martedì 22 ottobre 2013

Lo spettacolo continua!

Clini: non sono uomo dell'Ilva

Riceviamo dall’ex ministro all’Ambiente un intervento sulla vicenda Ilva.

Corrado Clini

La Gazzetta del Mezzogiorno, nell’agosto 2012 in un articolo a firma Mimmo Mazza aveva scritto che, secondo un’intercettazione telefonica agli atti della Procura di Taranto, io sarei stato un «uomo dell’Ilva».
Notizia smentita qualche ora dopo con un comunicato della Procura della Repubblica di Taranto, ma che continua a girare, incurante della smentita, sul web e sulla stampa.
Sabato, in un articolo ancora a firma di Mazza sulla più volte preannunciata chiusura dell’inchiesta Ilva, si afferma che io sarei corresponsabile, in quanto direttore generale del ministero, dell’AIA rilasciata il 4 agosto 2011, oggetto dell’indagine appena conclusa con, apprendo da voi, 50 indagati.
Come ho avuto ripetutamente modo di chiarire, e come risulta dagli atti che sono pubblici e consultabili, io non ho avuto alcun ruolo nella procedura dell’Aia del 4 agosto 2011 in quanto la mia direzione, una delle 5 in cui si articola il Ministero dell’Ambiente, non si occupa di Aia. Al contrario ne ho criticato i contenuti, in contrasto con la direttiva europea Ippc che ha stabilito gli obiettivi delle Autorizzazioni Integrate Ambientali; il metodo «consociativo» con il quale è stata predisposta; i tempi per il rilascio, superiori di 10 volte a quelli stabiliti dalla legge.
In particolare, nella mia audizione del 16 luglio 2013 alla X Commissione del Senato, ho messo in rilievo che l’Aia del 4 agosto 2011 rappresenta «l’esito di una procedura scarsamente motivata sul piano tecnico, e caratterizzata da un compromesso “politico” tra la resistenza dell’impresa ad assumere impegni in linea con le migliori tecnologie disponibili e le istanze degli enti locali e delle associazioni ambientaliste in gran parte non sostenibili sul piano della fattibilità tecnica e giuridica. Questo è il contesto nel quale si collocano, e si comprendono, le positive dichiarazioni con le quali le autorità competenti hanno accolto l’Aia del 4 agosto 2011 (di cui è disponibile un’ampia rassegna stampa)».
E a questo proposito la Gazzetta del Mezzogiorno potrebbe ricordare ai suoi lettori in particolare le soddisfatte dichiarazioni di allora dell’assessore all’ambiente, Nicastro, e del direttore generale dell’Arpa Puglia, Giorgio Assennato.
Io mi sono assunto la responsabilità di modificare l’Aia del 4 agosto 2011, applicando rigorosamente la direttiva europea. Dopo un’istruttoria di 6 mesi, il 26 ottobre 2012, ho rilasciato la nuova Aia con prescrizioni finalizzate alla rimozione di tutti i fattori di rischio individuati nell’area a caldo dello stabilimento. Gli interventi previsti dovevano essere attuati in un arco temporale massimo di 36 mesi.
Il 15 novembre 2012 Ilva ha accettato le prescrizioni e presentato il piano degli interventi per dare attuazione alla nuova Aia. In questo modo la procedura si è completamente allineata alla direttiva europea, perché Aia è diventata il documento di riferimento assunto dall’impresa per la riqualificazione ambientale degli impianti.
Il sequestro dei prodotti finiti il 26 novembre 2012 ha aperto un conflitto della Procura e del Gip contro l’amministrazione. La Corte Costituzionale il 9 aprile 2013 ha pienamente riconosciuto la legittimità della azione dell’amministrazione, ma intanto erano trascorsi mesi preziosi per un’impresa che deve competere nei mercati internazionali, e tutto è diventato più difficile.
Se si fosse seguita la via maestra indicata dall’Aia del 26 ottobre 2012, oggi Ilva sarebbe un cantiere aperto per la realizzazione di interventi tecnologici e gestionali basati sui nuovi standard europei per la siderurgia.
Vorrei ancora ricordare al vostro giornalista che l’avvio dei lavori per il risanamento ambientale di Taranto, di cui ha scritto sul giornale nell’edizione odierna (ieri, ndr), avviene oggi grazie all’iniziativa che ho assunto il 26 luglio del 2012 con il Protocollo per la riqualificazione ambientale di Taranto. Ho assunto l’iniziativa per superare gli scandalosi ritardi e le inadempienze rispetto agli impegni della Regione Puglia per Taranto. In particolare vale la pena di ricordare che le risorse stanziate per il risanamento del quartiere Tamburi (49,4 milioni ?) il 3 luglio 2007, sulla base di un progetto di Regione e Comune, erano state successivamente destinate ad altri progetti con una deliberazione della giunta regionale del 2 ottobre 2007. Questo per la verità storica. (GdM)

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