caratterizzazione sito-specifico presentato dall’Ilva fosse incompleto, vista “la perdurante assenza della conseguente Analisi di Rischio che deve concorrere alla definizione dei nuovi valori soglia al fine di stabilire definitivamente il livello di effettivo inquinamento”. Il messaggio era, già allora, fin troppo chiaro: senza un Analisi di Rischio seria e completa, nessuna vera bonifica sarebbe mai potuta essere effettuata: ed infatti, in pieno 2013, nulla si è mosso. Inoltre, nel verbale venivano chiariti due punti di snodo fondamentali per giungere alla verità sull’effettivo livello di inquinamento della falda. Primo: “per gli analiti quali metalli e metalloidi la competenza sulla definizione dei valori di fondo è dell’Arpa Puglia” (non è un caso del resto se proprio l’ente regionale per la protezione ambientale si sta occupando di fare gli stessi esami per il I seno del Mar Piccolo, ndr). Proseguendo nel verbale, la Conferenza dei Servizi specificava, non senza ironia, che per gli “analiti quali Cianuri totali, benzo(a)pirene, cromo totale, mercurio, piombo etc, la loro esclusiva natura antropica rende un ossimoro la loro ricerca come elementi naturali”. Che la falda fosse profondamente inquinata, tanto da richiedere l’estrema urgenza di una sua messa in sicurezza, fu del resto la stessa Ilva S.p.A ad ammetterlo, attraverso una nota inviata e protocollata DIR/28 del 16/04/2010, acquisita dalla Direzione Generale TRI del Ministero dell’Ambiente, del Territorio ed del Mare nell’ambito del procedimento del rilascio dell’A.I.A. (Autorizzazione Integrata Ambientale), in cui venivano riportati i dati dei piezometri effettuati per stabilire la qualità delle acque superficiali e di quelle profonde. E sia nella falda di superficie con “manganese, ferro,alluminio, arsenico, cromo esavalente e cianuri totali per gli inorganici, mentre i contaminanti organici riscontrati sono IPA, BTXES e diversi composti clorurati”, sia nella falda profonda con “piombo, ferro, manganese,alluminio, cromo totale, nichel e arsenico mentre per gli inquinanti organici si è avuto il superamento per triclorometano, tetracloroetilene, diversi IPA”, i campioni superavano di tre o più parametri il valore limite di accettabilità. Nonostante quella nota, con una determina datata 11 maggio 2010, la Regione Puglia concludeva il procedimento rilasciando il provvedimento di VIA (Valutazione d’impatto ambientale) a favore del progetto dell’Ilva (“Discarica per rifiuti speciali non pericolosi prodotti dallo stabilimento Ilva di Taranto e dalle aziende partecipate presenti nel territorio della provincia in area Cava Mater Gratiae, in agro di Statte”, presentato dall’azienda nel luglio del lontano 2004, proprio quando partì l’iter per il rilascio della prima autorizzazione integrata ambientale). I Comuni di Taranto e Statte ricorsero al Tar, ma il tribunale amministrativo dette ragione all’Ilva, in quanto la Regione aveva proceduto al rilascio della VIA dopo aver più volte sollecitato le due amministrazioni a prendere parte al procedimento, e dopo che anche la stessa Ilva aveva più volte inviato il progetto in essere agli uffici competenti senza avere risposta alcuna. Ma nella sentenza del Tar di Lecce del marzo 2011, si leggeva anche dell’altro. Ovvero che “in particolare è stato rilevato che dai dati presentati la presenza delle discariche Ilva non influenza la qualità della falda acquifera. Anche con riferimento all’impermeabilizzazione, l’Ilva ha provveduto ad adeguarsi alla prescrizioni della Provincia”. Strano, molto strano. Perché la Conferenza dei Servizi Decisoria, in merito alla discarica “ex Cava Due Mari” e alla discarica “Mater Gratiae”, evidenziava varie osservazioni e prescrizioni. In primis, veniva sottolineato come “in corrispondenza di queste due discariche deve essere eseguito il monitoraggio della falda, attraverso dei piezometri che devono essere ubicati a monte e a valle idrogeologico rispetto a ciascuna discarica presente nell’area”. Inoltre, considerando che le linee di flusso della falda sotterranea presenti in quell’area hanno diversa orientazione, “si ritiene che debbano essere opportunatamente previsti dei pozzi da posizione uno in corrispondenza di ciascun lato della discarica ad una distanza massima dalla stessa pari a 500 metri e alla profondità che si dimostri idonea per monitorare tutta la falda sottostante le discariche in questione”. Tutto questo non è stato mai fatto. Anche perché l’Ilva ricorse subito al Tar di Lecce contro tutte le osservazioni e le prescrizioni presenti nel verbale di quella Conferenza dei Servizi Decisoria. Inutile dirvi, infine, che l’Ilva, proprio in relazione alla discarica “ex 2^ categoria di tipo “B Speciale” in area Cava Mater Gratiae” e “ex 2^ categoria di tipo C”, mise a bilancio un intervento di investimento totale di 8.010.000 €, di cui una parte concluso addirittura nel 2008, dal titolo “L’investimento ha introdotto una nuova tecnologia in grado di garantire un alto grado di protezione dell’ambiente attraverso lo smaltimento dei rifiuti in impianto appropriato, garantendo inoltre una sensibile riduzione della movimentazione dei rifiuti”. Di tutto questo parlammo nel 2011 e nel 2012, restando ovviamente ignorati.
Ma non c’è solo questo. Pochi sanno di cosa stiamo realmente parlando: la “Mater Gratiae” occupa 1.500.00 m3 ed è una delle discariche più grandi d’Italia, si trova nel territorio del Comune di Statte ed è all’interno del siderurgico, ma soprattutto la sua autorizzazione all’utilizzo è in prorogatio dal lontano 2006. Non solo: perché dall’AIA rilasciata nell’autunno scorso ed entrata a far parte della legge 231/2012, la sezione riguardante le norme da rispettare per la gestione delle discariche di rifiuti pericolosi è stata stralciata. Il suo aggiornamento è stato prima previsto per il 31 gennaio scorso, poi rinviato dalla commissione IPPC al prossimo 31 maggio, perché manca ancora parte della documentazione che l’Ilva deve fornire. Dunque la discarica Mater Gratiae viene utilizzata da sette anni con una semplice “proroga”.
Come detto però, questa storia ha radici lontane. C’è infatti un documento che risale al 28 giugno del 1995, a firma del ministero dell’Ambiente e del ministero dei Beni Culturali, che altro non era che il rilascio di VIA per il progetto di quella discarica. Quel giorno a Roma infatti, si discuteva dell’approvazione del “progetto sottoposto a valutazione di impatto ambientale (VIA) riguardante le due discariche di seconda categoria rispettivamente di tipo B e C, da realizzarsi all’interno dell’area industriale Ilva di Taranto in una zona già utilizzata per l’attivia estrattiva e precisamente all’interno di un’area dismessa di una vasta cava di materiale calcareo, denominata Cava Mater Gratiae”. Già nel 1995 si parlava di una cava profondamente alterata dall’attività estrattiva e profonda 30-35 metri, distante 3 km in linea d’aria da Taranto, Statte, Massafra e Crispiano. Peraltro all’epoca si prevedeva che il 70% dell’intera capacità di smaltimento dei rifiuti era destinata all’attività produttiva dell’Ilva, mentre il restante 30% doveva soddisfare le esigenze di smaltimento esterne costituito dalle province di Taranto e Lecce. In quel documento, peraltro, s’intravedeva già la linea di pressapochismo che sarebbe seguita nei decenni a venire: “in linea di massima non sembrano esserci elementi di incoerenza tra il progetto Ilva e i programmi esistenti sulla previsione di produzione dei rifiuti”. E che le nostre istituzioni conoscessero a fondo il problema, lo evidenziano le istanze, osservazioni e pareri espressi dal comune di Statte (20 gennaio e 12 aprile 1994), comune di Taranto (25 gennaio 1994) e Provincia di Taranto (25 gennaio e 23 aprile 1994): una vita fa. Cosa ancora più grave, in quel documento che di fatto riteneva il progetto dell’Ilva per la realizzazione della discarica per rifiuti tossico-nocivi nell’area Cava Mater Gratiae compatibile con le caratteristiche del sito, si denunciava il non pervenuto parere della Regione Puglia nonostante i vari solleciti. Si rilasciava l’ok al progetto prescrivendo una serie di provvedimenti che non è dato sapere se siano mai stati realizzati. Questa è la Storia.
Ciò che sta avvenendo oggi altro non è che il crollo di un sistema politico-economico messo in piedi decenni addietro e portato avanti sino ai giorni nostri. Stiamo vivendo un cambiamento epocale a cui, purtroppo, questa città arriva del tutto impreparata. E le responsabilità sono di tutti coloro i quali hanno governato per decenni e di tutti coloro i quali sino a ieri hanno fatto finta di non sapere, non vedere e non sentire. Chi pensa che con qualche arresto si volterà pagina, si sbaglia di grosso. Chi pensa che la magistratura potrà risolvere i problemi di questa città, è del tutto fuori strada. Ricostruire dalla macerie non sarà facile. Ci vorranno decenni. Ma questo non l’ha capito quasi nessuno. Siamo ancora ridotti ognuno a rincorre il proprio ego, a difendere orgogliosi il nostro piccolo orticello. A gioire per un arresto che di fatto cambia poco o niente.
Gianmario Leone TarantoOggi 16 05 2013

giovedì 16 maggio 2013

Adesso sappiamo? Adesso??

A volte i giornalisti si lasciano prendere dalla foga apocalittica... L'eutanasia del PD trova nell'Ilva solo un piccolo ennesimo sintomo. E comunque, per realismo e non per qualunquismo, secondo la percezione generale (fino ad ora sempre tardivamente confermata da indagini), non c'è organizzazione politica o sindacale locale che sia estranea all'influenza del portafoglio Ilva!
 
Arresti Ilva, Pd a fine corsa
Adesso sappiamo che Ilva produceva, inquinava e ammazzava, non solo nell’inerzia del ministero dell’Ambiente; ma anche per via dei rapporti illeciti con la politica locale, gli arrestati presidente della Provincia Gianni Florido ed ex assessore all’ambiente Michele Conserva, entrambi del Pd. Fra qualche tempo sapremo se mazzette e autorizzazioni prezzolate ci sono state anche a livello nazionale.
Che Ilva continui a inquinare e ammazzare legalmente per via di una legge voluta da Clini e Monti è cosa nota a tutti: ottenuta l’Autorizzazione Integrata Ambientale (Aia), Ilva ha potuto continuare a produrre nelle stesse condizioni che avevano portato al sequestro degli impianti. Questo perché l’Aia, di per sé, non ha eliminato l’inquinamento; si è limitata a prescrivere una serie di interventi che dovrebbero essere completati entro la fine del 2014 (sarà un miracolo se li completeranno – ammesso che vogliano farlo e che trovino i soldi – nel 2017); nel frattempo, respirate il meno possibile e, se potete, andate a vivere da qualche altra parte.
Il sindaco di Bari, Emiliano (Pd), ha espresso con chiarezza un dilemma che gli eredi di Gramsci, Togliatti e Berlinguer avrebbero dovuto risolvere da subito con sdegno: “Per mancanza di indirizzo politico non si capisce se dobbiamo andare fino in fondo senza guardare in faccia a nessuno o se bisogna trovare un punto di equilibrio sulla ragione di Stato, cioè sul fatto che non ci possiamo permettere di chiudere l’Ilva senza trovare un’alternativa occupazionale”. Il che riecheggia sinistramente le parole di Mussolini, quando giustificava l’entrata in guerra con le poche centinaia di morti (per Ilva si contano a migliaia) che gli avrebbero permesso di sedersi da vincitore al tavolo della pace.
E tuttavia, se i termini della questione fossero questi, si potrebbe anche giustificare la cinica realpolitik del Pd. Ma il punto è che la scelta in favore della continuità produttiva non è stata dolorosamente adottata per un superiore interesse collettivo; ma a seguito delle care, vecchie, appetitose mazzette. Ilva necessita di una discarica per smaltire, all’interno dello stabilimento, rifiuti industriali e polveri; discarica che non può essere autorizzata (mancanza di requisiti tecnico-giuridici; fra un po’ sapremo quali). Così Archinà (il facilitatore alle dipendenze di Ilva), risolve il problema nel solito modo: pressioni e quattrini. Dice sempre Emiliano: “In questa vicenda è chiaro che è possibile che qualche soggetto politico che aveva il controllo dei controllori sia rimasto impigliato perché non è facile il ruolo del sindaco di Taranto, così come quello del presidente della Provincia di Taranto e del presidente della Regione”. È chiaro, vero? E allora perché il Pd non si è dato da fare per controllare meglio? I controllori erano persone sue; Ilva non era una fabbrichetta di quartiere: che ci fosse un mostruoso inquinamento lo sapevano tutti. La scelta tra inquinare e ammazzare ancora per qualche anno, ma con la prospettiva di salvare un polo produttivo di immenso valore per l’occupazione richiedeva quantomeno informazioni corrette. Prescrizioni e autorizzazioni sono sufficienti? Sono state ottenute legalmente? Non è che la malattia endemica della nazione, la corruzione, ha colpito anche lì? Se lo sa Emiliano che “è possibile che qualche soggetto politico sia rimasto impigliato”, com’è che i vertici del partito non ci hanno pensato? Magari perché Ilva era tra i finanziatori del Pd?
Ma poi: i vertici del Pd si occupano solo di alleanze, di ministri e sottosegretari, insomma di poltrone? Dei problemi reali, dei cittadini di un’intera Provincia, dei lavoratori di tutto il paese (Ilva ne coinvolge decine di migliaia), della scelta tra morte per inquinamento e morte per inedia, chi diavolo deve occuparsi? Quando il Pd ha chiesto il voto degli abitantidi Taranto avrà pur preso qualche impegno sul problema Il-va. Poi, dopo le elezioni, se n’è dimenticato?
E infine: Clini, l’iperattivo ministro dell’Ambiente, il protagonista dello scontro con la magistratura tarantina, l’uomo privo di dubbi che ha imposto la riapertura degli impianti, come diavolo ha rilasciato l’Aia? Quali accertamenti ha fatto? Qui c’era una discarica che non poteva essere autorizzata; e che era essenziale nel quadro complessivo dell’attività produttiva poiché vi dovevano essere stoccati rifiuti tossici e nocivi e polveri inquinanti. Nessun controllo, le autorizzazioni ci sono, tutto bene. Ma dove vive?
La domanda, per la verità, non è nuova. Clini è stato per anni direttore generale del ministero dell’Ambiente. Le decennali malefatte dei padroni di Ilva sono state sempre ignorate, le autorizzazioni concesse, gli interventi omessi. Ma lui non ne ha mai saputo niente. “Mi occupavo di altro”, ha reiteratamente risposto a chi gli chiedeva come mai Ilva aveva potuto fare quello che voleva, in spregio della legge e delle sentenze di condanna che pure c’erano state. Di altro che? In realtà, tra il 1991 e il 2000, è stato direttore generale del Servizio prevenzione dell’inquinamento atmosferico e acustico nelle industrie, pubblicando perfino un rapporto sulle 18 aree a rischio di incidente rilevate in Italia. E, in quel periodo Ilva c’era, inquinava e ammazzava. Proprio come adesso. Sarebbe interessante sapere se, tra quelle 18 aree, Il-va compariva; e anche se Clini inviò alle competenti Procure della Repubblica uno straccio di denuncia: sapete, qui ci sono 18 aziende (magari di più) che inquinano, tanto che, secondo me, c’è un rischio ambientale; fate qualcosa. (FQ)


"Ho detto no all'Ilva e mi hanno cacciato"

“Dare quell’autorizzazione all’Ilva era come dare la patente a un non vedente”. Parla un ex dirigente del settore Ecologia della Provincia di Taranto, Luigi Romandini, allontanato dall’amministrazione dopo che si era rifiutato di concedere l’ok per la discarica interna allo stabilimento. Si tratta della vicenda per la quale il gip ha disposto gli arresti per il presidente della Provincia, l’ex assessore all’Ambiente e l’ex segretario, quest’ultimo ai domiciliari