Le interviste:
di Roberto FLAVI (quotidiano di Puglia)
TARANTO
- «Non ho nessuna fiducia nella magistratura di Taranto. Mi hanno
rivolto una accusa infamante. Ne prendo atto, la respingo al mittente e
non ho più nulla da aggiungere». Non si placa la furia di
Giorgio Assennato, il direttore di Arpa Puglia, che si è ritrovato
indagato nell’inchiesta per il disastro ambientale contestato all’Ilva
di Taranto. Anche a lui è stata notificata un’informazione di garanzia.
Risponde di favoreggiamento, ma l’accusa che lo ha mandato in bestia è
quella che in realtà è rivolta a Nichi Vendola. Il governatore pugliese è
accusato di concussione. Secondo i pm avrebbe fatto capire ad Assennato
di ammorbidire le sue posizioni sull’Ilva, altrimenti non lo avrebbe
confermato nel ruolo di direttore dell’agenzia regionale. Quindi
Assennato si sarebbe piegato pur di salvare la sua poltrona. Ed è
proprio questa prospettazione che ha mandato letteralmente in bestia il
direttore di Arpa.
Allora professore, la legge le mette a disposizione venti giorni per chiedere di essere interrogato. Si presenterà dinanzi ai magistrati di Taranto?
«Non ci penso nemmeno. Non mi sento tutelato e non ho bisogno di respingere quello che ho già negato in un confronto durato oltre otto ore e mezzo durante le indagini. Sono stato chiarissimo allora, per quanto mi riguarda».
Quindi lei conferma di non aver mai ricevuto pressioni dal presidente Vendola?
«Bisogna capire cosa si intende per pressione. Io per istituto devo fare attenzione alla salute e all’ambiente. Vendola chiaramente ha anche il problema di oltre undicimila posti di lavoro da salvaguardare. È chiaro, quindi, che si ha un approccio diverso. Ma io ho sempre fatto la mia parte in tutta coscienza in difesa della salute dei tarantini. E lo urlo con tutte le mie forze».
Quindi lei non ha mai percepito, anche velatamente, la minaccia di essere silurato?
«Assolutamente no. L’ho detto anche durante quelle otto ore di un interrogatorio che ritengo viziato da incostituzionalità. Perché visto che gli inquirenti non mi hanno creduto, dovevo essere informato in quel momento di essere indagato e avevo il diritto di nominare un avvocato. Non è avvenuto e si è violata quella costituzione che anche mio padre ha contribuito a redigere».
Quindi lei non ha mai ammorbidito la sua posizione nei confronti di Ilva?
«Ci mancherebbe. Non sono un venduto. Non sono stato a libro paga dei Riva. E posso aggiungere che l’Ilva non mi ha pagato mai neanche un pranzo. Quando per dovere di istituto mi sono trovato in appuntamenti conviviali ho sempre preteso ed ottenuto di pagare la mia parte. Perché credo che sia giusto agire così. Questo è Giorgio Assennato, altro che il bandito che viene dipinto in questa indagine».
Non è vero quindi che lei fece una lunga anticamera in Regione mentre era in corso una riunione con i Riva?
«Tutti sanno che non faccio anticamera. E che al massimo attendo quindici minuti per essere ricevuto. Poi vado via. A Bari lo possono confermare anche gli uscieri».
C’è una intercettazione in cui l’avvocato Perli racconta a Fabio Riva del suo cambiamento di comportamento. E dice che lei nel salutarlo lo aveva anche abbracciato. Quell’abbraccio è interpretato dagli investigatori come una sorta di sottomissione.
«Un conto è la cordialità. Altro discorso sono i fatti. Il lavoro fatto da Arpa in questi anni non è in discussione. Ed è questo che conta e che va giudicato. Chiacchiere e abbracci lasciano il tempo che trovano».
Allora professore, la legge le mette a disposizione venti giorni per chiedere di essere interrogato. Si presenterà dinanzi ai magistrati di Taranto?
«Non ci penso nemmeno. Non mi sento tutelato e non ho bisogno di respingere quello che ho già negato in un confronto durato oltre otto ore e mezzo durante le indagini. Sono stato chiarissimo allora, per quanto mi riguarda».
Quindi lei conferma di non aver mai ricevuto pressioni dal presidente Vendola?
«Bisogna capire cosa si intende per pressione. Io per istituto devo fare attenzione alla salute e all’ambiente. Vendola chiaramente ha anche il problema di oltre undicimila posti di lavoro da salvaguardare. È chiaro, quindi, che si ha un approccio diverso. Ma io ho sempre fatto la mia parte in tutta coscienza in difesa della salute dei tarantini. E lo urlo con tutte le mie forze».
Quindi lei non ha mai percepito, anche velatamente, la minaccia di essere silurato?
«Assolutamente no. L’ho detto anche durante quelle otto ore di un interrogatorio che ritengo viziato da incostituzionalità. Perché visto che gli inquirenti non mi hanno creduto, dovevo essere informato in quel momento di essere indagato e avevo il diritto di nominare un avvocato. Non è avvenuto e si è violata quella costituzione che anche mio padre ha contribuito a redigere».
Quindi lei non ha mai ammorbidito la sua posizione nei confronti di Ilva?
«Ci mancherebbe. Non sono un venduto. Non sono stato a libro paga dei Riva. E posso aggiungere che l’Ilva non mi ha pagato mai neanche un pranzo. Quando per dovere di istituto mi sono trovato in appuntamenti conviviali ho sempre preteso ed ottenuto di pagare la mia parte. Perché credo che sia giusto agire così. Questo è Giorgio Assennato, altro che il bandito che viene dipinto in questa indagine».
Non è vero quindi che lei fece una lunga anticamera in Regione mentre era in corso una riunione con i Riva?
«Tutti sanno che non faccio anticamera. E che al massimo attendo quindici minuti per essere ricevuto. Poi vado via. A Bari lo possono confermare anche gli uscieri».
C’è una intercettazione in cui l’avvocato Perli racconta a Fabio Riva del suo cambiamento di comportamento. E dice che lei nel salutarlo lo aveva anche abbracciato. Quell’abbraccio è interpretato dagli investigatori come una sorta di sottomissione.
«Un conto è la cordialità. Altro discorso sono i fatti. Il lavoro fatto da Arpa in questi anni non è in discussione. Ed è questo che conta e che va giudicato. Chiacchiere e abbracci lasciano il tempo che trovano».
_______________________________________________
L'intervista e articolo di Annalisa Latartara (corriere del giorno)
Da imputato a perito della procura a indagato. Strano destino quello del professor Lorenzo Liberti, ex rettore del Politecnico di Bari. Sembrava dovesse entrare nel processo sul disastro ambientale dell’Ilva come perito dei pm, invece… «No, no, un attimo! Sono stato consulente della procura di Taranto – ci tiene a precisare - per ben dieci anni. Ho servito questa procura più o meno in otto-nove processi, quasi tutti contro l’Ilva. In tutti, da quanto mi risulta, rendendo giustizia alla procura, che, evidentemente, non avrebbe continuato ad affidarmi le perizie se non fosse stata soddisfatta del mio lavoro. Poi è venuta fuori questa storia della pubblica illuminazione, alla quale sono totalmente estraneo. E siamo ad oggi. Dopo questo lungo periodo di matrimonio, siamo arrivati al divorzio».
E’ il 2010. Malgrado sia imputato nel processo sull’appalto della pubblica illuminazione al comune di Taranto (prossima udienza a dicembre), la procura ripone ancora una volta fiducia nel professore. Liberti, infatti, viene nominato consulente (col professor Filippo Cassano e l’ingegnere Roberto Primerano) proprio dal pm che lo ha messo sotto accusa, Mariano Buccoliero uno dei magistrati del pool titolare dell’inchiesta sul disastro ambientale.
Per la procura, evidentemente, la sua competenza è fuori discussione se, pur essendo imputato in una vicenda giudiziaria non di scarso rilievo, gli affida una perizia delicata come quella sulla diossina. Il professor Liberti, del resto, scrivono gli investigatori della Guardia di Finanza nell’informativa Ambiente svenduto “è considerato uno dei massimi esperti in materia ambientale”.
I militari delle Fiamme Gialle lo indicano come il dominus della TeTa srl, società di ingegneria che annovera fra i suoi clienti anche l’Ilva. Ma Liberti smentisce. «Non sono il dominus di nessuno. TeTa è una società realizzata da un mio allievo, uno dei tanti miei laureati, che in buona parte hanno trovato occupazione. So che Intini ha svolto per Ilva soltanto una perizia di modesta entità».
Liberti finisce sotto accusa per corruzione e il 26 novembre 2012 viene sottoposto ai domiciliari nell’ambito dell’inchiesta Ambiente svenduto. Secondo gli inquirenti, avrebbe intascato dall’Ilva una presunta mazzetta di 10.000 euro consegnatagli da Archinà in un’area di servizio nei pressi di Acquaviva delle Fonti il 26 marzo del 2010. Le immagini di una telecamera a circuito chiuso, secondo l’accusa dimostrano il passaggio di una busta contenente la presunta mazzetta. Archinà sostiene che quei 10.000 euro prelevati il giorno precedente erano la consueta offerta per la Pasqua (imminente) alla Curia. L’ex arcivescovo Papa non ricorda quell’offerta. Al contrario, il suo segretario, don Marco Gerardo la ricorda. E finisce fra gli indagati per favoreggiamento perchè secondo i pm non dice la verità.
Per i legali dell’ex rettore, che fanno leva su un’analisi delle immagini ripulite da un tecnico, si trattava solo di un foglio. Per quel video Liberti (ora in libertà) fa riferimento a quanto evidenziato dalla sua difesa durante il riesame.
La presunta tangente sarebbe servita per ammorbidire le conclusioni del perito, ritengono i pm. Ma Liberti ribadisce di aver agito nella piena legalità: «Il mio operato è legittimo. I periti chimici sono arrivati alle mie stesse conclusioni due anni dopo rispetto alla mia perizia. La scoperta che l’inquinamento ambientale, l’avvelenamento di pecore, terreni e altro, provenisse dalle emissioni diffuse dell’Ilva e non dal camino E 312, l’ha evidenziata proprio la perizia del sottoscritto. Mi è stato riconosciuto anche da Marescotti, in un virgolettato di un vostro articolo».
Liberti spiega di non aver preso soldi dall’Ilva e di non aver mai tradito la fiducia della procura. «In 21 anni a Taranto, pur avendo in Ilva il potenziale massimo cliente non ho mai fatto una consulenza per l’Ilva e non ho mai preso soldi. Da quando ho messo piede a Taranto, ho fatto una scelta di campo ben precisa, sono stato dalla parte della procura sempre. E sottolineo sempre. Se fossi stato dalla parte dell’Ilva – continua il professor Liberti – certamente avrei portato a casa altre gratificazioni professionali alle quali ho scelto consapevolmente di rinunciare. Andate a verificare l’entità delle cifre della mia consulenza e di quella dei periti di parte dell’Ilva in un processo in cui l’azienda siderurgica è stata condannata fino in Cassazione sulla base di una mia perizia».
A distanza di alcuni anni, il rapporto Liberti-magistratura è cambiato, con sua sorpresa: «Non mi aspettavo certi sviluppi dell’inchiesta. Dal mio interrogatorio dinanzi al pm al mio arresto sono trascorsi due anni e mezzo ma non mi sembra sia emerso nulla di nuovo in quel periodo di tempo. Questo comunque non inficia la fiducia nei confronti di questa magistratura che ho servito per una vita. Non lo cambio a 70 anni, altrimenti dovrei ammettere di avere sbagliato le mie scelte. Sono convinto che quando potrò esporre le mie tesi emergerà che non ho commesso alcun reato. Valuterò se sottopormi ad un interrogatorio con serenità e rinnovata stima nei pm di Taranto perchè devo dare loro atto che fanno il loro mestiere. Mi dispiace che ci sia andato di mezzo io. Ma Parigi val bene una messa».
-----------------------------
La domanda resta senza risposta però: che cosa gli avrà mai consegnato Archinà a Liberti? cosa c'era in quella busta? forse la letterina di Babbo Natale? Non si avvicinava il Natale: era imminente la Pasqua e allora? forse c'era scritto "TarantoInquinata val bene una mazzetta"! (blog del comitato per Taranto)
Nessun commento:
Posta un commento