Comunicato stampa
La sentenza sulla ThyssenKrupp di Torino e i suoi riflessi su Taranto
“La speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio. Il primo di fronte a come vanno le cose; il secondo per cambiarle” è la massima di Sant’Agostino di Ippona che ci è tornata in mente leggendo la lettera prot. n. 0005066 del 20.04.2011, pervenutaci il 26 da VVF - Direzione Regionale Puglia, sulle questioni del “Certificato Prevenzione Incendi” e del “nulla osta inerente il rischio di incidente rilevante” per lo stabilimento Ilva di Taranto.
Per il caso specifico da noi posto, è grande lo sdegno per come vanno le cose anche in un ambito importante che coinvolge le responsabilità dei Vigili del Fuoco, Soccorso Pubblico e Difesa Civile. Di contro, però, ci pare che scarseggi il coraggio di cambiare le cose.
Il tema merita di essere riassunto brevemente. Nel mare magnum delle norme italiane sulla sicurezza degli insediamenti industriali ci sono due capisaldi, il “Certificato Prevenzione Incendi” e il “nulla osta inerente il rischio di incidente rilevante”. Qualunque cittadino li comprende e li apprezza a scatola chiusa, certo che nessuno stabilimento può essere autorizzato a entrare in funzione e a restare in funzione se privo di entrambi quei documenti. Chiunque abbia avuto a che fare con l’installazione di un nuovo impianto ha constatato, e in fondo apprezzato, con quale serietà fattuale operino, in tali frangenti, le Istituzioni preposte. E quando in un impianto in esercizio capita un incidente, superata la fase del pronto intervento e dei soccorsi, i molteplici organismi di vigilanza e controllo vanno a “vedere le carte” e talvolta sono dolori per gli inadempienti. Bene, per ammissione della stessa Direzione Regionale Puglia VVF, constatiamo che lo stabilimento Ilva di Taranto è ancora privo di Certificato Prevenzione Incendi. Noi aggiungiamo che questo stato di cose dura da parecchi anni, prima ancora che iniziasse la procedura per l’ottenimento dell’AIA, come risulta dall’esame di due documenti ufficiali del Corpo dei VVF del 2008 e 2009, reperibili sul sito di Minambiente.
Da semplici cittadini non entriamo nel merito delle ragioni tecniche o burocratiche, esposte nella citata lettera della Direzione Regionale dei VVF, che hanno portato a questa situazione. Ci limitiamo a porre alcune domande da uomini della strada. Le varie Autorità di vigilanza e controllo (VVF, ASL/SPESAL, ISPESL, Ispettorato del lavoro, ARPA, NOE, Polizia provinciale, Polizia municipale, ecc.) e le Autorità competenti per i vari benestari e autorizzazioni (statali, regionali, provinciali, comunali) permetterebbero l’avvio e il funzionamento di un impianto pronto ma ancora privo di “CPI” e di “nulla osta inerente il rischio di incidente rilevante”? Possibile che non ci sia nessuna autorità tecnica, amministrativa, giudiziaria che senta il dovere civico, più ancora di quello professionale/istituzionale, di neutralizzare, per elementari motivi precauzionali, le ambiguità normative e l’insufficiente impegno dell’azienda su temi così importanti che consentono per anni l’esercizio di impianti privi di CPI e di nulla osta? E’ mai possibile che si lasci che un insediamento industriale enorme, complesso e pericoloso come lo stabilimento Ilva di Taranto, continui a funzionare senza che nessuno dica o faccia niente, pur essendo da anni privo di quei certificati, quasi a dimostrare che sono solo “pezzi di carta” di mera burocrazia, del tutto trascurabili?
Per parte nostra, in ambito AIA abbiamo già scritto alle Autorità interessate, informando anche il Procuratore della Repubblica di Taranto, che all’Ilva di Taranto deve essere negata l’AIA se priva di “CPI” e di “nulla osta inerente il rischio di incidente rilevante” e che lo stabilimento deve essere fermato immediatamente per il tempo necessario a metterlo a posto per la sicurezza dei lavoratori e dei cittadini, fermi restando tutti gli altri impegni per la riduzione dell’inquinamento ambientale che sono altrettanto importanti per la salute umana.
Giova a tal proposito ricordare la tragedia avvenuta alla ThyssenKrupp di Torino e il recentissimo e pesantissimo giudizio della Magistratura. Stando ai resoconti giornalistici, è stato accertato che “la ThyssenKrupp non aveva ancora il certificato di prevenzione incendi. I suoi manager prendevano tempo con i vigili del fuoco posticipando la data in cui effettuare una serie di interventi richiesti”. Inoltre, potranno “chiedere al tribunale civile la liquidazione del danno biologico” il sopravvissuto alla strage e “gli altri 33 operai costituitisi parte civile per il rischio corso in quello stabilimento, reso insicuro dalla politica aziendale, in vista della chiusura, di effettuarvi sempre meno manutenzione straordinaria degli impianti e ridurre a zero gli investimenti sulla sicurezza". Di eccezionale importanza sono le parti del giudizio che comportano sia l’apertura di una seconda indagine penale a carico di altre persone tra cui un ingegnere “che finisce nei guai per avere redatto l’ultimo piano di valutazione dei rischi”, sia una terza inchiesta “nei confronti di una buona parte degli ispettori ASL che dovevano vigilare, e non l’hanno fatto, sulle gravi carenze antinfortunistiche dello stabilimento”. A Torino la Magistratura ha sancito, ahimè a seguito di una tragedia, che il CPI e il “nulla osta inerente il rischio di incidente rilevante” non sono “pezzi di carta” burocratici di cui si può tranquillamente fare a meno. A Taranto non è così? Sarebbe terribile scoprirlo a seguito di un incidente che nessuno vorrebbe che si verificasse mai.
Altamarea, Coordinamento cittadini e associazioni, Taranto 27 aprile 2011
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