Lettera al Corriere del Giorno di Giancarlo Girardi
Si è conclusa una fase storica per la nostra città. Oggi, con la chiusura dell’ inchiesta della magistratura, è possibile affermarlo e capire ciò che è successo in questi anni. Mi è capitato di percorrerne gli ultimi dieci con grande attenzione ed impegno attraverso le tante riflessioni su queste colonne e vivendo direttamente le nostre vicende attraverso un breve, iniziale, mio ritorno all’attività politica ed in larghissima parte, dopo, con la società civile, associazioni e movimenti vari. Taranto appare davvero, come afferma la nostra direttrice, “la capitale negativa dell’Italia”. Le due “Questioni”, ambientale e morale, sono state intrecciate tra loro da tanto tempo. L’etica miserabile degli uomini è divenuta povertà per un’intera collettività. Taranto oggi appare povera come forse mai nella sua storia recente, offesa, usata per poi essere gettata, pronta adesserlo ancora... ma questo dipenderà da tutti noi. Un territorio tanto bello quanto infelice per la sua ricchezza naturale, strategicità militare, industriale ed economica ma... per altri. Oggi è avvelenata nella sua aria, nella sua terra, nelle sue acque, nella sua moralità pubblica. Eppure doveva essere chiaro a tutti ciò che è visibile ora da riscontri oggettivi, allorché diversi anni fa si usciva dal più grande dissesto delle casse pubbliche cittadine causato da un sistema di potere, uomini e donne affaccendati sui loro tornaconti personali e totalmente disinteressati, almeno in apparenza, del rapporto con la nuova proprietà della più grande fabbrica d’ acciaio qui da noi ospitata mentre produceva in uno splendido, incontrollato, isolamento. Un rapporto fabbrica - territorio inedito e selvaggio anche rispetto al suo recente passato. Mi è capitato di contribuire, sette anni fa, nello scrivere le pagine del programma di rinascita che doveva essere quello, totalmente disatteso, dell’attuale riconfermato sindaco. C’ era scritto in quelle pagine come ambiente e moralità fossero intimamente collegate tra loro e la necessità di avere un ruolo assolutamente diverso con le aziende qui
presenti, sino allora subalterno. Che la crescita economica della aziende non coincideva con lo sviluppo del territorio ma con il suo impoverimento. Sembrò ci fosse il medico giusto e la ricetta per guarire una città già allora moribonda. Quel sistema di potere non solo sopravvisse ma si sottomise ancora
di più ai voleri del nuovo padrone della città, un industriale di stampo ottocentesco. I bisogni di noi tutti, ora è chiarissimo, sono stati usati e gettati nell’agone della politica locale e regionale oltre che, storicamente, in quella nazionale. Come non ricordare la vicenda di un rigassificatore da
togliere a Brindisi (la prima battaglia dell’attuale governatore di Puglia) ed impiantarlo a Taranto, sinergico con gli interessi di Edison, Eni ed Ilva di cui tutti erano concordi? Come non ricordare che è lì l’origine di una
ritrovata riscossa cittadina? Ed il progetto della nuova centrale termoelettrica Ilva il cui costo era di poco inferiore a quello con cui il “Cavaliere d’acciaio” acquisì l’intera fabbrica pubblica e che avrebbe
utilizzato anche quel metano? Come non considerare che il diritto al lavoro, costituzionale, non coincida con quello al “posto di lavoro” e su questa ambiguità si sono costruiti compromessi al ribasso? Come non ricordare ai sindacati ed alla politica che il diritto alla vita ed alla salute, fondamentale per la Carta,nasce storicamente e fisicamente all’interno delle fabbriche, prima ancora per i cittadini, e che spetta per prima alla classe operaia (antica e sempre valida definizione) ed ai suoi rappresentanti risolverlo? In diciotto anni di permanenza di Riva non c’è mai stata una piattaforma rivendicativa che abbia messo in discussione l’organizzazione del lavoro, gestita dagli “uomini ombra di Riva”, fonte di tanti omicidi sul lavoro
e di future malattie professionali. Omertoso! E’ così che deve essere chiamato, fuori e dentro la fabbrica, il clima che si è vissuto. Oggi il mercato e le sue regole impongono alle multinazionali presenti sul nostro territorio, per niente sottoposte al vincolo costituzionale del “fine sociale dell’impresa”, di andare
via ed alla quasi totalità dei nostri giovani di migrare. Chiuderà anche la grande fabbrica se il costo del suo prodotto crescerà con quello, oramai indifferibile, del rispetto al territorio che l’ha ospitata in cinquanta anni.
Una borghesia locale industriale inesistente, avvoltoi e mentecatti che calano qui da noi nel segno dell’energia “pulita” pronti a sporcare uomini e cose nella regione che è prima in Italia per esportazione di elettricità da carbone e che ne produce più del doppio delle sue necessità. Non c’è, né ci poteva essere, nessun vanto politico da rivendicare. Non ci sono “primarie” politiche solutrici dei problemi incancreniti della nostra città. La città si è svegliata da tempo, la società civile, anch’essa antica e sempre valida definizione, ha
svolto e svolgerà il suo naturale compito di autodifesa in attesa che la politica torni al suo primato. Mi sia consentito, in ultimo, di affermare che la magistratura svolge il suo dovere e che l‘ambientalismo tarantino non ha mai avuto forme di estremismo. E’ stato maturo con le sue proposte tecniche e scientifiche portate avanti con competenza e responsabilità nelle sedi giuste, a Taranto, Bari, Roma.
Il solo estremismo è stato quello della grande fabbrica che ha esercitato con violenza ed irresponsabilità il suo potere di vita e di morte su lavoratori e cittadini.
La sola ipocrisia è stata quella di una certa politica che occupando indegnamente le Istituzioni democratiche ha mostrato incapacità e servilismo.
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