La storia di Alessandro Rebuzzi nell'articolo di Parallelo 41, di Mariateresa Belardo.
Respiro. Vita. Dal primo istante all’ultimo. Respiro. Vita. Come per i
battiti del cuore, e per le altre funzioni vitali, diamo per scontato
che è così che debba essere, fino a quando non si ascolta una storia di
respiro negato, e ci si rende conto che anche il diritto all’aria può
essere, a volte, negato.
Ci
sono, in diverse parti d’Italia, altre Terre dei fuochi, con
problematiche diverse dalle nostre eppure tanto simili nelle
conseguenze. A Taranto, per esempio, c’è il più importante stabilimento
italiano dell’Ilva, il principale complesso industriale per la produzione di acciaio.
Nel 2012, a carico dei dirigenti dell’Ilva, sono state ipotizzate le
accuse di disastro colposo e doloso, avvelenamento di sostanze
alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro,
danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di
sostanze pericolose e inquinamento atmosferico. Particolarmente
inquinanti le polveri sottili emesse, che fungono da veicolanti dei gas
nocivi.
Sempre nel 2012, a Taranto, è morto Alessandro Rebuzzi, il guerriero
coraggioso. Alessandro era nato con una malattia genetica grave, la
fibrosi cistica. Una malattia che colpisce e danneggia, in particolare,
l’apparato respiratorio e digerente; grazie ai progressi realizzati
dalla medicina oggi l’aspettativa di vita è arrivata a superare i
quarant’anni. Alessandro aveva 16 anni, e la sfortuna di essere nato a
Taranto, nei pressi dell’Ilva, per cui respirare l’aria della sua città,
e le sue polveri sottili, lo esponeva, continuamente, al rischio di
contrarre nuove infezioni per lui letali, e per questo motivo ha avuto
bisogno di essere curato con una terapia particolare, che viene
effettuata solo in ospedali specializzati del nord Italia.
A scadenza quindicinale, quindi, per sedici anni, è stato curato a
Verona, nell’ospedale di Borgo Trento, da un medico contro il quale
adesso pende una denuncia penale, che i genitori di Alessandro hanno
presentato per presunte gravi negligenze professionali.
Quando ci ha parlato di Alessandro, suo padre, Aurelio Rebuzzi, aveva la
voce rotta dal pianto. Un padre coraggio, come le nostre mamme. Noi di
Parallelo41 lo abbiamo incontrato durante la presentazione del libro di
Pino Aprile, “Il Sud puzza”, quando i comitati ambientalisti di tutto il
sud d’Italia si erano riuniti ad Orta di Atella. Aurelio reggeva, in
alto, la gigantografia di Alessandro, sulla quale campeggiava la frase
“Voglio respirare ad occhi chiusi”.
“La stessa foto – ci racconta Aurelio – è sulla scrivania della
dottoressa Anna Patrizia Todisco, il giudice per le indagini preliminari
di Taranto che ha firmato l’ordinanza di sequestro dell’area a caldo
dello stabilimento Ilva”.
Alessandro era un ambientalista convinto, ha lottato, ogni volta che la
malattia glielo consentiva, manifestando in prima linea. C’è una foto
che lo ritrae durante la manifestazione organizzata davanti al tribunale
di Taranto, a sostegno del giudice Todisco, a conclusione dell’
incidente probatorio contro il gruppo Riva, amministratore dell’Ilva.
Alessandro era rientrato il giorno prima da Verona, ma davanti alle
proteste del padre affinché non si affaticasse, con il sorriso che lo
accompagnava sempre aveva risposto: “È la mia battaglia per respirare
aria pulita, non posso aspettare che qualcun altro la combatta per me”.
Questa non è una storia di morte, ma una storia di speranza: Alessandro
amava ripetere la frase di Papa Giovanni Paolo II “prendete la vostra
vita e fatene un capolavoro”. La sua vita, anche se breve, è stata
intensa e piena di significato: oggi a Taranto il guerriero coraggioso è
un esempio, e il padre sta creando una fondazione per la cura della
fibrosi cistica, a cui sarà destinato anche l’eventuale risarcimento a
cui sarà condannato il medico che lo curava, per la cui negligenza
Alessandro, pur essendo stato ritenuto idoneo, non ha potuto essere
sottoposto al trapianto dei polmoni.
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