venerdì 7 giugno 2013

Disinneschiamo le mine dell'Ilva

Ci sono tante storie di ricatti e soprusi.
La storia dell'Ilva la conosciamo bene ed è singolare: il ricatto si rivolge non solo agli operai dello stabilimento, ma anche alla popolazione di Taranto.
Ma ci sono storie che più di altre devono e possono essere prese da esempio per  uscire dal baratro.
E' la storia della significativa e memorabile lotta delle operaie della Valsella, fabbrica di morte perchè produttrice di mine.
Come racconta un'ex operaia Franca Faita in una lettera (che trovate qui) "fino al 1980, la Meccanotecnica (la fabbrica si chiamava così allora) produceva televisori e mobili in plastica." A causa di una crisi del settore, nel 1983, la ditta  comunica ai dipendenti che si sarebbe trasformata in un'azienda militare: nacque così la   "Valsella Meccanotecnica".
I dipendenti della "nuova" fabbrica hanno iniziato a produrre mine antipersona con aumento di stipendi, "senza bisogno di fare scioperi o proteste".
I dipendenti per 10 anni hanno lavorato con "commesse grandiose".
Poi venne la coscienza a sconvolgere la vita della fabbrica. La coscienza operaia, che pian pianino anche qui a Taranto inizia a prendere piede.
E' la coscienza che porta a domandare alla proprietà Valsella: "Per chi sono tutte queste mine?". Ma la risposta era: "Segreto militare". Ed ancora alla domanda: "Ma perché servono migliaia e migliaia di mine?". L'azienda rispondeva: "Per difendere il territorio dal nemico".

La coscienza si concretizzò in azione:
Franca con altre poche operaie, hanno iniziato una continua lotta di sensibilizzazione  dentro e fuori dei cancelli della fabbrica e in giro per l'Italia, soprattutto nelle scuole. Hanno partecipato al primo incontro internazionale contro le mine, presentandosi con  uno striscione: "Perché per lavorare e vivere dobbiamo costruire mine che uccidono?".

La stessa domanda dovrebbero porsela anche gli operai del siderurgico anche se per la verità, sono sempre di più coloro che in quella fabbrica iniziano ad agire sollecitati dalla riflessione che porta la domanda:  "Perché per lavorare e vivere dobbiamo produrre l'acciaio che uccide?"

Le operaie della Valsella hanno avuto il coraggio di richiedere la riconversione della Valsella: e la risposta che hanno avuto è stata quella del RICATTO.

 "O SI CONTINUANO A FARE LE MINE OPPURE CHIUDIAMO LA FABBRICA E VENDIAMO I BREVETTI".

Stessa risposta che ricevono oramai quotidianamente gli operai dell'Ilva.

Cosa hanno risposto le operaie della Valsella? sottraendosi al ricatto.

E non è stato semplice; tutt'altro come testimoniano le parole di Franca: " La vita in fabbrica era molto dura per noi, e soprattutto per me, perché ero controllata a vista. Ho avuto da soffrire, da sopportare." Ed ancora:  "la battaglia della Valsella" - scrive Franca - ci è costata 18 mesi di CIG e senza stipendio. Ma ne è valsa la pena".

"Dal 1994, la Valsella non ha più prodotto mine; non per volontà dell'azienda, ma per la forza nostra e di chi ci ha aiutato; per la tenacia di chi ha lottato fino a far approvare la legge 374 del 1997. Così pure la SEI ha smesso di riempire le mine di esplosivo, anche se continua a riempire di esplosivo vari tipi di bombe, nella sua sede rinnovata e potenziata di Domusnovas, in Sardegna."
Come è finita?
" Nel 1998, la Valsella è stata messa in liquidazione ed è stata prelevata da un'altra Società; è stato fatto un accordo sindacale per distruggere tutto quello che riguardava la produzione delle mine antipersona e per produrre solo prodotti civili."

"Come donna e come madre e come sindacalista" Franca si dice fiera della  battaglia portata avanti contro il ricatto padronale : "la farei di nuovo".
E prega. Prega "ancora una volta, di credere nella via della riconversione. Fare prodotti che favoriscono lo sviluppo e il benessere di tutti i popoli, anche di quelli più poveri nel mondo, questo è l'unico investimento che rende, perché genera ricchezza, sicurezza e felicità condivisa."

Ma questa storia, dal lieto fine, porta con se tanti valori e insegnamenti:  la presa di coscienza delle conseguenze sugli altri del proprio lavoro; il valore della solidarietà umana; il valore del senso del lavoro sopra ogni forma di egoismo personale; la determinazione e il coraggio di portar avanti un'idea per il bene comune.
La riconversione? anche per Taranto è possibile.

Come? disinnescando le mine dell'Ilva: le mine della corruzione dei cervelli, della distruzione di un senso di dignità, onestà e rispetto per l'altro; le mine dell'egoismo. 











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