lunedì 30 agosto 2010
Stefàno è ancora al mare?
Sarà che il sole d’agosto spacca le molecole come qualcuno beffardamente ci ricorda in questi giorni, fatto sta che mancano 55 giorni alla prescrizione dell’azione risarcitoria nei confronti dell’Ilva sulla base della condanna comminata dalla Cassazione nel 2005, tra l’altro – come tutti sapranno – una condanna definitiva.
Ora anche qui il cittadino di Taranto è ben informato sulla vicenda si è espresso per ben due volte il Consiglio comunale di Taranto che ha impegnato il sindaco Stefàno a dar corso, attraverso un’azione legale, all’interruzione dei termini di prescrizione e, in buona sostanza, chiedere un bel gruzzolo all’Ilva, danaro che servirebbe, e non poco, a far rifiatare le magrissime casse dell’ente civico, seppur non restituirebbe aria limpida, giardini più verdi, case meno sporche e soprattutto polmoni più puliti.
E’ trascorso qualche mese, il sindaco Stefàno, spesso sollecitato all’uopo, si è rimesso, a suo dire, nelle mani dell’avvocatura, ma finora – fino a prova contraria – nulla è accaduto.
I giorni trascorrono inesorabilmente: l’Ilva ammorba ugualmente l’aria, la Procura indaga sulle emissioni, l’Arpa elabora dati inquietanti sul benzo(a)pirene ritenuti però non veritieri dai dirigenti dello stabilimento siderurgico, gli ambientalisti (ma non solo) non mollano, Riva dichiara di possedere un impianto Euro 5 (!), il fronte delle imprese e qualche sindacato attaccano il Comitato referendario sulla chiusura della stessa Ilva, la maggior parte dei politici di calibro glissano sull’argomento.
Insomma, nulla cambia. Sarà la canicola? Saranno le giuste ferie per quanti servono la città durante l’anno e adesso osservano la pausa? O c’è qualcos’altro? Non vogliamo essere maligni, per carità. Pensiamo positivo e mettiamola così: a settembre, da buon tutore della salute pubblica, il nostro primo cittadino impugnerà carta e penna e, con l’avallo dell’avvocatura, chiederà l’interruzione dei termini prescrittivi, dando scacco al gruppo Riva. Con buona pace di tutti coloro i quali tendono a denigrare il lavoro della nostra brava Amministrazione.
Anzi, noi come TarantOggi, cari lettori, vi diamo una mano: da oggi scatta il ‘conto alla rovescia’ fino al giorno in cui scadranno i termini della prescrizione. Così potrete tenere a mente, semmai nel frattempo vi sfuggisse, che c’è un appuntamento importante che il nostro sindaco Stefàno non può saltare. Sapete com’è, magari potrebbe capitare che Stefàno possa restare ingarbugliato nelle beghe della sua maggioranza politica, oppure far fronte alle emergenze economiche e sociali del territorio, o forse seguire le mirabilie dell’Amiu, e che quindi non abbia il tempo di seguire questa storia: noi proviamo a ricordarglielo, che ne dite?
Marcello Di Noi, direttore@tarantoggi.it
sabato 14 agosto 2010
La città che puzza!
Il timore di una fuga di gas nocivo dalla zona industriale ha diffuso ieri molta preoccupazione tra i cittadini del borgo. Per tutta la mattinata si è sentito un forte odore nelle vie del centro cittadino, in particolare in via Berardi, via Oberdan, via Dante e nella centralissima via Di Palma. I cittadini hanno segnalato immediatamente la puzza a vigili del fuoco, polizia, carabinieri e anche alle redazioni giornalistiche. È stata allertata l’Arpa, l’Agenzia regionale per la protezione ambientale che ha effettuato una serie di rilievi al fine di accertare se si fosse in presenza o meno di una fuga di gas dagli impianti della zona industriale. I risultati dei rilievi effettuati saranno resi noti nei prossimi giorni.
Dalle prime voci raccolte sembra si debba escludere un legame diretto alle attività delle industrie, ma la cosa sarà accertata nei prossimi giorni. Anche in internet, sul popolare social network Facebook, la notizia è corsa rapidamente. I commenti erano improntati alla massima preoccupazione proprio perché le telefonate alle forze dell’ordine e ai vigili del fuoco denunciavano, oltre all’odore di gas, anche situazioni di malessere. legate alla puzza persistente.
Non è il primo caso a Taranto. Anzi, a partire dagli inizi dell’anno ci sono state ripetute segnalazioni sia alle forze dell’ordine, sia ai vigili del fuoco, sia agli organi di vigilanza. In molte circostanze si è parlato di generica fuga di gas senza, però, venire a capo di nulla. Senza cioè capire fino in fondo se si trattava realmente del cattivo funzionamento di qualche impianto industriale o se il cattivo odore fosse da ascrivere ad altre caus e. La questione non è irrilevante, specie perché da tempo i tarantini invocano il moniotraggio continuo, 24 ore su 24, delle emissioni industriali per comprendere scientificamente, e dati alla mano, la reale entità dell’inquinamento e il peso che esso ha sulla città.
Fino ad ora, però, non è stato possibile coronare quello che rimane un «sogno» e così tutto è rimasto nel limbo delle ipotesi o è stato affidato alal buona volontà e alal coscienza delle eco-sentinelle i cittadini che, soprattutto attraverso i social network come Facebook, hanno diffuso immagini e video relativi a episodi di cattivo funzionamento degli impianti industriali e alle conseguenti emissioni inquinanti. Così resta la puzza di gas, ancora «misteriosa» a segnare la cronaca della vigilia di Ferragosto. Sarebbe stato bello parlare, una volta tanto, di un caso rapidamente accertato o, forse, sarebbe meglio dire «svelato ». Non sarà il giallo dell’estate da leggere sotto l’ombrellone. Ma un po’ gli somiglia.
giovedì 12 agosto 2010
Cloro rosso murato!
IL FATTO: FINO A GIUGNO HANNO OSPITATO I RAGAZZI DEL CENTRO SOCIALE CHE RESTANO SENZA UNA SEDE
• Il Comune mura porte e finestre dell’ex scuola «Martellotta», per due anni sede del centro sociale «Cloro rosso». La sorpresa ieri mattina, quando una squadra di operai ha provveduto a trasportare blocchi di tufo necessari a chiudere gli accessi. Da Palazzo di città fanno sapere che l’operazione aveva un obiettivo preciso: impedire ad alcune famiglie di continuare a occupare abusivamente l’edificio lasciato vuoto dai ragazzi del centro soc i a l e. Fonti del Comune confermano che non ci sono altri significati di tipo «politico» dietro il blitz riconducibili alla presenza, fino allo scorso giugno, del centro sociale «Cloro rosso». Il programma, quindi, non muta di una virgola: a settembre prenderanno il via i lavori di ristrutturazione dell’ex scuola «Martellotta» e dovrebbe poi indirsi il bando di gara destinato ad assegnare i locali. Per i ragazzi del «Cloro rosso», da giugno senza una sede e temporaneamente ospitati dal Palafiom grazie a un accordo con il sindacato dei metalmeccanici, quello di ieri è l’ultimo atto di una odissea. L’exit strategy messa in campo dal Comune perché lasciassero i locali della scuola «Martellotta» non è stata priva di «contraddizioni». Su tutte l’ipo - tesi, poi naufragata, di ospitarli al quartiere Paolo VI, nei locali del cinema «Mignon». In mezzo una trattativa con il sindaco Stefàno e una mediazione dell’assessore regionale alle Politiche sociali Ni cola Fratoianni. Il risultato di questo gioco a somma zero è stato l’abbandono civile, senza proteste, dell’edificio che ospitava la scuola «Martellotta» da parte dei ragazzi del centro sociale. E il loro nuovo status : quasi fuggiaschi, quasi stranieri in patria, esuli nella temporanea dimora al Palafiom. A settembre riprenderà la «partita». Il Comune dovrà far rispettare la legalità. Se questo è fuori discussione, altrettanto legittima appare l’aspirazione dei ragazzi del «Cloro rosso» di rientrare alla scuola «Martellotta» pronti a farlo, come ribadito più volte, anche dividendo gli spazi con altre associazioni. Quei giovani hanno conquistato il diritto a essere «attori sociali» per un motivo importante e senza precedenti a Taranto. Il cartellone di iniziative denominato «Estaboom» - da loro messo a punto insieme ad altre associazioni tra dibattiti sul destino di Taranto, spettacoli, recupero culturale della città vecchia - ha dimostrato come all’assenza improvvisa di riferimenti, allo «straniamento» e all’essere «stranieri» si possa reagire con l’unica, vera, grande, arma a disposizione: la cultura. E come la cultura possa aiutare - anche nella battaglia per la legalità - a riappropriarsi di una città. Ora i ragazzi del «Cloro rosso» abitano Taranto. Giusto sarebbe farli abitare a Taranto. Far abitare il loro sogno di una cultura che unisce, che include e non esclude. Che costruisce ponti, non muri. Che chiama. Come il mare. [fulvio colucci - GdM]
mercoledì 11 agosto 2010
martedì 10 agosto 2010
Controreplica a Pirro
Nel pieno delle ferie è impossibile concertare risposte a più mani, ma nel contempo non può restare priva di commenti la replica del prof. Federico Pirro, pubblicata sul Corriere del Giorno del 7 agosto 2010, all'intervento di AltaMarea del 4 agosto firmato dai cinque coordinatori di AltaMarea tra i quali ci sono anch'io. Intervengo da solo, assumendomene la responsabilità pur consapevole del comune sentire.
La replica del prof. Federico Pirro è deludente anche se ampiamente prevista. AltaMarea gli ha ricordato le "sfide", non raccolte, al confronto diretto: a) sulle "osservazioni del pubblico" alla domanda di Ilva per l'AIA (osservazioni che all'Ilva sono costate, finora, due anni di preoccupazioni e alcuni milioni di bite per sostituzioni/integrazioni di cose sbagliate o omesse originariamente, sostituzioni/integrazioni che sono la causa vera del ritardo della conclusione del procedimento di rilascio o negazione dell'AIA); b) sul preteso "piano di ambientalizzazione" e relativi costi, in realtà infarciti di voci che dalla vera ambientalizzazione sono lontane mille miglia; c) sulla possibilità concreta di abbattere le emissioni di diossina, a lungo ritenuta irrealizzabile da Ilva, con il soccorso rosa del ministro Prestigiacomo, e poi riconosciuta fattibile, abbastanza alla svelta e senza costi stratosferici. Su tali "sfide" il prof. Pirro non ha proferito verbo, come se non avesse capito che in quelle "sfide" c'era e c'è l'essenza dell'azione di AltaMarea, comunque fosse denominata dal 2007 ad oggi.
Al prof. Pirro AltaMarea ha poi posto 12 (dicasi dodici) domande. Egli ha risposto parzialmente ad una domanda, in maniera errata ad altre due domande e non ha risposto affatto alle altre nove domande. In compenso, ha cercato di dare dignità a quello che comunemente viene chiamato "ricatto occupazionale". A parti invertite, i 5 aspiranti professorini di AltaMarea avrebbero bocciato lo stagionato studente fuoricorso e lo avrebbero invitato ad approfondire lo studio della materia o a cambiare il suo piano di studi.
Fuor di metafora, si desidera altresì ricordare al prof. Pirro che le "bacchettate" agli imprenditori locali le ha date proprio lui, tanto che AltaMarea gli ha chiesto: "Come fa (Pirro, non AltaMarea) ad ignorare le grandi difficoltà che incontrano in loco anche avventurosi imprenditori non tarantini? Ovviamente come quelle degli imprenditori tarantini. Quanto poi ai patemi d'animo procurati dal temutissimo referendum, si invita il prof. Pirro, Ilva, Confindustria e Sindacati ad esaminare (sul sito del Ministero dell'ambiente e nelle collezioni di gran parte della stampa locale) tutto quello che AltaMarea (comunque denominata) ha prodotto dal 2007 in poi. Forse capirebbero che la stella polare di AltaMarea è stata quella di pressare le Istituzioni per far fare ad Ilva quello che Ilva non faceva, nella speranza che non si dovesse aspettare sempre e solo la Magistratura, i cui tempi, è arcinoto, giocano spesso a favore di chi non vuol fare, penalizzando così chi vorrebbe ottenere correzioni di rotta e risultati immediati. Ilva, Confindustria, Sindacati ed anche F. Pirro dovrebbero fare mea culpa, per avere tirato troppo la corda o per averla ignorata del tutto. Come se non fosse abbastanza prevedibile che, esacerbati dall'indifferenza e dall'insufficienza di risposte positive, saltassero fuori alcuni e tentassero di percorrere altre strade. Se in Ilva, Confindustria, Sindacati e F. Pirro non si sentono queste cose, non è questione di Amplifon ma del detto popolare "il migliore sordo è colui che non vuole sentire".
Da un professore di storia dell'industria ci si aspetterebbe qualcosa di più di una semplice strenua difesa dell'esistente, per giunta ritenuto immodificabile.
In AltaMarea si ritiene che l'incalzante evoluzione dei Paesi occidentali indichi che il ciclo integrale dello stabilimento Ilva di Taranto è destinato a subire le sorti dettate dal mercato mondiale e dalla impossibilità/incapacità di ottenere utili dalla gestione di megaimpianti e megastrutture resi ecocompatibili, incapaci, cioè, di provocare danni all'ambiente e alla salute dei cittadini e degli stessi lavoratori colà impegnati. E quando sarà il momento, la proprietà privata, legittimamente, baderà solo al proprio tornaconto, al di là della decantata "responsabilità sociale"; mentre, senza adeguati interventi "visionari" a cui mettere mano da subito, le Istituzioni e i cittadini, parimenti impreparati, assisteranno impotenti al disastro e saranno dolori per tutti, ma soprattutto per i più deboli. Nel frattempo, senza provvedimenti costosi ma efficaci, l'inquinamento industriale continuerà a mietere vittime a Taranto e dintorni, in misura incomparabilmente maggiore di quello che potranno fare il traffico stradale e gli impianti di riscaldamento.
Biagio De Marzo del coordinamento di AltaMarea.
sabato 7 agosto 2010
venerdì 6 agosto 2010
Cerano, un concerto inquinante
mercoledì 4 agosto 2010
IL SOGNO PER LA TARANTO DI DOMANI
Il prof. Federico Pirro, nella sua riflessione pubblicata sul Corriere del Giorno del 2 agosto con il titolo “Il dopo dell’acciaio? Un percorso difficile”, anziché provare a delineare la sua visione della Taranto di domani, impartisce, ex catedra, la sua solita lezioncina sulla fortuna di cui questi ingrati tarantini godono per la presenza sul territorio di “mamma Ilva” che a tutto pensa e tutto fa per il bene di tutti. E questa litania si ripete, per puro caso, ogni volta che quella grande azienda avverte il fiato sul collo della Magistratura e del movimento cittadino nelle sue varie articolazioni. L’esimio cattedratico, memore delle giovanili indefettibili convinzioni che rifiutavano qualsiasi dissenso ed ormai aduso ad esercitare il ruolo del sapiente nei confronti di studenti ignoranti e silenti, si esibisce in consigli e riflessioni a senso unico. Su essi evita accuratamente il confronto pubblico diretto con chi lo contrasterebbe con dati ed argomentazioni ragionevoli. Lo fece all’epoca delle osservazioni del pubblico sulla domanda di AIA da parte di Ilva, del sedicente piano di ambientalizzazione, dell’abbattimento della diossina, ecc. Eviterà anche questa volta, per cui gli facciamo alcune domande dalle colonne del quotidiano che ha ospitato la sua riflessione.
Saltiamo a piè pari tutti i discorsi sulle sofferenze e sui lutti che l’inquinamento ambientale di origine industriale provoca nella popolazione ionica: sembrano non interessargli, emulo, in questo, del management delle industrie presenti nell’area di Taranto per il quale tali mali sono inesistenti. Sul tema gli suggeriamo soltanto di leggere i reportage di questi giorni sulle “mamme dei Tamburi e sui loro bambini” e l’articolo dal titolo “Vendola, i bambini aspettano ancora” di Luisa Campatelli, direttore del Corriere del Giorno, pubblicato il 29 luglio.
Ci avventuriamo, così, nel freddo sentiero dell’economia e delle relazioni industriali. Il prof. Pirro ha un passato di dirigente d’azienda locale e un presente di interlocutore e consulente di aziende o di organizzazioni datoriali? Se è così, non avverte nessuna corresponsabilità per i miseri risultati che la sua opera ottiene nella classe imprenditoriale che sembra non ascoltare i suoi consigli? Come fa a mettere in campo i modesti numeri della ex Belleli e della Borsci di S. Marzano mentre si parla degli immensi numeri di Ilva, ENI, ecc.? Come fa ad ignorare le grandi difficoltà che incontrano in loco anche avventurosi imprenditori non tarantini? Come fa a non capire che il rinnovo del contratto per i lavoratori Ilva, proprio in questi giorni dopo un lungo tira e molla, è una mossa nella scacchiera delle azioni che guardano al prossimo referendum su Ilva? Saprebbe spiegare perché Ilva e Sindacati hanno tanta paura di un referendum che è solo consultivo, solo emotivo e non ha nessun effetto pratico? Come d’altro canto è accaduto a referendum abrogativi nazionali vinti ma che, in realtà hanno lasciato le cose come stavano prima del referendum. Perché non dice che la chiusura dell’area a caldo o comunque il drastico ridimensionamento dell’Ilva “siderurgica” di Taranto sarà deciso dal mercato e da Riva quando lo riterrà conveniente per il Gruppo, mentre per la salute dei cittadini sarebbe necessario farlo subito? Lo sa che gli Svedesi, i più importanti produttori di acciai di qualità, hanno rinunciato da una ventina di anni all’area a caldo, lasciandola ai Paesi in via di sviluppo? Pensa sul serio che la “Taranto siderurgica” potrà reggere ancora a lungo la concorrenza di un costo del lavoro di poche centinaia di euro al mese in Brasile, India, Cina, Corea o anche Croazia? Con l’aggiunta degli investimenti richiesti da impianti che, quale più, quale meno, hanno 50 anni? E con quelli richiesti da sempre più stringenti norme di sicurezza e di salute dei lavoratori? Faccio solo un esempio: per quanto tempo in fabbrica i lavoratori e le loro organizzazioni sindacali tollereranno che nell’atmosfera in azienda ci siano livelli di benzo(a)pirene tanto elevati che quello che arriva all’esterno dello stabilimento è tre volte il valore normato?
In definitiva, sorprende, in uno studioso e nell’intera classe dirigente locale e nazionale, la sottovalutazione sia della più che probabile evoluzione del mercato dell’acciaio che avrà pesantissimi riflessi su Taranto, sia del problema ambientale e quello della bonifica a Taranto la cui soluzione è preliminare e ineludibile per qualunque ipotesi di sviluppo ecocompatibile per agricoltura, turismo, industria e commercio. Manca, infine, soprattutto la "visione della Taranto tra 5 - 10 anni", sulla quale impostare progetti, iniziative. Il "Renzo Piano" della Taranto del futuro non potrà ignorare che in questo Paese non c'è una politica industriale, che la Comunità Europea vieterà qualunque aiuto di Stato ad aziende private che operano in concorrenza con altre imprese europee, che le leggi europee su ambiente e sicurezza diventeranno sempre più stringenti (Taranto non potrà restare a lungo "colonia extra europea"). Senza un "sogno" che veda i tarantini come protagonisti diretti, mettendo in campo risorse ed impegno, dovremo giocoforza rassegnarci a vedere tutta Taranto trasformata in qualcosa di molto simile all'ex yard Belleli. Una decina di anni fa si era scatenata la corsa all'Eldorado: Gavio, Marcegaglia e "capitani coraggiosi" locali a farsi una guerra feroce per chi dovesse impossessarsi di quell'area. Dopo quasi 10 anni quello ex yard è l'esempio lampante di come si trasforma una grande opportunità in un desolante cimitero. Pittsburg, Bilbao, Valencia, Hamilton (città in situazioni analoghe a quelle di Taranto) sono esempi di "sogno" divenuto realtà. Il movimento cittadino sta cercando di far partire dal basso il disegno di un “sogno tarantino”.
Altamarea, Taranto 3 agosto 2010
Fame di creatività... soddisfatta!!
Una line-up di street-artists – Blu, Erica il cane, JR, Os Gemeos, Dalek, per citarne alcuni – da far invidia ai più importanti eventi di arte contemporanea, tutti al lavoro tra i vicoli e palazzi di un piccolo centro in provincia di Taranto, Grottaglie, per la terza edizione del Fame Festival (si può leggere sia all’inglese che all’italiana e noi preferiamo la seconda), organizzato da Studiocromie.
Gli artisti sono già all’opera da un po’ e sul sito si possono seguire le loro gesta, vedere le opere che man mano iniziano a prendere vita sui muri della città e leggere di come gli abitanti reagiscano a questa pacifica e colorata invasione, tra luculliane mangiate, gente felice di vedere il remake fatto alle loro case, altri un po’ meno.
"DEMOCRAZIA SCONFINATA"
Villa Peripato, Taranto
5 agosto 2010 - ore 20.00
Autori: Ornella Bellucci, Danilo Licciardello
Nella grande industria italiana esistevano ed esistono veri e propri reparti confino. Sono officine fittizie, spesso lontane dal cuore produttivo degli stabilimenti. Le imprese – ci occupiamo di Fiat e Riva – ciclicamente vi trasferiscono lavoratrici e lavoratori scomodi. Perché insubordinati, perché iscritti al sindacato, perché invalidi.
Attraversiamo le Officine Sussidiarie Ricambi Fiat di Torino, il polo tecnologico di Nola (appendice Fiat di Pomigliano d’Arco) e la palazzina LAF dell’Ilva di Taranto. In questi “non luoghi” anche la democrazia appare sospesa.
Sullo sfondo i mali che affliggono il lavoro in fabbrica: l’aumento dei ritmi di produzione (con il pesante carico di infortuni e morti), le malattie professionali, l’inquinamento ambientale. Tra gli intervistati, Bianca Guidetti Serra, Otello Pacifico, Raffaele Guariniello, Francesco Sebastio, Aris Accornero, Roberto Nistri, Gian Giacomo Migone, Marisa Lieti, Gabriele Polo. Presta la voce agli operai delle OSR Fabrizio Gifuni.
martedì 3 agosto 2010
Notte dei Briganti 2010
83 assemblee aperte al pubblico, gli “Itinerari informativi” che hanno dato vita a 6 dibattiti pubblici con numerosissimi partecipanti, 20 comunicati stampa, 43 post pubblicati nei siti e blog, 12 incontri nei piani tematici di zona: l'Associazione Sud in Movimento, dopo un anno di lavoro, “si fa la festa”!
L'8 agosto 2010 presso il castello Episcopio di Grottaglie “La Notte dei Briganti” arriverà alla sua V edizione, tenendo fede a quello che è l'appuntamento annuale delle Associazioni e dei Comitati del territorio in questo ultimo lustro.
Oltre agli appuntamenti ed iniziative grottagliesi, l'associazione non ha potuto fare a meno di seguire con preoccupazione le scelte del Governo italiano che ha avviato tutte le procedure per la privatizzazione dell'acqua.
Il Sud In Movimento, coordinato con il Forum dei Movimenti dell'Acqua regionale e nazionale,è diventato comitato promotore del Referendum in Difesa dell'Acqua Pubblica.
La raccolta di firme a Grottaglie, supportata anche da altre associazioni e partiti, ha permesso a più di 800 cittadini di esprimere parere contrario alla liberalizzazione del marcato dell'acqua.
“Difendiamo l'Acqua pubblica” non è solo uno slogan, ma la paradossale rivendicazione del Bene Comune per antonomasia; Questo l'argomento centrale della V edizione de “La Notte dei Briganti”.
Alle ore 17:30, come ogni anno, avrà inizio l'assemblea dei Comitati e delle Associazioni provenienti da tutto il territorio regionale. L'assemblea sarà coordinata insieme al Forum Regionale dei Movimenti dell'Acqua Pugliese e verterà nello specifico sul tema: “Dal referendum alla ripubblicizzazione dell'Acquedotto Pubblico Pugliese”.
L'assemblea sarà aperta a chiunque avrà voglia di partecipare, graditi saranno gli interventi e le domande atte a stimolare la discussione, all'esito verrà redatto un documento condiviso, che come ogni anno, rappresenterà per tutti i movimenti che vi partecipano,un punto fermo sull'argomento ed anche un punto di partenze per le strategie comuni da intraprendere.
A far ballare e divertire quanti decideranno di partecipare ad una delle serate più attese nel panorama culturale grottagliese, e non solo, saranno: I Bravi, giovanissima rock band grottagliese, l'infuocato ritmo tarantato Dei Briganti di Terra d'Otranto e l'alternativo rock underground dei Teeneger Riot.
La magia degli Acrobati, Trampolieri, Burattinai, la maestranza mista alla fantasia degli Artigiani, l'incontenibile ecletticità di Pittori, Fotografi, Scultori e la presenza di ogni singola persona che parteciperà, trasformeranno una calda notte di inizio Agosto ne ..”LA NOTTE DEI BRIGANTI” (notte dei briganti)
lunedì 2 agosto 2010
domenica 1 agosto 2010
L'inquinamento in numeri
I nuovi dati dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, sull’inquinamento dell’Ilva , aggiornati al 2007-08 e pubblicati sabato scorso in esclusiva da TarantOggi. Valori che verranno inseriti nel Registro Europeo E-PRTR (European Pollutant Release and Transfer Register). In poche parole, quello che in molti non vorrebbero farvi sapere.
DEFINIZIONE VALORE SOGLIA: E' un limite indicativo definito dall'Unione Europea in funzione dell'attività produttiva e della grandezza della singola industria analizzata. Non rappresentano, per ora, un limite di legge.
PS: Per correttezza d'informazione, il valore soglia del biossido di carbonio (CO2) non è 1000 t/anno, come riportato in tabella (errore di battitura), bensì 100.000 t/anno .
Due settimane fa, pubblicammo i dati “ISPRA” (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) relativi alle emissioni inquinanti nell’aria dell’Ilva S.p.A. Oggi, come promesso giorni fa, torniamo a riproporvi la stessa tabella, ma aggiornata con i dati relativi anche alle emissioni nelle acque.
Ricordiamo che i dati oggi in nostro possesso, sono i risultati di un lungo e proficuo carteggio avvenuto tra il comitato “Taranto libera” e appunto l’“ISPRA”. Dati che a tutt’oggi però, ancora non compaiono nel registro europeo E-PRTR on-line. Il registro contiene informazioni sulle emissioni di sostanze inquinanti nell’aria, nell’acqua e nel suolo, rilasciate dai complessi industriali in tutta Europa, a prescindere dalla loro attività e grandezza.
Come si può notare scorrendo i dati riportati in tabella, anche i dati relativi ad alcune sostanze (non tutte) confermano la presenza di notevoli quantitativi di inquinanti non solo nell’aria, ma anche nell’acqua (scarichi in mare).
Tra le altre cose, si resta quanto meno stupiti nel notare, ad esempio, l’assenza del dato relativo al mercurio e al cadmio. Per alcuni composti invece (ad esempio gli IPA) si può osservare (per motivi a noi ignoti) si nota una riduzione dei valori di emissione nell’arco di un solo anno, passando dal 2007 al 2008.
Questo però non deve assolutamente trarre in inganno nessuno: tali valori infatti, si discostano comunque in maniera notevole dal valore soglia, che ricordiamo non rappresentare, purtroppo ancora oggi, un limite decretato per legge, aiutato anche dal fatto che, a differenza di quelle europee, le normative a riguardo in Italia sono tutt’altro rigorose.
I valori soglia rappresentano comunque un limite importante: si tratta di un “filtro” stabilito a livello europeo per raccogliere i contributi più rilevanti all’inquinamento industriale. Le soglie delle emissioni infatti, sono state pensate per censire le sorgenti di dimensioni maggiori, responsabili (nel loro complesso a livello europeo) di circa il90% delle emissioni dell’industria europea.
Il valore soglia è la capacità relazionabile al massimo inquinamento potenziale in base alla capacità produttiva.
Tornando in Italia, precisamente a Taranto, tutti questi ragionamenti si vanno a far benedire. Perché così come per i dati dell’aria, anche per quelli dell’acqua siamo presenti a dati eloquenti, che parlano da soli.
Parliamo di numeri ufficiali, incontestabili: che riportano fedelmente la reale situazione dell’inquinamento provocato dall’Ilva, il più grande siderurgico d’Europa, che negli ultimi tempi ha iniziato una campagna pubblicitaria, condita da un’infinità di dati e investimenti pubblicizzati con l’aiuto della stampa e delle televisioni locali (eccezion fatta per “TarantOggi” che ha deciso di restare un giornale libero e per questo non degno di essere invitato nemmeno ad una conferenza stampa come quella di mercoledì scorso nel siderurgico: tanto meglio per noi).
E il commento del comitato “Taranto libera” è alquanto amaro in tal senso: “Se in 15 anni l’Ilva ha davvero speso 1 miliardo di euro per la tutela dell’ambiente come sostiene, è evidente che questi interventi si sono rivelati inefficaci. Inoltre, qualunque intervento previsto dall’azienda e finalizzato all’applicazione delle Migliori Tecnologie Disponibili, non potrà mai avere una resa pari al 100%, data l’obsolescenza degli impianti preesistenti”.
Inoltre è giusto ricordare che, interventi fatti passare come innovazioni e passi in avanti per migliorare gli impianti, in realtà altro non furono che “prove di fattibilità” per capire come e quanto potessero essere utili alla causa. Due esempi per tutti: l’impianto Urea e quello di depolverazione. Come ricorda giustamente “Taranto libera” “lo stesso CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) nel marzo 2009 presentava il progetto relativo all’impianto all’urea come uno studio riguardante la verifica di fattibilità dell’impianto stesso e non come un impianto che avrebbe con sicurezza garantito un abbattimento delle emissioni di diossine. Lo stesso impianto di depolverazione è in fase di sperimentazione”.
L’Ilva però, sin dallo scorso novembre, parla un’altra lingua. Che sa di autorefenzialità, che racconta di un mondo che non esiste, se non nei pensieri, o forse sarebbe meglio dire nei sogni, dei vertici aziendali e di chi, ancora oggi, non lesina di porgere l’altra guancia al mostro che divora, ogni giorno sempre più, il futuro della nostra città.
E’ sempre “Taranto libera” a riportarci alla realtà: “A distanza di appena un anno dall’installazione dell’impianto Urea e a pochi mesi dall’impianto di depolverazione, l’Ilva sostiene che c’è stata di fatto una riduzione del 90% del valore delle diossine, emissioni misurate non attraverso un campionamento in continuo (prelievo 24h/24h), ma mediante un monitoraggio (semestrale) articolato in tre misure effettuate in giorni consecutivi con campionamenti di 8 ore (diurne) ciascuna. Quale garanzia sull’effettivo mantenimento del valore di legge nell’arco di un intero anno?”
Come detto, ciò che più sconcerta, è che l’Ilva riporta un’infinità di dati che sono tutt’altro che riscontrabili. Aiutata anche da una legge anti-diossina che, giorno dopo giorno, sembra fatta ad hoc per permetterle di affermare questo.
Se poi ciò corrisponde alla realtà, non è facilmente documentabile. “L’Ilva ha dichiarato – continua “Taranto libera” - che i nuovi interventi previsti per l’anno 2010 dovrebbero portare ad una riduzione del 50% del benzo(a)pirene e del 30% di benzene. Ma non finisce qui. Nel suo spot inneggiante all’eco-compatibilità, sostiene, inoltre, che gli interventi effettuati negli ultimi due anni hanno portato ad una riduzione del 60% della concentrazione di polveri nei fumi e ad una riduzione dell’80% di SOx. I dati Ispra riportati in tabella non sembrano confermare questi dati: PM10 ed SOx risultano essere costanti dal 2007 al 2008. Avremmo dovuto riscontrare, secondo quanto affermato dall’ilva, ad una abbattimento almeno del 50%. Questi dati ci dicono inoltre che diossine e benzo(a)pirene sono solo due dei composti piu’ pericolosi riversati nell’ambiente”.
A molti però sembra essere sfuggito, o forse più semplicemente hanno fatto finta di non accorgersene, ciò che realmente emerge dai tanti spot dell’Ilva: prendendo per veri tutti i numeri dichiarati dal siderurgico infatti, si evince che è la stessa Ilva ad ammettere in sostanza di aver inquinato per decenni, senza peraltro alcun controllo. E i dati ISPRA dell’aria e dell’acqua sono appunto lì a confermarlo.
Inoltre è sempre la stessa Ilva a minare alle fondamenta il discorso sull’eco-compatibilità, pensiero intellettual chic assai di moda dalle nostre parti ultimamente. Riprende “Taranto libera”: “Se è vero che l’Ilva in 15 anni ha speso il 25 % degli investimenti complessivi a favore dell’ambiente, contro il 10% medio delle altre aziende siderurgiche europee (che tra l’altro sono già a norma), ottenendo peraltro scarsi risultati, tutto questo non fa che confermare che l’eco-compatibilità non potrà mai essere possibile. La particolare ubicazione del polo siderurgico, che vive a ridosso della città, è inoltre un aspetto trascurato ma di fondamentale importanza, poiché attribuisce al problema connotazione di carattere prima di tutto sanitario. Anche la semplice riduzione delle emissioni infatti, non garantirebbe in nessun modo la salvaguardia della salute umana”.
Ma i danni che l’Ilva ha provocato al nostro territorio, ferito e strupato in profondità, non terminano purtroppo qui. Questo perché i vertici del siderurgico, nel loro lungo elencare i tanti interventi svolti, si divertono nell’omettere qualcosa che però non sfugge a chi mastica da tempo i problemi da inquinamento ambientale.
Entrando più nello specifico infatti, bisogna sottolineare come il danno più grave per Taranto, è dovuto ad alcuni inquinanti (come PCB, diossine e furani), che trattandosi di sostanze classificate come inquinanti persistenti (POPs), sono molto resistenti alla decomposizione e permangono nell’ambiente per diversi anni.
Tali sostanze infatti, oltre a provocare danni immediati alla salute, una volta riversate nell’ambiente, non essendo per nulla biodegradabili, stratificano nei terreni e vi permangono per decenni (fino a 20 anni), compromettendo l’ecosistema ed entrando nella catena alimentare trasportate dalle piogge.
Da qui la nota e triste vicenda della masseria Fornaro e dei tanti allevatori tarantini che hanno visto, negli ultimi anni, tutti i loro capi portati al macello perché contaminati da diossina. A seguire, il divieto di pascolo sino a 20 km dalla zona industriale, imposto dalla Regione nello scorso febbraio.
Da qui partono una sequela di domande, che al momento restano purtroppo senza risposta. “I metalli riversati nell’aria, nell’acqua e nel suolo – riprende “Taranto libera” - sono altamente tossici e sono stati rivelati superamenti di tali inquinanti anche nelle falde acquifere profonde (Progetto risanamento Tamburi, dicembre 2009). Come è possibile parlare di eco-compatibilità se una bomba chimica giace da decenni sotto i piedi dell’Ilva? E l’Ilva quanto ha speso in termini di bonifica e risanamento? Quanto deve a questa città in termini di risarcimento per inquinamento ambientale? Quanto l’Ilva si preoccupa dei danni alla salute provocati ai suoi dipendenti e agli abitanti di Statte e del quartiere Tamburi? L’Ilva si preoccupa delle polveri fini e ultrafini che veicolano ogni sorta di inquinante e che risultano essere le piu’ nocive (oltre i 7 µm: cavità orale e nasale fino a 7 µm: laringe fino a 4,7 µm: trachea e bronchi primari fino a 3,3 µm: bronchi secondari fino a 2,1 µm: bronchi terminali fino a 1,1 µm: alveoli polmonari), poiché difficilmente filtrabili? Oppure anche questa volta si limiterà a dire: non esistono limiti di legge”.
Ma le leggi nazionali e quella regionale, paradossalmente ma mica poi tanto, tutelano chi inquina.
Ma non volendo dare l’impressione di essere troppo chiusi, portiamo a sostegno della nostra tesi, il progetto di risanamento del quartiere Tamburi commissionato dal Comune di Taranto e sottoscritto nel dicembre 2009 dall’Ing.T. Farenga, nel quale si legge: “Gli stabilimenti produttivi presenti, tra cui gli impianti dell’Ilva, emettono oltre 23,4 mln di tonnellate di CO2 (nel 2006 +26% rispetto al 2002) e Taranto costituisce un caso nazionale eclatante per le emissioni contenenti diossina: sono stati registrati valori 93 volte più elevati del limite (+28,2% tra il 2002-2006)”.
Ma c’è un precedente che lascia ben sperare,o che quanto meno ci insegna che vincere è ancora possibile.
Vincere non per noi, ma quanto per regalare ai nostri figli una città vivibile, un futuro migliore. Ce lo ricorda ancora “Taranto libera”: “
A Genova nel 2002 furono chiuse le cokerie per il loro impatto sulla salute, in particolare nel quartiere di Cornigliano. Uno studio epidemiologico ha evidenziato una relazione tra polveri respirabili (diametro inferiore od uguale a 10 micron o PM10) emesse dagli impianti siderurgici ed effetti sulla salute. Lo studio epidemiologico attesta che nel quartiere di Cornigliano nel periodo 1988-2001, la mortalità complessiva negli uomini e nelle donne risulta costantemente superiore al resto di Genova. Nel luglio 2005 e’ stato spento anche l’altoforno numero 2 dello stabilimento di Cornigliano, concludendo così l’era della siderurgia a caldo a Genova, con notevole abbattimento dell’inquinamento”. Taranto, in termini di mortalità e di inquinamento, non è certamente da meno rispetto a Genova. Tutt’altro.
E dopo la visione completa dei dati dell’ISPRA sull’aria e sull’acqua, non possiamo che sposare in pieno il pensiero finale del comitato “Taranto libera”. “Lo spot pro-ecocompatibilità made in Ilva, francamente, non ci convince affatto”.
Gianmario Leone (TarantOggi)
Rimbalzi in rete..
Cinquant’anni fa per Taranto iniziava un sogno, il capoluogo ionico era stato scelto come sede del quarto centro siderurgico del paese e la città intravide in questa decisione la possibilità di superare la forte crisi occupazionale che viveva in quegli anni e l’opportunità di diventare un importante centro economico per la regione e per tutto il Mezzogiorno. Per guadagnarsi questa opportunità, Taranto dovette battere l’agguerrita concorrenza di Bari e ci riuscì anche grazie al sostegno degli onorevoli Giorgio Napolitano ed Emilio Colombo, rispettivamente membri del PCI e della DC.
La prima pietra dell’impianto fu posta il nove luglio del 1960, ma in questo mezzo secolo il sogno di Taranto non si è mai realizzato. Si è infranto, e nei tarantini ha generato risentimento verso quel mostro che con una mano sfamava (nel 1982 nella fabbrica lavoravano più di 29 mila persone) e con l’altra avvelenava.
Sì, avvelenava. E’ questo che sostengono il procuratore capo di Taranto Franco Sebastio e il procuratore aggiunto Pietro Argentino che hanno messo sotto inchiesta Emilio e Nicola Riva, padre e figlio (il primo ha ceduto al secondo la presidenza dell’Ilva da pochi mesi), Luigi Capogrosso, direttore dello stabilimento, e Ivan Di Maggio, responsabile del reparto cokerie. Sono ipotizzati reati di avvelenamento colposo di sostanze alimentari, disastro ambientale colposo, getto pericoloso di cose e omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro.
Un incidente probatorio cercherà di chiarire a quanto ammontano le emissioni di benzoaapirene, di policlorobifenili (sostanze simili alle diossine) e di altri inquinanti. Emissioni a cui la città è stata esposta per decenni, una città che oggi assiste arrabbiata ad un continuo aumento di casi di tumori, alle tracce di diossina trovate nel latte materno di molte donne, alla contaminazione di animali e sostanze alimentari, ai numerosi incidenti sul lavoro, ad un orizzonte continuamente sporcato dai fumi dello stabilimento.
E la rabbia non fa che aumentare da quando le famiglie sfamate dall’Ilva non sono più così tante come negli anni ottanta. Attualmente nello stabilimento lavorano circa 12 mila operai diretti e 5 mila dell’indotto, ma da quando c’è la crisi la metà di questi 17 mila lavoratori sono in cassa integrazione.
E ancora più arrabbiati sono gli abitanti del quartiere Tamburi. Lì, a pochi passi dallo stabilimento e soprattutto a pochi metri dalle alte montagne di coke, polvere di carbone sottilissima che il vento porta nelle case, nei piatti e nei polmoni degli abitanti dei Tamburi. Sono abituati a convivere con questa polvere che chiamano u mineral – il minerale – che ogni mattina cercano di buttare fuori dalle loro case e ogni mattina inesorabile rientra.
Così da cinquant’anni. Così fino ad oggi, fino all’ordinanza emessa dal sindaco di Taranto, Ippazio Stefàno, il 23 giugno scorso con la quale, a causa dell’accertato superamento della Concentrazione di Contaminazione e di Rischio, si vieta l’accesso alle aree verdi dei Tamburi. I bambini del rione non potranno più giocare nei giardini, niente più orde di bimbi urlanti che si rincorrono o che giocano a pallone, il quartiere è contaminato.
Ogni bambino come sogno più elementare ha quello di poter giocare, magari all’aria aperta. In questa estate bollente, senza la scuola, nel rione popolare dei Tamburi i bambini non potranno passare le serate nel giardino sottocasa, rischierebbero gravi danni per la salute. E così l’Ilva, dopo aver infranto il sogno di due generazioni di tarantini, infrange quello di chi rivendica solo il diritto di essere un bambino. (P. Demilito, Mediapolitika)