San Brunone, il cimitero dei veleni
Revocato da quasi due mesi il divieto di utilizzo dei campi di
inumazione, causa forte inquinamento dei terreni, resta il problema
della sicurezza dei necrofori che operano a stretto contatto con un
suolo contaminato dai veleni della grande industria.
L’area del «San Brunone», infatti, adiacente all’Ilva, risulta
fortemente compromessa dalla presenza di pcb, diossina e polveri
minerali che mettono a serio rischio la salute del personale addetto
alla tumulazione, attività per la quale si movimenta il terreno.
Con lo sblocco delle sepolture, la cooperativa sociale “L’Ancora”, che
attualmente si occupa dei servizi cimiteriali di Taranto, ha dotato i
propri lavoratori di un adeguato abbigliamento che impedisca il contatto
con il terreno inquinato.
E ha distribuito mascherine con appositi filtri per evitare l’inalazione tossiche.
Ma ciò non basta a tranquillizzare i lavoratori che, nonostante questi
accorgimenti, non si sentono protetti e temono di ammalarsi come già è
successo in passato a molti loro colleghi, spiegano.
Tantomeno trova d’accordo i visitatori, che non possono avvicinarsi ai
campi inagibili perché esposti ad un elevata concentrazione di diossina,
dannosa per la salute tant’è vero che tecnicamente anche loro
dovrebbero essere attrezzati ed indossare una mascherina per proteggersi
dall’inalazione di sostanze nocive.
«Vogliamo mettere in luce il fatto che nel cimitero i lavoratori stanno
facendo di tutto per mantenere una normalità che in realtà non c’è –
rileva Ernesto Palatrasio, coordinatore provinciale Slai Cobas –
lavorare su terreni inquinati con delle mascherine non è la soluzione al
problema».
L’amministrazione comunale si affidò all’Asl per monitorare l’osservanza
delle procedure anti-contaminazione al di fuori dei campi già
inquinati.
L’Asl, a detta dei dipendenti de “L’Ancora” «propose di installare delle
docce all’interno del cimitero e il più vicino possibile alle zone di
inumazione. Ciò, per consentire ai necrofori di disfarsi immediatamente
degli indumenti da lavoro e ripulirsi dalle sostanze inquinanti , prima
di lasciare il posto di lavoro. Promesse disattese – denunciano i
lavoratori – queste strutture ancora non sono state realizzate. Eppure,
si continua a lavorare con sempre maggiori disagi – commenta Palatrasio –
Sappiamo anche che il cimitero è stato inserito tra le priorità degli
interventi di bonifica, però ancora non capiamo in cosa consista questa
“priorità” in termini pratici. Vogliamo che ci sia un’attività
effettiva. In questo senso abbiamo chiesto di incontrare il commissario
delle bonifiche, Alfio Pini».
Più in generale, i Cobas chiedono anche misure di sostegno nei confronti
del personale «vittima dell’inquinamento industriale. Ci sono problemi
relativi alla presenza sul luogo di lavoro. Questa attività non può
esser svolta per sei ore al giorno e si può ben capire che serve una
riduzione dell’orario – argomenta infine il coordinatore Cobas mostrando
le cartelle cliniche dei cinquantadue dipendenti – I lavoratori sono
tutti a rischio, non possono più essere soltanto vittime di questa
situazione. Troppo spesso le uniche notizie che abbiamo sono quelle di
operai colpiti da malattie. È inaccettabile» chiude Palatrasio. (Corgiorno)
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