Parla
un imprenditore che preferisce restare anonimo per timore di vendette:
«I primi carichi partono per il sud nell'85 da Toscana e Lombardia.
Gli stessi camion poi riportavano al nord frutta e verdura»
Se vuoi capire i veleni della terra dei
fuochi, devi guardare a nord. Nel cuore della Lombardia e della Toscana
si è sviluppato il sistema criminale di gestione dei rifiuti, grazie
ad amministrazioni comunali e industrie compiacenti, pronte a spedire i
veleni verso la Campania. E il Lazio. Anzi, è alle porte di Roma che
ha inizio la dolorosa storia di Gomorra. Un parto che ha una data
precisa di nascita, il 1985.
Il racconto che un imprenditore molto importante del settore ambientale ha fatto in esclusiva al manifesto lascia poco spazio alla fantasia. Chiede l'anonimato, perché sa che la Camorra non perdona chi decide di raccontare e spiegare come funzionano gli affari milionari dei clan. Con voce decisa punta il dito verso il sistema industriale italiano: «La scorciatoia nasce sempre dall'industria - spiega -, sono sempre le aziende manifatturiere che la cercano. Se le imprese fossero etiche a monte, questo meccanismo non si innescherebbe. Secondo lei le aziende non capiscono che se il rifiuto viene smaltito con sconti del 30 o del 40% c'è qualcosa che non va? Chiudono gli occhi e fingono di essere a posto». A costo di avvelenare l'intero paese. Magari usando gli stessi camion delle scorie per riportare al nord la frutta della Campania felix. Veleni che viaggiano contaminando l'intero paese.
Gianni - è il nome di fantasia che useremo - ha un ricordo ben preciso su quello che è accaduto: «Tra il 1984 e il 1985 le analisi realizzate dalle varie agenzie ambientali sulle emissioni degli inceneritori dei rifiuti nel nord rilevarono alte concentrazioni di diossina. Tutti gli impianti dell'epoca furono chiusi uno dopo l'altro, cominciando dall'inceneritore di San Donnino a Firenze: da lì nacque tutto. Scatta l'emergenza, le regioni del nord spediscono i rifiuti verso le regioni del sud. Il Lazio fu la prima regione invasa da rifiuti partiti prima dalla Toscana e poi dalla Lombardia. Fu la discarica di Latina, Borgo Montello, in particolare a fare la parte del leone».
Dal girobolla alla camorraÈ solo l'inizio della storia. Le regioni Lazio e Campania cercano di bloccare il flusso vietando l'arrivo della monnezza dal nord. Un provvedimento che subito viene eluso introducendo il sistema del girobolla: «Gli impianti ricevevano ugualmente i rifiuti, destinati a una zona autorizzata solo formalmente. Ad esempio in Puglia, c'era una discarica che non aveva avuto divieti di ricevere i rifiuti dal nord - racconta Gianni - e sulla carta era una destinazione finale: timbrava i moduli, ma in realtà questi carichi andavano da un'altra parte. Conveniva di più: i camion si fermavano a Latina, per intenderci, i rifiuti venivano effettivamente messi in discarica a Borgo Montello, anche se i moduli venivano poi timbrati e firmati da un impianto pugliese. Lì, ad esempio, si possono trovare i sacchi blu dell'indifferenziato partito dalla Lombardia. Gli intermediari avevano tutti i timbri della destinazione fittizia in Puglia, preparavano le carte e tutto era a posto». Se in Campania e nel Lazio oggi abbiamo i veleni che contaminano le terre, lo dobbiamo anche alle discariche "virtuali" pugliesi: «Pensi, c'erano invasi in Puglia intonsi, che sulla carta hanno smaltito centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti, senza mai ricevere un solo chilo». E così i rifiuti di Lombardia e Toscana arrivano come un fiume in piena verso il Lazio e, soprattutto, la Campania. Saturando ogni spazio.
Tra Napoli e Caserta i clan subito intuiscono la portata dell'affare: «Tutte le discariche della Campania - continua Gianni - erano nelle mani della Camorra. Se non direttamente, erano in qualche modo permeabili alla pressione dei clan: Sessa Aurunca, Mondragone, quella di Vassallo, un'altra vicino a Caserta di cui non ricordo ora il nome, DiFraBi (Pianura), Terzigno, Giugliano...». Il sistema si evolve, i clan creano una rete di broker e di società commerciali che riescono ad assicurarsi gli appalti delle municipalizzate del nord Italia. Non solo: «Una volta che avevo l'autorizzazione formale dalla Puglia ad esempio, i rifiuti li potevo portare ovunque. In una cava d'argilla, li interro lì, do quattro soldi o minaccio il proprietario, non li vede nessuno e formalmente i rifiuti sono andati da un'altra parte».
Non bastano più i rifiuti solidi urbani, gli affari diventano giganteschi con la gestione delle scorie più pericolose, i veleni delle industrie. Qui entrano in gioco personaggi di spessore, come l'avvocato Cipriano Chianese, ritenuto dalla Dia il prestanome del clan dei Casalesi nel settore dei rifiuti. «Lui ha messo di tutto nella sua discarica - prosegue Gianni -, ma utilizzava lo stesso sistema del girobolla: se oggi si facesse il calcolo sui suoi sistemi di smaltimento si potrebbe vedere che formalmente ha ricevuto milioni di tonnellate, ma in discarica ne ha messe centinaia di migliaia. Il resto è finito disperso nelle cave, nelle campagne». C'è una discarica solo di carta, e uno sversamento a basso costo dove più conviene come sistema occulto. Pezzi dello stesso sistema.
Dai rifiuti tossici alla verduraIl primo avvelenamento - quasi come un contrappasso - è finito al nord, in quelle stesse città che spedivano le scorie: «La maggior parte dei camion che arrivavano nel sud con i rifiuti pericolosi, poi risalivano al nord con i prodotti alimentari, per ottimizzare la logistica. Quegli stessi camion arrivavano in Campania carichi di rifiuti da sversare e tornavano al nord carichi di frutta e verdura... Prima di inquinare i terreni, hanno inquinato i prodotti!». Così i trafficanti hanno avvelenato e ucciso.
Il racconto che un imprenditore molto importante del settore ambientale ha fatto in esclusiva al manifesto lascia poco spazio alla fantasia. Chiede l'anonimato, perché sa che la Camorra non perdona chi decide di raccontare e spiegare come funzionano gli affari milionari dei clan. Con voce decisa punta il dito verso il sistema industriale italiano: «La scorciatoia nasce sempre dall'industria - spiega -, sono sempre le aziende manifatturiere che la cercano. Se le imprese fossero etiche a monte, questo meccanismo non si innescherebbe. Secondo lei le aziende non capiscono che se il rifiuto viene smaltito con sconti del 30 o del 40% c'è qualcosa che non va? Chiudono gli occhi e fingono di essere a posto». A costo di avvelenare l'intero paese. Magari usando gli stessi camion delle scorie per riportare al nord la frutta della Campania felix. Veleni che viaggiano contaminando l'intero paese.
Gianni - è il nome di fantasia che useremo - ha un ricordo ben preciso su quello che è accaduto: «Tra il 1984 e il 1985 le analisi realizzate dalle varie agenzie ambientali sulle emissioni degli inceneritori dei rifiuti nel nord rilevarono alte concentrazioni di diossina. Tutti gli impianti dell'epoca furono chiusi uno dopo l'altro, cominciando dall'inceneritore di San Donnino a Firenze: da lì nacque tutto. Scatta l'emergenza, le regioni del nord spediscono i rifiuti verso le regioni del sud. Il Lazio fu la prima regione invasa da rifiuti partiti prima dalla Toscana e poi dalla Lombardia. Fu la discarica di Latina, Borgo Montello, in particolare a fare la parte del leone».
Dal girobolla alla camorraÈ solo l'inizio della storia. Le regioni Lazio e Campania cercano di bloccare il flusso vietando l'arrivo della monnezza dal nord. Un provvedimento che subito viene eluso introducendo il sistema del girobolla: «Gli impianti ricevevano ugualmente i rifiuti, destinati a una zona autorizzata solo formalmente. Ad esempio in Puglia, c'era una discarica che non aveva avuto divieti di ricevere i rifiuti dal nord - racconta Gianni - e sulla carta era una destinazione finale: timbrava i moduli, ma in realtà questi carichi andavano da un'altra parte. Conveniva di più: i camion si fermavano a Latina, per intenderci, i rifiuti venivano effettivamente messi in discarica a Borgo Montello, anche se i moduli venivano poi timbrati e firmati da un impianto pugliese. Lì, ad esempio, si possono trovare i sacchi blu dell'indifferenziato partito dalla Lombardia. Gli intermediari avevano tutti i timbri della destinazione fittizia in Puglia, preparavano le carte e tutto era a posto». Se in Campania e nel Lazio oggi abbiamo i veleni che contaminano le terre, lo dobbiamo anche alle discariche "virtuali" pugliesi: «Pensi, c'erano invasi in Puglia intonsi, che sulla carta hanno smaltito centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti, senza mai ricevere un solo chilo». E così i rifiuti di Lombardia e Toscana arrivano come un fiume in piena verso il Lazio e, soprattutto, la Campania. Saturando ogni spazio.
Tra Napoli e Caserta i clan subito intuiscono la portata dell'affare: «Tutte le discariche della Campania - continua Gianni - erano nelle mani della Camorra. Se non direttamente, erano in qualche modo permeabili alla pressione dei clan: Sessa Aurunca, Mondragone, quella di Vassallo, un'altra vicino a Caserta di cui non ricordo ora il nome, DiFraBi (Pianura), Terzigno, Giugliano...». Il sistema si evolve, i clan creano una rete di broker e di società commerciali che riescono ad assicurarsi gli appalti delle municipalizzate del nord Italia. Non solo: «Una volta che avevo l'autorizzazione formale dalla Puglia ad esempio, i rifiuti li potevo portare ovunque. In una cava d'argilla, li interro lì, do quattro soldi o minaccio il proprietario, non li vede nessuno e formalmente i rifiuti sono andati da un'altra parte».
Non bastano più i rifiuti solidi urbani, gli affari diventano giganteschi con la gestione delle scorie più pericolose, i veleni delle industrie. Qui entrano in gioco personaggi di spessore, come l'avvocato Cipriano Chianese, ritenuto dalla Dia il prestanome del clan dei Casalesi nel settore dei rifiuti. «Lui ha messo di tutto nella sua discarica - prosegue Gianni -, ma utilizzava lo stesso sistema del girobolla: se oggi si facesse il calcolo sui suoi sistemi di smaltimento si potrebbe vedere che formalmente ha ricevuto milioni di tonnellate, ma in discarica ne ha messe centinaia di migliaia. Il resto è finito disperso nelle cave, nelle campagne». C'è una discarica solo di carta, e uno sversamento a basso costo dove più conviene come sistema occulto. Pezzi dello stesso sistema.
Dai rifiuti tossici alla verduraIl primo avvelenamento - quasi come un contrappasso - è finito al nord, in quelle stesse città che spedivano le scorie: «La maggior parte dei camion che arrivavano nel sud con i rifiuti pericolosi, poi risalivano al nord con i prodotti alimentari, per ottimizzare la logistica. Quegli stessi camion arrivavano in Campania carichi di rifiuti da sversare e tornavano al nord carichi di frutta e verdura... Prima di inquinare i terreni, hanno inquinato i prodotti!». Così i trafficanti hanno avvelenato e ucciso.
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