Il
gruppo Riva in attesa dei finanziamenti economici Ue cerca l'aiuto
dello Stato. A Roma l'ad Enrico Bondi incontrerà il ministro
dell'Economia Zanonato e il governatore Vendola. Ipotesi
nazionalizzazione
Quando si conclude il Cda straordinario
dell'Ilva Spa convocato ieri mattina a Milano dopo l'ultima iniziativa
della magistratura, Taranto è semi deserta. Ma l'ultimo ricatto del
gruppo Riva alla città e l'ennesimo atto di sfida nei confronti della
procura, in un attimo fa il giro della città. L'intero Cda ha rassegnato
le dimissioni: l'amministratore delegato Enrico Bondi, insediatosi ad
aprile, il presidente Ilva Bruno Ferrante, tra gli indagati dell'ultimo
provvedimento della procura ed il consigliere Giuseppe De Iure (tutti
uomini fidati della famiglia Riva). I tre resteranno ai loro posti sino
al prossimo Cda convocato il 5 giugno: in quell'occasione l'assemblea
dei soci deciderà se accettare le dimissioni in toto o in parte, oppure,
eventualità da non escludersi, rimettere tutto nelle mani
dell'amministratore del sequestro preventivo dei beni della Riva Fire
nominato venerdì dal gip di Taranto, Mario Tagarelli. Inoltre, il Cda ha
annunciato di aver dato mandato ai legali dell'Ilva, di ricorrere nelle
sedi competenti contro l'ultimo provvedimento della procura ionica.
Come si può facilmente evincere, dunque, siamo nel campo delle ipotesi.
Ma l'obiettivo, ancora una volta, è stato centrato in pieno. Perché
immediatamente dopo l'annuncio delle dimissioni del Cda, sindacati,
istituzioni locali e nazionali hanno iniziato il solito teatrino di
dichiarazioni allarmistiche sul futuro sempre più incerto che attende il
più grande siderurgico d'Europa, da cui dipende gran parte
dell'industria meccanica del paese. Del resto, il Cda dell'Ilva ha
scientificamente affondato il dito nella piaga: se chiude Taranto, sono a
rischio 24mila posti di lavoro diretti che insieme a quelli
dell'indotto raggiungerebbero le 40mila unità. Nessuno, però, si è
soffermato sulle motivazioni che hanno portato il Cda alle dimissioni.
Nella nota diffusa dall'ufficio stampa dell'Ilva, si legge infatti che
«l'ordinanza dell'Autorità giudiziaria colpisce i beni di pertinenza di
Riva Fire e in via residuale gli immobili di Ilva che non siano
strettamente indispensabili all'esercizio dell'attività produttiva nello
stabilimento di Taranto. Per tali motivi il provvedimento ha effetti
oggettivamente negativi per Ilva, i cui beni sono tutti strettamente
indispensabili all'attività industriale e per questo tutelati dalla
legge 231/2012, dichiarata legittima dalla Corte Costituzionale». In
pratica, pur riguardando il sequestro soltanto la Riva Fire Spa, il
gruppo Riva ritiene «oggettivamente» danneggiato nelle sue funzioni
l'attività del siderurgico che risponde all'Ilva Spa, separata lo scorso
gennaio dal ramo principale del gruppo (la Riva Forni Elettrici, ndr ),
garantita e protetta dalla legge 231/2012 entrata in vigore a dicembre e
giudicata costituzionale dalla Consulta lo scorso 9 aprile. Perché
allora se l'Ilva può continuare a produrre, commercializzare il
materiale, incassare la liquidità necessaria per acquistare le materie
prime dall'estero e pagare regolarmente gli stipendi degli operai così
come avvenuto sino ad oggi, si decide di tornare a mettere in
discussione tutta la filiera dell'acciaio? Il problema, ancora una
volta, risiede nell'applicazione dell'Aia e della reale situazione
economica dell'Ilva Spa, la cui gestione non a caso era stata affidata
al liquidatore per eccellenza Enrico Bondi. La «nuova» Ilva Spa, nata
appena lo scorso gennaio, non ha le risorse economiche per affrontare i
lavori di risanamento imposti all'azienda e da effettuare entro il 2015.
Non a caso non è stato ancora presentato il piano finanziario a
garanzia della copertura economica dei lavori previsti, così come non è
stato redatto il piano industriale. Né è praticabile alcun aumento di
capitale, visto che non si sa chi dovrebbe immettere liquidi
immediatamente esigibili per garantire un futuro all'azienda. Ed ecco
che, stante così le cose, il vero piano dei Riva inizia a palesarsi per
ciò che in realtà è sempre stato. Ovvero da un lato attendere gli aiuti
economici previsti dal piano Ue per il settore siderurgico che sarà
presentato ai primi di giugno dal vice commissario Antonio Tajani,
dall'altro obbligare lo Stato a farsi carico della gestione di uno
stabilimento abbandonato al suo destino dal gruppo Riva da diversi mesi.
Ed in serata arriva guarda caso la notizia che in molti attendevano:
domani a Roma il ministro dello Sviluppo economico Zanonato, incontrerà
Enrico Bondi ed il governatore pugliese Vendola, e forse i sindacati. Il
tempo stringe: ma sarà vero? (Manifesto)
Ilva ormai allo sbando “Impossibile la produzione”
NSA
Bloccati tutti i conti: si dimettono anche i capireparto
Siamo ormai al conto alla rovescia. Riva Fire, la capogruppo della famiglia Riva, annuncia che «sono a rischio 20.000 posti di lavoro» dei dipendenti diretti e altrettanti di indiretti, «ed è fortemente compromesso l’iter per l’approvazione del piano industriale 2013-2018». Il presidente dell’Ilva spa, Bruno Ferrante, e l’ad Enrico Bondi, dimissionari, incontrano al ministero per lo Sviluppo economico ministri e sottosegretari e denunciano che il sequestro degli 8,1 miliardi equivalenti rende impossibile la produzione e il risanamento degli impianti.
In fabbrica a Taranto, siamo alla vigilia di forti tensioni provocate dalla protesta del quadro dirigente intermedio che non si sente più garantito economicamente - essendo dipendenti della Riva Fire - e con le spalle coperte, temendo di finire sotto inchiesta della procura di Taranto. Carte di credito bloccate, impossibilità di pagare trasferte, pranzi. E si dimettono pure una trentina tra capi reparto e capi squadra. Insomma, siamo allo sbando. La riunione di ieri convocata dal ministro allo Sviluppo economico, Flavio Zanonato, doveva servire per istruire la «pratica» Ilva che si discuterà oggi a Palazzo Chigi. Il premier Enrico Letta e il governo incontreranno le parti sociali. A un certo punto l’incontro è proseguito senza la delegazione dell’Ilva. Mentre Zanonato, il ministro per l’Ambiente, Andrea Orlando, il governatore Nichi Vendola, il sindaco di Taranto Ippazio Stefano, viceministri e sottosegretari continuavano la discussione, da Taranto, dal Garante per l’attuazione dell’Autorizzazione integrata ambientale (Aia), Vitaliano Esposito (ex procuratore generale della Cassazione), è arrivato un segnale di cambiamento di rotta. «Sono molto preoccupato per la tensione che si respira - dice il Garante - Invito tutti alla calma. Ai sindacati ho detto che siamo di fronte a gravi inadempienze da parte dell’azienda nell’attuazione dell’Aia».
Le prescrizioni non attuate sono una decina, la più grave è la mancata copertura del treno nastri; e adesso, annuncia Esposito, «si passerà alla fase sanzionatoria di competenza del prefetto». E’ nei fatti l’anticamera del commissariamento. Esposito mette in risalto «la convergenza del provvedimento giudiziario con la filosofia della legge che stabilisce che l’Ilva deve applicare gli adempimenti dell’Aia».
Il garante, l’ex procuratore generale della Cassazione Esposito invita ad aspettare la nuova relazione trimestrale dell’Ispra, che dovrebbe essere consegnata il 7 giugno, sullo stato dell’arte della messa in sicurezza degli impianti. Una relazione che si annuncia fortemente negativa per l’Ilva. Già un dossier del ministero dell’Ambiente, ieri sul tavolo del ministro Andrea Orlando, evidenzia «le inadempienze dell’Ilva e le sue criticità molto forti». Esplicito ieri il governatore della Puglia, Nichi Vendola: «Di fronte alle inadempienze dell’Ilva si deve procedere alla sua messa in amministrazione straordinaria».
E dire che la legge 231 del 24 dicembre del 2012 andava incontro alle esigenze della grande fabbrica, stabilendo una moratoria di 36 mesi entro i quali continuare a produrre e vendere acciaio, mentre procedevano i lavori per mettere a norma gli impianti. Uno schema per nulla apprezzato dalla magistratura tarantina che ha sollevato prima il conflitto di attribuzione e poi l’incostituzionalità della legge davanti alla Consulta che, invece, ha legittimato la legge.
La situazione sta precipitando. Sul tavolo del governo ci sono due opzioni: contestare le inadempienze nella applicazione dell’Aia, e quindi arrivare al commissariamento dell’Ilva spa, o sfruttare la legge sullo stato di crisi delle aziende in fase di pre fallimento e nominare il commissario. Sarà decisiva la scadenza del 12 giugno quando la Commissione Europea varerà il Piano dell’acciaio, che dovrebbe prevedere un prestito di 3 miliardi di euro: risorse decisive per l’attuazione dell’Aia.
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