lunedì 18 novembre 2013
Aspettando Report
Mentre l'acciaieria più grande d'Europa è alla de-Riva, Emilio, il fondatore del gruppo leader nella produzione dell'acciaio, è barricato nella sua villa con parco di Malnate. Il primogenito Fabio vive in un attico lussuoso vicino a Oxford street, cuore dello shopping di Londra. Abbiamo trovato l'alloggio che ha affittato, ma dal quale non ama uscire. Un'auto della polizia si ferma tutti i giorni sotto casa di Fabio Riva, in libertà vigilata e in attesa della prossima udienza presso la Westminster Magistrates' Court che dovrà pronunciarsi sulla richiesta di estradizione avanzata dalla magistratura tarantina il 26 novembre scorso, quando non poté eseguire il mandato di custodia cautelare. La questione sta andando un po' per le lunghe trattandosi di una pratica che di norma richiede due mesi. Ne sono passati undici.
A un'ora di volo da Londra, i Riva avevano un tesoro nascosto nel paradiso fiscale alle dipendenze dirette della Regina Elisabetta II: l'isola di Jersey, la più grande del canale della Manica. Un miliardo e novecento milioni di euro transitati prima dal Lussemburgo, dove i Riva hanno la holding che detiene il 25 per cento delle quote Ilva S.p.a., quindi schermati in quattro società delle isole Cayman, infine protetti in otto trust dai nomi esotici gestiti da UBS nel Jersey.
Il giro del mondo dei profitti Ilva è stato scoperto dal nucleo tributario della Guardia di Finanza di Milano a partire da una richiesta di scudo fiscale per un miliardo e duecento milioni di euro richiesto da Emilio Riva nel 2009. I due fratelli Emilio e Adriano Riva avrebbero sottoscritto una dichiarazione falsa, circostanza che ha portato la procura di Milano a iscriverli nel registro degli indagati per truffa aggravata e trasferimento fraudolento di valori.
Nel Jersey ci sono altri 700 milioni che la magistratura locale potrebbe mettere nella disponibilità degli inquirenti italiani, per poi aggiungerli al miliardo e duecento milioni già sotto sequestro. Il commissario straordinario Enrico Bondi avrebbe bisogno di quei soldi per iniziare il risanamento, poiché le casse dell'ILVA sono vuote.
Non si capisce perché Bondi (scelto dal governo Letta a giugno,nonostante fosse già amministratore delegato scelto dai Riva lo scorso aprile) stia indugiando a presentare il piano degli interventi per il risanamento degli impianti. Un ritardo che, unitamente alle “accertate violazioni delle prescrizioni in materia di tutela ambientale e sanitaria”(che potrebbero a breve costare un avviso di garanzia al commissario e al suo vice Ronchi), ha motivato il rigetto del GIP Todisco alla richiesta di dissequestro avanzata da Enrico Bondi delle somme sequestrate lo scorso maggio alla capogruppo Riva Fire.
Il commissario aveva già pronto il piano scritto dai custodi giudiziari del tribunale guidati dall'ingegnere Barbara Valenzano. Quel piano dettagliato prevede interventi per un totale di otto miliardi di euro soprattutto sulle aree a caldo (le più dissestate e inquinanti) e i parchi minerali. Quegli otto miliardi equivalenti al risparmio accumulato dai Riva per non avere risanato gli impianti a tutela dell'ambiente e della salute. Un paio finiti in paradiso.
La puntata integrale visibile da martedì
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