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Ecco cosa ne pensano anche i giudici in merito all'"utilità" di barriere e zanzariere:
Bocciata dai Pm la barriera Ilva contro la polvere
Era il 5 luglio del 2012, mancavano venti giorni agli arresti e al sequestro dello stabilimento Ilva, eppure tutto sembrava andare come sempre. C’erano tra gli altri il sindaco di Taranto Ezio Stefàno, monsignor Marco Gerardo, il direttore dello stabilimento Adolfo Buffo e il potente responsabile delle relazioni esterne dell’Ilva Girolamo Archinà. Inauguravano, con tanto di benedizione, l’avvio dei lavori di montaggio della barriera di contenimento delle polveri, secondo gli accordi sottoscritti con la giunta regionale.
Stefàno, don Marco, Buffo e Archinà sono, a vario titolo, 4 dei 53 destinatari dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari dell’inchiesta sul disastro ambientale e quella barriera, che fa bella mostra di sè tra i parchi minerali e il rione Tamburi, vale ora una contestazione specifica di reato a carico del patron dell’Ilva Emilio Riva, ai figli Fabio e Nicola, all’ex direttore della fabbrica Luigi Capogrosso, ai fiduciari Lanfranco Legnani, Alfredo Ceriani, Giovanni Rebaioli, Agostino Pastorino, Giuseppe Casartelli, Cesare Corti; ai capi reparto e capi area Marco Andelmi, Angelo Cavallo, Ivan Dimaggio, Salvatore De Felice, Salvatore D’Alò, al presidente Bruno Ferrante e a Girolamo Archinà e Adolfo Buffo, presenti quel giorno. Secondo la Procura, gli indagati hanno effettuato i lavori di scavo per la realizzazione della fondazione della barriera frangivento in zona parchi in un’area ricompresa nei limiti di perimetrazione del sito d’interesse nazionale di Taranto in assenza del certificato di avvenuta bonifica e in un sito peraltro sottoposto a sequestro da parte dell’autorità giudiziaria. I rifiuti derivanti dai lavori di scavo delle fondazioni, poi, sarebbero stati depositati in maniera incontrollata su un suolo non pavimentato nell’area parchi, favorendo così la diffusione degli inquinanti e delle polveri in atmosfera.
Quegli stessi rifiuti sarebbero stati gestiti come rifiuti non pericolosi sebbene il loro livello di contaminazione era stato già accertato nell’ambito della procedura di caratterizzazione e bonifica del sito d’interesse nazionale di Taranto. Un disastro su tutta la linea, insomma, anche se proprio i lavori di realizzazione di quella barriera frangivento sono stati al centro di una vera e propria polemica tra l’azienda, che la riteneva quasi risolutiva per evitare che la polvere dei parchi minerali finisse nelle vicine case del rione Tamburi e il pool di custodi giudiziari nominati dal gip Patrizia Todisco.
«Considerata - scrissero i tecnici guidati dall’ing. Barbara Valenzano - la realizzazione prevista di una barriera frangivento, lunga circa 1.600 metri e alta 21 metri, sul tratto interno allo stabilimento confinante con la provinciale per Statte e la statale per Grottaglie ed i risultati dello “Studio di impatto atmosferico dei parchi materie prime dello stabilimento Ilva di Taranto”, redatto dal Cnr-Iia di Roma, nonché i pareri già espressi dagli esperti nominati dal Comune di Taranto e dalla Provincia di Taranto nell’ambito della “Consulenza tecnica relativa alle problematiche ambientali dello stabilimento siderurgico Ilva di Taranto”, si ritiene che la riduzione ed il contenimento della diffusione di polveri materiali polverulenti disposti in cumuli all’aperto, che trova la sua genesi nell’azione di erosione e trascinamento del vento sulle frazioni dimensionali sensibili, ma anche in tutte le fasi in cui i materiali vengono disturbati da azioni meccaniche, si persegua unicamente con l’adozione delle migliori tecnologie disponibili e pratiche di lavoro, impedendo che le correnti d’aria possano esercitare la loro azione sulle sorgenti di rischio. Si ritiene, nello specifico, che la “barriera frangivento” (così detto “barrieramento”) assolva alla analoga funzione dell’attuale recinzione e non all’intercettazione e contenimento».
Per i custodi, insomma, era evidente, già allora, malgrado atti di intesa, cerimonie e benedizioni, che l’unico intervento plausibile che «possa limitare i fattori condizionanti le emissioni e gli impatti del parco minerali e fossili dell’Ilva, nonché a migliorare gli impianti a partire dai limiti dell’area» era, e sia tutt’ora, «la copertura dei parchi minerari e di tutte le aree che potenzialmente determinano emissioni polverulente».(GdM)
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