Aziendamagistrati: è braccio di ferro
Nel giorno in cui la Commissione europea avvia
ufficialmente una procedura d'infrazione nei confronti dell'Italia per
l'Ilva di Taranto, ritenendo che lo Stato italiano non abbia fatto
rispettare all'azienda le prescrizioni Ue sulle emissioni industriali,
il braccio di ferro tra il Gruppo Riva e la magistratura ionica non
accenna a diminuire dopo i sequestri di beni fatti dalla Guardia di
Finanza nelle ultime settimane. Una soluzione potrebbe però arrivare dal
governo: il decreto sarebbe pronto ma il Cda, che si dovrebbe tenere al
ritorno di Letta dagli Usa, non è ancora stato convocato per le
fibrillazioni politiche della maggioranza.
In mattinata il custode e amministratore giudiziario dei beni
sequestrati, Mario Tagarelli, ha inviato una lettera a Riva Acciaio e,
per conoscenza, al ministro dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato, e
al sottosegretario dello stesso dicastero, Claudio De Vincenti,
ribadendo tre punti, in linea con quanto indicato dal gip del tribunale
Patrizia Todisco. Primo: i beni sequestrati «incluse le liquidità
attuali e quelle differite e i prodotti finiti, devono essere gestiti e
amministrati dal custode amministratore giudiziario, che ne concederà
l'uso alla società al fine di riavviare e dare prosecuzione all'attività
aziendale».
Secondo: «non si ravvedono profili di criticità ed incertezza in ordine
al rischio, che si afferma essere stato paventato dagli istituti di
credito, del mancato recupero di quanto anticipato o garantito in favore
della società Riva Acciaio spa». Terzo: le somme di denaro sequestrate
al Gruppo Riva e confluite nel Fondo Unico di giustizia «possono essere
destinate all'amministrazione e alla gestione dei beni in sequestro».
Tagarelli aggiunge che «l'uso dei beni e della liquidità in sequestro
dovrà avvenire nell'ambito di idonee procedure di controllo e operative,
che tengano conto delle dimensioni della complessità della struttura
aziendale».
La risposta di Riva Acciaio è arrivata poche ore dopo, con la richiesta a
Tagarelli e al governo di «farsi parti attive al fine di trovare con le
banche le formule tecniche più idonee a consentire l'uso delle
liquidità sottoposte a sequestro, per il normale svolgimento delle
attività dell'azienda», e dichiarandosi «immediatamente disponibile» ad
attivarsi insieme al custode e al governo.
L'incontro dovrebbe servire in particolare a «verificare se esistano
strumenti di tecnica bancaria che consentano di adempiere alle
condizioni poste dal gip per riavere accesso alla liquidità già
sequestrata e ai futuri incassi dai clienti». Liquidità che per gran
parte (49 milioni) è già finita nel Fondo Unico di giustizia, tenuto
conto che i sequestri sono stati eseguiti nell'arco di una quindicina di
giorni, mentre gli ulteriori sette milioni di euro bloccati dovrebbero
essere immessi domani nel possesso del custode giudiziario. Riva
Acciaio, oltre che a Tagarelli, ha inviato la lettera a Zanonato, De
Vincenti e ai responsabili di Intesa San Paolo, Unicredit e Banco
popolare di Milano, i tre istituti di credito con i quali evidentemente
ha rapporti bancari.
Lo stop di Riva Acciaio comincia a farsi sentire anche sulle aziende
dell'indotto. «Auspichiamo l'immediato sblocco dei pagamenti ai
fornitori o saremmo incolpevolmente destinati a capitolare» hanno
scritto tre aziende del Cuneese, una sessantina di dipendenti diretti e
200 autotrasportatori in una lettera a Confindustria Cuneo. Il
sottosegretario De Vincenti, rispondendo a due interrogazioni alla
Camera, ha comunicato che «il governo sta in queste ore verificando se
esistono effettivamente e concretamente le condizioni per una immediata
ripresa dell'attività, valutando in caso contrario l'adozione in via
d'urgenza di nuove iniziative anche normative idonee a consentire
l'immediata ripresa dell'attività produttiva in tutti i siti del Gruppo
Riva». (GdM)
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