martedì 10 agosto 2010

Controreplica a Pirro

SENZA INTERVENTI "VISIONARI" SARANNO GUAI PER TUTTI, SOPRATTUTTO PER I PIU' DEBOLI

Nel pieno delle ferie è impossibile concertare risposte a più mani, ma nel contempo non può restare priva di commenti la replica del prof. Federico Pirro, pubblicata sul Corriere del Giorno del 7 agosto 2010, all'intervento di AltaMarea del 4 agosto firmato dai cinque coordinatori di AltaMarea tra i quali ci sono anch'io. Intervengo da solo, assumendomene la responsabilità pur consapevole del comune sentire.
La replica del prof. Federico Pirro è deludente anche se ampiamente prevista. AltaMarea gli ha ricordato le "sfide", non raccolte, al confronto diretto: a) sulle "osservazioni del pubblico" alla domanda di Ilva per l'AIA (osservazioni che all'Ilva sono costate, finora, due anni di preoccupazioni e alcuni milioni di bite per sostituzioni/integrazioni di cose sbagliate o omesse originariamente, sostituzioni/integrazioni che sono la causa vera del ritardo della conclusione del procedimento di rilascio o negazione dell'AIA); b) sul preteso "piano di ambientalizzazione" e relativi costi, in realtà infarciti di voci che dalla vera ambientalizzazione sono lontane mille miglia; c) sulla possibilità concreta di abbattere le emissioni di diossina, a lungo ritenuta irrealizzabile da Ilva, con il soccorso rosa del ministro Prestigiacomo, e poi riconosciuta fattibile, abbastanza alla svelta e senza costi stratosferici. Su tali "sfide" il prof. Pirro non ha proferito verbo, come se non avesse capito che in quelle "sfide" c'era e c'è l'essenza dell'azione di AltaMarea, comunque fosse denominata dal 2007 ad oggi.
Al prof. Pirro AltaMarea ha poi posto 12 (dicasi dodici) domande. Egli ha risposto parzialmente ad una domanda, in maniera errata ad altre due domande e non ha risposto affatto alle altre nove domande. In compenso, ha cercato di dare dignità a quello che comunemente viene chiamato "ricatto occupazionale". A parti invertite, i 5 aspiranti professorini di AltaMarea avrebbero bocciato lo stagionato studente fuoricorso e lo avrebbero invitato ad approfondire lo studio della materia o a cambiare il suo piano di studi.
Fuor di metafora, si desidera altresì ricordare al prof. Pirro che le "bacchettate" agli imprenditori locali le ha date proprio lui, tanto che AltaMarea gli ha chiesto: "Come fa (Pirro, non AltaMarea) ad ignorare le grandi difficoltà che incontrano in loco anche avventurosi imprenditori non tarantini? Ovviamente come quelle degli imprenditori tarantini. Quanto poi ai patemi d'animo procurati dal temutissimo referendum, si invita il prof. Pirro, Ilva, Confindustria e Sindacati ad esaminare (sul sito del Ministero dell'ambiente e nelle collezioni di gran parte della stampa locale) tutto quello che AltaMarea (comunque denominata) ha prodotto dal 2007 in poi. Forse capirebbero che la stella polare di AltaMarea è stata quella di pressare le Istituzioni per far fare ad Ilva quello che Ilva non faceva, nella speranza che non si dovesse aspettare sempre e solo la Magistratura, i cui tempi, è arcinoto, giocano spesso a favore di chi non vuol fare, penalizzando così chi vorrebbe ottenere correzioni di rotta e risultati immediati. Ilva, Confindustria, Sindacati ed anche F. Pirro dovrebbero fare mea culpa, per avere tirato troppo la corda o per averla ignorata del tutto. Come se non fosse abbastanza prevedibile che, esacerbati dall'indifferenza e dall'insufficienza di risposte positive, saltassero fuori alcuni e tentassero di percorrere altre strade. Se in Ilva, Confindustria, Sindacati e F. Pirro non si sentono queste cose, non è questione di Amplifon ma del detto popolare "il migliore sordo è colui che non vuole sentire".
Da un professore di storia dell'industria ci si aspetterebbe qualcosa di più di una semplice strenua difesa dell'esistente, per giunta ritenuto immodificabile.
In AltaMarea si ritiene che l'incalzante evoluzione dei Paesi occidentali indichi che il ciclo integrale dello stabilimento Ilva di Taranto è destinato a subire le sorti dettate dal mercato mondiale e dalla impossibilità/incapacità di ottenere utili dalla gestione di megaimpianti e megastrutture resi ecocompatibili, incapaci, cioè, di provocare danni all'ambiente e alla salute dei cittadini e degli stessi lavoratori colà impegnati. E quando sarà il momento, la proprietà privata, legittimamente, baderà solo al proprio tornaconto, al di là della decantata "responsabilità sociale"; mentre, senza adeguati interventi "visionari" a cui mettere mano da subito, le Istituzioni e i cittadini, parimenti impreparati, assisteranno impotenti al disastro e saranno dolori per tutti, ma soprattutto per i più deboli. Nel frattempo, senza provvedimenti costosi ma efficaci, l'inquinamento industriale continuerà a mietere vittime a Taranto e dintorni, in misura incomparabilmente maggiore di quello che potranno fare il traffico stradale e gli impianti di riscaldamento.
Biagio De Marzo del coordinamento di AltaMarea.

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