venerdì 30 agosto 2013

Poveracci!!

Ilva, scoperti in Inghilterra altri 700 milioni di euro riconducibili ai Riva

Sale a quasi due miliardi di euro il tesoro della famiglia Riva ritrovato dalla Guardia di finanza di Milano nell’isola di Jersey, in Inghilterra. Dopo il sequestro da 1,2 miliardi di euro del 22 maggio scorso, infatti, secondo Il Sole 24 ore gli investigatori sarebbero riusciti a scovare altri 700 milioni di euro nel paradiso fiscale nel Canale della Manica. Il tesoro sarebbe stato scoperto in una nuova rete di società (trust) che farebbero capo ad Emilio Riva, al fratello Adriano, entrambi indagati dalla procura di Milano, e ai loro otto figli. Denaro che secondo i magistrati i Riva avrebbero sottratto all’Ilva spa e alla holding di famiglia Riva Fire e sui quali i Riva si apprestavano, secondo quanto emerso dalle indagini, a nuovi spostamenti per sfuggire ai provvedimenti della magistratura di Taranto. Il gip Fabrizio D’Arcangelo, infatti, nella sua ordinanza di sequestro preventivo scrisse che l’obiettivo era “modificare la giurisdizione dei trust per effetto delle iniziative dell’autorità giudiziaria di Taranto” che infatti giunse una settimana dopo il sequestro milanese. Fu il gip Patrizia Todisco, su richiesta del pool guidato dal procuratore Franco Sebastio, il 24 maggio a disporre un sequestro per equivalente da oltre 8 miliardi di euro, ma gli accertamenti delle fiamme gialle ioniche, però, hanno rivelato che nelle casse delle società Riva Fire e Riva Forni Elettrici vi erano poco più di 250mila euro.
Ma i nuovi accertamenti dei finanzieri lombardi, coordinati dai pm Mauro Clerici e Stefano Civardi, hanno anche ricostruito l’esistenza della Master Trust, una nuova società che si aggiungerebbe alla complessa struttura con la quale i proprietari dell’Ilva hanno occultato il denaro necessario per rendere ecocompatibile la fabbrica di Taranto, dalla quale, secondo i periti, si diffondono “malattie e morte”. Le indagini degli inquirenti milanesi, intanto, proseguono: in questi giorni, infatti, dovrebbe tenersi un incontro tra i magistrati italiani e quelli inglesi per approfondire gli elementi raccolti fino a questo momento. L’incontro dovrebbe svolgersi a Londra, la stessa città nella quale si trova Fabio Riva, uno dei figli di dell’87enne Emilio, che attende la decisione della magistratura inglese sulla richiesta di estradizione formulata dall’autorità giudiziaria tarantina che lo ha indagato per associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale. Un’indagine che oramai punta alla chiusura. Sul tavolo degli inquirenti ionici pendono ancora le posizioni del “governo ombra” scoperto in fabbrica e quelle dei tanti – politici, funzionari e non – che sono comparsi nell’indagine denominata “ambiente svenduto”. (FQ)

giovedì 29 agosto 2013

Si scrive "bonifica miliardaria", si legge "spostare rifiuti tossici di qualche metro"

Ed ecco la sceneggiata di fine agosto.
Merola Ronchi canta i rimproveri agli scugnizzi indisciplinati mentre il boss Riva esce dai domiciliari più forte e inquinatore di prima: Scetateve guagliune e malavita!!!



Ilva, è polemica sulle discariche

Il Governo autorizza per decreto legge la costruzione di due nuove discariche per rifiuti speciali (pericolosi e non) nell'Ilva di Taranto e scatta la protesta di Regione Puglia e Comuni di Taranto e Statte. Dopo il via libera dell'altro ieri all'interno del pacchetto sulla Pa, stamattina l'assessore regionale all'Ambiente, Lorenzo Nicastro, incontrerà il ministro Andrea Orlando per avere chiarimenti «sul percorso legislativo che il Governo ha in mente riguardo all'Ilva».
Gli enti locali infatti - le due discariche sorgeranno in territorio di Statte, a pochi chilometri da Taranto - non accettano che si sia di nuovo utilizzata la strada del decreto per l'Ilva e sollecitano garanzie ambientali. Chiedono poi di sapere perché per i rifiuti non sia stata portata a termine un'Autorizzazione integrata ambientale specifica così come annunciato (era attesa per fine gennaio scorso), e richiamano la delicatezza dell'argomento, visto che proprio sul sito oggetto ora di autorizzazione del Governo ("Mater Gratiae"), a metà maggio ci sono stati quattro arresti per concussione. Tra questi l'allora presidente della Provincia di Taranto, Gianni Florido del Pd (a tutt'oggi ai domiciliari), accusato di aver fatto pressioni sui dirigenti dell'ente perchè dessero il via libera alle discariche dell'Ilva.


«Ma non ci si può chiedere da un lato di accelerare la bonifica dello stabilimento siderurgico e dall'altro sollecitare un percorso, come una nuova Aia, che porterebbe via del tempo»: così Edo Ronchi, sub commissario dell'Ilva ed ex ministro dell'Ambiente, interpellato dal Sole 24 Ore, risponde alle critiche che arrivano da Taranto. «È opinabile - afferma Ronchi - che per i rifiuti di un'industria si debba fare una specifica Aia. Quantomeno non è una prassi. L'Aia si fa per l'esercizio degli impianti industriali e comprende tutto. Per l'Ilva di Taranto l'Aia è stata rilasciata ad agosto 2011 cui è seguito un riesame ad ottobre scorso. Per le discariche, poi, parliamo di aree interne allo stabilimento che hanno già ricevuto il parere di compatibilità ambientale favorevole da anni. Non capisco perché non ci debba essere un'autorizzazione alla costruzione».
«Bisogna essere molto chiari - aggiunge Ronchi -. I lavori dell'Aia e la messa in sicurezza ambientale dello stabilimento, producono rifiuti che vanno smaltiti.
E non è praticabile la strada di portare fuori questi rifiuti, a patto anche di trovare siti disposti ad accoglierli. Se vogliamo quindi che il risanamento della fabbrica vada avanti e non si perda tempo, le discariche servono. Non c'è alternativa. L'inchiesta della magistratura? Ma i giudici non hanno contestato la creazione delle discariche in se. Ritengono, dal loro punto di vista, che siano state fatte pressioni nel procedimento amministrativo, ma certo non hanno detto che le discariche non devono esserci». Sei mesi dalla conversione in legge del decreto: questo é il tempo di massima che Ronchi stima per approntare i nuovi siti: 200mila metri cubi per il primo lotto di quella destinata ad accogliere i rifiuti pericolosi, 4 milioni di metri cubi per quella dei rifiuti non pericolosi. «Attualmente con le discariche esistenti nell'Ilva - osserva Ronchi - abbiamo ancora un margine di utilizzazione di qualche mese per i rifiuti non pericolosi mentre quelli pericolosi dobbiamo portarli all'esterno». «Posso capire i dubbi e le paure espressi da più parti, ma l'impegno assunto è quello di mettere a norma lo stabilimento applicando tutte le prescrizioni e dunque, in questa logica, costruire discariche rispettose dell'ambiente - aggiunge Ronchi -. Utilizzeremo professionalitá di rilievo e coinvolgeremo anche l'Ispra e l'Arpa Puglia».
«È evidente - commenta l'assessore Nicastro - che la Regione Puglia ritenga che lo smaltimento dei rifiuti derivanti dalla produzione debba essere svolto all'interno dello stabilimento. Devono però essere corretti i presupposti tecnici e di autorizzazione del sito». (Sole24h)

“L’INCONTRO di questa mattina con il Ministro Orlando ci ha permesso di chiarirci le idee sul percorso che si va delineando in merito alle vicende che riguardano lo stabilimento Ilva di Taranto, nello specifico le discariche interne all’area, e che tengono in apprensione cittadini ed istitiuzioni. Devo constatare innanzi tutto la celerità con cui il Ministro ci ha ricevuto all’indomani dell’approvazione del decreto relativo alle discariche segno evidente di quanto il tema sia importante non solo in Puglia ma anche a Roma”. A dichiararlo l’Assessore alla Qualità dell’Ambiente della Regione Puglia Lorenzo Nicastro al termine dell’incontro col Ministro dell’Ambiente. “Nel corso dell’incontro abbiamo avuto modo di rappresentare tutte le nostre perplessità su eventuali automatismi rinvenienti dalla decretazione d’urgenza e sulla compressione dei tempi di autorizzazione canonici con conseguente azzeramento dell’attività d approfondimento tecnico-amministrativo: abbiamo ricevuto rassicurazioni dal Ministro – prosegue Nicastro – che non vi sia la volontà da parte del Governo di esautorare gli enti locali dal controllo sulle attività di autorizzazione, realizzazione e conduzione dei siti di conferimento individuati all’interno del perimetro di Ilva. Nella prossima settimana tutti i soggetti interessati saranno convocati sul tema per individuare un percorso comune sulle procedure”.
“Pur confortati da questo coinvolgimento che riteniamo un naturale esercizio delle funzioni di controllo ambientale attribuite agli enti locali, abbiamo ritenuto di non cedere sull’importanza di autorizzare correttamente le discariche come Bat (Best Avaible Technologies) nell’Autorizzazione Integrata Ambientale. Sul punto abbiamo recepito una disponibilità del Ministro a ripristinare questo elemento, eliminando il comma che riguarda la procedura semplificata di autorizzazione, nella fase di conversione in legge del decreto. Ci riteniamo soddisfatti di questo incontro nella misura in cui ci siamo riappropriati di una funzione di controllo importante di cui il decreto non teneva debitamente conto. La Regione – conclude Nicastro – continuerà a svolgere il proprio ruolo seguendo da vicino l’iter”.(Stato Quotidiano)

martedì 27 agosto 2013

Stefano scrive lettere mentre l'Ilva trivella rifiuti nelle viscere della città

Il sito di Mater Gratiae (Licenza Creative Commons)
«Si apprende dagli organi di informazione della prossima emanazione da parte del Governo centrale di un provvedimento recante norme per la realizzazione e l'esercizio di discariche di rifiuti pericolosi e non, all'interno dello Stabilimento Ilva di Taranto. Non può dunque non rappresentarsi preoccupazione e dissenso da parte di questa Amministrazione, ove queste disposizioni assumessero carattere derogatorio alle normative, anche di livello comunitario a danno della tutela ambientale».
E' quanto scrive il Sindaco di Taranto, Ippazio Stefàno alla Direzione dell'Arpa Puglia, l'Agenzia per l'ambiente.
«In questo contesto - aggiunge il Sindaco di Taranto - si chiede a codesta Agenzia, cui è demandata l'espressione delle compatibilità tecnico/gestionali, particolare attenzione nella valutazione degli effetti cumulati di tali impianti che incidono su aree già fortemente gravate. Naturalmente si fa sin d'ora espressa riserva di ogni eventuale iniziativa a tutela del territorio e della comunità tutta. Si resta in attesa di aggiornamenti».
Intanto sulla vicenda è intervenuto anche l'assessore regionale all'Ambiente, Lorenzo Nicastro: «Lungi da me la volontà di commentare o esprimere giudizi su una cosa che ancora non ho avuto modo di leggere e studiare, di una cosa sono certo: mi lascia molto perplesso il ricorso continuativo alla decretazione d'urgenza per dirimere le questioni che riguardano Taranto».
«E' una cosa su cui ho molti dubbi - scrive l'assessore regionale - in virtù del fatto che ritengo necessaria una maggiore ponderazione e mi viene in mente un esempio: l'inserimento in Aia delle discariche interne ad Ilva come BAT (Best Avaible Techinologies) ci dava una certa garanzia in termini di conduzione delle stesse, di monitoraggio e di possibilità di intervento in caso di problemi. Da oggi non è più così". (TaSera)

Ilva, sì all’uso di discariche interne Senza verifica Aia

L’Ilva potrà realizzare due discariche (una per rifiuti pericolosi, l’altra per rifiuti speciali) all’interno dello stabilimento siderurgico tarantino, in località Mater Gratiae, evitando la procedura di Autorizzazione integrata ambientale. Lo ha deciso ieri pomeriggio il Consiglio dei Ministri, approvando un articolo, inserito nel decreto sulla pubblica amministrazione, che riguarda le «imprese di interesse strategico nazionale» e fa riferimento, in particolare, all'Ilva e alla produzione dei rifiuti di cui si autorizza lo smaltimento nell'area dello stabilimento nel rispetto dell'ambiente e della salute.
«Per attuare l'Autorizzazione integrata ambientale (Aia) - spiega il ministero dell'Ambiente - è, infatti, prevista la produzione di rilevanti quantità di rifiuti non pericolosi e pericolosi che devono essere smaltiti in tempi rapidi in impianti idonei. Quindi è urgente disporre delle discariche per le quali è già stato rilasciato il giudizio positivo di compatibilità ambientale - e fra questi ci sono alcuni siti compresi nel perimetro dello stabilimento Ilva di Taranto - ma il cui iter autorizzativo non è stato ancora definito. Una soluzione che evita di cercare siti esterni che richiederebbe tempi lunghi e costi molto elevati che sottrarrebbero risorse ad altri interventi ambientali. La disposizione - precisa il ministero dell'Ambiente - non comporta oneri per la finanza pubblica in quanto le spese inerenti la costruzione e gestione delle discariche in questione sono a carico dell'Ilva spa in qualità di gestore delle medesime».
La procedura, però, come detto, evita di proseguire l’iter, avviato ormai da anni, per far avere alle discariche in questione l’Autorizzazione integrata integrata ambientale, con l’acquisizione dunque di tutti i pareri necessari e il fatto non può che suscitare dubbi sulla procedura seguita. Il Governo è parso unicamente orientato a soddisfare le richieste formulate dal commissario straordinario dell’azienda Enrico Bondi e dal suo vice Edo Ronchi, che non volevano assolutamente saperne di spendere quasi 300 milioni di euro per smaltire i rifiuti prodotti dall’Ilva in discariche esterne, ma è evidente che non possono essere scelte meramente economiche a dettare l’adozione di provvedimenti dalle ricadute ambientali tutte da valutare ma sicuramente non irrilevanti, considerando che l’Ilva non è mai riuscita ad ottenere l’autorizzazione per quegli impianti seguendo la via prevista dalla legge.
Non solo. Per la concussione che avrebbe esercitato sui funzionari pubblici allo scopo di autorizzare le discariche di contrada Mater Gratiae, il presidente della Provincia di Taranto Gianni Florido è stato arrestato lo scorso 15 maggio e si trova tutt’ora agli arresti domiciliari, pur avendo lasciato ogni tipo di incarico politico e amministrativo. Al centro dell’inchiesta denominata «Ambiente Svenduto» ci sarebbero le pressioni fatte dall’Ilva sulla Provincia per ottenere l’autorizzazione all’esercizio della discarica «Mater Gratiae » allo scopo di risparmiare sui costi di smaltimento, scopo raggiunto, ora, addirittura via decreto. L’azienda dovrà confrontarsi con Arpa e Regione Puglia riguardo alle modalità di gestione delle discariche. (GdM)



Discarica Ilva Mater Gratiae: la magistratura arresta, il governo autorizza

“L’inferno è vuoto e tutti i diavoli sono qui”, scriverebbe nuovamente Shakespeare. A Taranto accade l’inverosimile e l’informazione nazionale mette tutto in sordina. La magistratura ha arrestato il presidente della Provincia Gianni Florido (uomo di punta del Pd locale) per fatti relativi ad una discarica per rifiuti speciali pericolosi dell’Ilva, la Mater Gratiae. Con lui è già finito agli arresti un altro esponente del Pd, Michele Conserva.
Allora cosa fa il governo? Decide di metterci una pietra sopra e di autorizzare per decreto quella discarica. Oggi si riunisce per sanare tutto. Incredibile ma vero. In questo modo potrebbero essere dichiarati a norma anche i palazzi senza collaudo, gli appartamenti senza agibilità o i camion senza revisione. Tutto viene semplificato quando viene tagliato il nodo gordiano.
Ormai siamo abituati a vedere governi che a colpi di decreto rendono legale ciò che non lo era. Ora l’Ilva è nuovamente nella legalità “ope legis”, ossia “per il dettato della legge”. Viene così disinnescata quella mina sulla quale sono saltati gli amministratori del Pd. Sembrano storie diaboliche inventate ad hoc per gettare discredito sulla politica ma sono invece vere e accadono qui, in Italia.
Scendendo nello specifico, vi è un aspetto su cui è interessante riflettere, visto che parliamo di una discarica per “rifiuti speciali pericolosi“, ossia una di quelle più a rischio di ogni altra. Ci sono infatti rifiuti così pericolosi che non si possono conferire in discarica. Questi rifiuti devono infatti subire dei trattamenti preventivi (ad es. solidificazione o vetrificazione). Se ad esempio vi sono rifiuti pericolosi che percolano, essi non possono essere portati in discarica. Vanno prima sottoposti a trattamenti in genere piuttosto costosi che – se fossero applicati ad un’industria inquinante, così come richiede la legge – farebbero impennare i suoi costi di gestione.
Dovrebbe riflettere su questo aspetto il governo che pensa di sanare tutto per decreto, come se per decreto si potesse bloccare il percolato di rifiuti pericolosi non trattati. La cosa curiosa è che questo ennesimo provvedimento “per l’Ilva” si annida in un “pacchetto tagli” che riguarda la pubblica amministrazione: auto blu, precariato, dirigenti scolastici e varie voci della spesa pubblica.
Ma che attinenza ha una discarica privata con la spesa pubblica? Torniamo però alla questione dei rifiuti pericolosi che sono “troppo pericolosi” da essere portati in discarica tal quali. Il passaggio cruciale in questo caso è l’ARPA che potrebbe ficcare il naso in quei rifiuti e farli analizzare. Se infatti l’ARPA facesse controlli a tappeto e puntasse a fare la radiografica completa di quanto finisce nella discarica Mater Gratiae, ecco che si spalancherebbe un mondo. Sarebbe la prova della verità. E’ un atto di coraggio che dobbiamo chiedere non solo all’ARPA ma anche alla magistratura.
Occorre una perizia su quei rifiuti (le due perizie del GIP non hanno toccato le discariche Ilva). Chiederemo ispezioni a metri di profondità su quello che ci è finito dentro in questi anni. Per non parlare della falda acquifera – superficiale e profonda – che scorre sotto la discarica. Più si scava e più ci sarebbe da scavare. Analizzare sistematicamente i rifiuti e caratterizzarli adeguatamente è quello che va fatto.
Se si operasse così, anche questo nuovo “pacchetto” non avrebbe vita facile. I suoi intendimenti potrebbero saltare sulle “sorprese” che si nascondono in questa discarica. E’ veramente odioso che la politica di chi ci governa lavori dalla parte opposta alla nostra. E’ veramente grave il silenzio di tanta politica così loquace in campagna elettorale. Le gravi responsabilità trasversali di questa politica vanno contestate in nome della legalità e della trasparenza.
Perché decretare procedure eccezionali per una discarica che invece deve passare dalle procedure autorizzative ordinarie? E’ bene infatti dire che la questione della procedura “ope legis” di autorizzazione contrasta con ogni più elementare regola europea. I cittadini hanno il diritto di sapere e di avanzare osservazioni alle quali va data risposta. Ad esempio: la discarica ha un adeguato sistema di recupero delle acque meteoriche? O la pioggia porta in profondità tutto ciò che percola? Ed esiste un efficace fondo di impermeabilizzazione? E la falda quanto è inquinata? Sono tutte cose che i cittadini hanno diritto di sapere. La procedura che consente di sapere e di partecipare si chiama AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale). L’AIA infatti non vale solo per l’inquinamento dell’aria ma anche per l’acqua e per le discariche. Proprio per questo la questione della Mater Gratiae era spinosissima ed è stata stralciata dall’AIA.
Autorizzare la Mater Gratiae per decreto scavalcando l’iter di legge significa compiere un ennesimo azzardo. I partiti di questo governo devono sapere che, lavorando contro i cittadini, incontreranno solo il loro disprezzo. Tanta sfrontatezza e tanta malapolitica alla lunga si ritorcerà contro il partito trasversale. (Marescotti - FQ)

Miseria culturale raccontata da fuori


Gli Instabili Vaganti premiati per lo spettacolo sull'Ilva "A Taranto non ci vogliono"
 
L'eremita contemporaneo-MADE IN ILVA della compagnia bolognese Instabili Vaganti

Bologna, 25 agosto 2013 - TANTO RUMORE, tutt’intorno un’umanità martellante per ore e ore, giorno e notte. Il movimento inarrestabile, la produzione frenetica, i gesti precisi e sempre uguali. E’ questo lo scenario in cui vive l’eremita. Certo non nell’accezione tradizionale del termine, ma in chiave contemporanea sì. La suggestiva metafora è la chiave di volta dello spettacolo della compagnia bolognese di teatro sperimentale Instabili Vaganti che con L’eremita contemporaneo-MADE IN ILVA ha vinto, dopo altri prestigiosi riconoscimenti, anche il premio della critica Ermo Colle 2013.
Diretta da Anna Dora Dorno e interpretata da Nicola Pianzola, con l’esecuzione musicale dal vivo di Alessandro Petrillo, la pièce tratta un tema spinoso, quello dell’Ilva di Taranto. Argomento estremamente caro alla regista, tarantina trapiantata a Bologna, che sull’ecomostro sul mare spalancava le sue finestre da bambina e che in quella fabbrica ha visto lavorare nonno e zio.
 Cominciamo dal titolo...
«Io e Nicola - risponde la Dorno - eravamo a Taranto quando è scoppiato il caso Ilva. Già da alcuni anni stavamo indagando e sviluppando l’universo della fabbrica. Abbiamo intervistato gli operai, ascoltato le testimonianze di ragazzi come noi. La vita in fabbrica è una vita fuori dal mondo».
 E l’eremita che c’entra?
«L’operaio vive in un non luogo in cui trascorre la maggior parte della sua esistenza. L’alienazione ci ha fatto pensare alla figura dell’eremita che non ci è sembrata, a quel punto, così anacronistica».
 La vostra ambizione è di portare il progetto nella tana del lupo, a Taranto?
«‘L’eremita’ è stato rappresentato in quasi tutta Italia, nel nord Europa e in Iran, ma paradossalmente non riusciamo a portarlo a Taranto».
 Per ostilità o cos’altro?
«Indifferenza. I teatri sono restii. La tradizione di teatro sperimentale non manca ma il tema non è gradito. Agli stessi lavoratori dell’Ilva, purtroppo. Lì nessuno vuole che la fabbrica chiuda. Anche se il nostro non è un teatro di denuncia che snocciola dati e punta il dito, l’impatto emotivo è molto forte. Le sole interessate sono le associazioni ecologiste ma non hanno spazi adeguati».
 La sfida resta dunque aperta...
«Noi non ci arrendiamo».
 Teatro fisico, teatro sperimentale. Gli operai dell’Ilva capirebbero?
«Finora lo spettacolo è stato accolto facilmente, proprio per il carattere emozionale e l’empatia che suscita. Ci potrebbe essere una forte immedesimazione».
 Le motivazioni della giuria parlano di una “tensione fisica e emotiva che ha saputo incantare” e si profondono in complimenti per lei, Pianzola...
«Il pubblico rimane molto impressionato dalla componente fisica dello spettacolo. In scena resto quasi sempre intrappolato in una gabbia metallica in cui le azioni si ripetono fino allo stremo riproducendo la meccanicità dei gesti propri del lavoro che arrivano ad assumere movenze quasi acrobatiche».
La ripetitività porta all’esasperazione?
«Tanto che alla fine, come al culmine di una sessione di lavoro, l’attore cade in preda a una sorta di tarantismo, un’isteria, una frenesia che si impossessa di lui. Così scala il trespolo in cui è confinato attraversando il palco e cercando di raggiungere una luce gialla in alto. Ma come l’angelo di Lenz, a cui un piombo impedisce di alzarsi in volo, così l’attore sarà vittima di un’elevazione impossibile».
Quando vedremo ‘L’eremita contemporaneo’ a Bologna’?
«Con immensa soddisfazione siamo riusciti a portarlo in un teatro stabile per la prossima stagione e presto riveleremo quale. Ma faremo anche presentazioni nel nostro spazio». (RestodelCarlino)

lunedì 26 agosto 2013

Ancora una legge ad hoc. Stavolta piange anche la Madonna!

Mater Gratiae, la discarica della vergogna

Il Consiglio dei Ministri si riunirà oggi , 26 Agosto 2013,  per discutere, tra le altre questioni all’ordine del giorno, quella della razionalizzazione dei controlli in materia di rifiuti che tocca molto da vicino lo stabilimento ILVA di Taranto.  Il decreto sulla Pubblica Amministrazione prevede il via libera alla costruzione ed alla gestione delle discariche per rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi in località Mater Gratiae, comune di Statte ( Taranto ), ovvero l’ILVA. 
 Entro 30 giorni dalla conversione del decreto in legge, poi, il Ministro dell’Ambiente Orlando potrà rendere effettiva l’operatività della discarica; quindi in un tempo successivo rendere note le modalità di gestione e di smaltimento dei rifiuti del ciclo produttivo dell’ILVA. Ciò che il decreto però non dice è che la discarica Mater Gratiae ha avuto ed ha tuttora dei numerosi problemi di regolarità. 
Siamo nel 2010, anno in cui i Riva, si legge sulla Repubblica, hanno urgenza di concludere sulle discariche interne all’ILVA visto che l’AIA non prevede l’esercizio di una discarica di rifiuti speciali nello stabilimento e che tale discarica in realtà non solo esiste già ma è anche molto operativa. Parliamo di un’area di 300 mila metri cubi, necessaria a stoccare i residui nocivi della lavorazione dell’acciaio. Parliamo quindi di una autorizzazione necessaria e urgente la cui mancata approvazione può far saltare l’approvazione dell’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) del 2010. Un’autorizzazione la quale l’ILVA perderebbe parte della produzione e di profitti per diverse centinaia di milioni di euro. 
Tutto dipende dal Ministero dell’Ambiente.  Ma il gruppo Riva non demorde e con Girolamo Archinà, ex-dirigente ILVA, annoda quei contatti solidi e continui con la politica locale tarantina che garantirà loro la protezione necessaria a operare in tutta tranquillità. 
Cominciano le pressioni sulla Provincia per bypassare la resistenza degli uffici tecnici . Archinà, come si leggerà nelle carte dell’inchiesta che sono state rese pubbliche, incontrerà direttamente il Presidente della Provincia di Taranto Gianni Florido e ne riferirà la disponibilità a collaborare sulla questione della discarica a Fabio Riva. 
Il 15 Maggio 2013 la Guardia di Finanza esegue l’ordinanza di custodia cautelare spiccata dal GIP di Taranto Patrizia Todisco. L’accusa è di concussione proprio nella questione della discarica Mater Gratiae e si concentra sulle manovre attivate per ottenere, dal 2006 al 2011, l’autorizzazione della discarica, realizzata in una cava all’interno dello stabilimento, in carenza dei requisiti tecnico-giuridici necessari all’espletamento delle sue funzioni. 
Il decreto del Ministro Orlando, che sarà discusso domani, autorizza lo smaltimento di rifiuti pericolosi ma non sembra prendere in considerazione il fatto che alcuni rifiuti sono talmente pericolosi, scrive oggi il Presidente di PeaceLink Marescotti,  da non poter essere smaltiti in discarica. Questi rifiuti dovrebbe subire trattamenti preventivi come la solidificazione o la vetrificazione, passaggi senza i quali non dovrebbero mai essere portati nelle discariche. Naturalmente si tratta di operazioni tanto necessarie quanto costose ed impegnative. 
Taranto diventa ancora una volta destinataria di decreti legge ad hoc, ad Ilvam. Decreti difficili da giustificare quando ci sono studi di epidemiologi, di tecnici, di esperti che da anni decretano non solo la grande pericolosità dell’ILVA ma anche il suo effetto certo e confermato sulla salute della popolazione. 
Le ordinanze del GIP di Taranto hanno dato conferma dei numerosi studi e rapporti tecnici in materia e ci si chiede attoniti a cosa altro’ penseranno i politici pur di salvaguardare l’ILVA contro gli interessi dei cittadini.
Come è mai possibile che una discarica che fino ad ora non ha mai ottenuto le autorizzazioni necessarie possa esser trasformata in un solo giorno e per mezzo della bacchetta magica del nuovo decreto in una discarica sicura, pronta ad accogliere e smaltire quantità e tipologie di rifiuti così importanti?  Perché decretare procedure eccezionali per una discarica che invece deve passare dalle procedure autorizzative ordinarie? 
 Ci si augura che l’ARPA possa effettuare de nuovi immediati controlli sulla natura non solo dei rifiuti presenti al momento nella discarica Mater Gratiae ma anche sulle conseguenze sulla falda acquifera. I cittadini non sanno se la discarica abbia o meno un adeguato sistema di recupero delle acque, se la pioggia faccia percolare in profondità, se la discarica sia o meno impermeabilizzata. La procedura da seguire esiste e si chiama AIA ( Autorizzazione Integrata Ambientale), uno strumento che dovrebbe essere usato non solo per le emissioni ma anche per tutto ciò che riguarda l’inquinamento dell’acqua e per le discariche. 
Autorizzare la Mater Gratiae per decreto scavalcando l'iter di legge è l’ennesimo schiaffo non solo alla città di Taranto ma anche alla legalità, perché decreta che ciò che è illegale può diventare in poche ore e per volere di pochi immediatamente legale e autorizzato. (Dazebao)

sabato 24 agosto 2013

Taranto sera (buona o no) sempre organo di stampa Ilva...

Il modo di "applaudire" ad ogni concessione al padrone e di scodinzolare festoso quando i potenti lo aiutano fa sempre spiccare Taranto Sera tra tutti i giornaletti. Anche nonostante il cambio nome (taranto buona sera) seguito alle intercettazioni della magistratura . Una certezza!

Ilva, via libera alla discarica

Via libera alla realizzazione ed alla gestione della discarica per l’Ilva. 
Ci sono anche alcune disposizioni legate all’Ilva di Taranto nel pacchetto di provvedimenti per la Pubblica Amministrazione esaminato ieri dal Consiglio dei Ministri che tornerà a riunirsi lunedì prossimo. In particolare, nel decreto è previsto il via libera alla costruzione e alla gestione delle discariche per rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi in località “Mater Gratiae”, nel Comune di Statte, che hanno avuto parere di compatibilità ambientale e valutazione d’impatto ambientale positivi alla data di entrata in vigore del presente decreto legge.
Una decisione, quella assunta dal Governo, mirata a concedere l’autorizzazione alla costruzione ed alla gestione della discarica per l’Ilva, che arriva dopo la proposta lanciata nelle scorse settimane da Taranto Buonasera. (TaSera)

venerdì 23 agosto 2013

Spiccioli sventolati come banconote nella città dei miserabili

Bonifiche, conto alla rovescia

Gli oltre 400 milioni di euro per le attività di bonifica a Taranto ci sono. Il quadro normativo che li rende spendibili anche. Ormai tutto è pronto per avviare gli interventi attesi da decenni e che puntano a bonificare le aree del quartiere Tamburi particolarmente colpite dall’azione dell’inquibamento, l’area pip di Statte, che si trova a ridosso dello stabilimento siderurgico, allo studio preliminare per il disinquinamento di Mar Piccolo che è stato affidato ad Arpa Puglia, agli stessi impianti dell’Ilva in modo da abbattere le emissioni nocive che provengono dall’area a caldo. Come del resto dimostrano i dati rilevati dalle centraline interne allo stabilimento e pubblicati da Arpa Puglia nel suo sito instituzionale (www.arpa.puglia.it, cliccare su “Rete di monitoraggio della qualità dell’aria interna dell’Ilva”).
Con la definizione del quadro normativo sono state attivate, infatti, le prime gare di appalto, avviati i lavori ed è iniziato il reclutamento degli addetti. L’Agenzia regionale per l’ambiente, infatti, ha emesso il bando (i termini scadono il prossimo 13 settembre) che consente di assumere a tempo determinato 14 tecnici (chimici, ingegneri dell’ambiente, tecnici informatici, statistici e biologi) che andranno a far parte del Centro di salute ambientale.
Lo stesso ha fatto il commissario Ilva, Enrico Bondi, con la costituzione di un dipartimento Aia (il cui compito sarà quello di assolvere a tutte le prescrizioni previste dall’Autorizzazione integrata ambientale), affidato all’ing. Erder Mingoli. Del dipartimento per i lavori Aia, che lavorerà in stretta collaborazione con il subcommissario Edo Ronchi, faranno parte anche dieci ingegneri che saranno formati attraverso un progetto di apprendistato di alta formazione e ricerca che Ilva sta avviando con importanti atenei pugliesi e nazionali. Tale progetto arriverà a coinvolgere complessivamente 30 giovani ingegneri.
Per quanto riguarda gli interventi di bonifica, sono disponibili per il rione Tamburi 8,5 milioni di euro. Nel quartiere è stata già effettuata la caratterizzazione nel centro abitato. Si tratta del sottoprogetto 4 (SP4) che riguarda tutti i terreni del centro abitato per i quali si interviene con fondi di finanziamento già nelle casse del Comune e rivenienti dall’Accordo di programma quadro dei Tamburi. In questo caso i progetti sono stati approvati dalla cabina di regia. Appena il progetto esecutivo sarà validato potranno partire le gare di bonifica per il SP4.
Per quanto riguarda le scuole dei Tamburi, il Comune di Taranto interverrà con i fondi stanziati dal governo a seguito del famoso decreto legge (convertito in legge n. 161 dell’ottobre 2012). In questo caso si interverrà sia per quanto riguarda la struttura fisica delle scuole, con il potenziamento dell’efficienza energetica di tutte e cinque gli istituti, sia per la caratterizzazione nelle aree interne alle stesse. La caratterizzazione dirà il tipo di bonifica necessaria.
Trentasette milioni di euro, come previsto dal Protocollo d’intesa del 2012 per il risanamento di Taranto, saranno utilizzati, invece, per la bonifica dell’area industriale di Statte. Con questo protocollo d’intesa, il Comune di Statte si impegna a espletare tutte le procedure di gara e l’attuazione dei lavori in stretto raccordo con il commissario straordinario Pini e con il soggetto attuatore degli interventi, Antonio Strambaci, del ministero dell’Ambiente. (CdG)

Bonifica delle aree inquinate dall'industria e dall'Ilva in particolare, risanamento degli impianti del siderurgico per abbattere le emissioni nocive dell'area a caldo, creazione di strutture tecniche per rafforzare controllo e monitoraggio ambientale. Muove su tre fronti la strategia messa in campo per Taranto affinché superi l'emergenza che l'ha segnata nell'ultimo anno. Ci sono ben tre leggi in proposito: la 171 del 4 ottobre 2012, la 231 del 24 dicembre 2012 e la 89 del 3 agosto 2013. Le ultime due riguardano l'Ilva - la 89 è quella sul commissariamento dell'azienda -, mentre la 171 la bonifica dell'area esterna allo stabilimento.
Avviati nell'Ilva i lavori dell'Autorizzazione integrata ambientale con la fermata di una serie di batterie coke, degli altiforni 1 e 2 e dell'acciaieria 1 (168 milioni sui 325 del 2013 già spesi a metà luglio) e creato per l'Aia un dipartimento con 30 ingegneri. Messi poi sulla rampa di lancio i primi interventi per la bonifica delle scuole del rione Tamburi di Taranto (8 milioni) e dell'area industriale del Comune di Statte (37 milioni), nonché avviato lo studio preliminare per il disinquinamento di Mar Piccolo di Taranto. Adesso, invece, avanza il discorso relativo alla nuova struttura di analisi dei dati ambientali e del loro impatto sulla salute pubblica. L'Agenzia regionale per la protezione ambientale della Puglia (Arpa) ha infatti lanciato il bando per assumere a tempo determinato 14 tecnici che costituiranno l'ossatura del Centro ambiente e salute di Taranto. I termini per accedere alla selezione si chiudono il 13 settembre prossimo. In particolare l'Arpa cerca chimici, ingegneri dell'ambiente, tecnici informatici, statistici e biologi.
Questo personale dovrà occuparsi fra l'altro di monitoraggio olfattometrico - e Taranto vive frequentemente il fenomeno delle emissioni odorigene di natura industriale -, di monitoraggio e caratterizzazione del particolato atmosferico, dei microinquinanti organici di matrice ambientale, delle emissioni convogliate dei camini industriali, della qualità dell'aria. E, ancora, dello stato di salute della popolazione che risiede nelle vicinanze delle industrie, delle banche dati informatiche, del calcolo delle stime delle emissioni in modo da poter stabilire i profili emissivi, della verifica e controllo di macchine e impianti rispetto sia alle prescrizioni e alle autorizzazioni, sia alle migliori tecniche ambientali.
Il Centro ambiente e salute è istituito dalla Regione Puglia, nasce da una delibera di giunta (la n. 1980 del 12 ottobre scorso) che a sua volta si rifà alla legge regionale n. 18 del 2012 (Piano straordinario salute e ambiente) e ha una dote di 8 milioni di euro assegnata col bilancio del 2012. Di questi, 4,730 milioni serviranno alla ristrutturazione e all'adeguamento funzionale dell'ex ospedale Testa di Taranto, ubicato proprio nell'area industriale e ceduto dall'Asl tarantina all'Arpa Puglia in comodato d'uso ventennale, mentre 3,270 milioni saranno finalizzati alla fase di start up e al personale. «Condurre un progetto sperimentale di monitoraggio e di contrasto delle criticità sanitarie associate ai fattori di rischio ambientali»: questa la mission assegnata ad Arpa Puglia e Asl Taranto che si avvarranno anche dell'Ares, l'Agenzia per la sanità.
Alla struttura l'Arpa ha invitato a partecipare anche l'Ilva non ottenendo però riscontro. Lo dice lo stesso direttore generale dell'Arpa, Giorgio Assennato, scrivendo al commissario dell'Ilva, Enrico Bondi, e invitando l'azienda ad abbandonare la «cultura negazionista» sull'impatto ambientale del siderurgico. Assennato parte da un dato, ovvero dall'invito ricevuto come Arpa a presentare a Basilea al congresso della Società di epidemiologia il caso Ilva. «Evidentemente - scrive Assennato a Bondi - il comitato scientifico non ha condiviso il suo giudizio sull'inattendibilità del nostro lavoro in merito alla valutazione di danno sanitario dell'Ilva. Mi auguro che lei comprenda - sottolinea Assennato - il valore strategico di trasformazione di atti amministrativi in produzione scientifica per affrontare in modo adeguato la complessitá dei problemi dell'area tarantina». (Sole24h)

giovedì 22 agosto 2013

Manca qualcosa..

Ilva: Usb, mancano controlli IPA

L'Usb di Taranto ha inviato un esposto alla Procura della Repubblica, al Dipartimento di Prevenzione Spesal dell'Asl e alla sede tarantina dell'Arpa Puglia per segnalare il mancato rilevamento dei dati sugli Idrocarburi policiclici aromatici da parte delle centraline di monitoraggio sulla qualità dell'aria, e ora chiede il fermo immediato degli impianti inquinanti. Il sindacato di base rileva ''la palese violazione delle norme riguardanti la formazione e l'informazione dei lavoratori''. (ANSA)

martedì 20 agosto 2013

Tamburi, anno 2013

Ilva, rispunta l’oblio

La legge in questione è il decreto “salva Ilva bis”, convertito appunto in legge il 4 agosto 2013. L’atto legislativo che, nei fatti, ha eliminato la figura del Garante ed ha rinviato l’attuazione, a decorrere dal 2 agosto, dei tempi tecnici previsti dall’Aia per la messa a norma degli impianti dello stabilimento Ilva di Taranto. Da allora, sembra essersi attenuata la morsa della cittadinanza sulle tematiche inerenti l’inquinamento ed i conseguenti lavori per l’ambientalizzazione del centro siderurgico tarantino.
Dopo oltre un anno dall’inizio dell’inchiesta “Ambiente svenduto” della Magistratura, nella quale la stessa ha additato la responsabilità di disastro ambientale alla famiglia Riva ed agli allora responsabili dell’Ilva, i Riva sono nuovamente a piede libero (in virtù del termine delle misure cautelative degli arresti domiciliari prima del processo) ed a Taranto, in particolar modo al quartiere Tamburi, si continua a morire per malattie correlate all’inquinamento.
A distanza di poche settimane dalla conversione in legge del decreto legge, abitanti e commercianti del quartiere Tamburi mostrano perplessità su come possa evolvere la situazione, se effettivamente si riuscirà a contemperare le ragioni dell’ambiente e della salute con quelle del lavoro e dell’occupazione.
A far aumentare i malumori anche le recenti dichiarazioni del commissario Ilva, Enrico Bondi, (seppure ridimensionate e smentite dal diretto interessato). Dichiarazioni, quelle secondo le quali l’alta mortalità a Taranto per tumore sarebbe correlata ad un maggiore abuso di alcol e tabacco, potrebbero indurre persone male informate a giungere alla conclusione che il quartiere in questione, dati alla mano sulla mortalità per tumore, sarebbe popolato da incalliti fumatori ed alcolisti sin dalla tenera età.
Al contrario, quello dei Tamburi è un quartiere di lavoratori, gente umile, abituata a convivere con la presenza del “Mostro” e costretta a subire, con rassegnazione, gli eventi.
Francesco Semeraro, proprietario di un’edicola in via Orsini, pensa che «andrà a finire tutto in una bolla di sapone». Intervistato sulle ragioni di questo silenzio calato sull’intera vicenda all’indomani delal conversione del decreto in legge, dichiara che «la classe politica tarantina ed il sindacato non hanno la forza di imporsi nei confronti di Riva, e la città è ostaggio di questo industriale. A ciò va aggiunto – prosegue – che la stampa sta mollando un po’ la presa, così come i cittadini, nei quali è subentrato un po’ di rassegnazione visto che, dopo tanto clamore, hanno notato che i risultati, ad oggi, non sono arrivati».
Nicoletta Lo Mazzo, commerciante di un noto panificio di via Galeso, riscontra, fra la sua clientela che «serpeggia del malumore, misto alla poca fiducia. Sono le solite cose – prosegue – che accadono qui da noi: cattiva amministrazione, poca partecipazione di queste nelle questioni importanti della città, che gravano sul cittadino che ha poco potere in queste cose». La sorella Nicoletta, alla domanda sulle cause di questo silenzio, ha una sua opinione ben precisa: “«Si è voluto mettere tutto a tacere; chi in passato si è arricchito le tasche con questa faccenda si è ora tirato indietro». Carmelo Di Maglie, proprietario di un conosciuto caseificio in via Galeso, sulla questione della minore attenzione riscontrata ultimamente dalle istituzioni e dall’Arpa nell’evidenziare le eventuali anomalie, sostiene che «in verità non c’è mai stato tutto questo daffare che dicono; l’Arpa e le istituzioni si sono sempre disinteressate della salute degli abitanti del quartiere e francamente non vedo differenze. Sì, se ne è parlato un po’ – prosegue – all’inizio della questione dell’inquinamento ma poi, tutto è rimasto com’era e così sarà. L’attenzione di noi cittadini è sempre alta sulla questione, il problema è che mai nessuno ci darà retta».
Ida, una casalinga del quartiere Tamburi, afferma il fatto che «una volta fatta la legge, tutto è caduto nel dimenticatoio. Spesso mi domando – sostiene – come mai, proprio adesso che i cittadini dovrebbero ribellarsi, si è bloccato tutto?».
Per Adele, giovane neolaureata del rione Tamburi, «in passato c’è stata l’intenzione di esprimere il proprio dissenso in modo pacifico. Visto che la popolazione – dichiara – una volta appreso che questi metodi non hanno fatto approdare a nessun risultato e dato che evidentemente la cittadinanza non sente ancora forte quella spinta per usare dei metodi più drastici al fin di riuscire ad essere ascoltata, le istituzioni approfittano di questa inerzia dei cittadini, succubi su queste tematiche». (Corgiorno)

lunedì 19 agosto 2013

Con beneficio del dubbio. Aspettiamo una verifica.

Ilva di Taranto: la valutazione dell’esposizione a elementi metallici
Una ricerca ha valutato il rischio per la salute da esposizione a elementi metallici per i lavoratori e la popolazione di Taranto. Dalla ricerca non emerge un inquinamento degli ambienti di vita da elementi metallici di origine industriale.

Pavia, 19 Ago – In questi ultimi anni il tema dell’impatto ambientale degli impianti siderurgici in Italia è diventato molto delicato in relazione alle note vicende dell’ Ilva di Taranto. Le sue emissioni sono state oggetto di continue indagini e perizie (chimiche ed epidemiologiche); per i  vertici dell’Ilva sono state ipotizzate accuse di disastro colposo e doloso, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di sostanze pericolose.
 Ricordando la varietà delle sostanze inquinanti studiate (metalli pesanti, materie particolate, rifiuti gassosi, idrocarburi policiclici aromatici, benzene, amianto, diossine, …), e con possibili effetti sulla salute di lavoratori e cittadini di Taranto,  ci soffermiamo oggi su una ricerca effettuata nell’ambito degli studi promossi in Italia dal Ministero della Salute e dall’Istituto Superiore per la Prevenzione e Sicurezza sul Lavoro (ora Inail) e finalizzati a monitorare l’inquinamento dell’aria, del suolo e dell’acqua di falda e di mare nell’area di Taranto, definita nel 1990 dal Consiglio dei Ministri ad elevato rischio di crisi ambientale in quanto “caratterizzata da gravi alterazioni degli equilibri ecologici nei corpi idrici, nell’atmosfera e nel suolo tali da comportare un rischio per l’ambiente e per la popolazione”. 
 Questa ricerca ha avuto l’obiettivo di studiare l’escrezione urinaria di diversi elementi metallici nei lavoratori dell’impianto siderurgico a ciclo integrale e nella popolazione generale di Taranto, per valutare il rischio per la salute da esposizione a elementi metallici e analizzare i fattori che condizionano la loro escrezione.

Per conoscerne metodi e risultati di questa ricerca è possibile leggere un intervento pubblicato sul numero di ottobre/dicembre 2012 del Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia: “Valutazione del rischio per la salute da esposizione a elementi metallici nei lavoratori del siderurgico e nella popolazione generale di Taranto (Italia)”, a cura di Leonardo Soleo, Piero Lovreglio, Laura Panuzzo, Maria Nicolà D’Errico, Antonella Basso e Ignazio Drago (Dipartimento Interdisciplinare di Medicina, Sezione di Medicina del Lavoro “E.C. Vigliani”, Università di Bari “A. Moro”, Bari), Maria Enrica Gilberti, Cesare Tomasi, Pietro Apostoli (Dipartimento di Medicina Sperimentale ed Applicata, Sezione di Medicina del Lavoro ed Igiene Industriale, Università di Brescia, Brescia).
 
L’intervento ricorda che “gli stabilimenti siderurgici a ciclo integrale sono considerati insediamenti industriali ad elevato impatto ambientale di numerosi inquinanti chimici, tra cui elementi metallici, nonostante la continua innovazione tecnologica abbia reso i processi di produzione dell’acciaio nei paesi occidentali sempre più efficienti e meno inquinanti”. Infatti durante la produzione sia di ghisa che di acciaio alcuni lavoratori possono essere esposti “a elementi metallici, quali piombo (Pb), mercurio (Hg), zinco (Zn), manganese (Mn), cromo (Cr), cadmio (Cd), nichel (Ni), rame (Cu), arsenico (As) ed altri”. Inoltre “attraverso le loro emissioni in atmosfera questi stabilimenti siderurgici possono anche determinare un inquinamento dell’aria da elementi metallici che può interessare la popolazione generale che risiede nelle aree abitative circostanti gli stabilimenti”. E la popolazione “può essere esposta a elementi metallici anche indirettamente attraverso l’inquinamento sia del suolo, conseguente alla ricaduta di elementi metallici dalle emissioni in atmosfera dei predetti impianti, che dell’acqua di falda e marina contaminata dagli scarichi dei processi di lavorazione che in essi si svolgono e che possono contenere As, Pb, Cr, Cu, Zn e Ni”.
Gli autori sottolineano inoltre che l’esposizione a elementi metallici nei lavoratori degli impianti siderurgici “risulta in genere poco studiata in letteratura rispetto a quella ad altri inquinanti, quali idrocarburi policiclici aromatici (IPA), benzene e diossina”.
 
Dunque l’obiettivo dello studio è stato di studiare “l’escrezione urinaria di As, Cr, Mn, Co, Ni, Cu, Zn, Cd, Sn, Ba, Hg, Pb, Sb nei lavoratori dell’impianto siderurgico a ciclo integrale e nella popolazione generale di Taranto per la valutazione del rischio per la salute da esposizione occupazionale e, rispettivamente, ambientale”.
A questo proposito sono stati considerati “49 lavoratori dello stabilimento siderurgico (esposti), che lavoravano nei reparti parchi minerali, agglomerato, acciaieria 1 e 2 e impianti marittimi, e 50 soggetti della popolazione generale di Taranto residente a varia distanza dallo stabilimento (controlli), scelti con criterio randomizzato tra esposti e controlli di un precedente studio condotto nel 2005” (una precedente ricerca su 195 lavoratori maschi e su due gruppi di soggetti maschi della popolazione generale).
 
Veniamo subito ai risultati.
 
I risultati del monitoraggio ambientale “hanno mostrato nei campionamenti di polvere respirabile effettuati sia in postazione fissa che con campionatori personali concentrazioni di As e Cd sempre inferiori al LOD (limite di rivelabilità, ndr), mentre Cr, Mn, Ni, Cu e Pb, sebbene pressoché sempre dosabili, sono risultati 1-2 ordini di grandezza al di sotto dei rispettivi TLV-TWA dell’American Conference of Governmental Industrial Hygienists (ACGIH)”.
Per lo Zn, “per il quale non esiste un TLV raccomandato dall’ACGIH, complessivamente solo il 25% delle determinazioni sono risultate superiori al LOD”.
Il Mn è risultato l’unico elemento metallico a presentare concentrazioni urinarie significativamente più elevate negli esposti rispetto ai controlli, con valori urinari nei due gruppi comunque contenuti nel range dei valori di riferimento italiani.  Co, Cu, Zn, Sn e Sb hanno mostrato concentrazioni urinarie significativamente più elevate nei controlli rispetto agli esposti, mentre As, Cr, Cd, Ba, Hg e Pb non hanno mostrato differenze tra i due gruppi. Il Ni è risultato inferiore al LOD nel 60% dei soggetti dei due gruppi”.
 Inoltre in considerazione della “pressoché identica eliminazione urinaria di elementi metallici da parte di esposti e controlli è stata studiata la dipendenza dei singoli elementi metallici dalle variabili indipendenti”. Ad esempio età, BMI (indice di massa corporea), anzianità lavorativa, consumo di prodotti caseari, carne, pollame, molluschi e crostacei, fumo di sigaretta, …
L’intervento – che vi invitiamo a visionare integralmente – riporta diverse tabelle esplicative, anche con riferimento alla dipendenza di alcuni elementi metallici urinari da variabili indipendenti.
 I risultati “non hanno mostrato nei lavoratori del siderurgico una escrezione urinaria dei singoli elementi metallici tendenzialmente più elevata rispetto ai controlli; anzi per alcuni elementi metallici (Co, Cu, Zn, Sn e Sb) si è osservato l’opposto e per quelli a maggior rilevanza tossicologica (As, Cr, Ni, Cd, Hg e Pb) non è stata osservata alcuna differenza tra i due gruppi. Questi risultati, pertanto, consentono di ritenere del tutto irrilevante il rischio per la salute da esposizione a elementi metallici di tipo occupazionale per i lavoratori dello stabilimento siderurgico e ambientale per i soggetti della popolazione generale di Taranto residente a varia distanza dallo stabilimento”.
E questo secondo gli autori vale “sia per gli effetti tossici degli elementi metallici studiati, che per quelli cancerogeni per gli elementi metallici in grado di provocarli con una relazione dose-risposta di tipo lineare con assenza di una soglia di effetto. Per questi ultimi effetti, non superando essi in alcun lavoratore, con l’eccezione dell’As, il valore del 95° percentile del rispettivo valore di riferimento, non dovrebbe essere attesa alcuna azione concausalmente responsabile nella genesi di tumori di origine occupazionale nei lavoratori e di un eccesso di rischio neoplastico di origine ambientale nella popolazione di Taranto”.
 In conclusione “non è emerso un inquinamento degli ambienti di vita da elementi metallici di origine industriale, mentre, secondo la ricerca, altri fattori non occupazionali sembrano in grado di condizionare l’intake (assunzione, ndr) degli elementi metallici”.
 
Valutazione del rischio per la salute da esposizione a elementi metallici nei lavoratori del siderurgico e nella popolazione generale di Taranto (Italia)”, a cura di Leonardo Soleo, Piero Lovreglio, Laura Panuzzo, Maria Nicolà D’Errico, Antonella Basso e Ignazio Drago (Dipartimento Interdisciplinare di Medicina, Sezione di Medicina del Lavoro “E.C. Vigliani”, Università di Bari “A. Moro”, Bari), Maria Enrica Gilberti, Cesare Tomasi, Pietro Apostoli (Dipartimento di Medicina Sperimentale ed Applicata, Sezione di Medicina del Lavoro ed Igiene Industriale, Università di Brescia, Brescia), in Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia, volume XXXIV - n. 4 - ottobre/dicembre 2012 (formato PDF, 416 kB). (Puntosicuro)

Qualche informazione dall'interno, finalmente!

Inquinanti Ilva: i dati del monitoraggio

L’Arpa Puglia ha condiviso sul web i dati del monitoraggio degli inquinanti dell’aria all’interno dell’Ilva. Sono i primi dati che vengono raccolti con le nuove centraline interne.
L’Agenzia Regionale per la Prevenzione e la Protezione dell’Ambiente, sul proprio sito internet, ha pubblicato di dati prodotti dalla rete di monitoraggio della Qualità dell’aria interna allo stabilimento tarantino, precisando che tali dati non sono soggetti ai limiti del d.lgs. 155/2010, in quanto provenienti da postazioni interne ad un ambiente di lavoro. I dati sono al momento forniti in forma tabellare, come file giornalieri. Dall’Arpa, i vertici in vacanza non danno alcuna interpretazione dei primi numeri emersi.
Nella tabella in basso il monitoraggio della giornata del 13 agosto. Ecco invece per esempio i dati registrati nella giornata del 15 agosto dalla diverse centraline. Quella della cokeria ha registrato 30,2 ug/m’ di Acido Solfridrico (H25). Lo stesso che dalla centralina della direzione é stato di 1,3, dalla centralina Riv 2,6, da quella dei parchi1,8 e da quella del quartiere Tamburi O,8. Nella stessa giornata gli idrocarburi policiclici aromatici (Ipa) sono stati dalla cokeria di 65,7 ng/m3, dalla direzione di 4,7, dal Riv di 13,5, dai Parchi di 3,8 e dal quartiere Tamburi di 16,8. Il Pm1é invece é stato, nella cokeria, di 165,5 ug/m3, nella direzione di 42,2, al Riv di 35,4, ai parchi di 65,6 e al quartiere Tamburi di 36. Il Pm 2.5, invece, é stato alla cokeria di 80,9 ug/m3, alla direzione di 21,5, ai parchi di 24,4 e ai Tamburi di 18,5. Il benzene invece ha raggiunto i 66,7 ug/m3.
E sempre a proposito dell’inquinamento Ilva, nei giorni scorsi ha tenuto banco la polemica sull’acqua con cui verrebbero bagnati i parchi minerali. «In Italia persino un parcheggio - spiega Alessandro Marescotti, di PeaceLink, per essere autorizzato deve essere dotato di un sistema di trattamento delle acque di prima pioggia. E la più grande acciaieria d’Europa possiede o no un sistema di trattamento delle acque di prima pioggia? Spinti da questo dubbio abbiamo chiesto al Garante dell’AIA se Ilva fosse in regola. Il Garante ha chiesto lumi ad Arpa». L’Agenzia ha risposto che «attualmente la struttura del sistema fognario asservito allo stabilimento Ilva spa di Taranto non consente la raccolta delle acque di prima pioggia, le quali vengono fatte confluire insieme agli altri scarichi dello stabilimento nei canali di scarico (canali Primo e Secondo), che l’azienda considera sedimentatori longitudinali». (TaSera)

sabato 17 agosto 2013

La corsa al treno... rotto!

Ilva-Lucchini, integrazione possibile

Perché - con la cruda sbrigatività che gli amici e i nemici gli riconoscono fin dai tempi di Mediobanca e di Montedison - Enrico Bondi non ha bollato come "impraticabile" la richiesta - pressante - del Governo di provare a inserire il (logorato) tassello della Lucchini nel (complicatissimo) mosaico del risanamento industriale e ambientale dell'Ilva di Taranto? Perché non l'ha fatta cadere nel vuoto?
Le motivazioni che il ceto politico toscano ha scaricato sul Governo sono emotive fino alla demagogia, perché sembrano nascondere la voglia di diluire nell'Ilva il problema della Lucchini, ma di fronte alla disperata situazione di Piombino non possono non risuonare come quasi comprensibili.
L'ipotesi di lavoro, che va attentamente depurata da ogni rischio di una vendita camuffata, è quella di realizzare a Piombino un centro di produzione di materia prima che alimenti la stessa Piombino e che sia di supporto all'Ilva.
Quale sarebbe il vantaggio per quest'ultima? C'è un elemento, strettamente connesso al particolare profilo giuridico-industriale in cui si trova l'Ilva, di cui bisogna tenere conto: l'Aia, l'autorizzazione integrata ambientale, ha posto un vincolo sulla produzione di ghisa liquida a Taranto.
Fra il 2007 e il 2008, prima della crisi economica internazionale e del buco nero giudiziario in cui è precipitato il gruppo siderurgico, l'impresa produceva 9,5 milioni di tonnellate di ghisa all'anno. Ora l'Aia fissa un tetto di produzione a 7 milioni di tonnellate. Gli oltre due milioni di tonnellate che mancano potrebbero essere forniti da Piombino. Questo è il vantaggio per l'Ilva.
E per Piombino? Se l'Ilva dovesse attivare una integrazione con l'acciaieria toscana, per quest'ultima vi sarebbe una prima sostanziale conseguenza: molti dei dipendenti, che oggi paiono destinati a perdere il posto di lavoro anche in caso di non definitiva liquidazione della società, potrebbero rientrare in fabbrica, dove non sarebbe spento per sempre l'altoforno.
Oggi, per la Lucchini, sono in lizza due cordate: la prima è composta da Beltrame e da Klesch; la seconda da Duferco, Acciaierie Venete e Feralpi. Entrambe le cordate, che hanno manifestato un interessamento a diversi livelli, sono portatrici di una cultura basata sul forno elettrico, che si serve del rottame. Non hanno competenze di gestione e di trasformazione del minerale. Dunque, appare difficile che possano mantenere un perimetro occupazionale che, rispetto agli attuali più di 2mila dipendenti, vada oltre 600-650 addetti.
In Italia le uniche due realtà che conoscono bene la siderurgia estrattiva - quella fondata appunto sull'estrazione del ferro dal minerale - sono l'Ilva e la Lucchini di Piombino. E, se in qualche modo l'Ilva riuscisse a inserire nel suo piano industriale una integrazione con la Lucchini, il numero di dipendenti necessario sarebbe assai maggiore. Il problema è, appunto, che cosa voglia dire "in qualche modo": l'Ilva è commissariata, dunque - anche se traesse un vantaggio industriale da questa idea - non potrebbe acquistare la Lucchini. Una ipotesi potrebbe essere l'affitto di un ramo d'azienda.
C'è, poi, il nodo della delimitazione del campo di gioco. Nel senso che l'Ilva potrebbe giocare in proprio, gestendo tutto il ciclo siderurgico di Piombino. Oppure potrebbe integrarsi con la cordata che avrà la meglio sull'altra: all'Ilva quanto serve per i prodotti piani, agli altri i forni elettrici con cui produrre prodotti lunghi. Comunque sia, a Piombino ci sarebbero già le attrezzature per fare i semilavorati da indirizzare verso il laminatoio di Taranto.
I costi di trasporto e di logistica, se sostenuti all'interno dello stesso gruppo siderurgico, non sono per definizione proibitivi: ai tragitti Cornigliano-Taranto e Novi Ligure-Taranto si aggiungerebbe Piombino-Taranto. Va sottolineato come, a Piombino, ci sia un asset - spesso trascurato - come il porto. È vero che il fondale dovrebbe essere più profondo, per ospitare le navi di grandi dimensioni che oggi servono la siderurgia internazionale. Ma è altrettanto vero che gli attracchi sul Tirreno sono più pregiati rispetto a quelli sull'Adriatico, tanto che il valore di un molo a parità di capacità varia fra il 30 e il 35% in più.
Dunque, una integrazione Ilva-Lucchini - sempre che le richieste di Roma non siano giudicate impraticabili da Bondi e dal suo staff - potrebbe anche contribuire a fare tornare in attività un porto, quello di Livorno, che oltre al turismo dei traghetti verso le isole ha una vocazione siderurgica tutt'altro che irrilevante.
Un porto il cui livello di saturazione ha una correlazione diretta con quanto succede nello stabilimento, che a regime avrebbe dovuto produrre 2,5 milioni di tonnellate di acciaio, ma che in realtà negli ultimi anni non ha mai superato gli 1,4 milioni di tonnellate. (Sole24h)

mercoledì 14 agosto 2013

Non c'è peggior sordo (o negatore) di chi non vuol sentire

La smetta con il suo “sterile approccio negazionista” e collabori con le istituzioni locali.

Lo chiede Giorgio Assennato, direttore generale di Arpa Puglia, ad Enrico Bondi, commissario straordinario dell’Ilva di Taranto ed ex amministratore delegato dell’acciaieria. Nella lettera inviata ieri anche al governatore pugliese Nichi Vendola (Sel), all’Ares Puglia e alla Als tarantina, Assennato annuncia che il 21 agosto è prevista a Basilea una sua relazione sulla valutazione del rischio per Taranto legato alla lavorazione dell’acciacio (“Risk assessment on Taranto (Italy) integrated steel works”). Il discorso si terrà durante il convegno organizzato dalla Società internazionale di epidemiologia ambientale (Isee). “Evidentemente – scrive il direttore dell’Arpa – il comitato scientifico del convegno non ha condiviso il suo giudizio sull’inattendibilità del nostro lavoro sulla valutazione del danno sanitario prodotto dall’Ilva”. Assennato si riferisce alla nota di Bondi del 27 giugno inviata alla Regione in cui appoggiava i rilievi dei consulenti dell’Ilva sul fatto che l’eccesso di tumori sia dovuto al “fumo di tabacco e alcol, nonché difficoltà nell’accesso a cure mediche e programmi di screening”. Posizione in contrasto con quanto certificato dal Ministero della Salute con il Rapporto Sentieri dello scorso ottobre che invece lega le emissioni dell’acciaieria all’aumento del 20% del tasso di mortalità nel tarantino rispetto all’intera regione. “Mi auguro – scrive Assennato – che lei comprenda il valore strategico della trasformazione di atti amministrativi in produzione scientifica per affrontare in modo adeguato la complessità dei problemi dell’area tarantina”. Poi aggiune: “Ciò è alla base del Centro Ambiente e Salute a Taranto, finalmente attivato dopo mie reiterate richieste, al quale l’azienda Ilva si è sempre rifiutata di aderire, nonostante miei pressanti inviti, come avrebbe dovuto fare seguendo i principi di una moderna responsabilità sociale d’impresa”.(Domaniandriese)

lunedì 12 agosto 2013

Pioggia ricca

Che fine fa l'acqua che cade sull'Ilva?
E l'acqua con cui vengono bagnati i parchi minerali?

In Italia persino un parcheggio per essere autorizzato deve essere dotato di un sistema di trattamento delle acque di prima pioggia. E la più grande acciaieria d'Europa possiede o no un sistema di trattamento delle acque di prima pioggia? Spinti da questo dubbio abbiamo chiesto al Garante dell'AIA se Ilva fosse in regola. Il Garante ha chiesto lumi ad Arpa. Altoforno Ilva Altoforno Ilva Chiudi E finalmente abbiamo la risposta ufficiale che alleghiamo a questo comunicato.

 Oggi giunge infatti la risposta ufficiale dell'ARPA alla richiesta di PeaceLink. Eccola: "Si comunica che attualmente la struttura del sistema fognario asservito allo stabilimento Ilva spa di Taranto non consente la raccolta delle acque di prima pioggia, le quali vengono fatte confluire insieme agli altri scarichi dello stabilimento nei canali di scarico (canali Primo e Secondo), che l'azienda considera sedimentatori longitudinali". Questo è quanto scrivono Giorgio Assennato e Massimo Blonda, rispettivamente Direttore Generale e Direttore Scientifico dell'Arpa Puglia al già Garante dell'AIA Vitaliano Esposito. L'ARPA Puglia specifica di avere chiesto gli opportuni interventi "già dalla prima AIA" del 2011.

 L'inerzia che ne è seguita a questo punto è sotto gli occhi di tutti, alla luce del lapidario comunicato dell'ARPA. E' inquietante che in tutto questo tempo un sistema indispensabile per la protezione delle acque (che tra l'altro non è una "migliore tecnologia" ma è un vero e proprio obbligo di legge) sia rimasto inattuato. E' stato proprio il dott. Vitaliano Espostito (e poi ARPA in giornata) a comunicare per email questa imbarazzante informazione all'ISPRA e all'Ilva, oltre che a PeaceLink.

Al Commissario dell'Ilva spa
Al Direttore generale dell'Ispra
Si trasmette, per quanto di competenza, l'allegata nota dell'Arpa Puglia in risposta alla richiesta del prof. Marescotti del 26 luglio u.s. Vitaliano Esposito, già Garante dell'Aia per l'Ilva. Tale informazione era stata specificamente richiesta da PeaceLink con questa email del 4 luglio scorso: Gentile Garante, vorremmo sapere se Ilva è in regola con la normativa nazionale che prevede l'adozione di sistemi di trattamento delle acque di prima pioggia. Vorremmo sapere pertanto se i liquidi per l'irrorazione dei parchi minerali e la pioggia stessa sono raccolti e trattati per evitare che trasferiscano in mare gli inquinanti. Vorremmo sapere se l'irrorazione dei parchi minerali incontra un adeguato strato di impermeabilizzazione o se i liquidi percolano nella falda.
Con osservanza Alessandro Marescotti Presidente di PeaceLink

Ma che cosa prevede la legge a questo riguardo? L'art. 113 del Decreto Legislativo del 3 aprile 2006 n. 152 (titolo III, capo IV: Ulteriori misure per la tutela dei corpi idrici) è molto chiaro nel prevedere che "ai fini della prevenzione di rischi idraulici ed ambientali, le Regioni, previo parere del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, disciplinano e attuano le forme di controllo degli scarichi di acque meteoriche di dilavamento provenienti da reti fognarie separate".
Quindi è competenza della Regione predisporre e applicare la normativa. La Regione Puglia, con Deliberazione di Giunta del 19 giugno 2007, n. 883, ha adottato, ai sensi dell'art. 121 del D. Lgs. n. 152/2006, un "Piano di tutela delle Acque". Tale piano impone che "le acque di prima pioggia e di lavaggio delle aree esterne che dilavano dalle pertinenze di stabilimenti industriali, di cui alla definizione, devono essere raccolte in vasche a tenuta stagna e sottoposte ad un trattamento depurativo appropriato in loco tale da conseguire il rispetto dei limiti di emissione previsti dalla tab. 3 di cui all'allegato 5 del D.Lgs. 152/99, per le immissioni in fogna e nelle acque superficiali; il rispetto dei limiti di emissione previsti dalla tab. 4 di cui all'allegato 5 del D.Lgs. 152/99, nel caso di scarico sul suolo. Inoltre, le acque di dilavamento successive a quelle di prima pioggia, che dilavano dalle pertinenze di stabilimenti industriali e che non recapitano in fognatura, devono essere sottoposte, prima del loro smaltimento, ad un trattamento di grigliatura, disoleazione e dissabbiatura".

Il piano regionale prevede delle sanzioni: "Chiunque non ottempera alla disciplina dettata dalle Regioni ai sensi dell'articolo 113, comma 1, lettera b), è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da millecinquecento euro aquindicimila euro". L'art. 137, comma 9 D.Lgs. 152/06, dichiara che "chiunque non ottempera alla disciplina dettata dalle Regioni ai sensi dell'articolo 113, comma 3 (ossia chiunque apra o comunque effettui nuovi scarichi di acque reflue industriali, senza autorizzazione, oppure continui ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l'autorizzazione sia stata sospesa o revocata), è punito con l'arresto da due mesi a due anni o con l'ammenda da millecinquecento euro a diecimila euro".

A questo punto la domanda è d'obbligo: chi non ha agito fino a ora per applicare la legge? Ci sono responsabilità politiche visto che l'organo tecnico aveva già segnalato il problema? La questione sarà portata all'attenzione della Procura della Repubblica.

Peacelink (Antonia Battaglia, Fulvia Gravame, Luciano Manna, Alessandro Marescotti)

venerdì 9 agosto 2013

E Registro Tumori di Puglia fu!

Con deliberazione della Giunta Regionale n. 1197 dell'1/7/2013 è stato istituito il Registro dei Tumori per la Regione Puglia. La pubblicazione è sul Bollettino Ufficiale della Regione n. 108 del 6/8/2013.


giovedì 8 agosto 2013

Sinergia: la parola preferita dai politici (e la più ambigua...)

Ilva, Zanonato in visita allo stabilimento: “Possibile sinergia con Piombino”

Il ministro dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato, accompagnato dal commissario straordinario dell’Ilva Enrico Bondi, ha visitato lo stabilimento siderurgico di Taranto. Il ministro, arrivato da Roma, dal consiglio dei ministri, ha effettuato un sopralluogo nell’area dei cantieri allestiti per i lavori previsti dall’Aia, l’Autorizzazione integrata ambientale. ”E’ possibile una sinergia temporanea tra l’Ilva di Taranto e lo stabilimento di Piombino – ha dichiarato il ministro, come riportato dall’Ansa – siamo in una fase in cui ci sono segnali di ripresa e l’Ilva di Taranto dovra’ ridurre la produzione per i lavori dell’Aia. Questo potra’ servire per far produrre acciaio all’altoforno di Piombino, dove si sta cercando di trovare una soluzione diversa”. Zanonato ha aggiunto: ‘La salute è al primo posto, poi bisogna salvaguardare l’occupazione. Mi sono convinto che non c’e’ possibilità solo di bonificare l’impianto, ma bisogna rimetterlo in piena efficienza in base all’Autorizzazione integrata ambientale e questo servirà per tutelare la salute”. ’In base a quanto riferito dal ministro, il piano industriale è previsto per settembre. (Inchiostroverde)

L'ultima sub-roncata: "facciamolo alla tedesca!"


Ronchi promette un'Ilva alla tedesca

Sub commissario Edo Ronchi, il ministro Flavio Zanonato ha detto che la domanda di acciaio è ripartita: ciò riguarda anche l’Ilva?
«I dati sia degli ordini sia del fatturato di luglio dell’Ilva sono in significativo aumento e promettenti e anche se è presto per parlare di una ripresa stabile si può ben sperare, anche perché le produzioni dell’Ilva sembrano in grado di tenere spazi di mercato, interno ed estero».
A che punto è il piano ambientale e quali sono le sue linee guida?
«La legge 3 agosto 2013 numero 89 prevede che la stesura del Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria sia fatta entro 60 giorni dalla nomina dei tre esperti, quindi entro il 15 settembre; c’è poi un mese per le consultazioni e quindi un altro mese per la stesura finale: entro metà novembre dovrebbe esserci pronto il Piano che deve prevedere azioni e tempi necessari per garantire le prescrizioni dell'Aia. Dovrà anche "garantire il rispetto delle prescrizioni di legge" in materia non regolate dall’Aia, cioè gestione dei rifiuti, scarichi idrici e di gestione delle acque di prima pioggia, sequestri disposti dalla magistratura che richiedono interventi di messa a norma e di rischi di incidenti rilevanti. L’istruttoria delle misure è stata avviata, resta da fare alcune verifiche dei tempi che dipendono dalle soluzioni tecnologiche da adottare, prevedibilmente entro agosto».
L’Aia deve essere applicata in 36 mesi: ce la farete?
«Capisco la preoccupazione per i ritardi nell’attuazione dell’Aia ma non è ragionevole pensare che basti il decreto e la nomina del Commissario per risolvere i ritardi precedenti. Il decreto 61, trasformato nella legge 89, attribuisce alla gestione commissariale gli stessi 36 mesi che l’Aia assegnava alla gestione precedente: le misure che stiamo valutando sono realizzabili in 36 mesi, salvo ritardi non imputabili alla gestione commissariale: per esempio, i tempi delle autorizzazioni delle autorità competenti saranno rispettati? Quanto ci vorrà per avere discariche disponibili?».
A proposito di discariche recentemente ci sono state molte polemiche: come è la situazione? «Anche migliorando, come faremo, le attività di riciclo dei rifiuti, si produrrà una significativa quantità di rifiuti, destinata a crescere con le attività di bonifica e quindi serviranno nuove discariche. Continuerò a cercare un’intesa con tutti i livelli istituzionali su tre punti: sarebbe meglio smaltire questi rifiuti in discariche interne dell’Ilva per ragioni ambientali (evitare l’impatto del trasporto e quello dei traffici non sempre controllabili date le ingenti quantità di rifiuti prodotti), per ragioni di tempi ( trovare soluzioni idonee, stipulare contratti, eccetera, richiedono tempi troppo lunghi) e per ragioni economiche (stiamo parlando di una capacità di oltre 4 milioni di tonnellate di rifiuti il cui smaltimento in discariche esterne costerebbe intorno ai 400 milioni di euro). Abbiamo due discariche interne: per rifiuti pericolosi e per rifiuti non pericolosi,dalla positiva valutazione d’impatto ambientale e la cui collocazione e il cui progetto sono già stati giudicati ambientalmente idonei; noi siamo in grado di progettare e realizzare modalità di costruzione e di gestione di queste discariche perfettamente a norma. Se tutti i livelli istituzionali fossero d’accordo su questi tre punti, senza aprire conflitti sulle competenze né affidandoci a opinioni singole, si potrebbe recuperare il ritardo accumulato dal 2007».
E a che punto è il piano industriale?
«Il piano industriale comprenderà le misure di quello ambientale che regolerà in parte anche l’attività produttiva dello stabilimento e conterrà anche misure di investimento di tipo produttivo per il miglioramento impiantistico, misure di riorganizzazione aziendale e, infine, il piano finanziario che è già ad uno stadio avanzato di elaborazione e che è seguito personalmente da Bondi».
Ilva può essere davvero risanata?
«Poiché in Italia consumiamo da 27 a 30 milioni di tonnellate di acciaio, ne importiamo circa 14 e ne esportiamo 12 , dovremmo cercare di produrlo e di non mandare altrove le produzioni che richiedono maggiore impegno ambientale. In Germania - dove si producono 42 milioni di tonnellate d’acciaio - a Duisburg c’è un’acciaieria della TyssenKrupp, che produce più acciaio dell’Ilva, 8,5 milioni di tonnellate annue, con lo stesso ciclo produttivo e quell’ impianto, vicino alla città, funziona in modo sostenibile. Perché mai non dovremmo riuscirci anche noi?»

Sostenibili a colpi di regali...

ETS: 160 milioni per centrali elettriche e Ilva di Taranto


AssoRinnovabili grida allo scandalo. Le due delibere derivano da un decreto approvato dal Governo Berlusconi nel 2010, e ancor prima dal Piano Nazionale di Assegnazione delle quote di CO2 del 2006 approvato dal Governo Prodi. Nel vecchio sistema dell'Emission Trading Scheme, cioè del mercato delle emissioni di carbonio, in teoria chi emette CO2 deve comprare un "diritto di emissione" detto anche "quota".
Le quote, in larga parte, sono state regalate in forma di diritti di emissione gratuita a centrali elettriche e industrie energivore. Chi entrò nel sistema ETS successivamente, i cosiddetti "nuovi entranti", si trovò senza permessi gratuiti a disposizione e se li è dovuti comprare a differenza di chi è arrivato prima. Ecco, allora, l'arrivo dei rimborsi per 160 milioni di euro.
 "Assistiamo a una liberalità ingiustificata a favore delle fonti inquinanti - commenta Agostino Re Rebaudengo, presidente assoRinnovabili, la nuova associazione nata dalla fusione di Aper e Assosolare - perché proprio mentre si criticano le rinnovabili e i presunti costi per il loro sviluppo determinando lo stop agli incentivi e l’estensione della Robin Tax, si distribuiscono 160 milioni di euro di contributi pubblici in favore dei combustibili fossili. E’ tempo che l’Italia assuma posizioni chiare e coerenti per definire un prezzo minimo della CO2, si batta per diminuire le emissioni autorizzate e termini di dare contributi a favore delle fonti fossili".
Tra le imprese rimborsate, come detto, c'è anche l'Ilva di Taranto che riceverà 3 milioni di euro sommando tutti i rimborsi dei vari anni. Dagli allegati (qui e qui) pubblicati dall'AEEG con l'elenco delle aziende emerge che Enel percepirà 51 milioni di euro e Sorgenia 25 milioni.
Peppe Croce - greenbiz

Taranto: città di sprechi e speculazioni

NO al Piano Cimino: 10 anni dopo il suo NO al Progetto "Sircom" Legambiente ribadisce la sua netta opposizione a nuove rovinose cementificazioni 

Circa 10 anni dopo la bocciatura del progetto da parte del Consiglio Comunale ci riprovano.
  L'area intorno alla Palude Erbara è nuovamente sotto il tiro della Sircom. Come allora, Legambiente ribadisce il suo fermo NO a questa nuova rovinosa colata di cemento.
  Il progetto va ad interessare un'area, il comprensorio palude Erbara - Salina Grande, interna al bacino idrografico del Mar Piccolo e per questo dai fragili equilibri idrogeologici ed ambientali. Un'area caratterizzata da un complesso ecosistema ambientale e paesaggistico, importante anche sotto l'aspetto faunistico per il passaggio e la sosta di diverse specie protette di uccelli migratori e stanziali. Un'area che va salvaguardata a tutti i costi. Non a caso Salina Grande e secondo seno del Mar Piccolo sono stati riconosciuti siti di interesse comunitario (s.i.c.). Per garantirne la tutela, secondo Legambiente, occorre che siano accorpati in un'area destinata a riserva regionale.

Per Lunetta Franco, presidente del circolo Legambiente di Taranto "il progetto costituirebbe un'espansione urbanistica della città del tutto deleteria anche sotto l'aspetto sociale ed urbanistico. Comporterebbe, infatti, un ulteriore consumo di suolo a fini meramente speculativi in una cintura urbana sin troppo dilatata ed ormai difficilmente governabile sul piano dei servizi e del controllo sociale."
   Per Legambiente, inoltre, la realizzazione del progetto accentuerebbe i processi di spopolamento dei quartieri storici della città e la sofferenza della piccola distribuzione, a sua volta perno della vivibilità di gran parte del contesto urbano consolidato.
  "Quel che lascia particolarmente perplessi", aggiunge Leo Corvace, del direttivo del circolo "è che in questi anni non si sia ancora messo mano ad un piano regolatore distorto nelle sue previsioni di espansione urbanistica e di incremento della popolazione. Questo ha comportato che si continuasse a costruire a dismisura in periferia ed a stravolgere sempre più l'assetto edilizio originario del centro cittadino".
  Il pericolo per quest'area non viene infatti solo dalla riproposizione del progetto Sircom, ma anche dalla nuova massiccia cementificazione prevista nel piano particolareggiato attualmente all'esame negli uffici comunali.
  Legambiente ribadisce la necessità di uno stop senza deroghe all'espansione urbanistica della città e l'urgenza di una politica basata sul recupero urbanistico ed edilizio. Il patrimonio ecologico e paesaggistico va tutelato e valorizzato, non cementificato: a tal fine va allargata la riserva regionale della palude La Vela sino a comprendere la Salina Grande, Cimino e l'area intorno alla Palude Erbara.

Osservazioni di Legambiente sul PEE Ilva

Piano di Emergenza Esterno Stabilimento ILVA di Taranto: Assente l'analisi sul "rischio tornado"

Per garantire maggiore sicurezza ed efficacia è necessario integrare il PEE ILVA con quello dell'ENI e del PORTO e considerare i trasporti di sostanze pericolose all'interno dello stabilimento.
  Legambiente Taranto  ha presentato il 5 agosto le proprie Osservazioni al Piano di Emergenza esterno dello Stabilimento ILVA di Taranto
  Innanzitutto Legambiente ritiene che Taranto debba rientrare, per la complessità del suo apparato industriale ed il rischio costituito dalle sua attività, tra le aree "ad elevata concentrazione di stabilimenti " ai sensi dell'art. 13 del Dlgs 334/99 e s.m..
Nelle more dell'assunzione di tale provvedimento da parte del Ministero dell'Ambiente, per Legambiente è necessario coordinare ed integrare il PEE dell'ILVA con quello dell'ENI e del porto (ndr. "il rapporto di sicurezza") per garantire maggiore sicurezza al territorio ed efficacia al piano di intervento in caso di emergenza.
In particolare il PEE dell'Ilva dovrebbe integrarsi con quello delle due centrali termoelettriche CET/2 e CET/3, di cui la stessa azienda ha di recente rilevato la proprietà. Pur distinti sul piano societario, i processi produttivi delle due aziende sono infatti tra loro strettamente interconnessi. La necessità viene avvertita anche nelle note esplicative del PEE. Per questo Legambente richiede la formulazione di un solo PEE.
  Rispetto alla documentazione da produrre nel PEE, funzionale a garantire puntualità ed efficacia alle analisi di rischio ed agli interventi da assumere in caso di incidente rilevante, la descrizione del sito non risulta del tutto esaustiva relativamente all'aspetto "informazioni sullo stabilimento" così come previsto dal DPCM 25 febbraio 2005. Il riferimento è alla carenza di note inerenti viabilità interna dello stabilimento e mappe delle reti tecnologiche. Di particolare importanza è l'indicazione, su specifica cartografia, del tracciato relativo alle reti gas ed ossigeno, ai vari impianti di stoccaggio, al posizionamento delle torce per rilevarne il rischio in rapporto al trasporto interno di sostanze pericolose ed eventuale effetto domino per la loro vicinanza. Nella descrizione territoriale mancano citazioni riguardanti la presenza di discariche in esercizio e dismesse all'interno e fuori del perimetro Ilva. Vedi "Mater Gratiae", "Cava Due Mari", ex cava "Cementir", ex cava "Briotti", "Italcave", "Gennarini", etc
  La notevole estensione dell'area dello stabilimento siderurgico, circa 15 mln di mq con al suo interno 50 km di strade e 200 km di ferrovia, impone di superare l'attuale analisi del PEE limitato alla valutazione dei rischi di incidenti rilevanti in relazione ai soli processi produttivi. Si ritiene, infatti, che nella loro valutazione alcuni incidenti rilevanti potrebbero presentare, rispetto alla casistica del PEE, un maggiore impatto se causati da mezzi trasportanti sostanze pericolose e/o infiammabili. Ci si può riferire, ad es., alle condotte dei gas di recupero o ai serbatoi di ossigeno. Occorre quindi che il P.E.E riporti i dati riferiti al trasporto intermodale delle sostanze pericolose all'interno dello stabilimento. In particolare, le cifre in merito a quantità, tipologia e pericolosità delle merci trasportate via mare, su gomma e rotaia ed alla quantità dei vettori interessati anche in entrata ed uscita dallo stabilimento. Questi ultimi dati assumono importanza anche in relazione al rischio che incombe sulla strada per Statte, rientrante nella terza zona "di attenzione" ma sulla quale potrebbero inscenarsi incidenti di maggior rilievo se ad essere coinvolto nelle conseguenze di un incidente rilevante interno allo stabilimento Ilva fosse un mezzo con trasporto di merci pericolose.
  Mancano nel PEE analisi circa l'effetto domino conseguente ad incidente rilevante con ripercussioni nelle due centrali termoelettriche CET/2 e CET/3. .
Mancano, inoltre, dati inerenti la dispersione di emissioni diffuse di gas od ossigeno lungo le reti, su giunture e valvole o dagli impianti di stoccaggio, nonché sulla quantità di torce e camini presenti nello stabilimento e sulla temperatura, generalmente rilevante, dei fumi in uscita dagli stessi. Di conseguenza si registra l'assenza di qualsiasi riferimento al rischio determinato da emissioni diffuse di gas od ossigeno che vanno ad impattare con camini e torce.
Legambiente ritiene che l'azienda non possa esimersi dal redigere una valutazione dei rischi rapportati  ad un mancato funzionamento delle torce sulle reti dei gas siderurgici. .
  Infine Legambiente richiama l'attenzione sull'assenza di analisi in rapporto al rischio tornado. I mutamenti climatici del pianeta hanno con tutta evidenza inciso anche sulle caratteristiche atmosferiche dell'area del Mediterraneo rendendole sempre più instabili e protese alla formazione di fenomeni meteorologici dagli effetti anche devastanti. Riscontri in tal senso si sono registrati in loco il 28 novembre scorso quando un tornado ha provocato una vittima e gravi danni al territorio. L'impatto prodotto dal suo passaggio nell'area portuale ed all'interno dello stabilimento siderurgico deve necessariamente portare a considerare nel PEE anche questo tipo di rischio.

martedì 6 agosto 2013

Siamo in trappola... già!

E fa bene!

Ecco la reazione di Vendola al vergognoso articolo dell'Espresso
Discariche Ilva. Vendola querela l'Espresso e Taranto Buonasera 
 Il Presidente della Regione Puglia Nichi Vendola comunica, in relazione alle notizie di stampa pubblicate negli ultimi giorni attinenti alle discariche dell’Ilva, di aver dato mandato agli avvocati per far valere, in tutte le sedi, la responsabilità degli autori.
“Gli articoli pubblicati - ha affermato Vendola - contengono molteplici affermazioni false e offensive che saranno ovviamente oggetto di azione penale e di risarcimento civile nei tribunali. Questo vale per l’Espresso, per Taranto Buonasera e per chiunque dovesse riprendere una cosa cosi manifestamente infondata, vista anche la battaglia storica della Regione Puglia nei confronti di questi signori dei rifiuti”.
 “Alla nostra battaglia – ha spiegato Vendola – combattuta anche con lo spirito di evitare una nuova infrazione comunitaria sul problema delle discariche, la lobby dell’acciaio, ben rappresentata in Parlamento, ha replicato con la seguente diffamazione: che la lotta per il rispetto delle norme comunitarie, in tema di autorizzazione di discariche Ilva, era frutto della volontà di favorire da parte mia e da parte della Regione, le discariche attualmente esistenti all’esterno della fabbrica”.
Il Presidente Vendola dunque smentisce radicalmente quanto affermato in ordine alla intenzione della Regione di impedire o rallentare il processo autorizzativo, che costituisce una pura invenzione ed integra gli estremi della calunnia penalmente perseguibile.
La posizione della Regione è chiara e coerente fin dall’inizio: il rilascio dell’autorizzazione necessaria per le discariche di ILVA spetta al Ministero dell’Ambiente, che ha omesso fino ad oggi di pronunciarsi sulla richiesta, presentata nel 2007, e che ha riconosciuto in atti formali la propria competenza.
Quanto alla Regione, essa è competente al rilascio della VIA, che difatti è intervenuta nel 2010 in base ad un articolato e approfondito procedimento.
Dunque, oggi manca il rilascio dell’AIA, imposto da norme comunitarie (a pena di infrazione contro lo Stato), e di competenza del Ministero.
In nessun modo la Regione ha inteso ingerirsi nel tema delle discariche, limitandosi, da ultimo, a prendere atto di un contributo tecnico dell’ISPRA inviato dallo stesso Ministero dell’Ambiente, che evidenzia profili di criticità sopravvenuta nello stato dei luoghi, sui quali si stanno ovviamente compiendo i necessari approfondimenti.
Ovviamente, la Regione non è favorevole all’attivazione di discariche in mancanza delle autorizzazioni prescritte a tutela di salute ed ambiente, anche perché ciò costituirebbe violazione del diritto comunitario e presterebbe il fianco a procedure di infrazione. (PressRegione)