Allarme Taranto: sforamenti di diossina dall'inceneritore pubblico di Statte
domenica 31 ottobre 2010
Soldi rubati alla differenziata & nuove diossine
Allarme Taranto: sforamenti di diossina dall'inceneritore pubblico di Statte
venerdì 29 ottobre 2010
Petizione per Taranto più sana
Con questa norma la Regione potrà intervenire in caso di superamento dei livelli accettabili dell'idrocarburo policiclico aromatico, cioè 1 nanogrammo (soglia prevista dal decreto ministeriale del 25 novembre del 1994), rivedendo il recente decreto legislativo (155/2010) che ha rimandato al 2012 il raggiungimento del valore obiettivo fissato dall'Ue.
“Ma l’inquinamento da benzo(a)pirene non riguarda solo Taranto – ha dichiarato il responsabile scientifico di Legambiente Stefano Ciafani – o altre città industriali come Trieste o Venezia, ma anche capoluoghi come Padova o aree metropolitane come Milano e Torino, dove è rilevante anche il contributo del traffico. Per questo Legambiente ha lanciato una petizione nazionale da far firmare ai cittadini per chiedere al Governo di modificare la legge sul benzo(a)pirene in favore di un maggior controllo e una maggiore protezione per la qualità dell’aria che respiriamo nelle nostre città”.
Per tutelare la salute dei cittadini è necessaria una normativa rigorosa e stringente e l’adozione di interventi di risanamento per ridurre le emissioni atmosferiche di benzo(a)pirene.
“Il Governo italiano – conclude Ciafani - riveda dunque con urgenza il testo del decreto legislativo e si attivi perché sia raggiunto in tutte le grandi città l’obiettivo di 1 nanogrammo per metro cubo”.
giovedì 28 ottobre 2010
Ma noooo!
Torna nuovamente sotto i riflettori il problema diossina a Taranto. Stavolta la fonte di provenienza non sono i camini dell’Ilva, ma quello dell’inceneritore di rifiuti solidi urbani gestito dall’Amiu. L’impianto, entrato nuovamente in funzione nell’aprile scorso, si trova sulla Statale Appia, tra il comune capoluogo e Massafra.
L’Arpa Puglia, che nei giorni scorsi ha eseguito il primo controllo delle emissioni, ha accertato che il limite di 0,1 nanogrammo/m3, previsto dal decreto legislativo n. 133/2005, è stato sforato di ben otto volte. Il valore rilevato dai tecnici dell’Agenzia regionale per l’Ambiente è, infatti, di 0,8 nanogrammi/m3.
Il direttore generale dell’Arpa Giorgio Assennato ha, tuttavia, rassicurato la popolazione, facendo sapere che la situazione non è preoccupante. «La Regione Puglia - ha detto - è già stata informata ed il prossimo 2 novembre dovrebbe tenersi a Bari un incontro tra tutte le istituzioni interessate alla risoluzione del problema».
Sulla questione anche il sindaco di Taranto Ippazio Stefàno ha gettato acqua sul fuoco.
«L’impianto - ha affermato - è fermo da due giorni. Gli ingegneri si erano accorti di un problema di natura tecnica e sono già al lavoro per riparare il guasto. In ogni caso - ha ricordato il primo cittadino - l’inceneritore non è ancora entrato in funzione al cento per cento delle sue potenzialità e, dunque, lo sforamento è relativo». Non ci sarà, dunque, bisogno di un’ordinanza sindacale per fermare l’attività della struttura.
Nella primavera scorsa gli ambientalisti avanzarono molte perplessità sulla riapertura del termovalorizzatore. “L’area jonica – veniva sottolineato dai rappresentanti di Ail, Arci, Legambiente, Libera, Lipu, Peacelink, Taranto viva, Vigiliamo per la discarica e Wwf – non può più sopportare il peso di ulteriori impianti che vanno ad incidere negativamente sul suo grave stato di crisi ambientale. La riapertura dell’inceneritore comporterebbe ulteriori emissioni di diossine, microinquinanti e metalli pesanti dannosi per la salute umana e per le attività agricole e zootecniche della zona peraltro rientrante nei confini dell’area a rischio ambientale di Taranto”.
Secondo gli ambientalisti “gli effetti vanno valutati anche in rapporto ai fenomeni di accumulo derivanti dall’esercizio, nella stessa fascia di territorio in agro di Massafra, di un altro inceneritore”. «Nell’impianto - assicurò il giorno dell’inaugurazione il responsabile della manutenzione Francesco Mollica - adottiamo misure di cautela nei confronti dell’ambiente, ed anti-inquinamento. Il sistema è dotato principalmente, secondo il decreto legislativo n. 133/2005, di un sistema di blocco automatico. Qualora uno dei parametri critici soggetti a controllo, nei gas del camino, dovesse superare i limiti, si bloccherebbe tutto. Lo paragonerei ad un autovelox sempre sulle spalle del camino. Sono presenti sistemi di abbattimento, l’urea tecnica per gli ossidi di azoto, nox. Viene dosato il carbone attivo per l’assorbimento della diossina. Viene dosata la calce idrata, come i composti acidi, HCL, HF, SO2. Tutti i sistemi necessari sono adottati. I bruciatori di post combustione, se la temperatura scende sotto gli 850 gradi, entrano in funzione e la mantengono al di sopra della soglia critica». (quotidiano)
mercoledì 27 ottobre 2010
Il Manifesto sbatte Taranto in prima pagina!
Un decreto alza i livelli di tollerabilità del benzoapirene
Con una legge ritoccata ad hoc, il governo offre la sponda ai grandi inquinatori.
Fino al 31 dicembre 2012, nelle città italiane con oltre 150mila abitanti, il benzoapirene, il più cancerogeno tra gli idrocarburi policiclici aromatici (Ipa) secondo l'Agenzia Internazionale di Ricerca sul Cancro, potrà superare la soglia europea di tollerabilità (un nanogrammo per metro cubo). Il tetto, fissato da un decreto ministeriale del 1994, poi incorporato nel decreto legislativo 152 del 2007, è stato abrogato dal successivo decreto 155 di quest'anno, emanato il 13 agosto scorso in attuazione, dice il governo, della direttiva europea del 2008 «per un'aria più pulita in Europa».
In realtà quella direttiva non parla di benzoapirene, ma di altri agenti tossici. Mentre in virtù di questo decreto, fino alla fine del 2012, nei centri urbani con oltre 150 mila abitanti il benzoapirene potrà superare quella soglia, senza obbligo di individuazione della fonte di inquinamento nè di intervento da parte degli enti locali (che invece prima erano obbligati a intervenire). Solo a partire dal 2013 il benzoapirene dovrebbe tornare a non superare quel limite. Questo oggi in Italia dice la legge che regola le sue emissioni in atmosfera, sebbene il testo sottoposto al vaglio della Commissione ambiente al Senato e alla Camera e presentato da Agostino Ghiglia (Pdl) sia stato un altro. Roberto Della Seta, senatore Pd in quella commissione, precisa: «Queste disposizioni non erano nel testo esaminato a luglio». Infatti il provvedimento ha ottenuto parere favorevole da entrambe le commissioni parlamentari. E ora il Pd ha presentato in commissione Ambiente una risoluzione che impegna il governo a ripristinare i vecchi limiti di legge, più rigidi. Il benzopirene può essere assorbito per inalazione, attraverso la cute e per ingestione, e l'esposizione ripetuta o a lungo termine può causare danni importanti alla salute.
Una norma pro Ilva
Nel lontano 1987 l'Organizzazione Mondiale della Sanità stimava che lo sforamento di 1 nanogrammo a metro cubo può determinare un rischio di nuovi 9 casi di cancro ogni 100mila persone. Non solo: il benzopirene è genotossico, cioè può modificare il Dna trasferito dai genitori ai figli. Tuttavia in Italia il decreto del governo lascia mano libera ai grandi inquinatori nelle città con oltre 150mila abitanti. Tra queste ce n'è una, Taranto, ormai sepolta dall'inquinamento della grande industria. Nella città jonica il mix di inquinanti - diossine, benzopirene, cadmio, berillio, arsenico, mercurio, nichel, benzene eccetera - da 50 anni si è cronicizzato. I dati diffusi nell'aprile 2010 dall'Asl (raccolti con l'Associazione nazionale tumori) e riferiti al 2007, sono allarmanti: 594 ricoveri per cancro al polmone e 55 per carcinoma della pleura. Quei dati ora sono al vaglio dell'Istituto Superiore della Sanità.
Taranto è sede di una delle più grandi acciaierie europee, l'Ilva di Riva (13mila dipendenti), da tempo nell'occhio del ciclone per l'inquinamento prodotto. Eppure in Puglia esiste una legge antidiossine e furani (approvata nel 2008), unica in Italia, firmata da Vendola per ridurre i veleni prodotti dalla grande industria, Ilva in particolare, e riportarli entro il 31 dicembre 2010 agli standard europei. Oggi però nel registro europeo sulle emissioni e i trasferimenti di inquinanti in acqua, aria e suolo, mancano i dati dell'Ilva di Taranto relativi al 2007-2008. Alcuni di essi, ancora in fase di validazione e riferibili al solo inquinamento dell'aria, su pressioni dell'Istituto per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), sono emersi. Emerge che la soglia di emissioni stabilita a livello europeo è abbondantemente superata dall'Ilva di Taranto. Qualche esempio? Se per le emissioni di diossine e furani l'Ue stabilisce il tetto di 0,1 grammi l'anno, l'Ilva ne dichiara 97. Quelle di Pm10, che dovrebbero attestarsi sulle 50 tonnellate annue, risultano 3.378,4. Quelle da monossido di carbonio, soglia prevista 500 tonnellate l'anno, arrivano a 247.544,3, e quelle di biossido di carbonio, per cui il margine di tollerabilità è di 100mila tonnellate l'anno, arrivano a 10.731.887.
Tra le più inquinate d'Europa
Per comprendere le dimensioni che l'inquinamento industriale oggi può assumere in una città di 200mila abitanti come Taranto, dove l'Ilva coesiste con l'Eni, la Cementir e l'arsenale militare, consideriamo non tutto, ma solo una porzione del centro urbano: il quartiere Tamburi, che sorge a ridosso delle acciaierie. Quanto al benzopirene, l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente attesta che lì il superamento del valore di legge è preoccupante e precisa che il 98% dell'inquinante proviene dalla cokeria. Il quartiere Tamburi, nato per ospitare i primi operai di fabbrica, è tra i più inquinati del mondo.
Nei grafici che riportano i livelli di benzoapirene in città, quelli campionati tra il 2003 e il 2006 sono stati i più alti d'Italia. In una scala da 1 a 10, il 6 aprile 2003 Firenze, Ravenna, Catania, Bologna registravano quantità di benzoapirene inferiori a 1, Padova, Verona, Venezia, Viterbo, Milano, Roma lo superavano di poco, mentre in via Orsini (Taranto-Tamburi) la concentrazione arrivava a 10. Nel confronto con megalopoli come Chicago, Hong Kong, Santiago, San Paolo, Los Angeles, Houston o Atene è sempre il quartiere Tamburi di Taranto ad avere la peggio. Bisogna arrivare in Pakistan o in Polonia per trovare fonti di inquinamento così importanti vicino a quartieri densamente abitati. Che il problema sia legato alle cokerie Ilva, non v'è dubbio. I dati dell'Arpa relativi ai primi cinque mesi del 2010 nel quartiere rilevano valori di benzoapirene pari al triplo della soglia prevista per legge: anziché 1 nanogrammo per metro cubo lì se ne registrano 3, nel resto del centro urbano la media è di 1,1.
Peacelink, tra le associazioni della rete Alta Marea che si batte per il ripristino della legalità ambientale, partendo da quei dati rilancia. Da calcoli fatti in collaborazione con l'Istituto Nazionale per la ricerca sul cancro di Genova, l'associazione sostiene che ogni giorno un bambino che risiede nel quartiere Tamburi inala mediamente l'equivalente di benzopirene contenuto in un po' più di 2 sigarette (in una sono circa 9 nanogrammi). Vale a dire l'equivalente di 780 sigarette l'anno. Questo dato trova riscontro in un rapporto Ispesl del 2008. Ma c'è un altro dato impressionante: la quantità di sigarette fumate involontariamente dai lavoratori della cokeria. Qui fanno testo i dati contenuti in una perizia commissionata dalla magistratura all'Asl nel 1999-2000, secondo cui in otto ore di lavoro quei lavoratori, nelle postazioni a minore esposizione, inalano l'equivalente di circa 350 sigarette, mentre si sale oltre le 6mila nei punti più critici della cokeria. (Ornella Bellucci - Il Manifesto)
martedì 26 ottobre 2010
Brindisi stoppa il petrolchimico!
lunedì 25 ottobre 2010
Ad Aziendam
Questa inchiesta parla di una città, Taranto, meridionale non solo in termini geografici ma sopratutto in termini di subalternità.
Questa inchiesta parla dei cittadini di Taranto e della loro vita messa a servizio di un modello di sviluppo che ha violentato la loro terra e la loro vita.
Questa inchiesta indaga il rapporto tra grandi interessi e legislazione, in particolare quella ambientale.
Questa inchiesta non ha la pretesa di essere imparziale, anzi è esplicitamente di parte, è dalla parte della gente e di una terra martoriata ma che esprime la dignità che solo una comunità sotto attacco può esprimere.
Questa inchiesta espone dei dati, questi invece oggettivi, ma sopratutto allarmanti.
Taranto è una città pugliese che affaccia sull'omonimo golfo del mar Ionio, circondata dai due mari : il Mar Grande e il Mar Piccolo - bacino di acqua salata che circonda l'isola della Città Vecchia e si apre nel Mediterraneo.
Fondata dagli Spartani,Taranto ha un passato glorioso, Capitale della Magna Grecia in età ellenica e capitale del Regno di Sicilia in epoca Bizantina, terra accogliente da sempre, dal clima mite e dall' agricoltura rigogliosa.
Terra di poeti e guerrieri, terra di pescatori e contadini, almeno fino alla metà del ventesimo secolo.
In epoca moderna infatti la Città dei Due Mari diviene capitale della siderurgia italiana ed inizia un processo di industrializzazione che vedrà sorgere alla periferia nord oltre al più grande stabilimento siderurgico d'Europa numerose altre aziende, in particolare la raffineria Eni e il cementificio Cementir.
Lo stabilimento siderurgico di Taranto nasce all'inizio degli anni '60 come “Quarto Centro Siderurgico” dell' IRI, nell'ambito della strategia di crescita delle Partecipazioni Statali.
Raddoppiato negli anni'70 e privatizzato come Ilva il Primo Maggio del 1995 dal Gruppo Riva, principale produttore nazionale di acciaio,quarto a livello europeo e decimo al mondo.
La privatizzazione fu un passaggio obbligato. Negli anni novanta, infatti, la situazione era diventata insostenibile; da un lato gli operai minacciati dall'ennesimo ridimensionamento, dall'altro uno sperpero aziendale stimato in migliaia di miliardi di debiti verso le banche.
L'Italsider si sosteneva sui contributi dell'Unione Europea che d'innanzi però a tale situazione minacciò il taglio dei fondi dando un accelerata al processo di vendita a privati di quello che era considerato il gioiello dell'industria di Stato nel settore strategico per eccellenza, l'acciaio.
In realtà il Governo già negli anni ottanta aveva affidato l'azienda al giapponese Nakamura, avviando la ristrutturazione degli impianti e dei processi produttivi con la consulenza della Nippon Steel che riuscì a portare gli utili aziendali a 500miliardi.
Il colosso giapponese tentò addirittura di acquistare lo stabilimento ionico con un offerta di duemila miliardi, offerta che fu immediatamente respinta.
I contendenti per il rilevamento dell' Italsider di Taranto erano i gruppi Riva e Lucchini, si andò alle buste e la spuntò il magnate bresciano che sborsò 1400 miliardi.
I debiti rimasero allo Stato che consegnò a Riva uno stabilimento con la produzione a pieno ritmo in cui si stava rifacendo con soldi pubblici l' altoforno-reparto fulcro della produzione- e dove erano stati avviati i prepensionamenti per l'amianto.
Un vero e proprio affare che anticipa di circa un quindicennio la strategia messa in campo dal governo Berlusconi nel salvataggio dell'Alitalia dalle grinfie dei capitali esteri e con i debiti ben spalmati tra tutti i cittadini italiani.
Caso vuole che Riva faccia parte della cordata di imprenditori che ha rilevato il pacchetto azionario della compagnia aerea di bandiera.
Con la sua imponenza l'Ilva è quindi il principale stabilimento dell'area industriale della città di Taranto e sopratutto l'azienda che maggiormente impiega la forza-lavoro locale.
Tuttavia se negli anni settanta l'Italsider contava circa ventimila addetti, con la privatizzazione del '95 si passa agli attuali tredicimila di cui molti con contratti a termine in particolare nelle ditte appaltatrici esterne.
Come detto anche altre importanti aziende oltre a quelle dell'indotto Ilva insistono nel territorio tarantino, la raffineria Eni e la Cementir insieme al colosso siderurgico costituiscono la spina dorsale dell'apparato industriale del distretto ionico.
Eppure Taranto non è considerabile una città a vocazione industriale, mentre Riva fattura migliaia di miliardi la città rimane stabile negli ultimi posti della classifica del Sole24Ore per capacità produttive e imprenditoriali.
Più che una città industriale Taranto è quindi una città industrializzata.
In termini di costi-benefici il rapporto tra grande industria e città si riduce al mero dato occupazionale, nella città con il più alto tasso di disoccupazione in Puglia sembra impossibile pensare di fare a meno di un bacino lavorativo di queste dimensioni.
Eppure i benefici dell'occupazione appaiono traballanti dinnanzi ad un modello di sviluppo che ha nel suo DNA esorbitanti costi in termini di inquinamento, impatto ambientale e paesaggistico e soprattutto di salute pubblica.
La questione ambientale e la salute pubblica hanno infatti sempre animato i dibattiti sull'Italsider prima e sull'Ilva successivamente. Già dagli anni settanta, infatti, l'associazionismo ambientalista locale muove i primi passi convocando manifestazioni pubbliche e momenti di sensibilizzazione sopratutto nel quartiere Tamburi-quello a ridosso dello stabilimento e dei suoi parchi minerali.
Nessuno però poteva immaginare la reale portata dell'inquinamento prodotto dall'Italsider e dalle altre grandi aziende dell'area industriale ma la sensazione che la situazione sfosse drammatica -è proprio il caso di dirlo- era nell' aria.
E infatti nel 1982 la Pretura di Taranto indaga i vertici dell'Italsider per getto di polveri e inquinamento da gas, fumi e vapori.
Il processo che si svolge nello stesso anno vede la costituzione di parte civile non solo di associazioni ambientaliste ma anche del Comune di Taranto, tuttavia nel corso dell'anno l'orientamento dell'Amministrazione comunale cambia e quasi alla vigilia della sentenza il sindaco dell'epoca Giuseppe Cannata -in quota PCI- annuncia la revoca della costituzione di parte civile per motivi di opportunità politica.
Il processo si conclude con la condanna del direttore dello stabilimento Italsider a quindici giorni di arresto con l'accusa di getto di polveri nell'aria ma non di fumi, gas e vapori.
Intanto nel 1986 viene istituito il Ministero dell'Ambiente che nel 1991 dichiara l'area di Taranto “Area ad elevato rischio ambientale” e tramite l'ENEA avvia il “Piano di disinquinamento e risanamento del territorio della provincia di Taranto”.
Dopo otto anni di attesa arriva il tanto agognato “Piano di Risanamento Ambientale”, ma nonostante i tempi stringenti fissati nell'Atto d'Intesa Ilva-Regione, che nel frattempo aveva assunto la competenza speciale in materia ambientale, il rispetto delle fasi di attuazione viene completamente disatteso.*
Quanto inquina l'Ilva però non è mai del tutto chiaro, solo all'indomani del 2000 dati parziali quanto spaventosi iniziano ad essere diffusi e recepiti dalla città.
I dati del disastro ambientale non lasciano nessun dubbio, i record per cui passerà alla storia l'Ilva non sono legati né alla grandezza dell'impianto né alla sua capacità produttiva ma per i livelli di inquinamento scatenati dalle sue emissioni.
Taranto viene nuovamente incoronata capitale, questa volta della diossina.
Dal camino E-312 l'Ilva emette il 92% della diossina industriale italiana secondo le stime dell'INES del 2006. Inizia cosi la battaglia di cifre e percentuali tra direzione aziendale e le istituzioni incaricate al controllo delle emissioni. L'Ilva, dopo anni di silenzio, rende noto un dato sulle emissioni di diossina: si parla di 91,5g/anno.
L'Arpa -agenzia regionale per l'ambiente- ne comunica 172g/anno.
In realtà anche il dato aziendale è spaventoso se si pensa che il totale delle emissioni dichiarate dalle aziende italiane al registro INES è di 99g/anno.
Considerando i valori assoluti, ossia i quantitativi annui di diossina che non possono essere manipolati con percentuali, l'Ilva, con i suoi 172g/anno stimati dalle proiezioni dell'Arpa Puglia per il 2008, emette più diossina di Spagna, Svezia, Regno Unito e Austria tutte assieme che ne emettono complessivamente 166,6g/anno secondo il registro europeo Eper del 2004. Tuttavia ciò che lascia senza parole è che secondo stime dell'Agenzia Regionale per l'Ambiente prima del 2000 l'Ilva emetteva valori 5 volte superiori a quelli registrati nel 2008.
I dati sulla diossina sono scioccanti per l'intera comunità tarantina, scatta un vero e proprio allarme ambientale, le dimensioni del disastro sono talmente rilevanti, che neanche il paragone con il disastro di Seveso del 1976 regge il confronto.
A Seveso, infatti, fuoriuscirono 2,5kg di diossina, a Taranto dal 1963 al 2008 ne sono stimati 7,740kg, l'equivalente di oltre 3 distastri come quello di Seveso. Gli effetti della diossina sono impressionanti, la bioaccumulazione ha portato a rilevare diossina nel latte materno e all'abbattimento di capi di bestiame che pascolavano nelle zone limitrofe allo stabilimento, ma tra gli effetti più devastanti occorre ricordare il danno genotossico con la trasmissione di un DNA “difettoso” dai genitori ai figli.
A seguito dell'indignazione per i dati emersi sulla diossina, il movimento ambientalista di Taranto trova nuovo slancio e dopo numerose iniziative di sensibilizzazione, si arriva al grande corteo del 29 Novembre 2008, con oltre ventimila persone che sfilano per le vie del centro cittadino, manifestazione che sarà ripetuta con lo stesso successo in termini di partecipazione anche l'anno seguente.
In risposta a tale mobilitazione il Ministro per l'Ambiente Prestigiacomo, a fronte di generiche dichiarazioni di interessamento sul caso Taranto, annuncia un Consiglio dei Ministri straordinario e monotematico da tenere nella Città dei Due Mari (sigh!), Consigli dei Ministri che non si è mai tenuto. Il Ministro Prestigiacomo non si limita a questo, ma mettendo in discussione l'attendibilità dei dati Arpa, si schiera di fatto con il Gruppo Riva.
Il Consiglio Regionale, intanto, approva la nuova legge sulle emissioni di diossina, imponendo a tutti gli impianti di rispettare i limiti alle emissioni di 0,4 nanogrammi all'ora, in linea con quanto dichiarato dal protocollo di Aarhus, attraverso l'adeguamento alle BAT – Best Available Techniques – indispensabili per il rilascio dell'AIA – Autorizzazione Integrata Ambientale.
Nel 2009 con l'inaugurazione dell'impianto all'Urea, l'Ilva promette di abbattere i livelli di diossina provenienti dal camino E-312 portando ai limiti imposti dalla nuova legge regionale, tuttavia tale legge mostra ancora lacune non di poco conto: il punto debole riguarda i controlli.
Il campionamento delle emissioni non è continuo, ma a settimane alterne e solo per le otto ore diurne previo avviso dei tecnici Arpa all'Azienda.
Ma non è solo la diossina a rendere preoccupanti i dati sull'inquinamento di Taranto, a tenere banco in questo momento è la questione benzo(a)pirene, elemento facente parte degli IPA – Idrocarburi Policiclici Aromatici – emesso in quantità consistenti dal reparto cockeria dello stabilimento Ilva. Anche in questo caso i dati sono disarmanti: nel quartiere Tamburi si è verificata un incidenza delle malattie legate all'apparato respiratorio di gran lunga superiore alla media nazionale. L'Agenzia Internazionale di Ricerca sul Cancro ha classificato il benzo(a)pirene al vertice degli agenti inquinanti per pericolosità, se inalato può provocare il cancro, se ingerito può insinuarsi nella catena alimentare e diventare cancerogeno. Si stima che un bambino del quartiere Tamburi che frequenta la prima elementare, nella su giovane vita, abbia già fumato l'equivalente di 5200 sigarette; l'Ilva emette 1,3 nanogrammi per ongi metro cubo d'aria di benzo(a)pirene, il 93% secondo stime Arpa di PM10 – di cui fa parte il benzo(a)pirene – rilevato in Puglia è di origine industriale.*
Questa situazione, fino a pochi mesi fa, andava contro il disegno legislativo n. 152 del 2007 che dava il potere agli enti locali di adottare qualsiasi misura – anche la chiusura degli impianti inquinanti- al fine di mantenere le emissioni di benzo(a)pirene al di sotto di 1ng/m^3. Misure che sono state prese, ad esempio, dal comune di Genova, che nel 2002 ha imposto la chiusura della sede ligure dell'Ilva a causa degli effetti che i fumi dell'impianto siderurgico avevano sullo stato di salute dei residenti del quartiere di Cornigliano.
Dal primo Ottobre, invece, il dlgs. n. 155 stabilisce che il limiti di 1ng/m^3 non è più vincolante e si trasforma in un valore-obiettivo da raggiungere entro il 2013, non solo, al giungere della scadenza il valore-obiettivo andrà rispettato solo se le misure da adottare comporteranno costi ragionevoli.
In seguito alla chiusura dell'impianto genovese si è registrato un crollo dell'incidenza dei malati di cancro nelle zone adiacenti l'area industriale, la vittoria genovese beffardamente però ricade sulla salute dei cittadini pugliesi, la produzione dello stabilimento di Cornigliano è stata infatti assorbita da quello di Taranto, costretto quindi a spingere al massimo i propri impianti.
Con una legge “ad Aziendam” è stata quindi spazzata via una precedente legislazione che poteva ritenersi d'avanguardia in fatto di tutela della salute pubblica, strano è che questa legge sia stata modificata all'indomani di un ordinanza del sindaco di Taranto Ezio Stefano - incalzato dal movimento ambientalista – in cui si intimava l'Ilva di riportare le proprie emissioni inquinanti al di sotto dei limiti di legge entro i trenta giorni.
Diossina e benzo(a)pirene costituiscono solo la punta di un iceberg di dimensioni spaventose, tra le tante sostanze inquinanti riscontrate nell'aria di Taranto, un posto d'onore va assegnato al berillio, che ha contaminato persino l'asfalto del quartiere Tamburi, dove non è possibile rifare il manto stradale, vista l'enormità dei costi di smaltimento dell'asfalto presente, che richiederebbe un procedimento speciale.
Oltre al berillio vanno citate le 2,5 tonnellate di mercurio versate in aria e acqua secondo il registro INES del 2005 – e pensare che dal 2009 il mercurio è vietato persino nei termometri – oltre a piombo, benzene, PCB e arsenico.
In questo contesto l'Ilva ha promosso e realizzato il rapporto ambiente e sicurezza del 2009 in cui, oltre a dipingere l'impianto di Taranto come ad un passo dall'eco-sostenibilità, si concede a vere e proprie provocazioni, come nel caso delle misure per mettere in sicurezza e neutralizzare le emissioni di polveri dei parchi minerali attraverso la bagnatura* degli stessi, mentre nel resto del mondo devono essere necessariamente coperti.
Intanto con la sentenza n. 38936 del 2005 la Cassazione condanna i vertici dell'Ilva per disastro ambientale, entro pochi giorni la Provincia di Taranto potrebbe inoltrare la richiesta di risarcimento danni in quanto costituitasi parte civile insieme ai comuni di Taranto e Statte che invece hanno già depositato l'istanza.
Se pur quei soldi non restituirebbero area pulita e case meno sporche di polveri minerali, ci sarebbe la possibilità di ricevere quanto meno un po' di denaro, visto che l'Ilva, da quindici anni, si rifiuta di pagare l'ICI comunale, e avendo la ragione sociale dell'azienda in Lombardia, non solo ingrossa il PIL lombardo, ma in Lombardia il Gruppo Riva paga le sue tasse, lasciando al territorio tarantino solo i costi sociali del suo modello di produzione.
Attraverso il risarcimento potrebbe essere restituita alla città di Taranto almeno una piccola parte di quella ricchezza economica che produce da 50 anni, sperando che, almeno in questo caso non ci si ritrovi d'innanzi al solito balletto dei protocolli di intesa con gli enti locali sempre inclini ad essere disattesi.
Come si diceva nell'introduzione, questa è una storia di subalternità ma anche di dignità, che nulla ha a che vedere con gli spiccioli di un eventuale risarcimento.
Questa inchiesta ha voluto rimettere al centro i cittadini e le cittadine di Taranto, ma anche chi in quello stabilimento ci lavora.
Cosimo Argentina, scrittore tarantino emigrato in Brianza, scrisse in un articolo apparso sul Corriere del Giorno “Un uomo non è fatto per lavorare in quell’inferno, magari nel turno di notte. Un uomo è fatto per vivere una vita decente, giocarsi qualche chance, innamorarsi se capita e poi sperare in un finale dignitoso”.
Questa inchiesta vuole essere un piccolo passo verso quel finale, dignitoso, appunto.
NOTE:
· Taranto, i dati del disastro ambientale a cure di PeaceLink-www.peacelink.it
· Cronistoria dell'industrializzazione a Taranto dal 1957 al 2009 -nodiossina.regione.puglia.it
· Rapporto Ambiente e Sicurezza 2009 -www.ilvataranto.com
Alessandro Terra (Globalproject)
venerdì 22 ottobre 2010
Si inizia dal "dopo"
Si invitano le seguenti associazioni e comitati a partecipare al FORUM dal titolo 'IL DOPO ILVA' organizzato dal Corriere del Giorno sulla seguente tematica: riconversione industriale, alternative all'industria pesante e sviluppo culturale per Taranto.
4 novembre 2010, ore 10.00, presso la sede del Corriere del Giorno, Piazza Maria Immacolata, 30.
Come concordato con la redazione del Corriere del Giorno, il comitato Taranto libera si è impegnato a contattare le seguenti associazioni:
Altamarea, Cicloamici Taranto, LinkTaranto, Malati Infiammatori Cronici, RadioAttivi, Taranto Futura, TarantoVola,
martedì 19 ottobre 2010
Città senza volto e senza storia
Un palazzo deturpato dalla "ristrutturazione".
Ciò che non si può speculare si vandalizza!
Il Palazzo Berardi non è un bene sotto tutela. Tuttavia, "fortunatamente" il progetto di sostituzione edilizia ( si voleva abbattere il palazzo ed edificarne uno di 7 piani, con facciata in stile...?...) ebbe uno stop nel maggio 2008 col parere negativo dell'arch. Ressa della "Soprintendenza per i beni architettonici e per il Paesaggio", al quale credo sia seguito un analogo provvedimento da parte della "Comissione Assetto del Territorio". Credo vi sia stato anche un ricorso al TAR da parte della proprietà, con esito negativo (vado a memoria). Durante questo ultimo passaggio erano stati montati i ponteggi e la ditta edile ha demolito cornicioni, parte dei balconi e (!!!) fregi e decori. Il tutto si è reso evidente dopo la rimozione dei ponteggi che è avvenuta in aprile-maggio (vado anche qui a memoria sulle date). Si sarà pure trattato di una messa in sicurezza della facciata... Così "una perla di civiltà urbanistica" come lo definì l'Arch. Ressa, ci ha rimesso giusto la faccia ! E' doveroso chiedersi se fosse proprio questo il modo giusto di operare. Nel marzo 2008 si mossero le Associazioni cittadine per fermare la demolizione con raccolta di firme e comunicati a mezzo stampa
M.C.
Gentile direttrice,
ho seguito con attenzione le vicende del palazzo di via Acclavio, civico 137, che si voleva demolire. Ricordo il sacco della città, la speculazione che non si arrestava davanti a nulla, il Borgo deturpato, il campanile del Duomo sostituito; perciò la presa di posizione di tanti cittadini a difesa di quell'immobile costituiva per me il segnale che c'è oggi una più diffusa attenzione per la difesa del bene comune. Ultimamente una ditta era stata incaricata di mettere in sicurezza i prospetti dell'edificio. Ma tolti i ponteggi, la sorpresa: una maschera, un telamone, una delle nicchie a valva che si alzano sulle finestre sono state danneggiate.
Non ci si venga a dire che erano elementi pericolanti, visto che non mostravano crepe, o che avrebbero potuto minacciare la pubblica incolumità, visto il loro scarso rilievo. Ma anche se così fosse stato, essendo elementi decorativi e quindi difficilmente ripristinabili, non esisteva altro modo di intervenirvi?
La mancata demolizione di quell'immobile avrà probabilmente fermato degli appetiti, e forse a ciò si collega la mancanza di alcune prese di posizione che sembrava logico aspettarsi. Logico chiedere al nostro giornalismo di fare luce sulle vicende di quel palazzo, che sembrano sempre più emblematiche dell'incontro tra il passato e il – forse – futuro della città.
S.D.R., Lettera al Corgiorno
Ancora rifiuti campani nelle discariche del tarantino
Come nel 2006, 2007, 2008. La Campania è ancora commissariata, l’emergenza-rifiuti campana si ripresenta puntuale, e la monnezza è inviata nelle discariche per rifiuti speciali del tarantino: Ecolevante a Grottaglie, Vergine a Lizzano, Italcave a Statte. E’ deciso, la gara d’appalto per il trasporto dei rifiuti è stata fatta.
Sembra che dal 2006 non sia cambiato niente ma, se si osserva bene, si notano alcune varianti, oltre a due costanti che ci dovrebbero far indignare e preoccupare se solo riuscissimo a scuoterci dall’immobilismo di morte che già sta togliendo vita e futuro ai nostri figli.
Le costanti sono: la non volontà politica di risolvere il problema dei rifiuti solidi urbani a monte, con la pratica del recupero, riuso e riciclo; e l’ostinazione del Governo a inviare i rifiuti campani nelle discariche del tarantino. Discariche per rifiuti speciali che già sono usate per le emergenze pugliesi (Ato Lecce2 e ora anche Bari) e che già lavorano per conto loro a ritmi tanto veloci da aver richiesto, e facilmente ottenuto, ampliamenti per 9 milioni di metri cubi nel solo 2009.
E le variant, di questo film già visto, non sono meno gravi. Una è costituita dal recente allarme-rifiuti anche in Puglia, già scattato nel sud barese e nello stesso capoluogo, e dal contemporaneo rifiuto del Comune di Conversano, confortato dalla recente sentenza del Tar di Bari, di accettare l’ennesimo ampliamento della discarica presente nel suo territorio (Lombardi Ecologia) per far fronte all’emergenza barese.
L’altra variante è costituita da alcune circostanze che, al di là delle apparenti e immediate rassicurazioni, dovrebbero inquietare i nostri sonni e soprattutto quelli di chi ci amministra.
Il consorzio partenopeo Cite (Consorzio interprovinciale trasporti ecoambientali), che si è aggiudicato il bando da 8 milioni di euro promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dalla Protezione Civile per lo smaltimento nelle discariche del tarantino dei rifiuti dell’emergenza campana del 2008, rassicura che si tratta di terriccio stabilizzato per due anni, praticamente inodore, non pericoloso e che non ha grande impatto ambientale.
Ma il 4 marzo scorso la sentenza della Corte di Giustizia del Lussemburgo, chiudendo la procedura aperta nel luglio 2008, ha condannato l’Italia perché “La Repubblica italiana, non avendo adottato, per la regione Campania, tutte le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza recare pregiudizio all’ambiente e, in particolare, non avendo creato una rete adeguata ed integrata di impianti di smaltimento, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 4 e 5 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 5 aprile 2006, 2006/12/CE, relativa ai rifiuti”. Allora: come, dove e quando sarebbero stati trattati questi rifiuti campani, risalenti appunto alle emergenze del 2007 e 2008?
Ancora. A giugno 2008 e a febbraio 2010 sono stati scoperti rifiuti radioattivi nei carichi di rifiuti urbani da incenerire o da stoccare in discarica. I fatti, riportati dal giornale spagnolo El Pais e da La Repubblica-Napoli, sono accaduti rispettivamente ad Amburgo, in Germania, e a Chiaiano, nel parco metropolitano delle colline di Napoli, sede di una discarica per rifiuti urbani denominata “Cupa dei cani” inaugurata l’anno scorso.
La Germania ha scoperto tassi di radioattività superiori al consentito nella spazzatura già stabilizzata inviata da Napoli e destinata all’inceneritore di Amburgo. Si tratta di residui di iodio 131, utilizzato in alcune terapie per il cancro di ossa e tiroide. E il Ministro dell’Ambiente tedesco ha preteso che le autorità italiane garantiscano per iscritto che faranno controlli sulla radioattività prima della spedizione. E Bertolaso, commissario straordinario per Napoli, ha garantito che una squadra speciale di vigili del fuoco controllerà i rifiuti alla fonte.
A Chiaiano, per tre volte nell’arco di sei mesi, da agosto 2009 a febbraio 2010, sono stati fermati compattatori con carico radioattivo in procinto di entrare nella discarica o addirittura all’interno di essa. Si tratta sempre di rifiuti ospedalieri irradiati di iodio 131 mischiati ai rifiuti urbani. A rivelare la presenza di rifiuti radioattivi sono stati un verbale di polizia, un sopralluogo dell'Nbcr (Nucleo speciale dei vigili del fuoco Nucleare, biologico, chimico, radioattivo) che ha confermato i livelli di radioattività, e una bolla di accompagnamento.
E’ evidente, ad Amburgo, la serietà e la costanza dei controlli oltre alla immediatezza e severità dell’intervento presso le autorità italiane; a Chiaiano, oltre alla costante sorveglianza del comitato locale, è stata determinante l’attività di un procuratore aggiunto, Aldo De Chiara, che coordina la sezione "Ambiente e territorio" della Procura della Repubblica, e che segue personalmente il "Caso Iodio 131". E da noi?
Vendola, presidente della regione Puglia, a una rapida e mi auguro (per lui) incompleta disamina dei giornali locali, ha rilasciato qualche dichiarazione solo nel 2006, mentre nel 2007 e 2008 hanno parlato in sua vece l’ex assessore all’ambiente Lo Sappio e l’ex vicepresidente Frisullo. In occasione dell’attuale emergenza campana, al suo silenzio ha fatto eco la dichiarazione del nuovo assessore all’ambiente Nicastro, che candidamente ha dichiarato di essere “ in questo momento impreparato” e di non aver avuto “interlocuzioni sull’argomento con il governatore”.
Dalla Provincia di Taranto nessun segno di attenzione al problema. E di procuratori aggiunti, che coordinino sezioni specifiche per l’ambiente e il territorio, nemmeno a parlarne.
E i Sindaci e gli Amministratori locali? Dalla mia forse incompleta documentazione, ci sono state prese di posizione a Statte e a Grottaglie, non ancora a S.Marzano, Monteiasi e Carosino. Mentre la sinergia recentemente mostrata dai sindaci di Monteparano, Fragagnano, Lizzano e Faggiano per far fronte comune al disagio causato dalla presenza della discarica Vergine, lascia ben sperare in una loro presa di posizione anche per l’arrivo dei rifiuti campani.
Ma non basta un generico rifiuto, seguito poi da passività e rassegnazione, come già avvenuto per le precedenti emergenze campane. Occorre che le Amministrazioni facciano propria la lezione di Amburgo e di Chiaiano, chiedano certificazioni alla fonte circa la stabilizzazione e la non pericolosità/non radioattività, ed esigano e magari attuino in proprio controlli all’arrivo dei rifiuti campani. Ai sindaci è affidata la tutela della salute dei propri concittadini!
Intanto, per quanto riguarda i comitati, Vigiliamo per la discarica concorderà a breve un incontro con tutti i comitati attivi nel territorio per approfondire l’argomento e decidere insieme il da farsi.
Etta Ragusa
Coordinatrice di Vigiliamo per la discarica
Caro presidente ti scrivo
sappiamo bene quanto lei e la sua Giunta siate impegnati sul fronte della sanità, tra riequilibri economici e finanziari, scontri con il Governo nazionale, proteste di popolo per il ventilato ridimensionamento o chiusura di ospedali, vicende politiche generali ed altro. Comprendiamo tutto, ma ci è veramente difficile pensare che tra lei, gli assessori Fiore e Nicastro e i rispettivi bracci destri non troviate il tempo per ascoltare “AltaMarea contro l’inquinamento – Coordinamento di Cittadini ed Associazioni di Taranto” sulla questione del benzo(a)pirene indissolubilmente connessa con il D. Lgs. 155/2010 pubblicato sulla GU del 15 settembre 2010, questione tragica, soprattutto per i cittadini del quartiere Tamburi di Taranto, e vergognosa per l’intera classe politica italiana. Noi ricordiamo bene la promessa che lei fece l’anno scorso ai bambini di Taranto in piazza delle Vittoria a Taranto: onori quella promessa e li protegga mettendo in campo tutto il potere che anche i loro genitori le hanno conferito contribuendo ad eleggerla a proprio Presidente.
Il popolo di “Altamarea” non potrà perdonare nessuno nel caso in cui entro il 14 novembre (ultimo giorno utile) non sarà stato presentato il ricorso alla Corte Costituzionale contro l’inverecondo D. Lgs. 155/2010 che ha sottratto artatamente alla Regione Puglia il potere che le norme precedenti ad essa attribuivano, norme precedenti attraverso le quali avrebbe potuto e dovuto tutelare la salute dei cittadini insidiata dal B(a)P che viene emesso da impianti industriali insediati a ridosso del quartiere Tamburi di Taranto, travolgendo il diritto alla vita o all’integrità fisica e alla salute dei cittadini.
Le bastano 5 minuti, signor Presidente, per ordinare al Capo dell’ufficio legale della Regione di convocare immediatamente la delegazione di Altamarea che gli illustrerà quanto ha rilevato in merito a profili di incostituzionalità da utilizzare per il ricorso della Regione alla Corte Costituzionale contro il Governo centrale.
Non sappiamo cosa si stia facendo concretamente in Regione sulla vicenda del B(a)P e del D. Lgs. 155/2010. Sappiamo che noi, il 16 settembre, il giorno dopo la pubblicazione sulla G.U. del D. Lgs. 155/2010, unici in Italia, abbiamo denunciato lo scandalo del D. Lgs. 155/2010 e da allora stiamo lavorando giorno e notte su questa intricatissima vicenda, facendola diventare uno scandalo nazionale. Mettiamo a disposizione della Regione Puglia il risultato di un mese di lavoro collegiale condotto con appassionata dedizione e provato rigore professionale.
Faccia in modo, signor Presidente, che gli avvocati della Regione acquisiscano gli elementi che forniremo loro e preparino in tempo utile il documento che sottoporranno alla valutazione politica sua e della Giunta per poi inviarlo alla Corte Costituzionale entro il 14 novembre 2010.
Su questa vicenda del B(a)P e del D. Lgs. 155/2010, la preparazione e la credibilità di Altamarea è tale che uno di noi, il prof. Alessandro Marescotti di PeaceLink (che lei conosce bene) è stato convocato in audizione dalla Commissione ambiente della Camera dei Deputati per mercoledì 20 ottobre.
Abbiamo ben chiaro lo schieramento delle forze in Parlamento e ci è nota la potenza dei poteri forti che operano al coperto: solo la Corte Costituzionale ha il potere e l’autorevolezza necessari per far trionfare il diritto alla vita o all’integrità fisica e alla salute dei cittadini.
Ci ascolti, Presidente Vendola, come ci ha ascoltato ai tempi della legge regionale antidiossina. Il benzo(a)pirene è pericoloso quanto e più della diossina.
Taranto 19 ottobre 2010
Il Consiglio di “Altamarea contro l’inquinamento – Coordinamento di Cittadini ed Associazioni di Taranto”
domenica 10 ottobre 2010
Rifiuti e sanità: l’affare san Raffaele
Rifiuti e sanità: l’affare san Raffaele
La denuncia: Il san Raffaele di Milano prima inquina, poi fa affari sui tumori
“Le logiche di chi mette in pericolo salute e ambiente nella provincia jonica sono le stesse di chi vuole realizzare affari e speculare su sanità ed ecologia”: così la prof.ssa Etta Ragusa, da sette anni coordinatrice del Comitato “Vigiliamo per la discarica” di Grottaglie ed ispiratrice di “Rinascita civica”, ha introdotto ieri, 8 ottobre, nell’auditorium, gremito di gente, del Castello, l’incontro: “Rifiuti e sanità: l’affare san Raffaele”. Relatore, il giornalista Gianni Lannes, presenza familiare ai tanti cittadini che, da tutta la provincia, hanno partecipato alle tre ore di incontro con dibattito sugli intrecci tra interessi speculativi e costruzione di un nosocomio privato di don Verzè nella città di Taranto.
Un evento che inserisce un ulteriore tassello nel percorso di “Vigiliamo”: studio, denuncia, prontezza a rinunciare al quieto vivere, per mettere le professionalità al servizio del bene comune. Un incontro di politica, quella con la P maiuscola, che non parla difficile, ma che coagula le persone, perché pone al centro della discussione problemi che interessano tutti, senza distinzione di schieramento. Un’occasione per ribadire la solidarietà al gruppo “Attiva Lizzano”, la cui sede di recente è stata violata due volte in poche ore: ennesimo atto di intimidazione contro chi ha alzato la testa per vigilare su una discarica per rifiuti speciali … che “puzza”.
“Abbiamo le prove che la fondazione san Raffaele del monte Tabor di Milano ha trasferito rifiuti pericolosi in questa provincia” ha dichiarato Lannes. Alle sue spalle, come dannati di un girone infernale, le foto delle migliaia di fusti abbandonati da decenni nel raggio di pochi chilometri dalla città di Taranto. La fondazione che, nell’immaginario dei tarantini, porterà l’eccellenza della ricerca sul cancro in un’area che conta in media 40.000 malati di tumore l’anno, è la stessa che ha prodotto rifiuti radioattivi smaltiti nella nostra provincia dalla Smarin s.p.a. Uno strano intreccio che ha il sapore di conflitto di interessi. Protagonista, il milanese Giuseppe Grossi, nel consiglio d’amministrazione del san Raffaele e titolare della Smarin s.p.a., società che ha cessato le sue attività nel giugno scorso, un mese dopo la costituzione a Taranto, davanti a notaio, della “Fondazione san Raffaele del Mediterraneo”.
Con un “piccolo” anticipo di denaro pubblico, 120 milioni di euro, dunque, una “fondazione con scopo di lucro” - come ha ricordato lo stesso Lannes – “dà il la” al progetto di costruzione di un ospedale privato nel capoluogo jonico e sentenzia la morte della sanità pubblica nell’intera provincia. Dietro l’operazione, uno schieramento trasversale di interessi, che non interviene sulle cause dell’inquinamento, ma progetta palliativi a valle. E’ la logica dell’intreccio tra politica e poteri forti, alimentata dalla sfiducia nella possibilità di invertire la rotta e dalla disinformazione che genera opinioni errate nei cittadini.
All’inchiesta di Lannes hanno fatto eco gli interventi dei presenti, rappresentanti il meglio della società civile, “vent’anni avanti rispetto ai politici, ma anche a quell’opposizione di piazza che manifesta solo contro qualcuno, che ragiona ancora per massimi sistemi ideologici – nelle vibranti parole della prof.ssa Ragusa – e a cui sfugge che il tempo delle contrapposizioni deve finire, perché politica è risolvere i problemi per il bene di tutti”.
Tra i numerosi interventi, significativa la denuncia dell’avvocato Antonio Lupo che ha definito “olocausto”, ciò che accadrà al quartiere Tamburi a seguito della cancellazione, in dieci minuti la scorsa estate, dell’obbligo di limite benzoapirene nell’aria (D.L. 155). Altrettanto sentita, la testimonianza di un’operatrice della sanità, che ha denunciato un sistema nel quale i pazienti, per la politica, sono “numeri”, nel pubblico si è costretti a lavorare sotto organico e a pagare i debiti delle strutture private.
A nome del comitato Salute pubblica di Taranto ha parlato un suo rappresentante comunicando che nel capoluogo provinciale sono attivi per far emergere la verità sull’ ”affare” s. Raffaele e sul grave rischio che sia azzerata la sanità pubblica. Altri interventi e presenze significative quelli dei rappresentanti dei comitati tarantini Malattie da inquinamento e Fondo antidiossina, della sezione provinciale di Cittadinanza attiva, del comitato AttivaLizzano.
I presenti hanno, dunque, ribadito che le indagini coraggiose di Lannes saranno supportate dalla gente attraverso presenze vigili sul territorio. “Il mutamento parte da noi stessi, come ci insegna Gandhi. Dunque, su la testa”: nelle parole conclusive di Lannes, l’impegno per tutti ad essere sentinelle attente e coraggiose, nella costruzione del bene comune, l’obiettivo della politica. (L.R.)
venerdì 8 ottobre 2010
Nervi scoperti
L’associazione Attiva Lizzano, dà notizia del secondo grave atto intimidatorio avvenuto a 24 h dal primo. Ignoti hanno appiccato il fuoco a delle lenzuola danneggiando la porta d’ingresso della sede e la facciata della stessa. Attiva Lizzano è impegnata in prima fila nella lotta civica, pacifica e trasparente contro le esalazioni di gas provenienti dalla discarica Vergine sita in prossimità del paese. Queste esalazioni nauseabonde danneggiano fisicamente e moralmente la vita dei cittadini Lizzanesi. Pare ovvio che non tutti siano d’accordo!
Attiva Lizzano tramite il suo consiglio fa sapere di non essere minimamente intimidita e che anzi il ritorno di solidarietà da parte dei cittadini lizzanesi ha dato maggiore vigore a tutti i membri dell’associazione. Tramite questo comunicato stampa Attiva Lizzano annuncia la campagna “lenzuola contro la puzza”: striscioni di protesta da appendere ai balconi delle case per dire no ai veleni della discarica. Per ultimo, vista l’impossibilità di poter rimanere in una sede poco proteggibile poiché sita in una zona poco frequentata chiede all’amministrazione comunale o alle altre associazioni una sede dove poter continuare a lavorare per tutti.
E ora tenetevi il vostro uranio!!!
Allora perché in Italia si continua a parlare di investimenti al nucleare?
Rapporto economico tra solare e nucleare. Il sorpasso
giovedì 7 ottobre 2010
Nasce il "FORUM ENERGIA E TERRITORIO BENI COMUNI - PUGLIA"
Lo scorso 25 settembre si è tenuta a Bari nella chiesa di San Sabino un'assemblea regionale dei Comitati, Associazioni, Movimenti e Cittadini che ha avuto come tema centrale della discussione la questione energetica.
L'intento dell'incontro è stato quello di mettere in relazione tutte le varie esperienze che in questi anni sono sorte nei vari territori attorno alle tematiche energetiche che ha visto protagonisti associazioni, comitati e i movimenti.
Durante l'assemblea sono emerse con forza tutte le criticità che i nostri territori stanno subendo davanti ad un attacco frontale portato da aziende e multinazionali che hanno deciso di fare profitti nel campo energetico.
In questo periodo ci troviamo davanti ad un sistema capitalista che annaspa in una crisi strutturale sempre più profonda e che cerca di rigenerarsi puntando su settori come i rifiuti e l'energia che di fatto rappresentano segmenti produttivi fortemente redditizi.
Ed è davanti ad un quadro così nefasto che la Regione Puglia rappresenta una piattaforma logistica appetibile per tutte quelle aziende che hanno interessi strategici su: impianti dove incenerire i rifiuti, sulle biomasse, sui rigassificatori, sul fotovoltaico, sull'eolico, sul petrolio e sul nucleare.
Per questo è nata l'esigenza da parte di tutti i movimenti e i comitati che da anni lavorano sul territorio per fermare gli scempi, non solo dal punto di vista ambientale ma anche per i rischi alla salute delle popolazioni, di cercare di mettere a punto, insieme, una piattaforma che abbia come comune denominatore i bisogni e le istanze delle popolazioni.
Oggi, davanti ad una classe politica che in modo trasversale ha mostrato interessi particolari sulla realizzazione di questi impianti, abbiamo deciso come movimenti, comitati ed associazioni, di costruire un percorso dal basso, auto organizzato, che ponga la questione energetica al centro dell'agenda politica pugliese e nazionale.
Come "FORUM ENERGIA E TERRITORIO BENI COMUNI - PUGLIA" vogliamo aprire una nuova fase che cerchi di includere quante più realtà e soggettività possibili in un progetto di MOBILITAZIONE POPOLARE sulla questione delle politiche energetiche.
Il FORUM non solo si oppone con un secco NO alla realizzazione di questi progetti ma vuole anche portare proposte concrete che si possono realizzare per cercare una via d'uscita dal capitalismo che fa fare profitti solo a pochi lasciando su tutti noi non solo miseria e sfruttamento ma anche gli elevati costi sociali e ambientali.
Per questo abbiamo deciso di realizzare nelle prossime settimane un primo momento di mobilitazione attraverso una MANIFESTAZIONE CON PRESIDIO PERMANENTE sotto la presidenza della Regione Puglia per portare le nostre istanze e chiedere una moratoria su tutti i progetti presentati e in via di realizzazione.
Vogliamo una discussione partecipata e reale del Piano Energetico Ambientale Regionale che di fatto oggi è favorevole soltanto alla speculazione selvaggia e criminale e non tiene assolutamente conto della volonta dei cittadini.
Chiediamo una raccolta differenziata spinta che porti la Puglia a chiudere il ciclo dei rifiuti senza ricorrere ad inceneritori e discariche. Dopo molti anni d'inerzia da parte dei Comuni, Province e ATO chiediamo le dimissioni degli Amministratori locali inadempienti( Sindaci, Presidenti, Dirigenti) in materia di raccolta differenziata e il successivo commissariamento per raggiungere in breve tempo le percentuali di R.D. previste per legge.
Le concessioni d'incentivi per le fonti rinnovabili non dovranno essere rilasciate solo per una ipotetica riduzione dei gas serra( CO2) ma soprattutto per una reale riduzione di gas, fumi e sostanze cancerogene emesse in atmosfera.
Infine è doveroso che la Regione Puglia intervenga in modo deciso con una moratoria su tutte le zone classificate in fascia "C"( zone di criticità ambientale accertata dall'ARPA Puglia ) previste dal Piano Regionale della Qualità dell'aria in cui i superamenti ammessi delle emissioni sono stati superiori ai valori limite ammessi per Legge, in attesa di predisporre appositi piani d'azione o risanamento.
Il prossimo appuntamento del FORUM, aperto a tutti, è stato fissato a
BARI SABATO 9 OTTOBRE ORE 17 CHIESA DI S.SABINO.
O.D.G.:
- APPROVAZIONE MANIFESTO DEL FORUM;
- ORGANIZZAZIONE MANIFESTAZIONE E PRESIDIO PERMANENTE DAVANTI LA PRESIDENZA DELLA REGIONE PUGLIA,
- VARI ED EVENUALI.
mercoledì 6 ottobre 2010
Le discariche non si toccano
Pubblichiamo ed esprimiamo piena solidarietà all'Associazione AttivaLizzano
COMUNICATO STAMPA – Associazione AttivaLizzano
6 Ottobre 2010
INSULTI E SIMBOLI FALLICI CONTRO ATTIVALIZZANO
Si pensa ad un atto vandalico quello subito dall'Associazione AttivaLizzano nella notte tra il 5 e il 6 ottobre. Ignoti, violando l'art. 639 del codice penale hanno imbrattato, con bombolette spray, la facciata della sede di via Canova 9, nel centro storico, sulla quale è stato affisso da giorni uno striscione con scritto “NO ALLA PUZZA”. Lo slogan è riferito ai cattivi odori che spesso invadono il paese e che rendono l'aria irrespirabile provocando malesseri ai cittadini. L'associazione, nata per sensibilizzare la cittadinanza alle problematiche ambientali, esprime il proprio rammarico e si chiede il perché di tale gesto dato che finora ha sempre ricevuto solo consensi.
Smisurata preghiera
martedì 5 ottobre 2010
Petizione contro il benzoapirene
- promuovere la sottoscrizione della petizione, link http://www.legambiente.it/petizioni.php?idPetizione=53
- diffondere la petizione e il link per aderirvi tra i vostri contatti chiedendo di ritrasmetterla ai propri contatti
- stampare la petizione e farla sottoscrivere in modo tradizionale a colleghi, amici, conoscenti (per la riconsegna dei moduli potete contattarci via mail)